venerdì 24 giugno 2022

MISTER NO (4)


[148-149-150-151-152] LA CASA DELL'ARCHEOLOGO - LA NOTTE DEI MACHETES - AGGUATO NELLA CITTÀ SEPOLTA - IL GIUSTIZIERE DI BONAMPAK (Nolitta/Bignotti-Della Monica)

L'incipit, a casa del prof. Bauer e consorte, a San Cristobàl de Las Casas,  è di quelli che ci hanno fatto amare questa serie, in cui impariamo sempre cose nuove. Filmone diviso in due metà. La prima è pasionaria e socialista, e veniamo coinvolti nell'ennesimo genocidio indio (stavolta messicano) di cui non sapevamo nulla. La seconda metà è di intrattenimento avventuroso ed è sostanzialmente un remake dei #12/15, di cui ripete un paio di situazioni. Abbiamo preferito la prima. Peraltro, la congiunzione tra le due sottostorie è molto forzato: guarda caso, l'archeologo è il vecchio compagno di classe della carogna. Il finale tira le fila di ambo le parti, spiazzando un poco sull'identità del giustiziere mascherato, e in seguito coinvolgendoci di nuovo con il tipico finale tragico-malinconico dell'autore. Al quale diamo anche atto di aver omaggiato Kipling senza farsi tanti problemi. Arte artigiana, di quelle che amiamo tanto.


[152-153-154] LA DONNA DEL MISTERO - IL TESORO SCOMPARSO - L'ASSASSINO NELL'OMBRA (Ongaro/Diso)

"Giallo-noir" un po' troppo allungato, con tante chiacchiere e un colpevole abbastanza scontato. Non convincono la love story di secondo piano (l'amica di Jerry) e la scelta di Mister No di disfarsi della registrazione: se il cattivo è morto, non vuol dire che incriminarlo non avrebbe conseguenze. La parte migliore è il breve flashback bellico isolano. Difetti a parte, è un fumetto scritto meglio di quelli recenti. Disegni all'altezza, anche se talvolta ci sono apparsi revisionati. 


[155-156-157-158-159] SFIDA AL PANTANAL - ZAGAIEIRO! - UN MONDO VIOLENTO - LO SPETTRO DEL RIO CUIABÀ - VIAGGIO ALL'INFERNO (Nolitta/Di Vitto bros.)

Classico dei Classici, l'avventura più lunga della serie, versione amazzonica dell'Odissea Americana zagoriana (la storia, non la saga), dove filosoficamente si osserva lo scorrere del mondo attraversando il fiume. Viaggio nell'interpretazione più ampia (pura?) del termine: fisico, attraverso paesaggi diversi e in contesti esplorativi; e morale, nella più amara constatazione che "tutto il mondo è paese". Dinanzi a una tale manifestazione della negatività portata dall'essere umano, la domanda che ci si pone è perché a Nolitta piacessero tanto questi luoghi. La risposta non c'è, o, meglio, è intrinseca nei personaggi che Nolitta ha creato e in tutta la sua attività di sceneggiatore ed editore. Un romanzone formativo d'avventure non può che comporsi di capitoli interni, a loro volta divisi in capitoletti. Nel primo assistiamo alla preparazione del viaggio, con il racconto della maledizione del battello acquistato dal miniesploratore Raffles e, quindi, l'assemblamento della ciurma. I successivi capitoli sono frammezzati a cavallo degli albi. Il primo incontro del viaggio è con gli zagaieiros, i cacciatori di giaguari armati di zagaie, che sembra segnare subito il destino degli avventurieri. Seguono i coureiros, i cacciatori di caimani e rapitori di mogli altrui; particolarmente efficace il momento in cui il marito della poveretta si lascia prendere dalla collera e disprezza i rapitori uccisi, costringendo Jerry ad ammonirlo. Un difetto di questo epico fumetto, se proprio vogliamo trovarne uno, è l'assenza di almeno una tappa positiva, magari puramente etnografica; l'unico momento che vi si avvicina, brevemente, è al centro esatto della storia, quando il battello costeggia le praterie dei vaqueiros; guarda caso, è anche il momento migliore. Successivamente, anche i vaqueiros si rivelano bellicosi intriganti e vili nemici, e ovviamente, seguendo il manuale del feuilleton, è qui che lo zagaieiro vendicativo può fare il suo ritorno. Anche in questo segmento non mancano personaggi umanamente e meschinamente ambigui, quali la figlia e il figlioletto del latifondista, cattivi senza rendersene conto. L'ultimo tratto, giustamente, riporta al discorso iniziale della maledizione del Capitano Teixeira, in realtà ancora vivo e sfigurato, impazzito fino ad impadronirsi del battello per autodistruggersi con esso. Scena curiosamente analoga a quella che conclude la storia pubblicata (sul mensile) immediatamente dopo a questa. Nonostante la strage dell'equipaggio, caduto ad eliminazione tappa dopo tappa, per Jerry e Raffles (e Moacyr, l'unico superstite, il ragazzino figlio della prima vittima di Teixeira e tornato a casa "adulto") l'epilogo è materialmente positivo, ma un certo turbamento indescrivibile (che Nolitta è bravissimo a non descrivere) persiste ad aleggiare, e difficilmente si può parlare di "lieto fine". Un vero e proprio romanzo, insomma, infatti pubblicato anche in volume negli Oscar Mondadori: è su questa edizione che lo leggemmo per la prima volta, giovani e disinteressati, senza capirci molto, e senza pertanto apprezzarlo come dovuto. L'arte non stupisce tanto per la sua solidità e la sua robustezza, la sua chiarezza, la sua leggibilità, la sua capacità di saper trasmettere i caratteri emotivi dei personaggi quanto la naturalezza degli sfondi; stupisce per saper gestire tutto questo per così tante pagine, senza mai accennare ad un fisiologico calo. Davvero azzeccati i titoli degli albi.


[Speciale 3] IL RE DEL SERTÃO (Nolitta/Diso)

Seguito degradato e farsesco dei #3/5, con una Miranda ormai persa dopo i fatti dei #116/119. L'ex fiamma di Jerry qui trascina la sua ex fiamma (che comunque limona, se serve) dentro una storia losca, in mezzo a gentaglia d'ogni risma, e poi ne finisce vittima, arrestata come unica criminale. Un imprenditore del Sertão è a capo di una cospirazione con propositi di secessione, decisa a fare della regione uno Stato autonomo; a titolo simbolico, decide di rubare la testa del Cangaceiro più famoso, Limpião (personaggio storico). La vicenda presenta personaggi abbastanza respingenti, tra cui la prostituta negra, protagonista di una scenetta relativamente osé. Anche il ritrovo dei Cangaceiros, con la fugace ripresa della celebre canzone, non ha il sapore leggendario dei #3/5, ma quello più triste e amaro di un seguito realizzato molti anni dopo. Infine, ecco il prete, rappresentato come uomo d'azione cinico e deciso soltanto a riempire la propria parrocchia di fedeli sfruttando la fama della testa; una ennesima interpretazione inusuale (al giorno d'oggi) della religione offerta da questa serie iconoclasta.  Orsonwellianamente, ogni fazione dà di Limpião una visione differente, tutte (a quanto pare) veritiere: per i ribelli Cangaceiros è il leader storico; il leghista lo considera uomo di destra, conservatore e antisocialista; alcuni poveracci lo vedono come amico dei poveri; altri, come sanguinario demonio in Terra; il prete, infine, come uomo di Chiesa e latore del messaggio evangelico. Una storia simile non può che avere una conclusione cinica, in cui Jerry salva Miranda dal carcere soltanto grazie all'intervento del Governatore dello Stato di Bahia, fratello dell'imprenditore malavitoso, di diverse vedute politiche ma dai modi non dissimili. Ai testi dello sceneggiatore di punta corrispondono i disegni dell'artista di punta: e non poteva essere altrimenti. Fugace apparizione di Getulio, il tassista di Bahia. Il Cangaceiro in copertina pare essere di Claudio Villa.


[159-160-161] COMA PROFONDO - L'ORO DEL FIUME - IL NEMICO SENZA NOME (Sclavi/Bianchini)

Fumetto crepuscolare, forse appartenente al periodo alcolista dell'autore. Frullato quasi stordente di riferimenti babeliani dello sceneggiatore, su cui primeggia la gnocca svampita tipo Anna Never, qui straniamente modellata su Audrey Hepburn (la quale, al giorno d'oggi, è ormai identificata con Julia, da cui lo straniamento). Ma non è da meno il terzetto di ex galeotti Boris (Karloff), Klaus (Kinski) e Ugarte (Peter Lorre), cui si aggiunge poi Simon (misto tra Marty Feldman e Sclavi). C'è spazio anche per il portacenere a forma di teschio di Dellamorte Dellamore, e che l'autore stesse contemporaneamente lavorando anche ai primi Dylan Dog è evidente dai brevi inserti orrorifici: la mano scarnificata, il costume da scheletro, le esplosioni e la morte infernale di Klaus (curiosamente non troppo dissimile da quella del Capitano Teixeira di Sfida al Pantanal). La prima puntata è formidabile, a partire dall'incipit in cui Mister No viene sparato e cade in coma. Suggestivamente, viene rievocata l'avventura che lo ha condotto fin lì, ed è una irrefrenabile commedia degli equivoci, con momenti demenziali e adorabilmente pecorecci con protagonista Audrey, che si aggrappa a Jerry in modo equivoco durante il volo o che si ritrova smutandata a Manaus inseguita dal trio, fino al delizioso cliffhanger in cui torniamo al Teatro dell'Opera (#97/98; più avanti vediamo pure la tomba dei protagonisti di quella storia). Il secondo albo prosegue il delirio, prima con l'incontro col trio (memorabile la gag dei bauli), e poi trasportandoci al cimitero, in una sequenza degna delle migliori parodie degli anni 1970 (da ricordare Ugarte nella bara). Ovviamente, fedele al principio per cui una storia non è tale se non vi è un mistero da risolvere, anche questa trama propone un "giallo" amazzonico, costruito con perizia e attenzione alla concatenazione di eventi, tuttavia abbordabile per un lettore un minimo sveglio. Il viaggio sul fiume è esemplare nella capacità di mantenere l'equilibrio tra commedia, "giallo" e classica azione etnografica prevista dal contratto, e intrattiene gradevolmente tra contrattempi e incidenti di percorso realistici: l'incendio della chiatta, il sabotaggio della tuta da palombaro, i sospetti tra i membri dell'equipaggio. Atmosfere che, unitamente alla mai doma carica erotica di Audrey, anticipano di decenni un film come Tutti pazzi per l'oro. Esilaranti i due indios lazzaroni, che l'autore ripropone da Altai & Jonson (lì erano messicani). Dipanato sul secondo e terzo albo, questo lungo segmento avrebbe forse giovato di un lieve accorciamento, ma comunque di Sclavi tutto si può dire tranne che sia noioso. La conclusione, che riprende e prosegue il clamoroso prologo, è da vero e proprio "giallo", sclaviano ed umano, naturalmente. Al termine di quest'ultima incursione sclaviana nella serie, Mister No si lascia scappare quello che è anche il pensiero del lettore: peccato che questa storia sia finita. Arte a stretta imitazione civitelliana, dannatamente altalenante: ottimo e grossolano convivono entusiasticamente, in linea con i testi. 


[162-163-164] VERACRUZ! - IL POZZO DEI SACRIFICI - IL MISTERO DELLA MAPPA (Ongaro/Della Monica)

Forse la storia meno entusiasmante dei primi duecento numeri, è un intricato "noir" esotico (Veracruz, Madera, le rovine Maya), in cui si alternano eventi abbastanza interessanti, pur nella loro prevedibilità, ma appesantiti da ininterrotti dialoghi privi della brillantezza consueta, e il più delle volte ridondanti. Non aiuta nemmeno l'arte al suo esordio: i fasti della maturità sono ancora lontani. Rimangono, comunque, abbastanza impressi il doppio inseguimento sulle spiagge di Veracruz, prima a cavallo (primo albo) poi sulle jeep (l'epilogo), e la sequenza in cui Jerry è tumulato nel pozzo e viene salvato col camper (oh, finalmente ne vediamo uno). A noi i camper ricordano sempre Pezzin e Ubezio, che volete farci. A Disney (Cavazzano e Gazzarri) ci rimanda anche la mappa tatuata sulla crapa pelada. Simpatiche le inflessioni texiane (Piedras Negras) e il condimento esoterico-naturista del cane vendicativo maledetto. Il vero villain è Alex Brady, il tizio che da ragazzino abitava a NY sopra a Jerry, e che casualmente viene incontrato in Messico. 


[164-165-166] LA PASSEGGERA SENZA BAGAGLI - IL CLANDESTINO - IL MOMENTO DELLA VERITÀ (Ongaro/Roi+Della Monica-Chiuppi)

"Noir" verboso, ma avvincente nelle prime due puntate, quasi hitchockiano: l'equivoco, la località esotica (Bogotà) ma cupa (piove sempre), due contro tutti (due gruppi all'inseguimento), l'albergo, il nuovo viaggio in treno, azione bondiana. Quando i fili vengono riannodati, la vicenda si fa un po' troppo chiacchierona; sebbene, volendo essere laterali, il terzo albo possa essere definito, nell'intreccio, quasi castellian-boselliano. Ovviamente la finta lei è la vera lei, ma è un colpo di scena logico, che conduce alla breve caccia al tesoro conclusiva (quasi un bonus videoludico sbloccato) e al conseguente finale malinconico. Arte sperimentale: due artisti alla loro unica o quasi apparizione, assurdamente fusi in un ibrido industriale, ed entrambi ben riconoscibili. Notevole il nascondiglio del tesoro Inca: si scende nella sala murata, si risale l'albero secolare, ci si cala al suo interno e si trovano le gallerie sotterranee. L'episodio introduce inconsapevolmente un simpatico tormentone, quello di Jerry che non riesce mai a vedere Casablanca: Mignacco lo renderà consapevole.


[167-168-169] AFRICA! - SAFARI - LE MASCHERE SACRE (Nolitta-Mignacco/Dell'Uomo)

Primo albo (o poco meno) nolittiano e coinvolgente, come si fa a non volergli bene? Manco è partito e già hai il mal d'Africa. Si parte da Belém (con carrellata veloce sui #139/143 e #24/26), dove Jerry fa il ciacione con Maria e Irene e difende Madalena (#136/138) dalle molestie del candidato Governatore dello Stato. Perseguitato "politico", per sfuggire ai sicari, Mister No s'imbarca come clandestino e si ritrova in viaggio per l'Africa: inizia la trasferta. Tutta questa parte è narrata col pacioso e determinato piglio di Nolitta. La sequenza più bella è quella in cui Jerry ricorda Topolino e il Gorilla Spettro e Cino e Franco con la Regina Loana, oltre ai vari Cary Grant, Gary Cooper e simili. Subentra quindi Mignacco, con uno stacco nei dialoghi che è come un cazzotto sui denti. Che fine fanno lo stramboide capitano e la ciurma che bullizzava il clandestino? Appena arrivati ad Abidjan (Costa d'Avorio), spariscono dalle scene. La prima "storia africana" vera e propria è di fortissima derivazione sclaviana, e nel cast, e nella regia allucinata di alcune sequenze. La trama non è particolarmente brillante: il riccone appassionato d'arte accompagna un artista alcolizzato (dalle fattezze di Sclavi) e la sua musa nel villaggio alla ricerca dei segreti dell'arte dell'intarsio delle maschere. Non manca il negretto complice dei banditi di strada. La tribù ospita due scienziati occidentali, marito e moglie, che si aggiungono al cast di casi umani, come pure il fabbro del villaggio e il di lui figlio scapestrato e indolente, in realtà avido e corruttibile. La sequenza del safari è solo una parentesi richiesta da Nolitta a scopo documentaristico, ma non vogliamo attribuire a lui la gratuita e sgradevole uccisione dell'elefante da parte di Jerry (seppur roso dai rimorsi e a scopo difensivo e con la scusante posticcia dell'animale anziano e in cerca di morte dignitosa), peraltro quasi manualistica nel suo rivelarci il segreto per riuscire nell'impresa. Più gradevole la gita turistica al villaggio, con le danze tribali e il gironzolare tra le rovine delle torri sacrificali. Immancabile, dunque, il "giallo", dichiaratamente dylandoghiano "prima maniera", tra sospetti eccentrici (ovviamente quasi nessuno è ciò che sembra), incubi deformanti e battute sferzanti. Divertente - e sempre derivativo - vedere Jerry risolvere l'intrico, ma sbagliare colpevole; più scontato il controfinale, seppure con la variazione del salvataggio del colpevole. Alla fine, il soggetto appare comunque concepito originariamente per l'ambientazione amazzonica e in seguito riadattato. L'arte è adeguatamente dylandoghian-sclaviana: grottesca e imprecisamente suggestiva, a volte non sembra affatto a suo agio con questa testata, a volte sì. Nolitta è accreditato anche nel terzo albo, ma deve aver firmato solo l'ultima pagina. 


[Speciale 4] UN MONDO PERDUTO (Nolitta/Diso)

L'incipit è una mezza novità per Nolitta, con Jerry semi-naufrago per cause di forza maggiore. Anche l'amico che si rivela carogna è inusualmente parte del prologo. Quindi ecco Patricia, più tonta e mignottella del solito, che se Jerry non capitava lì per caso era già spacciata. Spedizione alla ricerca di Zeta e Fawcett, nientemeno (argomenti su cui Jerry è ferratissimo). Ma è tutta una truffa, come Mister No ripete simpaticamente per tutto il viaggio, indicando più volte i colpevoli. D'altronde ci aveva già pensato Martin Mystère, omaggiato con l'archeologo Castle. Con un elemento mancante in quel Classico: l'aneddotica sulla statuetta psicometrista donata da Rider Haggard a Fawcett. Parodia, dunque, dove pure l'attacco dell'anaconda è una simulazione. Ma, pur essendo una storia amazzonicissima, è un prodromo alla saga africana, come manifesto nella sequenza migliore, il malinconico finale con il miraggio pareidolico delle rovine di Atlantide, inno al Sogno e all'Avventura. Disegni di punta. Patricia ricorda i #12/15, #60/62, #108/110.


[169-170-171-172-173] ATTRAVERSO L'AFRICA - GLI UOMINI LEOPARDO - SORTILEGIO AFRICANO - NELLA TERRA DEI FANG (Ongaro/Bianchini)

Fumettone epico-interminabile, ottocentesco feuilleton ricco e articolato di capitoli personaggi e divagazioni. Se i testi fossero stati meno ridondanti, soprattutto nella seconda metà della storia, e se i disegni fossero stati più artistici, ne parleremmo come di un capolavoro. Troviamo Jerry nei pressi di Abidjan: si è già fatto la fidanzata-amante, con tanto di fratellino adottivo. Ricevuto il telegramma dal Brasile che gli consiglia di attendere buone nuove, Jerry decide di raggiungere il suo ex commilitone Jimmy Collins, dei tempi della Birmania, in Kenia. L'autore sa bene che un buon feuilleton non può prevedere solo disgrazie, ma deve concedere momenti più rilassati e personaggi positivi, e giustamente fa in modo che tutta questa parte iniziale sia relativamente tranquilla: così, ecco il tizio che accompagna Jerry a Lagos (Nigeria) e lo raccomanda al fratello camierere a Yaoundé, ed ecco che l'imbarco clandestino per il Camerun si svolge senza problemi. La vera storia inizia a questo punto, quando Jerry incontra Mbara, stregone degli Ewondo, veggente e latore di una ancestrale profezia che vede Jerry come liberatore del Camerun dalla tirannia della tribù dei Fang. Tutto il naufragio aereo nella giungla, lo sforamento in Congo (un po' illogico) e la necessità di attraversare il fiume-confine in piena, il successivo incontro coi Pigmei (che costruiscono il ponte nella notte), l'addio tra i due, e l'uccisione del giaguaro/spirito Hu dei Fang, è, in fondo, la parte migliore della storia. Seguono due albi e mezzo di lotta contro gli uomini-giaguaro, dapprima fuggendo dagli attentati, infine, dopo vari andirivieni divulgativi e una breve parentesi romantica con la segretaria dell'ambasciatore americano in Camerun, infilandosi nel covo locale della setta, per poi ritrovare Mbara e andare con lui a rapire il Re dei Fang di persona. In questa lunghissima parte, Ongaro la tira un poco per le lunghe, soprattutto inserendo di netto i flashback delle origini della diatriba tra tribù e della conseguente profezia, che, tutto sommato, non erano così necessari ai fini della comprensione complessiva; è comunque un escamotage tipico dei romanzi popolari di fine Ottocento, per cui in linea con i contenuti; lo stesso vale per lo svelamento dell'intrico al lettore, che non coincide con quello riservato a Mister No, molto più tardivo. Un vero romanzone "prussiano" dev'essere estenuante in modo soddisfacente; e, così, ecco un ulteriore epilogo, in cui si introduce perfino la caccia al tesoro nel fortino in riva al mare. Quando si suol dire "voler vincere facile". Molto interessante e articolata la base storica della vicenda, con le colonizzazioni prima tedesca poi anglo-francese di inizio Novecento, e la piena coscienza della situazione dei vari personaggi. Molti gli elementi esplicitamente soprannaturali: dalla "fusione" tra uomo e animale all'evocazione del vento da parte di Mbara; ma, più straniante di tutti, l'esistenza di un uomo di 120 anni, tranquillamente vivo e in buona salute. L'arte inizia bene, come di consueto civitelliana; poi diventa altalenante, comunque sempre chiara e leggibile. 


[173-174-175] IL CACCIATORE - IL TRONO D'ORO (Ongaro/Bignotti)

Ancora Camerun, stavolta a Douala. L'incontro con i coniugi Mason è l'occasione per liberarsi di Carol (#169/173), che dopo un attacco di isteria, sembra prenderla con filosofia; alla fine, fuori scena, scopriamo che si è subito sposata col barista di Yaoundé, ora direttore dell'albergo (caspita). Di nuovo safari, stavolta più documentato, nelle pianure interne del Camerun, verso le montagne; Jerry ammazza ben due rinoceronti, ma stavolta la sequenza è meno grossolana della precedente mignaccata (#167/169). Bello l'incontro coi Bemileke. Oltre al classico triangolo viscido-perverso, il soggetto presenta elementi interessanti fusi in una trama intrigante, basata su presupposti (storici o romanzati?) inusuali. E alla fine è una caccia al tesoro, che vogliamo di più? Questo potrebbe già bastare, ma ecco il colpo di scena che più ci ha colpiti nella nostra carriera di lettori (e non solo) tout-court: la tribù composta da afroamericani travestiti! In prima lettura, rimanemmo a bocca aperta; e ancora oggi ci appare come un'idea geniale. La trovata non è affatto gratuita, ma è parte integrante dell'intrico, che guadagna ulteriore valore con lo svelamento della stretta parentela tra Mason e il negro, che ribalta castellianamente il tormentone dell'"americano al 100%" e offre lo spunto per la ricostruzione storicista, con la quale si risale alle origini del Camerun, ai tempi della dinastia Ashanti (immigrata sudanese) e della lotta fratricida al suo interno. Ed è ancora puro feuilleton il riverberarsi di questa lotta nel "presente" della serie, alla ricerca del trono d'oro di Dinka. Il luogo scelto ha il fascino del più celebre viaggio africano, la ricerca delle sorgenti del Nilo, giacché è sommerso da un lago creato artificialmente, ma le cui acque sembrano scaturire da chissà dove. La magnifica arte di Bignotti rende questi e altri paesaggi con il suo inimitabile fascino e la sua cura a tratti fotorealista, trasportandoci fisicamente sul posto. Nel fumetto agisce di nuovo Mbara (sempre dai #169/173), che ci presenta Bornu, il suo collega telepate depositario del segreto; è Mbara a liberare Carol dalla prigionia dei delinquenti, ma questa parte è totalmente sacrificata e ci viene soltanto riassunta a posteriori. Nell'epilogo, la trance medianica di Bornu viene quasi demistificata: eppure Mbara aveva garantito per lui.


[175-176-177] I PIRATI DELLA GUINEA - KALAHARI! (Ongaro/Di Vitto bros.)

L'autore fa in modo che Mister No si impicci degli affari altrui, per consentirgli di lasciare Douala e il Camerun e imbarcarsi, dunque, verso il Sud (comunque è lui che ha lasciato Carol, #173/175, non lei lui), tra le attuali Namibia e Botswana (ma con i nomi e i confini di metà Novecento). Coprotagonista è un sosia armatore di Jean Gabin, che deve trasportare tre bisarche cariche di jeep al fortino-sede di una compagnia mineraria diamantifera. Sulle loro tracce, ecco una compagnia rivale, guidata da due fratelli francesi, ex collaborazionisti nazisti. Il primo terzo della storia è navale; il restante, il grosso della vicenda, è di ambientazione desertica. Come in un moderno film, seguiamo l'inusuale carovana nel Kalahari, tra boscimani vendicativi e gli attacchi dei banditi. L'autore è bravo ad elencarci i nomi insoliti delle terre attraversate e a rendere la calura opprimente del deserto. Una volta giunti al forte, eccede un po' con dialoghi e ripetizioni. La sequenza migliore è la fuga di Jerry a piedi scalzi, fuga che peraltro si rivela inutile, tant'è che la vera azione decisiva è del coprotagonista. La sconfitta dei banditi è simpaticamente spaccona, e anticipatrice di certi film di oggi, con i nostri che agganciano l'elicottero al camion e lo portano a schiantarsi. Opportunistica l'introduzione dell'indigeno che è stato a Baltimora, dotato di due mogli Zulù (negli anni 1950?) che gironzolano a seno nudo; quest'ultima caratteristica è sfruttata dapprima a fini narrativi, per distrarre i sorveglianti dell'aereo da sabotare, infine per una esilarante battuta pecoreccia, grazie alla quale, per diverso tempo, abbiamo attribuito i testi a Mignacco. Arte solida, documentata, espressiva, guascona; esilaranti le tette siliconate delle due negrette.


[Speciale 5] ZULU! (Nolitta/Diso)

Pubblicato dopo il #180, ma da leggere prima. Speciale nel senso più letterale: Mister No ha raggiunto Johannesburg ed è in visita al memoriale dell'unica vittoria degli Zulu contro gli inglesi; un colpo di sole lo mette ko. L'intero episodio è il sogno in cui Jerry si ritrova nel passato e vive le origini romanzate - ma documentate - di quella battaglia, in cui gli inglesi ospitano un esercito di volontari internazionali, capeggiati nientemeno che dal Generale Custer, privato di un occhio ma sopravvissuto segretamente al Big Horn. Per mezzo di Jerry, Nolitta conferisce a Custer un valore oltremondano, di Spirito della Guerra che ogni volta gli permette di seminare il caos, generare morte e disfatte, e rigenerarsi. Tutto sommato, l'avventura è relativamente breve (per i canoni della serie), pertanto Jerry non fa altro che trasecolare e litigare coi militari, mentre nella furiosa battaglia è all'incirca una palla al piede. Ma non per questo si tratta di un fumetto noioso, anzi, e comunque l'idea complessiva è davvero originale, e resta gradevolmente impressa. Trattandosi di uno dei temi più cari a Nolitta, il capo Zulu è ritratto molto benevolmente, e tutto il fumetto trasuda di verace passione. A tradire platealmente la connotazione onirica della vicenda sono i camei "what if" di Esse-Esse e di Dana Winter (#12/15), quest'ultimo nei panni del nipote del capo di cui sopra. Senza di essi, l'impressione era che il sogno avrebbe potuto anche non essere tale, come nelle migliori Twilight Zones. Chiude una gag buffa quanto quella dei #131/133, con la tipa molestata da Jerry che si sigilla nel sacco a pelo. L'artista non può che accompagnare al suo meglio il suo sceneggiatore prediletto, regalandoci altre splendide panoramiche tipiche di questa trasferta africana. 


[177-178-179-180] NAIROBI AUTOSTOP - I RAZZIATORI DELLA SAVANA - LA RIVOLTA DEI MASAI - L'ULTIMA PALLOTTOLA (Nolitta-Mignacco/Diso)

Nella moderna Johannesburg, Jerry sfotte un'agente di viaggi un po' racchia e strappa un passaggio in Chessna verso Arusha, in Tanganyka (simpatico il pilota, è bello che non tutti siano carogne). Qui assistiamo al momento più atteso della saga, la sosta al bar/punto di scambio tra le piste nella savana. In questo crocevia, Jerry riesce a liberare un giaguaro dalla cattività e a finire in prigione. Soggetto nolittiano, di quelli a cui teneva molto; quindi Mignacco, che gli subentra ai testi, si sforza di seguirne il canovaccio e di imitarne lo stile. Il gioco gli riesce per un albo intero. Bello il viaggio nel Parco del Serengeti con i prof. Konrad (omaggio a Lorenz), sul Piper tigrato; bello il bigino sulle tecniche di caccia degli indigeni (narrato in stile documentaristico e non cinematografico); bello il safari, meno sguaiato dei precedenti e in cui Jerry non ammazza la leonessa ma la addormenta soltanto; bella la visita al villaggio Masai; bella la trama che vede gli etologi cercare di convincere gli autoctoni a non devastare involontariamente le loro terre. Nel terzo albo, il focus si sposta sulla caccia ai contrabbandieri. Qui forse a qualche paginetta si poteva rinunciare. Ma, soprattutto, non convince l'iniziale ostinazione di Jerry a farsi da parte e a voler mantenere lo status quo, in un'interpretazione mignacchesca del personaggio che sarà riproposta anche in altre occasioni. A capo dei banditi c'è, ovviamente, il figlioccio del capo Masai, che ne usurpa il posto e scatena la ribellione di tutte le tribù contro gli occidentali. Un concetto che sarà proposto anche nelle storie immediatamente successive, che tuttavia godranno dei testi firmati da Nolitta, così che a farne le spese sarà questa prima versione. Comunque, il fumetto resta più che dignitoso e, quando giunge all'assedio ai coloni tedeschi, recupera la verve iniziale. Mister No scopa anche in mezzo al deserto: eppure la sequenza, più che grottesca, risulta invitante. La conclusione è positiva per tutti, persino per l'americano coglione, eccetto che per Jerry, che continua a provare malinconia preventiva per questo micromondo destinato all'estinzione; dev'essersi accorto che spostare i confini del Parco per sistemare i Masai non è molto diverso dal confinare gli indiani (d'America, quelli dell'India qui sono cattivi) nelle riserve; ma né lui né l'autore lo dicono esplicitamente. L'artista di punta della testata si comporta di conseguenza e regala splendidi panorami e personaggi ben caratterizzati.


[180-181-182-183-184] I RIBELLI - MAU-MAU - TEMPESTA SUL KENYA - LO STREGONE KIKUYU - FURORE! (Nolitta/Bignotti-Di Vitto bros.)

Kolossal africano, la seconda storia più lunga della serie. Forse un capolavoro, forse no: la lunghezza è un'arma a doppio taglio. Lasciato il Serengeti, Jerry entra in Kenia. Di nuovo un punto di scambio: evviva. Ma subito vede i morti appesi (aneddoto dell'autore?). Entriamo, così, ignoranti come il protagonista, nel mondo della guerra civile keniota degli anni 1950, la genesi degli odierni villaggi-vacanze. Ci spostiamo coi militari, subiamo un attentato, quindi ecco la squallida e povera Nairobi. Bella la cena al locale indiano, dove fronteggiamo, senza censure e giri di parole, il razzismo a cascata tra povery: l'indiano odia i negri. Simpatico lo svizzero, di fatto unico personaggio positivo della storia, che viene trucidato da altri attentatori. Conosciamo il comandante militare dal volto di Stalin (!), solo per poi vederlo ammazzato quando, accompagnati verso nord (tra bei paesaggi, diciamolo), subiamo il terzo attentato. Siamo a metà storia e a circa metà trasferta: finalmente incontriamo Jimmy Collins, l'ex commilitone di Jerry che volevamo raggiungere dai #169/173. Costui ora è l'incattivito e bellicoso "Kikuyu Killer", lo sterminatore di Mau-Mau (che sono tutti della tribù Kikuyu), che fa uso di Masai a mo' di milizia armata (curiosamente, Jerry non menziona mai i #177/180). Manco arriviamo a casa sua, alle pendici del Monte Kenya, che il quarto attentato gli porta via il figlio. La sequenza in cui Jerry riesce finalmente a parlare al suo ex amico è indolentemente breve. Inizia dunque la missione sotto copertura al villaggio Kikuyu del generale sanguinario: assieme a Jerry, ci spacciamo per trafficanti d'armi e cerchiamo di agganciare i servizi segreti maumauiani (i Kappa-Kappa). Eccolo, è il candido barista, il guerrafondaio combattente. Tutta la parte al villaggio è quella che resta più impressa, cruda e sanguinaria: il rito tribale con cui il sacerdote alcolizzato cava gli occhi e sventra il caprone ancora vivo, per farne bere il sangue al nuovo adepto; la congiura istintiva con cui gli invasati ammazzano il loro stesso generale; l'arrivo del suo autoproclamato sostituto, che ci spezza il cuore: è il benzinaio del punto di scambio (sia lui che il barista crepano, comunque); l'irruzione di Collins e scagnozzi e la trucidazione dei Mau-Mau, anche dopo la resa; l'ira funesta di Mister No e il salvataggio del povero figlioletto di Collins, sballottato stremato e pure sparato. Alla fine nulla si ricompone: esattamente come Jerry, ne abbiamo le tasche piene di tutto e preferiamo mandare a tutti a quel paese, sperando (senza convinzione) che il ragazzino non diventi demente come gli adulti. Via, verso Khartoum! Ah no, c'è il quinto attentato. Guarda, facciamo così: fate come vi pare, basta che ci lasciate in pace. Sembra un commento irriverente, ma è un bel fumetto impegnativo, di certo non spensierato. L'arte, insolitamente (cause di forza maggiore) a sei mani e ibrida, ci distrae molto spesso: è un'arte curata, evocativa, documentaristica, espressiva; ma è davvero straniante vedere i primi piani dei Di Vitto sugli sfondi di Bignotti (e spesso anche sulle anatomie). L'impressione è che i fratelli abbiano matitato, e il genio rifinito. A livello di cultura e società, è un fumetto da cui si traggono molti insegnamenti, e questo è probabilmente il suo pregio maggiore (Wa-Russia, Wa-America: e chi se lo scorda?). A livello di regia, nel quinto albo Nolitta utilizza per sei volte la stessa inquadratura dall'alto della collina: un po' di fretta? Naturalmente, questo Collins è ormai andato, e non lo rivedremo; la versione ancora non corrotta del passato, invece, comparirà nei flashback bellici e di continuità mignaccheschi.


[184-185-186-187] KHARTOUM - LA DIGA NEL DESERTO - IL FARAONE DIMENTICATO - LABIRINTO INFERNALE (Castelli/Bignotti)

Primo, storico cross-over bonelliano, fumetto tipicamente e gustosamente castelliano, episodio misternoiano a tutti gli effetti. Quando uno sceneggiatore è bravo, è bravo. Si parte dal Sudan, con i tormentoni dell'autore: la partita a carte, "bisogna saper perdere", Belmopan, i depistaggi doppi, tripli, quadrupli. Personaggi sempre ambigui, anche quando non lo sono. Mentre fa l'autostop nel deserto, Jerry ritrova proprio il prof. che accompagnò in Belize. Ma costui ora è un personaggio da "linea chiara" (Hergé e Jacobs), apparentemente sclerato: prima la balla dei componenti elettronici, poi quella della figlia rapita dal principe del deserto libico (parodia dei polpettoni rosa e autoironia, che l'autore propose poco prima anche in uno Speciale MM); quindi, il tentato attentato alla diga in costruzione. Già: l'episodio storico di Assuan fa da sfondo, in modo romanzato (la diga è un'altra) a tutta la vicenda. La seconda metà del primo albo completo è decisamente claustrofobica (e quindi anticipatoria del prosieguo): la tortura degli islamici nel capannone in mezzo al nulla e la successiva strage; quindi il risveglio di Jerry in mezzo al deserto e il viaggio, in incognito, fino al Cairo; infine, l'angosciosa fuga dalla pula, nei cunicoli sotto la pista. Anche questa, alla fine, si rivela una burla: ma che ansia. In contemporanea, ecco gli attentati degli estremisti islamici sui mezzi di trasporto: e se questo non è fare fumetto d'attualità, non sappiamo cosa sia. Siccome l'autore è intelligente, non sono messi lì per fare sensazionalismo: sono parte integrante della trama che inizia quando Jerry viene ricattato dalla polizia egizia e rispedito in Sudan, nella valle del Wadi Al-Malik, a sorvegliare la spedizione archeologica in cerca del segreto del Culto di Aton, e in corsa contro il tempo, dato che, ultimata la diga, il sito verrà allagato. Ancora, tutti complottano: Jerry, la tipa, Meltzer, l'arabo; ognuno ha qualcosa da nascondere agli altri. L'autore sciorina gradevolissime citazioni barksiane - non fini a sé stesse, ma in seguito risolutive - e momenti di ragionamento logico quasi commovente (la sequenza in cui Jerry e Meltzer sono nella stessa caverna, ma non si trovano). Nolitta deve aver deciso che Jerry non avrebbe visitato i soliti monumenti egizi, e che per Il Cairo sarebbe solo transitato, per cui Castelli inserisce, con intelligenza, il tour egizio nel momento nozionistico (anche questo non ridondante, ma necessario alla comprensione della documentazione alla base della geniale idea proposta dal fumetto). La sequenza più affascinante di una storia già intelligente e colta arriva nella quarta parte, quando Mister No si inabissa nel labirinto iniziatico dei seguaci di Aton, una rassegna di allucinazioni evocative e suggestive come poche, soprattutto la scala dei Tarocchi. Il tutto culmina nella più pura estasi soprannaturale, con l'apparizione messianica di Ekhnaton in persona, l'immortale di tutte le mitologie maledetto all'alba dei tempi (un altro tormentone dell'autore, dal vampiro mysteriano in poi), all'eterna ricerca del segreto di Aton, ovvero la Pietra Nera (per gli amici mysteriani, la Pietra di Fal), che può finalmente restituirgli la mortalità. La questione dello Stato Islamico monoteista si scioglie all'istante, come chimera dalla ciclica riproposizione, mentre per Jerry anche il ritorno alla civiltà è ansiogeno. Solo l'epilogo cairota appare mal coordinato coi lavori nolittiani, dato che nelle storie successive Jerry dovrà di nuovo raggiungere la città. Soggetto epico, sequenze da antologia, arte commovente nella sua bellezza: è un grande fumetto. E vale doppio. La carovana dei seguaci di Aton si divise in due: la Pietra fu nascosta qui, l'Arca dell'Alleanza si trova nei Martin Mystère #104/106, altrettanto epici e memorabili.


[188-189-190-191] SULLE PISTE DEL SAHARA - TUAREG! - DUNE INSANGUINATE (Nolitta/Diso)

L'unico errore di programmazione della trasferta: Mister No aveva raggiunto Il Cairo al termine della vicenda immediatamente precedente, ma qui lo ritroviamo ad Agadés, nel Niger; la scusa di aver preso l'aereo per Dakar, costretto poi alla sosta forzata, non regge, perché, in seguito, Jerry tornerà oltreoceano proprio dal Cairo. Pazienza. Episodio memorabile per sua stessa esistenza, in quanto favorito di Nolitta. Le sue visite al minareto di Agadés, infatti, sono state tra gli aneddoti che più ha amato divulgare, e celebre è la fotografia che Diso ha ripreso all'inizio della storia. Fumetto colto ed estremamente divulgativo, che ripete concettualmente i #180/184, stavolta con i Tuareg. A differenza di quell'avventura, però, qui la parte puramente di intrattenimento è relativamente breve e di mestiere, mentre in quell'epopea interminabile lo strazio di Mister No era emerso con maggiore veracità. Va anche detto che la scelta di Mokhamed El Khorer di assassinare a sangue freddo il professore non ci pare così giustificabile e passibile di rassegnazione, come opta, invece, Mister No nell'amara conclusione. La visita turistica di Agadés è molto immersiva, seppure si tratti di una cittadella con poco da offrire, oltre al "torracchione". Interessante è la storia, perlopiù militare, dei Tuareg ai tempi della WWI, così come sembra di passeggiare coi personaggi tra i fossili di dinosauri nel Teneré. L'albo migliore è decisamente il secondo, in cui Mister No vaga nel deserto assolato, e Diso gli disegna persino le grinze delle labbra rinsecchite. Simpatici i miraggi di Stanlio&Ollio e Gianni&Pinotto. Ancora meglio è la tappa al villaggio Tuareg di Mokhamed. Particolarmente memorabile è l'assurda (per i canoni odierni) gag in cui Jerry è erroneamente convinto di essere stato invitato ad un'orgia (!) e si comporta di conseguenza. Divertenti anche i siparietti di Jerry alle prese col cammello, immancabili e simpatici, e anch'essi evidentemente aneddotici. Jerry e Mokhamed condividono una chiacchierata notturna sotto il cielo stellato, non molto lunga in verità, e volutamente in contrasto con la decisione guerrafondaia presa il giorno seguente da Mokhamed: il contrasto si percepisce, ma appare un poco brusco. Commovente, comunque, il momento in cui Jerry viene risparmiato dall'amico/nemico. Il finale, in cui Mister No è roso dai tormenti, ma alla fine decide di far finta di nulla e andarsene, non ci convince del tutto, o forse semplicemente non lo condividiamo. Per una storia così importante per lo sceneggiatore, il disegnatore non poteva fare altro che dare il massimo: e così è, e se quella dannata sabbia sembra reale è merito suo. Un paio di vignette malriuscite su tre albi e passa non inficiano il grande lavoro svolto. Jerry parte per Tamanrasset, dove - gli dicono - lo aspetta un aereo per Parigi, ma è una bufala. 


[191-192-193] I LEGIONARI - IL RITORNO DEGLI DEI - ATTENTATO AL FORTE (Nolitta/Bignotti)

Penultima prova dell'artista, ma potremmo considerarla virtualmente l'ultima. E allora possiamo scriverlo: è il nostro preferito. Algeria! Jerry ha già lasciato Tamanrasset e staziona da tempo a Djanet, un altro agglomerato di case in mezzo al deserto; una situazione simile a quella che apriva la storia immediatamente precedente. Stavolta, però, i comprimari sono più positivi, eccezion fatta per i due Legionari carogne. Scopriamo che Jerry ha inviato un telegramma in Brasile, da cui non ha ottenuto risposta, cosa che lo ha irritato. Per distrarsi, ecco la gita coi professori al Tassili N'Ajjer, con tanto di visita alle celebri pitture ufologiche. Degno di nota il morto di fame di Djanet, improvvisato ladruncolo e perdonato da Mister No, che lo ha voluto nella spedizione, e che poi scappa vigliaccamente davanti ai finti extraterrestri. Con un'ulteriore svolta, tornerà in seguito a liberare Mister No dalla prigionia, ma finirà ammazzato e abbandonato nel Tassili. La Legione Straniera proposta da Nolitta non è quella solita dei film e dei fumetti della Golden Age, bensì una fronda secessionista e golpista, decisa a compiere un attentato al comandante del forte più vicino. La sequenza più memorabile è la tortura inflitta a Jerry, immobilizzato sotto al sole cocente; il nostro artista preferito (vedi sopra) si produce in una delle prove più riuscite della sua pazzesca carriera, ci fa sudare col protagonista, ci sembra di avvertire pure le caccole agli occhi quando costui li chiude. E quando lo scorpione gli cammina addosso? Brrr. I due autori si danno poi man forte a vicenda, offrendo una regia in notturna "ad ombre cinesi" molto godibile. Il sorvegliante non disumano è un ennesimo personaggio ambiguo tipicamente nolittiano. Tutto sommato, di azione non ce n'è molta (sorprendentemente, per questa serie), e la conclusione vede Jerry ricoverato a letto per una ventina di pagine. Ma è una conclusione inusuale e molto gradevole, quasi castelliana, e apprezziamo la scelta di non farci sapere se il benevolo ma ambiguo colonnello fosse originariamente implicato nel complotto. Alla fine, Mister No viene invitato a raggiungere Algeri, e invece lo ritroveremo al Cairo. Pazienza.


[193-194-195-196] IL TESORO DELL'AFRIKA KORPS - ARRIVA ESSE-ESSE - DUE CONTRO TUTTI - AFRICA ADDIO! (Mignacco/Bianchini-Laurenti)

Intrigante caccia al tesoro razionale, verso un bunker della WWII sepolto nel deserto. Ma è anche una storia di continuity, la prima di tutta la serie: la trasferta africana giunge al termine e, contemporaneamente, l'autore si lascia lo spazio per due postille aggiuntive (le troveremo nei #198/199 e #201/203). Oltre allo status di "episodio di passaggio", è pure un episodio anomalo: dopo il simpatico prologo, con la telefonata intercontinentale al bar di Paulo Adolfo, in cui si imbuca tutto il paese, e il licenziamento dall'albergo, Mister No regredisce al ruolo di spalla del vero protagonista, Esse-Esse, giunto in fretta e furia fino al Cairo (Jerry ha rinunciato ai soldi della Legione Straniera, #191/193, e ha dovuto trovarsi un lavoro come facchino). Tutto il secondo albo è dedicato al crucco, che per la prima volta racconta un episodio del proprio passato, ai tempi dell'Afrika Korps di Rommel e delle battaglie nordafricane. Qui Mignacco si scatena in un profluvio di nozionismo storico-bellico, e ci conquista con la creazione di un contesto solido e credibile alla sua storia di fantasia, ma ci stordisce un pochetto con le chiacchiere, dato che i dettagli guerreschi non sono esattamente la nostra prima passione. Non solo: per l'autore è l'occasione di impadronirsi del personaggio e di presentarsi ufficialmente nel ruolo di viceNolitta (prossimo al ritiro), ed ecco la ret-con dei #17/20, in cui Kruger si chiamava Richard, poi divenuto Otto: il suo vero nome è Wolfgang Otto Richard Kruger; e non è mai stato nelle SS, il soprannome è sempre stato solo scherzoso; il generale di quella vecchia storia lo aveva conosciuto soltanto in occasione di un breve addestramento in un'altra unità, a SS già superate. Peraltro, nella vignetta ripresa da quell'arcaica storia, è presente un errore grossolano ("Otto" in luogo di "Richard"; a meno che nell'edizione TuttoMN non fosse stato corretto). Anche nel restante albo e mezzo, il focus resta su entrambi i personaggi, con Esse-Esse sulla stessa parità d'importanza del titolare della testata. Tutte queste novità, alla fin fine, provocano più clamore del dovuto, relegando l'avventura vera e propria in secondo piano. Ed è un peccato, perché di per sé si tratta di una vicenda simpatica, in cui all'estenuante flashback si alternano siparietti vivaci mutuati da certa cinematografia degli anni 1980 (la bilogia di Zemeckis con Douglas/Turner, soprattutto) e buffi complotti e controcomplotti d'ispirazione castelliana, illustrati con un'arte ballerina, e talora cartoonesca, involontariamente azzeccata. Ad esempio, chi se lo aspettava che quel mafioso fosse in realtà il commissario? O che il cliente scazzottato all'inizio fosse proprio quel tizio? Mentre che le gnocche fossero infingarde era più scontato. Riuscita anche la calata nel bunker, già di per sé affascinante per la locazione e l'origine storiografica scelte. E finalmente ecco i predoni macchiette e lo sconfinamento nel deserto libico. In tutto questo, però, a pagarne il prezzo è proprio l'Africa: il Cairo è ritratto con modalità brutalmente occidentali, da film patinato su Poirot (tant'è che fa un cameo il Mortimer di Jacobs); e l'addio di Jerry al continente, a dispetto dell'ultima copertina ingannatrice, è quanto di più frettoloso e antiromantico ci si potesse aspettare, alla faccia dei #167/169. Durante la telefonata, viene sciolta la sottotrama d'apertura della saga, rivelando che il candidato governatore che minacciò Jerry è stato poi sputtanato e costretto alla fuga dal Brasile; inoltre, debutta di soppiatto Augustino, il meccanico dell'aereoporto di Manaus nel periodo di transizione mignacchesca (#193-240). La chiosa sulle sigarette Camel ci riporta fisicamente in un secolo ormai sorpassato. Fastidiosamente, Mister No ci fa sapere di non chiamarsi così per via dei propositi nolittiani, ma solamente per via dei #145/148.


[Speciale 6] DARK LADY (Nolitta/Diso)

Tie-in dei #198/199, benché pubblicato prima, e dell'intera mini-saga "del ritorno dall'Africa", benché ambientato prima dei #167/169. Dopo una scazzottata con Esse-Esse, Jerry racconta agli amici del bar la nascita della loro amicizia. Tutto l'episodio è un flashback ambientato a São Luis Do Maranhão, dove Jerry staziona in attesa che il suo nuovo Piper riprenda a funzionare. Casus belli dell'incontro è l'arrivo nel paese di poveracci di una elegante e benestante stangona bionda, che gli autori modellano sulle fattezze di Veronica Lake (da qui Recagno trarrà l'aggancio per il cameo di Jerry nel terzo DD&MM). L'autista di Wendy (la tipa), Otto Kruger, è prima costretto a farsi da parte e a lasciare campo libero alla love story tra Jerry e la femme fatale, dal destino ovviamente negativo. Una tizia del genere, infatti, non poteva che essere coinvolta in affari loschi con mafiosi e banditi d'ogni risma, cui si aggiungono in seguito alcuni dei poveri del paese, incupiditi e corrotti dall'avidità. Il ritorno di Esse-Esse permette a Jerry di uscirne, ma nessuno dei due riesce a salvare la bellona dalla tragica fine. L'amicizia tra i due sbandati nasce a questo punto, con la decisione di raggiungere Manaus. Decisione alla quale il lettore può decidere di aggiungere o meno le rivelazioni mignacchesche dei #193/196 e #198/199. Il primo calcione al Piper è, invece, prerogativa di Nolitta, come è giusto che sia (e in teoria Wendy è la prima cliente). L'artista fa il suo dovere, come di consueto, regalando, soprattutto all'inizio, una "Veronica Lake" davvero invitante (oppure, come abbiamo sempre sostenuto, sono gli abiti attillati a rendere le donne invitanti). 


[196-197-198] L'ISOLA DEI FORZATI - MUSICA, MAESTRO! - BELVE UMANE (Nolitta/Di Vitto bros.)

Primo episodio brasiliano di ritorno dall'Africa, in cui Mister No è ancora bloccato a Rio de Janeiro. Fumetto tipicamente nolittiano, e di fine carriera, come intuibile dalla connotazione quasi del tutto negativa e sfiduciata conferita al genere umano. Da questo punto di vista, si tratta di uno dei fumetti più riusciti dello sceneggiatore. Fin dalle prime pagine, in cui Jerry e la squinzia di turno oziano sulla spiaggia, emergono prepotentemente la noia e la vacuità della vita, tipiche di chi sogna costantemente l'utopia e non riesce a ritrovarla nella realtà. L'incontro con gli amici ricchi della tipa è un ulteriore sfogo, istintivo e ferino, verso l'ipocrisia e la cialtroneria. Eppure, pur condividendo le opinioni del protagonista, è difficile non considerare questo Mister No come un rompicoglioni inopportuno e a tratti sgradevole (è invitato a una festa e la trascorre insultando tutti). Caratterizzazione un po' eccessiva, non convintamente dovuta agli eventi africani, dato che alla trasferta è deputato solo un accenno posticcio, e che, in fondo, tutta la storia sarebbe stata pubblicabile anche prima del viaggio. Il ritorno di Dana Winter (#12/15) offre il fianco a siparietti altrettanto "sconci" e alle provocazioni degli yuppies radical chic. Inevitabile, a questo punto, il remake di un Classico zagoriano (La preda umana), a sua volta "plagiato" da un celebre film, tratto da un romanzo (e poi rifatto da Coliandro). Rispetto alla versione zagoriana, qui la caccia all'uomo è più breve, e non è il punto principale della questione. Più rilevanti ci appaiono le caratterizzazioni realisticamente ambigue e schizofreniche del cast nolittiano: dalla tipa, innamorata ma "confusa e paralizzata" al momento di essere d'aiuto, al fighetto onesto ma vigliacco, passando anche per il galeotto leale ma omicida, che si rivela essere il figlio della vecchietta che pareva tanto innocua e caruccia. A differenza di Nolitta, a noi il finale, in cui basta una canzone per distrarsi un po' e affratellarsi, non convince affatto. Ma fa parte dei clichés della serie, e ce lo facciamo andare bene. Arte solida e verace, funzionale e sempre in sintonia coi testi. Interessante l'ambientazione dicotomica, l'isola (vera) che ospita il carcere da una parte e il resort dall'altra.  


[198-199] RITORNO A MANAUS - A VOLO RADENTE (Mignacco/Diso-Devescovi)

Inizio ufficiale del "quasi nuovo corso" della testata, con il nuovo showrunner, che si impone partendo dalle sorgenti del Rio delle Amazzoni. Fine ufficiale della trasferta, con Jerry finalmente a casa. La prima puntatina è spigliata e simpatica, proprio come ce l'aspettavamo. Tutto il paese viene a salutare Jerry e a portarlo in trionfo, con uno zelo a tratti eccessivo, considerando che all'inizio della serie non era poi così amato. Ma il #1 era ambientato nel 1952, mentre qui un dettaglio rivela che ci troviamo intorno al 1959, quindi del tempo è comunque trascorso. Tra le altre cose, scopriamo che il politicante dei #167/169 è fuggito a Cuba, da Batista. Augustino dapprima mente, millantando di aver distrutto involontariamente il Piper, e così facendo stimola Jerry a raccontare le origini del suo aereo: fu acquistato ad un'asta giudiziaria e durante il suo primo volo si impantanò a São Luis Do Maranhão, sede del primo incontro con Esse-Esse: qui Nolitta dimostra di avere ancora sotto controllo il nuovo curatore, e imbastisce con lui un vero e proprio cross-over interno alla serie, dato che l'aneddoto riassume gli eventi dello Speciale #6 pubblicato poco prima. Ma è Mignacco a gestire la continuità minore, ed è lui a decidere che dietro al Piper si nasconda una storia di truffe e furti di diamanti. La seconda puntata, dovendo occupare un albo intero, diluisce di molto la vicenda, ripescando Deborah Winter (#44/45), ora socia di tale Jack Daniels in una compagnia di aerei da turismo. Daniels ha vinto a poker (contro Augustino) il Piper di Mister No: ovviamente, era proprio lui l'originale proprietario, il rapinatore-truffatore, ma il suo obiettivo non era tanto l'aereo quanto il mazzo con le chiavi di avviamento che Jerry si era, però, portato in Africa senza volerlo. Fra quelle chiavi, ve ne era una di una cassetta di sicurezza della banca di Belèm. Lì la storia si conclude, dopo una parentesi nella giungla non irresistibile, con una scenetta di gelosia di Deborah nei confronti di Maria, Irene e Madalena. In effetti, Deborah non è brillante come ai tempi d'oro, e anche il suo spogliarello nella foresta è totalmente gratuito. Ma l'importante era che Jerry riottenesse il Piper. Nella seconda puntata, a Diso subentra Devescovi, uno dei preferiti di Nolitta ma qui alla sua unica apparizione su questa collana: entrambi ben riconoscibili, entrambi alternano ottimo e rivedibile; il primo imita Bianchini nella vignetta ripresa dal #193.


[Nathan Never 7-8] LA ZONA PROIBITA - UOMINI OMBRA (Serra/Mari)

Simpatico cameo di Jerry Drake (III°?), pronipote di quello canonico, a capo della Drake Airlines ed elegantemente vestito (col quadrifoglio sul doppiopetto). Un suo velivolo viene distrutto e i passeggeri rapiti.


[200] I SETTE DEL "SANTA CRUZ" (Nolitta/Bianchini-Civitelli)

Autoconclusivo celebrativo a colori, con 16 pagine in più. Ultima sceneggiatura - per due decenni abbondanti - del creatore della serie e suo editore. Per molti, la sua storia peggiore. Mah. Il soggetto è una ripetizione di elementi già visti, ma interpolati in modo nuovo. Ad esempio, i fortini militari contrapposti sui cocuzzoli dai due lati del confine fluviale tra Bolivia e Perù, non li avevamo ancora visti. E tutte le tappe sono squisitamente nolittiane, dalla nota iniziale sui colori della giungla, ingrigiti dalla nebbia e dalle acque limacciose, passando per la spedizione via battello con la ciurma composita e arrivando al missionario laico sderenato e fallimentare. Il tema degli aiuti forzati e controversi agli indios è quanto di più inerente i presupposti della testata si potesse affrontare, e cosa ci sia di più nolittiano della malinconia per il destino già scritto della natura amazzonica non è dato sapersi. L'artista - promosso per cause di forza maggiore - ha un compito gravoso, che svolge dignitosamente, forse perché aiutato dal suo mentore, e forse perché "coperto" dalla gradevole e mai eccessiva colorazione (bella la sequenza iniziale nella tempesta). Certo, il volto del superstite della spedizione cambia somatica troppo spesso, specialmente quando si ispira a Pippo Franco. La copertina, ovviamente, non rispecchia i contenuti dell'albo, come da tradizione.


(2022)

venerdì 17 giugno 2022

MISTER NO (3)

[101-102-103-104] LE MONTAGNE DELLA LUNA - I MISTERI DI ATACAMA - COMMANDO! (Castelli/Bignotti)

Soggetto di stampo nolittiano, che romanza fondamenti storici: Jerry combatte una Company Town ai margini di Manaus, negli anni 1950 del XX secolo. Ma, questo, in fondo, è solo l'ultimo atto di una vicenda più amplia, un intrigo complottistico e paranoico, narrato con piglio puramente castelliano, dove i tratti più emotivi sono sempre controbilanciati da pragmatici ragionamenti. Eppure, inizialmente, questo lungo e avvicente "film a fumetti" sembra quasi lambire territori sclaviani, simboleggiati da uno di quei luoghi che ci hanno fatto amare questa serie, raggiunto poi con uno dei soli viaggi che amiamo fare, quelli letti su questo fumetto: le Montagne della Luna del Deserto di Atacama, in Cile. Lo sceneggiatore riesce a ritrarlo con modalità documentaristiche, prive di qualsiasi afflato paranormale, eppure rendendolo suggestivo e stimolante, facendo incontrare Mister No con un personaggio storico, Padre Gustavo La Paige, futuro fondatore del Museo di Atacama; la sequenza, addirittura, permette di datare la storia, dato che La Paige inizia ad accumulare le mummie nella chiesa nel 1957. Il viaggio e l'incontro sono soltanto una parentesi in un'avventura lunga e articolata, costruita con sequenze quasi autonome e consecutive, come nei migliori Classici a strisce. Dallo scontro col miliardario Hughes (dal cognome non casuale) al ricovero di Laura/Luisa, passando per lo scontro con gli sgherri del villain, il depistaggio del medico geloso, l'arrivo a Parkerville (dove si produce carta, come l'editore sa bene) e quindi l'assalto militaresco (nolittian-castelliano), fino al finale (e al controfinale) tragicamente lapalissiano, dove si scopre che lo psicologo è davvero tale e la biondina è veramente schizofrenica. Molti i personaggi memorabili: Luisa Parker, specialmente col "senno di poi"; i due miliardari rivali; la suora manesca e simpatica; il dottor Moraes; l'avvocato tracagnotto; lo psicologo dagli occhiali spessi. E com'è interessante la questione del Tamarugo! Degna del Pezzin disneyano. Da menzione la malinconica veduta dell'autostrada, con l'amara riflessione sull'inutilità dei #36/37. Ad un soggetto ottimamente concepito e ad una sceneggiatura da manuale non può che corrispondere un'arte di livello altissimo, capace di mettere a fuoco e far risaltare praticamente ogni cosa, dai primi piani a qualunque tipo di sfondo; forse, soltanto La Paige è ritratto più somigliante a Bonelli che al personaggio vero (ma lo abbiamo visto solo da vecchio). Questo Classico dimenticato è stato fugacemente riesumato nei Martin Mystère #193/194, dove viene menzionato come (unico) esempio di Company Town del Novecento.


[104-105] LA CASA DI SATANA (Sclavi/Marraffa)

Fumetto di esplicito paranormale, con l'esper Francisco Cabral, figlio del magnate dittatoriale della gomma Julio Cesar, dei primi del secolo. Non solo l'esper è davvero un esper, e non solo viene annunciato che ne esistevano/esistono altri, ma nel finale Francisco trascende in un aldilà mistico-esoterico, raggiungendo gli indios che lo hanno - suo malgrado - maledetto con lo Yehalla, la "forza della mente". Questa, per il momento ha un'accezione spirituale tipo Ananga, ma, in un posticcio seguito realizzato molti anni dopo, subirà un tentativo di razionalizzazione. Fumetto dal canovaccio elementare, ma gustosamente suggestivo in quasi ogni sua pagina, ricco di inquadrature memorabili, su tutte le panoramiche della casa di lusso abbandonata nella giungla o i primissimi piani degli occhi bianchi di Cabral. Da ricordare anche Erasmus, il pavido angariato dalla moglie della gag iniziale, agente CIA nella conclusione a sorpresa. Giovani e imberbi, intendevamo riutilizzare, a mo' di patchwork, le ultime due pagine - l'ultima è uno dei nostri finali preferiti di sempre - per un nostro soggetto a tema tutt'altro, salvo poi scoprire che un seguito vero e proprio esisteva già (#282/283). Arte sempre sul pezzo, efficacissima, in piena sintonia con i testi, soprattutto quando questi sono assenti. Bignotti ritocca qualche volto di Jerry e disegna la prima striscia della seconda parte. Ma cosa c'era in quella cantina? Forse avremmo voluto non saperlo.


[105-106-107] OMBRE ROSSE - IL MARCHIO DELL'ASSASSINO - LA FINE DELLA PISTA (Sclavi/Diso)

Capolavoro eretico, estraneo alle atmosfere della serie, omaggio al/parodia del "genere" prediletto dalla Casa Editrice. Uno dei fumetti più belli di Tiziano Sclavi, che, anni dopo, ne proporrà una seconda versione, dedicata però al "genere" bellico, in un episodio di Roy Mann. Lungo e semiposticcio flashback, che Jerry racconta ai suoi amici, ambientato nel 1950, dopo gli eventi dei #86/90 e prima dell'approdo in Amazzonia antecedente il #1 (Jerry prende la decisione proprio al termine di questa storia). In termini di continuità, è un intermezzo di cui i curatori successivi a Nolitta non terranno conto, nelle loro precise cronologie. D'altronde, a più riprese Esse-Esse interrompe la narrazione additandola a bufala e smontando le illogicità del narratore (ad esempio quando racconta eventi a cui non era presente). Peraltro, sono le (poche) pagine al "presente" ad essere rappresentate graficamente con le vignette tonde. Decostruzione totale del Western, mischiato col "giallo" Christiano: un latifondista pazzoide, sosia di Ronald Reagan, infantilmente deciso a vivere nello stile del Vecchio West, ospita nella sua tenuta la sua schiera di parenti e amici, tutti rappresentati - esteticamente e caratterialmente - come volti caratteristici del Cinema Western: Keith Carradine, James Stewart, Walter Brennan, Robert Mitchum, Louise (?), Claire Trevor (?), Donald (?). A questi si aggiungono lo sceriffo dal volto del vecchio John Ford; l'esecutore materiale del delitto, raffigurato come il giovane Dustin Hoffman; il robotico Yul Brynner (che già per Chrichton era un omaggio); il cantastorie che propone tutte le canzoni del West; invece "Wayne" compare solo alla fine. Chi è il mandante dell'assassinio del (vero) Apache ridottosi a fare il figurante nelle rappresentazioni inscenate da "Reagan"? La soluzione è quella più celebre del più famoso romanzo della Christie, ma questo non toglie potenza alla sua scoperta, specialmente per la modalità con tira in ballo Mister No (e con cui Mister No la espone a noi lettori). Il grosso della storia va comunque cercato nella sua folle satira dei costumi americani (quelli degli anni 1980) e nell'esuberante pastiche transmediatico che arriva, ovviamente, a prendere di mira anche Tex, prima con la Valle della Morte coi dinosauri (animatroni della Disney, e rinvio ad un celebre episodio di Aquila della Notte), poi con Dinamite e il rodeo per domarlo; ma, volendo, potremmo persino azzardare che Ford, in certe situazioni e persino in certe somatizzazioni, ricordi molto Bonelli padre. Forse persino la sequenza in cui costui arriva alla guida dell'auto potrebbe rimandare alla più eretica sequenza di Tex (e non dimentichiamo la seconda copertina). I personaggi sono tutti ritratti con teatrali paranoie, degne del miglior Sclavi: Walter con le pistole "di Wild Bill Hickock", Louise con i ripetuti tentativi fasulli di suicidio; e il capo Indiano, ovviamente, è un Mister No "inverso". Nonostante il costante delirio, e i tormentoni umoristici, su tutta la vicenda aleggia la malinconia per la fine di un'epoca, facendosi gioco anche della connotazione cronologica (nel 1950 la fine del XIX Secolo non era così lontana). Fumetto, cinema, letteratura, politica, comicità, melanconia: la Biblioteca di Babele dell'autore si fonde con quella del lettore, dando vita ad un mix suggestivo come pochi altri. L'arte, divertita, accompagna tutto questo con la sua grande capacità impressionista e la sua forza evocativa, qui ai suoi livelli più alti.  


[107-108] UFO - ALIEN! (Sclavi/Civitelli)

Classico del Fumetto Italiano, citato celebrato e ristampato in cartonato (due volte). Una delle storie più brevi (un albo di Tex) del primo bicentenario, forse la più breve. Ma ricca di particolari e pregna di atmosfera e significati. La notte tra il 3 e il 4 Aprile del 1953, mentre Sclavi viene al mondo, un bolide infiammato urta il Piper e lo fa naufragare nella giungla, distruggendolo completamente. Chi è stato? Il protoastronauta sovietico Arkady o qualcun altro? E come mai, alla fine, il Piper è tornato come nuovo? Complice un'arte in totale sintonia con i testi, molte sono le sequenze memorabili: l'incipit, in cui la varia umanità di Manaus osserva la cometa precipitare; l'allucinazione cosmica del drogato e "crocifisso" Jerry; l'arrivo dei russi (oltrecortina!); il misterioso visitatore alieno, visto solo di soppiatto alla fine, come il suo antico omologo texiano. Ma forse il momento più divertente e suggestivo è l'assedio degli indios alla progenitrice della Soyuz, in cui Jerry e Arkady si sono rifugiati, ricca di battibecchi satirici (tra cui la memorabile battuta su Stalin, morto il giorno dopo) come di momenti di carica evocativa (le luci dei fuochi che diventano stelle). 


[108-109-110] I RIBELLI DEL GUATEMALA - IL SEPOLCRO INDIANO - IL RE DELLA GIUNGLA (Missaglia/Bignotti-C.Villa)

Sintesi delle storie che ci piacciono: trasferta in Guatemala, pretesti etnografici (gli indios negri contro i cacciatori di coccodrilli), vecchi amici (Patricia, che bacia tutti), le trovate grottesco-lugubri (il ras che ha sepolto il figlio nella tomba Maya), il nozionismo spiazzante (la cittadella sull'isolotto nel laghetto), e poi il crescendo di violenza nolittiano e il cattivo alleato boselliano. L'unico difetto, se vogliamo, è appunto la lunghezza: tutto sommato è una storia breve (per i canoni della serie). E perché il sepolcro è "indiano"? Nessuno, poi, si chiede che fine abbia fatto l'ospite originale della tomba. Il Re della Giungla è Bignotti, semplicemente inimitabile in questo contesto. Abbiamo accreditato i ritocchi di Villa, ma francamente non li abbiamo notati. Sempre appagante sparare ai serpenti. 


[110-111-112-113] LA FERROVIA DEI DANNATI - LA LEGGE DELLA VIOLENZA - CACCIA ALL'UOMO (Nolitta/Diso)

Fumetto con elementi stranianti e per adulti: inizia con Esse-Esse che canta Go' marchin' in, quindi Jerry si lascia scappare che quello delle tre sorelle escort è proprio un bordello. Lui, Irene e le altre due si trasferiscono alla Company Town della ferrovia della iungla, ispirata ad una realmente esistita (cui i due autori, anni dopo, dedicheranno un racconto breve illustrativo). Altre sequenze esplicite vedono i sicari del mafioso (naturalmente la ferrovia è una truffa) molestare una india a seno scoperto (anche in copertina!), mentre immancabile (e imperdibile) è la scenetta comica di Jerry massaggiato dalle cariatidi con le tette flosce. E naturalmente le tre sorelle si vantano, a più riprese, del loro mestiere, e vediamo Jerry fare la doccia come mamma lo ha fatto. Straniante è anche lo scagnozzo col volto di Robert Morley (cioè Bloch). Potrebbero apparire come critiche, ma non è così: è una storia interessante e godibile, con una spalla simpatica (il giornalista, in realtà poliziotto assicurativo) e una più realistica (Oscar Lunig, che se la dà a gambe all'inizio del terzo albo; Mignacco lo farà tornare per chiedere scusa). L'elemento più memorabile, però, è quello più fantasioso: il trenino privato del vedovo eremita John Riley, al contempo buffo e malinconico, oltre che risolutivo della trama, e cui è giustamente dedicato il finale mesto. Arte di livello.


[113-114-115] UNA NOTTE A TRINIDAD - ALLARME A BORDO (Castelli/Muzzi-Bignotti)

Tour dei Caraibi: finalmente! Crociera con delitto, un classico. Ma all'autore interessa relativamente, e disbriga il "giallo" in modo grossolano a cavallo del primo cliffhanger, lasciando intuire immediatamente chi siano i banditi. Il vero scopo è coinvolgere Mister No nell'ennesimo complotto, per una volta non ordito dai governativi. Tutta la prima parte, ambientata sulla nave da crociera, è perlopiù distensiva, una vera e propria vacanza con estranei che dobbiamo conoscere per forza: il notaio, la segretaria, il piacione, le sorelle megere (tormentone di Castelli), il latin lover; per rigirare la minestra, quasi nessuno di loro è ciò che appare. Ciò che interessa a noi è vedere finalmente tutte le isole nella stessa storia, una dopo l'altra: partiamo da Trinidad, e da lì raggiungiamo Martinica, Porto Rico e, infine, Cuba; purtroppo, saltiamo la sosta prevista a Giamaica e soltanto sfioriamo Saint Vincent e compagnia. Naturalmente, a differenza di Jerry, non troviamo particolarmente attraente l'idea che in tutti questi posti il bello consista nel prendere aperitivi e ballare con le autoctone. Ma ci piace pensare che lo sceneggiatore stia sottilmente ammonendo verso la vacuità dell'uomo comune. L'intreccio spionistico si risolve in un McGuffin, il ché toglie appeal al prologo, con la morte del nazista cubano. Ma i dialoghi sono fluenti e il fumetto si legge con piacere. La seconda metà della storia vira bruscamente verso un'altra direzione e porta Jerry a trovarsi, suo malgrado, nelle mani degli Haitiani, che dopo gli eventi dei #22/24 lo considerano "persona non grata". Qui assistiamo al vero seguito di quella vicenda, ritrovando uno dei comprimari di allora, che ci racconta come il lieto fine (?) di quella storia arcaica sia andato a farsi friggere. Ma anche questo è solo un passaggio, e Jerry salta da una revoluciòn all'altra, ritrovandosi a riportare in patria un guerrigliero cubano di nome Ernesto. E dopo aver fatto la conoscenza di un terzo comprimario positivo (una versione francese di Jerry), eccone un quarto, ambiguo, ma concepito per essere memorabile: il commissario della polizia cubana detto Avvoltoio Nero, ammanicato col regime. Costui pone a Jerry un aut-aut: o rivela il nome dei tre complici di cui sopra, o non può salvare la bella dal villain. L'autore scioglie la tensione con una stratagemma furbesco, facendola risolvere da sola e lasciandoci nel dubbio su quale scelta avrebbe fatto Jerry, per poi tentare persino di nobilitare il commissario. Un finale degno di una sceneggiatura basata più sul mestiere che sull'ispirazione: ma laddove c'è mestiere, c'è solo da imparare. L'arte non è esattamente la migliore vista su questa testata, ed è probabilmente ritoccata in varie occasioni, ma diciamo che contribuisce all'atmosfera vacanziera.


[115-116] IL PICCO DELLE NEBBIE - LA VALLE DEI MORTI (Cicogna/Di Vitto bros.)

Riempitivo "breve" di quelli che si scordano sempre di elencare a memoria. Ma è un buon fumetto di avventura pura, con la trasferta nel luogo strambo e stavolta pure esoterico. Jerry è il coprotagonista, in realtà la narrazione segue strettamente l'antagonista, il bandito panzone Big Bag, in tutta la sua discesa verso la cupidigia più spinta. L'arte, agli esordi, segue gli insegnamenti di Marraffa e soci per quanto concerne gli sfondi, e regala suggestivi scorci quali la cascata a gradoni e l'altopiano sul picco, con la roccia pareidolica e i cadaveri pietrificati; sui volti, invece, le mano dei due frate sono ancora "work in progress", e fra i due albi si percepisce fin troppo uno stacco, laddove il primo albo presenta ancora matite deficitarie e discutibili (che penalizzano un poco la lettura), mentre nel secondo lo stile si avvicina a quello più noto del duo. E anche stavolta abbiamo imparato qualcosa (Berillio - Berillo; la genesi delle Ande già la conoscevamo). Cambio di copertinista: la prima è l'ultima di Ferri, la seconda è la prima di Diso.


[116-117-118-119] BAHIA! - IL PROFETA - LA TELA DEL RAGNO - PLOTONE D'ESECUZIONE (Nolitta/Bignotti-Crivello)

I primi due albi sono un po' perdigiorno; il ché è coerente col protagonista della serie, però boh, sono godibili ma sembra mancare qualcosa di indefinito. L'omaggio all'Uomo di Canudos, che tanto piaceva a Bonelli, si avverte prepotentemente, ma il nostro interesse per quella vicenda è inferiore al suo. Simpatiche le scenette delle ruote rubate, dell'amica contenta di essere scambiata per una mignotta (è Miranda Cordeiro dei #3/5), dei fanatici che si flagellano con fruste e pietrone (questa è anche un po' castelliana). A metà storia, però, si comincia a fare sul serio. Il terzo albo è un crescendo di violenza psicopatica, nella migliore tradizione nolittiana: il prete lapidato (!), il cliente di Jerry sputtanato come bandito e sgozzato in presa diretta, l'amica (quella di prima) che evita (?) lo stupro ammazzando quello che sembrava il villain della storia e successivamente cade in depressione. Nel quarto albo tutta questa pancreatite biliare esplode in una vera e propria guerra come quella russo-ucraina, anzi peggio, perché qui le vittime effettivamente sono neonazisti e drogati. La sensazione che si prova leggendola - specialmente quando si arriva all'esecuzione di Jerry - è quella di un orgasmo cerebrale. Il finale finto-allegro, ma in realtà malinconicissimo, è all'altezza delle grandi storie di Nolitta (dopotutto, tutto l'episodio è una specie di seguito concettuale dell'Ultimo Cangaceiro). Arte del migliore degli artigiani, con piccolissimi ritocchi esterni. Incredibilmente, è sua anche una delle copertine, la quarta.


[119-120-121] LE NOTTI DI MANAUS - MISSIONE URAGANO - NELL'OCCHIO DEL CICLONE (Missaglia/Marraffa)

Soggetto brillante, con una storia di spionaggio classica e ben gestita, dove ritroviamo gli amati Caraibi (Jerry ricorda l'Haiti di Castelli). Le spie, per una volta, sono afroamericane, e anche il cliente-carogna è declinato in una variante inusuale (l'Ambasciata americana in Brasile!, falsa!), dato che non accompagna il protagonista. La narrazione è verosimile, con Jerry che svolge un lavoro vero come copertura e, nei momenti liberi, gironzola in attesa di buone nuove. Davvero interessante e suggestivo il mestiere di "pilota degli uragani", minuziosamente descritto, anzi, messo in scena con mimesi coinvolgente: è anche una originale variazione sul tema tornado. Peccato per la prima copertina, che spoilera un momento di svolta della vicenda (e non c'azzecca nulla col titolo abbinato). Alla fine, assistiamo ad un ennesimo ritorno mordi e fuggi negli USA (Florida). Esilarante il pretesto del momento nozionistico: "vediamo se mi ricordo bene come stanno le cose". Lo stile simpatico dell'artista prende sempre più confidenza col passare delle pagine e ci regala i suoi inimitabili combattimenti, dalle chine robuste e curate. Non solo la prima striscia della seconda parte è di Bignotti: lo è anche una nella penultima tavola della stessa. In prima lettura, abbiamo letto questa storia durante una tromba d'aria, evento che ci è rimasto talmente impresso al punto di eleggerla, per diverso tempo, a nostra storia preferita della serie. La rilettura ha riportato la cognizione ad un livello più consono; ma ha confermato la piena riuscita e il coinvolgimento della sequenza dell'attraversamento dell'uragano, davvero immersiva.


[121-122-123] MAKAKARAUA! - IL DIO VENDICATORE - MASCHERA TRAGICA (Nolitta/Diso)

Episodio in cui il creatore della serie si prende delle libertà che mai concederebbe ad altri: imbastisce una storia a tema religioso, con un confronto tra paganesimo scientista e cattolicesimo missionario che sfocia nella guerra e nell'omicidio; rappresenta i preti come uomini prima di tutto, con le loro debolezze (memorabili gli imbrogli a BlackJack di Padre Sanchez, che costringono Jerry a partecipare all'avventura) e i loro dubbi (la crisi di Padre Von Helsen dopo la strage della sua famiglia); da ultimo, ci mostra esplicitamente un bambino morto. Tutto sommato, i colpi di scena sono tutti telefonati: il colpevole è proprio quello lì, gli indios fanno proprio quello che ci si aspetta (i più docili fuggono, i ribelli combattono), i caratteri dei personaggi rimangono coerenti fin dalle loro prime apparizioni. Eppure è un fumetto placidamente appassionante, in cui emerge, peraltro, tutta la maestria di Nolitta, capace come pochi di allungare il brodo senza risultare fastidioso: si veda, ad esempio, la sequenza delle rapide, da superare facendo slalom tra gli scogli; o il finale anticlimatico, in cui i superstiti disquisiscono degli eventi vissuti, concedendosi la possibilità di ricomporsi civilmente dopo le sclerate. L'arte è di alto livello ed è anche grazie ad essa che le figure di Padre Herrera e Padre Sanchez, dai volti così caratterizzati (modellati su attori, ma senza che questi appaiano come estranei al contesto), restano impresse. Il fulcro della vicenda è memorabile: a dispetto della reazione isterica di Jerry, chi ha realmente ragione? L'etnografo che, per proteggere l'ecosistema, non esita ad ammazzare missionari e turisti? O il missionario convinto sinceramente della necessità di elevare gli indios dallo status naturale di ignoranza? Esiste una edizione libraria dell'editore Comma 22.


[Martin Mystère 40-41-42] LA REINCARNAZIONE DI ANNABEL LEE - IL POTERE DELL'IDOLO (Castelli/Bignotti)

Fumetto pienamente mysteriano, con breve ritorno in Belize. L'occasione del decennale di MN permette a Castelli di sfruttare nuovamente il suo Mister No invecchiato (MM #2/3) per scarrozzare Mystère e Java. Jerry li riconosce subito, e, siccome il cameo è più sostanzioso (una decina di pagine), si sbottona un poco, creando le premesse per il futuro team-up. In particolarmente, Mister No (che Bignotti rende lievemente meno grasso, e di cui azzecca in pieno la cadenza del volto) ricorda, a mo' di carrellata, i #22/24,#60/62,#47/49 e #94/96 della sua testata, e menzionando "una certa valle" sembra ammiccare ai #184/187 (ancora da pubblicare). In questa ottica di razionalizzazione, l'aereo pilotato ora è un Chessna, mentre il Piper è pensionato in garage.


[123-124-125] UN INDIO A NEW YORK - IL SEGRETO DEL DIARIO - IL VILLAGGIO DEI DANNATI (Castelli/Di Vitto bros.)

Soggetto cospirazionista a orologeria, sceneggiatura divertita, arte robusta e impegnata. Solo il finale appare leggermente scorciato. Galleria di sequenze concatenate a strisce: un sarcastico e assurdo incipit, col pilota del Piper maniaco, che si schianta colla gnocca; il flashback di Mister No a NY, con l'angoscioso incontro con l'indio impazzito (che anticipa gli africani con le sciabole di oggi), a cui ovviamente non crede nessuno; l'eredità ricevuta da Jerry, le ex mogli del pilota, il diario rapinato; l'arrivo del professore amico degli indios; il corteggiamento dell'ex moglie, col recupero dell'abito elegante dei #29/30; il viaggio nella giungla col burbero laconico; il naufragio causa tempesta; la scoperta del villaggio cargo cult, a imitazione newyorkese; la scoperta del secondo villaggio, antitetico al primo; il riannodarsi di tutti i fili. Nonostante le identità del tizio e del cattivo siano relativamente scontate, si tratta di una trama ben concepita e deliziosamente razionale, con un agghiacciante esperimento sociale che si fa ricordare. Particolarmente angosciante il villaggio "paradisiaco". La prima vignetta della seconda parte è di Bignotti.


[125-126-127-128] UN COCKTAIL ESPLOSIVO - I DELITTI DEL MAR DELLA SONDA - I DRAGHI DI KOMODO (Cicogna/Bianchini)

Soggetto ad imitazione del primo periodo della serie, basato su di un presupposto arcaico: i varani di Komodo come bestie carnivore fuori controllo. Sceneggiatura sgangherata e divertente, con qualche caduta di stile e un paio di fili persi per strada, ma sempre simpatica. Tutta la prima parte è praticamente fine a sé stessa: ma i doppi giochi del monello (disegnato come quello dei #80/84) fanno sorridere, anche perché accompagnati da quelli dei cinici Jerry ed Esse-Esse; alla fine la tizia stalkerata viene liberata e il tizio sembra dimenticarsene da un momento all'altro, diventando il cliente di turno. La storia vera e propria è la classica trasferta esotica di matrice isolana, forse uno dei filoni migliori della testata. La trama resta comunque sgangherata, dato che l'autore guarda contemporaneamente sia a Nolitta e Missaglia che a Sclavi e Castelli, imitandoli tutti e quattro, saltando da uno stile all'altro senza soluzione di continuità. La continuità, però, c'è: Jerry cita, senza dide a supporto, i #22/24, #40/42, #17/20 e #115/116 (oltre a volare di nuovo dentro una tempesta, forte dell'esperienza dei #119/121). L'effetto immersivo c'è, sembra di stare a Komodo con Jerry ed Esse-Esse, in questo strambo ecosistema prattiano, abitato da figure eccentriche, quali il circolo degli occidentali con la puzza sotto al naso, e lo zoo segreto dei varani, e in cui i protagonisti sono chiamati a svolgere una mansione reale, addestrare altri piloti, a loro volta caratterizzati come piantagrane. Tutto questo, compreso l'aleatorio complotto del circolo, viene però sacrificato, perdendosi qua e là: dei piloti, ad esempio, vediamo approfondire solo il fanfarone gallese, rivelatosi una frignetta (sull'italiano si glissa); solo uno dei membri del circolo si rivela essere il mandante finale, gli altri risultano comprimari secondari; e, ovviamente, i varani sono raffigurati con una chiave grottesca e "topolinesca" (il loro assedio ai danni del Piper, comunque, è suggestivo). Non mancano anche sviste: perché Jerry non riconosce i segnali dei contrabbandieri se poi afferma di conoscere (giustamente) il Morse? E che ci fa Esse-Esse con il coltello fai-da-te, di cui ci mostra la costruzione in stile McGyver? L'arte è bislacca quanto la sceneggiatura, talora efficace talora improbabile, quasi sempre a imitazione di altri artisti (Civitelli su tutti); i panorami sono ben resi; e la sequenza in cui Jerry sgancia bombe sui varani è divertente.


[128-129-130] SERRA DOS COBRAS - GUERRIERI SENZA TEMPO - L'ULTIMO SAMURAI (Capone-Nolitta/Di Vitto bros.)

Soggetto della guest star (esordiente), molto dettagliato e seguito passo passo da Nolitta. La mano "fanzinara" affiora comunque nel reverenziale omaggio a un vecchio classico (i #12/15) e nella parte più emotiva e migliore della storia, lo scioglimento del climax. Simpatica la doppia gag di Esse-Esse che rimorchia la crucca e di Jerry inseguito dall'autobus di giapponesi ("sono decine, centinaia, migliaia... forse milioni!"). La vicenda vera e propria, in un certo senso, è canonica, ed è evidente da subito come il gruppetto di professori non sia davvero tale, mentre Jerry impiega più di un albo per accorgersene. Tuttavia, le tappe sono seguite con cura (l'alligatore, gli indios, la scoperta del doppio gioco), rinvigorite dagli imprevisti attacchi di follia del paranoico. Il canovaccio dei militari giapponesi rimasti isolati e ancora in guerra è un Classico, e l'innesto della cospirazione bondiana non stride. Il terzo albo è decisamente il più bello. Si apre con la storica sequenza della lettura di Playboy (dove tutte le donnine sono vestite) da parte dei depravati, per nulla fine a sé stessa, anzi, necessaria alla svolta tragica. Segue una sorta di rifacimento concettuale dei #107/108 sclaviani, con Jerry e Toshiro ex nemici alleati anarchici loro malgrado. Coinvolgente e riuscita tutta la parte che va dal suicidio di Toshiro (un "Mister No" mancato) al "giaguaro di Martini", quest'ultimo in realtà affatto riempitivo, salvato da Jerry ma ucciso dai poveracci affamati: qui la caratterizzazione di Mister No è ai suoi livelli più genuini e alti, ed è difficile non immedesimarvisi (e quasi commuoversi). Nell'epilogo, di nuovo umoristico, il soggettista dimostra di aver studiato bene il Manuale della serie. Simpatico l'inutile omaggio a Frank Herbert. Arte salda e decisa dall'inizio alla fine.


[131-132-133] ATTACCO SUICIDA - IL DEMONE ETRUSCO - IL BOSCO SACRO (Nolitta/Diso)

Episodio su cui Nolitta puntava molto al tempo della prima pubblicazione, tanto da dedicargli enfatiche pubblicità apposite. Col tempo, tuttavia, la sua nomea è rimasta soltanto quella de "la storia ambientata a Bomarzo". In Ecuador, Jerry reincontra per caso Patricia; malmenato dai truffatori e ricoverato all'ospedale, è costretto a raccontare di come ha imparato la parola "buccheri". Dopo un excursus storico-politico sugli eventi del 1943, il lungo flashback bellico si colloca nel Gennaio 1944, durante la battaglia di Cassino, nei giorni immediatamente precedenti alla distruzione del monastero (Jerry ricorda il giorno esatto). Praticamente il primo albo è un doppio preambolo: la storia-cornice prende una quarantina di pagine, e la vicenda di cui sopra ha il solo scopo di portare Jerry a salvare un suo superiore. La storia vera e propria inizia nel secondo albo, quando costui si porta Jerry nell'alto Lazio, nella zona delle necropoli etrusche, e rivela di volersi dare al tombarolismo come secondo mestiere, sfruttando l'amicizia con un riccone, per la cui figlia Jerry ha preso la solita sbandata. Ecco, dunque, il "giallo-etrusco" alla Manfredi (Valerio Massimo), oppure alla Fulci/Bava, col il killer vestito da divinità etrusca, la cui vera identità è abbastanza scontata. Meno scontato è invece il movente, almeno sul momento. Il personaggio non appariva così squilibrato, anche se dei voyeuristi è sempre bene diffidare. La storia si conclude con una esilarante gag pecoreccia, in cui l'arrapato Jerry molesta Patricia nella stanza ospitaliera. L'arte ondeggia tra la consueta abilità illustrativa (Bomarzo, i mezzi) e la sensazione di aver ceduto a numerosi ritocchi esterni (Di Vitto?).


[Speciale 1] MAGIA NERA (Nolitta/Diso)

Copertina superficialmente ingannatrice, che suggerisce l'idea di una storia sul Voodoo, quando invece il fumetto è dedicato al Candomblé e al Quimbanda. Il riferimento velato è al famoso reportage di Umberto Eco, oppure no, è solo aneddotica nolittiana. Episodio "speciale" in quanto si conclude con uno dei rarissimi fenomeni soprannaturali della serie. Per un lettore mysteriano, è una lettura gustosissima ed esilarante, ma a tratti anche appassionante, seguire le vicende del professor Polansky, scettico smascheratore di finti medium (media), che con la sua arroganza mette nei guai sia Mister No (carcerato per due settimane, in una sequenza palpabile) che l'ambasciata statunitense, dopo essere stato malmenato dai voluti creduloni. La conclusione, in cui viene strangolato da un vero zombie durante il rito di evocazione di Exù, è al contempo suggestivamente inquietante e liberatoriamente divertente. Un grande sceneggiatore e un grande artista ci raccontano, con dovizia di particolari, sia la seduta medianica che i rituali del guaritore, oltre che la Quimbanda vera e propria nel cimitero (di notte vietato per legge). Occupandosi di religione ed essendo ambientato a Bahia, l'episodio è un seguito concettuale dei #116/119. Il tassita Getulio ha un ruolo di primo piano: salvato in un'altra storia, si sdebita salvando Jerry.


[133-134-135-136] IL DARDO AVVELENATO - IL FUGGIASCO - GIURAMENTO DI SANGUE - IL VOLTO DEL NEMICO (Ongaro/Bignotti)

Gradevole giallo-thriller nello stile degli anni 1950. La trama di fondo è abbastanza scontata, e lo spiegone risolutivo nel terzo albo è discretamente pedante. Però i dialoghi, il ritmo, i personaggi, i disegni, sono tutti brillanti e la storia si legge con piacere. Divertente la scenetta in cui Esse-Esse costringe Jerry a rimanere in casa. Ed è tipico di questa serie stranirci, in modo positivo, con trovate quali gli indios laureati (ben tre, in questa storia!). Tutto questo potrebbe bastare, e invece nell'ultimo atto ecco un colpo di scena che, evento più unico che raro, ci ha spiazzati: l'indio è il fidanzato della tipa! È la versione embrionale di quello clamoroso che l'autore proporrà nella saga africana. Alla fine costui la scampa, nel riuscito finale; se vogliamo, anche questo non era affatto scontato.


[rb1] JIVAROS (Nolitta/Diso)

Ahahahahah che stronzo. Adorabile Nolitta, quanto ti vogliamo bene. Raccontino per Il Messaggero Estate '86. Parodia sintetica di Tsantsas! (#31/33). Bellissima.


[136-137-138] LA FEBBRE DELL'ORO - LA MINIERA DELLA PAURA - A SANGUE FREDDO (Castelli/Taito)

Fumetto inizialmente di ispirazione disneyana, con Jerry vessato dai creditori e la "corsa all'oro" che gli ricorda il Klondike. In realtà è un fumetto di polemica politico-sociale, oltre che di continuità. Giunge, infatti, a compimento la "saga" di O' Bispo (#98/99), il trafficone finto prete, ulteriormente incattivitosi nella precedente apparizione. Lo ritroviamo qui a spalleggiare il militare-tiranno di turno, deciso a espropriare con le cattive i filoni auriferi dei morti di fame piovuti a frotte inebriati dalla cupidigia, spadroneggiando nel frattempo come Soapy Slick (o Soapy Smith). Proprio di Bispo è l'idea di tenere ostaggio Maria, Maddalena e Irene (le prostitute amiche dell'eroe, #110/113) per costringere Jerry a scovare il suo socio tenutario della miniera più fruttuosa (sì, perché qui Jerry è barksianamente incappato in un affare riuscito). Pur senza narrare di chissà quali eventi, la suspence è tenuta alta per tutto il tragitto nella foresta, in cui Mister No elimina, usando la natura come complice, gli sgherri suoi accompagnatori (il serpente, il puma, le sabbie mobili). Ma il vero colpo di scena è portato dai consueti indios civilizzati (che sfottono Jerry, che parla coi verbi all'infinito per farsi capire): tutto quello che hanno imparato lo hanno appreso da un missionario particolarmente saggio e onesto... ovvero Bispo, di cui vengono quindi rivelate le segrete origini di vero prete (o era un missionario laico?). La rivelazione è ovviamente usata da Mister No a proprio vantaggio per risolvere la questione, sebbene l'autore decida, saggiamente, di non trattare Bispo come una macchietta e farlo tornare improvvisamente buono, ma di lasciarlo ambiguo e instabile, limitandosi a riportarlo alle connotazioni della sua storia d'esordio. Ma ciò che realmente resta impresso è l'agghiacciante finale, mascherato da lieto fine in cui tutti ridono e prendono le cose con filosofia, dato che il governo brasiliano, scacciati i banditi, si è appropriato delle miniere e ha lasciato i minatori in condizioni ancora peggiori di prima, con Bispo divenuto usuraio di governo. L'artista, una meteora, si ispira tenacemente a Diso, senza mai raggiungerne i fasti, mantenendo comunque una media decente dall'inizio alla fine. Gradevole il depistaggio del terzo titolo, che non si riferisce tanto al bandito quanto alla scelta finale di O' Bispo.


[138-139] LA NOTTE DEI MOSTRI - L'ORRENDA INVASIONE (Sclavi/Bignotti)

Fumetto sclaviano al 100%, con i freaks buoni e i freaks cattivi, i comprimari simpatici e la filosofia sui mostri. Ma è anche un episodio "strano" di questa serie, con un focus inedito sulle favelas (di solito sistematicamente ignorate). Dialoghi spumeggianti, con tormentoni divertenti e brillanti: "Sanghe di giuta", "tu antipatico". Commedia e dramma perfettamente integrati: più equivoca la prima parte (il carnevale, i travestimenti di Jerry ed Esse-Esse), più orrorifica la seconda. Personaggi memorabili: la povera Tereza, il padre indio, la nana, la donna cannone. Arte al livello dei testi: lugubre, dark, buffa e grottesca. Agghiacciante il computer "a proteine viventi". 


[139-140-141-142-143] LA GRANDE RISSA - GLI SPIETATI - SURAT KHAN - LA CASA DEI SOGNI COLORATI (Nolitta/Di Vitto bros.)

Trasferta isolana (Trinidad), con eventi stranianti (revanscismo indiano, dell'India): sono queste le storie che ci piacciono! I Thugs a Tobago, che roba. Risposta vintage al Tempio maledetto (il film), in un'avventura fluviale tipica e coinvolgente. Idem l'arte. Trama degna di un romanzone popolare. Simpatico momento zagoriano con Jerry che salta fra i rami. Simpatica la presa in giro dei film bollywoodiani. Simpatico Jerry Fantozzi cui si strappa lo smoking stretto. Simpatico Jerry che fuma l'oppio (anche in copertina!), come TinTin. Simpatico che i clienti (Murphy dei #24/26 e la moglie diversamente bella) siano amici coprotagonisti e non i soliti traditori carogne.


[op1] AMAZZONIA (Nolitta/Diso)

Tavola autoconclusiva per RadioCorriere Tv dell'87. Risvolto umoristico. Vanta un remake un pochino più ampio.


[143-144-145] LA SPEDIZIONE SCOMPARSA - LA FORESTA DEI MUTANTI (Grecchi/Diso)

Riempitivo della guest star, vecchia gloria della vecchia guardia fumettistica. Il fumetto non è vecchio, ma risente un pochino dell'impostazione classica, dato che il prologo spoilera i colpi di scena successivi, e quindi le mascherate della coppietta ladresca sono evidenti fin da subito. Ciò nonostante, è una lettura gradevole, condita da tocchi del mestiere: gli elettrofori, gli indios dai labbroni depravati, l'atterraggio sulla lingua di sabbia (la sequenza migliore), le piante carnivore e i pipistrelli giganti, il missionario divenuto sciamano, la base militare (deus ex machinae risolutivo). Esse-Esse e il suo sidecar sono pieni coprotagonisti. Arte in spolvero, per non sfigurare davanti all'ospite. Le prime due vignette della terza parte sono redazionali: ci sembra Bignotti.   


[Speciale 2] UOMINI NELLA GIUNGLA (Nolitta/Diso)

Fumetto-tipo esemplare nella sua esposizione delle peculiarità della serie. Si parte inusualmente dalla moderna Caracas, per poi inoltrarsi nella giungla assecondando nientemeno che il pronipote di Sir Morton Stanley, alla ricerca di un emulo di Livingstone. Ma questo James Stanley e questo Long Walker sono truffatori, e a loro si unisce - mestamente, per il lettore - anche un voltagabbana della spedizione. Non è tanto la trama ad avere importanza, quando la capacità di Nolitta di evocare ricordi e documentazione per trasportarci fisicamente nei luoghi rappresentati. Da ricordare, ad esempio, la descrizione dell'alba nel pieno della giungla amazzonica, capace di conferire un'aria quasi montana al paesaggio; o l'estenuante marcia nella foresta, in cui occorre guardarsi continuamente attorno onde evitare contatti con fauna d'ogni tipo. Addirittura, Nolitta sfiora il "mondo comic" nella sequenza, cruda ed esplicita, del massacro del capibara da parte dei Yanoama (qui ritratti senza l'aria amichevole delle precedenti apparizioni). Ma la parte migliore della storia è l'insolito finale, in cui Jerry, al termine del classico inseguimento, irrompe nella TV venezuelana e scazzotta i cattivi in diretta televisiva, per poi, al fine di sbugiardarli, essere ospitato come opinionista! Inusitato e degno di un reportage è pure vedere Jerry farsi la doccia e andare dal barbiere all'aereoporto. L'arte, ovviamente, accompagna i testi come meglio non può fare, con cura e simpatia. Copertina d'impatto, seppure non inerente la storia.


[145-146-147-148] VENTO DI GUERRA - LE TIGRI VOLANTI - CIELO GIALLO - IL MIO NOME È MISTER NO! (Mignacco/Bignotti)

Esordio dello sceneggiatore: è la sua storia migliore di sempre. Fumetto a suo modo epocale, con la retcon razionale delle origini dell'eroe (e l'introduzione della posta). Più che questo, è un Classico dell'Avventura degli anni 1980, un film che si rivede sempre volentieri, giacché fatto meglio di quelli attuali. "Mister No racconta" (che è anche il titolo di un capitoletto), nel più puro stile nolittiano, come pure la struttura fluviale, con tanti miniracconti che si susseguono. Riprendendo un brevissimo accenno dei #51/53, si comincia nel settembre del '40, poi si va nel '41: tutta la prima parte è dedicata all'incontro del giovane Jerry con Bat Barlington, che diverrà il suo ispiratore e gli insegnerà la tecnica del calcione; molto bella la sequenza del primo volo di Jerry, subito in mezzo alla burrasca, prima, e una retata mafiosa (a Yellowstone!), poi. Segue l'arruolamento, dove tutti si spacciano per missionari, alla faccia delle censure. Dopo l'omaggio a Caniff, c'è un esplicito incontro con un fumetto non Bonelliano (o quasi, usciva su Orient Express): Clarence Man, il protagonista di Air Mail di Micheluzzi. Dopo Rangoon e l'addestramento, dove troviamo persino Al Levin (omaggio combinato a Castelli e Disney; è lui a ideare il logo delle Tigri), si arriva al dunque con la cruda sequenza della gara di risciò che finisce in tragedia. Ecco, finalmente, la missione vera e propria, dove personaggi storici come Chang Kai Shek e moglie diventano coprotagonisti (perlomeno lei). C'è spazio per un altro simpatico omaggio fumettistico, quando Jerry si ritrova coi vestiti di TinTin, pedinato da Milou. A questo punto il cast delle Tigri Volanti, Bat in primis, viene messo da parte, e si passa all'altra sequenza migliore della storia (dopo la prima), il naufragio nel campo del nemico, e i doppigiochi dei nazionalisti, dei comunisti e dei giapponesi. La seguace di Mao resta impressa, sebbene alla fine non si sappia che fine faccia. E si arriva al nocciolo del romanzo di formazione: torturato dal giap, Jerry risponde sempre "no" e viene chiamato "Mister No". Liberatosi, e sventato l'attentato ai Chang con l'aereo Fiat (!), constatato amaramente di essere incinicito e irribellito come Bat, decide di tenersi quel soprannome. Si tratta di una retcon fanzinara, naturalmente, e solo in seguito ufficializzata. Ma è solo un'aggiunta alla motivazione originale nolittiana, non una riscrittura. Sarà, invece, riscritta l'origine della pezza col quadrifoglio, qui attribuita di nuovo a Bat; per Masiero sarà colpa di un altro tizio. Il flashback si conclude con la quadratura della cronistoria della serie, con Jerry sbattuto nei #65/67 e, successivamente, nei #51/53. La narrazione non ha momenti morti, giusto un rallentamento durante gli eventi più statici (ed è comunque una storia che Mister No racconta seduto al tavolo). La documentazione tecnica è curata e tutti i partiti politici vengono tirati in ballo senza pudore alcuno, come si fa nelle storie adulte. L'arte è quella del decano che non sembra tale: brillante, espressiva, curata, efficace, suggestiva, da manuale. Il quarto albo è quello del nostro mese di nascita: quando si dice il caso. Nel 2022, Boselli l'ha voluta nelle Grandi Storie Bonelli.


(2022)

domenica 12 giugno 2022

MISTER NO (2)

[51-52-53] ODIO IMPLACABILE - MISTER NO VA ALLA GUERRA - QUEL MALEDETTO PONTE (Nolitta/Diso)

Terzo classificato al referendum dell'81, ripubblicato anche in volume da Panorama, è il primo flashback bellico della serie, con la prima menzione del vero nome del protagonista. Classico fumetto nolittiano, perfetto esempio del suo stile e della sua morale, il mix tra tragedia, farsa, fatalismo e sarcasmo. La figura del figlio di papà, capace di commettere un errore assurdo (mitraglia i suoi stessi commilitoni), come anche di riscattarsi, è esemplare della narrativa del Sergione. La sequenza più memorabile è quella, lunga, in cui Jerry viene degradato dall'Aviazione alla Fanteria dopo aver disubbidito al suo superiore e avergli distrutto la tenda schiantandovisi con l'aereo rubato (!). La redenzione del senatore è forse un pelo sbrigativa (si fa per dire, il fumetto dura più di due albi), ma il finale è comunque soddisfacente (anche la gag della banana, dai). Arte archetipica, forse riaggiustata qua e là. Il ciondolo portafortuna che MN ha "sempre portato cucito addosso" sarà poi cancellato dalla retcon di Mignacco&Masiero. Jerry voleva premettere un'altra storia, prima di questa, ma gli viene imposto di sbrigarsi: ci penserà Mignacco.


[53-54-55] IL MORSO DEL CROTALO - LA CROCIERA DELL'INCUBO (Missaglia/Bignotti)

"Giallo" marinaresco vacanziero, pare di stare al mare (dentro e fuori). Queste erano le storie dozzinali di una volta, oggi capolavori (in confronto alla produzione odierna). Per nulla sfruttata l'interessante trovata iniziale del Piper pignorato, peccato. Bella la sequenza dell'attentato col crotalo nella macchina, poi tutta la storia è ambientata sulla barca con cinque personaggi (sciapò). Le sequenze 'subbaccue' sono letteralmente immersive, complice un artista che non ci stancheremmo mai di elogiare. Meravigliose, forse Nolitta ha aiutato. Jerry evita il calamaro gigante, ricordandosi i #45/47. Cast semplice, ma ben caratterizzato, alla fine restano tutti impressi, dal marinaio "geloso" al vecchio satrapo, fino alla donnicciola che vuole sposare Jerry, nella consueta gag conclusiva un po' dozzinale tipica dello sceneggiatore. Mister No vi si infatua perché in bianco dai #44/45.


[55-56] L'AEREO SCOMPARSO - URANIO! (Missaglia/Marraffa)

Avventura di spionaggio esotico godibile, soprattutto per via dei disegni simpaticissimi e mutuati dai pornazzi. L'artista si diverte un sacco a disegnare le scazzottate e i calci in faccia, così come le donnine e le pose equivoche; nel farlo, diverte anche a noi. Se si passa sopra all'aereo di linea atterrato senza problemi sullo scoglio, è un fumetto realistico, che tira in ballo il Triangolo delle Bermude soltanto a scopo evocativo, ignorando volutamente l'episodio di Castelli (Jerry, però, dovrebbe ricordarselo). Questo realismo si manifesta nella sequenza migliore dell'albo, quella perditempo, in cui Jerry ruba la motonave ai banditi, finisce nella tempesta, ma arriva tranquillamente al porto, ma lì viene malmenato dai complici e riportato indietro sulla stessa barca. Anche il finale triplo, che sembra non voler finire mai, e si ricorda solo all'ultimo istante (ma è voluto) del Piper abbandonato sull'isolotto, rientra nell'ottica di cui sopra. L'unico momento discutibile è quello in cui Mister No maneggia senza problemi l'uranio. Però non gli accade nulla, per cui non possiamo chiedergli se è demente. C'è da dire che lo sceneggiatore ha l'abitudine di calcare la mano sui lati più cialtroneschi del protagonista (vedi il prologo molesto). Sicuri che la prima copertina sia di Ferri?


[56-57-58-59] CAYENNA - ACCUSA DI OMICIDIO - RELITTI UMANI - CATTURATELO VIVO! (Castelli/Bignotti)

Classicone, "la più amata dai misternoiani del 1981": vinse il referendum, con gran cruccio di Nolitta. Leggermente ridimensionata, è un'avventura fluviale, di quelle che hanno reso celebre questa serie, in cui a Jerry ne capitano di tutti i colori. L'ispirazione a Papillon è fin troppo esplicita, e, com'è noto, gli originali sono sempre migliori dei derivati. Ma è comunque una storia memorabile, con personaggi memorabili e situazioni memorabili, in ambienti memorabili: il poliziotto bigotto; l'assassinio di Brigitte Bardot (o Miou-Miou, boh); il primo carcerato amichevole, che fa una brutta fine fuori scena; il secondo complice, Moreno, che diventa pazzo e di cui ignoriamo la sorte; il processo-farsa; la prima fuga; il trasbordo verso la penisola; i lavori forzati; le sigarette sepolte per non ficcarsele nel culo, come nella realtà; il regolamento di conti col carcerato mafioso, sul bagnasciuga, degno delle epiche zagoriane; l'alveare; la storia d'amore fasulla con la gatta morta (letteralmente, alla fine); la seconda fuga; e, naturalmente, tutte le sofferenze impartite a Jerry, rese memorabili dai disegni memorabili del memorabile artista (la famosa tavola in cui mangia il pane tozzo ammanettato). Ma è memorabile pure l'innovativa sottotrama parallela con protagonista Esse-Esse, deciso a far scagionare l'amico, al punto da compiere una vera e propria rapina. Che il fumetto sia ambizioso lo si capisce sin dal prologo ambientato nel 1931, circolarmente propedeutico alla risoluzione del caso. La conclusione, tuttavia, è bosellianamente in "avanti veloce" e tronchissima, con la tensione accumulata in tre albi che si scioglie anticlimaticamente in due pagine. Quasi contemporaneamente, Castelli ripropone una versione sintetica di questo canovaccio per un Classico di Zagor (quello del Tessitore).  


[60-61-62] ISOLA DI PASQUA - IL SEGNO DEL POTERE - MAKE-MAKE (Nolitta/Bignotti-V.Monti)

Classico sfigato, vinse il referendum al contrario, come storia più brutta (con gran cruccio di Nolitta). Perché? Boh. Suggestivo fumetto a strisce, dove il locus amenus è sfruttato innovativamente in qualità di microcosmo a sé (Nolitta lo fece già con Haiti su Zagor). Dopo il simpatico incipit di Jerry surfista a Rio de Janeiro, ecco l'equivoco col mafioso, simile a quello che sarà proposto come casus belli della trasferta africana (qui, però, non si conclude). Il viaggio ad Hanga-Roa con Patricia (#12/15) assume ben presto connotazioni politiche, con gli isolani soggiogati dalla multinazionale allevatrice di pecore e divisi in due fazioni, attendisti e rivoluzionari. Nolitta non lo dice esplicitamente, ma la faccenda mischia un paio di fatti realmente accaduti, anche se in epoca antecedente, sfruttando sottilmente la situazione contemporanea dell'isola (negli anni 1950 è ancora controllata dall'esercito cileno). L'albo migliore è il secondo, con la lunga sfida agonistica (la caccia senza esclusione di colpi dell'uovo di uccello sullo scoglio) realmente documentata e narrata con un piglio decisamente più appassionante di quello del film Rapa Nui (successivo). Molto efficace anche la sua conclusione distopica, da una pagina all'altra (ha vinto Jerry, cioè il sindacalista moderato, ma i suoi elettori sono subito regrediti allo stato di barbarie sanguinaria; Nolitta la sapeva lunga). Il terzo albo è la consueta carneficina nolittiana, guerriglia nuda e cruda; complice il grande artista, rende claustrofibicamente l'idea dell'isola-prigione naturale; dannatamente efficace è la sequenza del SOS alla nave merci, con il povero cristo martoriato e poi impalato dagli invasati. Memorabile pure il finale, in cui l'arrivo del figlio civilizzato sembra apparentemente mettere fine alla follia collettiva... e di più non sappiamo, dato che Jerry e Patricia ripartono proprio in quel momento. Vecchia volpe di Nolitta. L'ottima arte ci regala anche begli scorci quali la Grotta dei Pesci e il sacrificio a Make-Make, dal sapore salgariano o indianajonesesco.


[63-64-65] YANOAMA - L'ULTIMO PARADISO (Nolitta/V.Monti+Merati-Diso)

Diviso asimmetricamente in due parti. Il primo albo è la spedizione con il cliente: inizia in medias res e si conclude, all'aereoporto, con una bellissima nota amara sul futuro dell'Amazzonia e sul senso della "civiltà"; nel mezzo, una tranquilla gita turistica si trasforma in un dramma etnico e sociale, quando le donne indigene vengono rapite da uomini misteriosi. Da segnalare il mercante mafioso arabo, ricalcato sull'Hammad che Nolitta inserì in un Classico di Zagor, dalla fine romantica, in poltrona davanti al fiume. Nel secondo albo e mezzo, ecco la missione sotto copertura di Jerry, Esse-Esse e l'indio nel villaggio vacanze camorrista, sotto cui si nasconde il traffico di schiave costrette alla prostituzione (puro graphic novel d'inchiesta, insomma). Naturalmente la missione non dura tantissimo, e presto si trasforma nella consueta guerra senza esclusione di colpi, dove l'autore è bravo a sottolineare le differenze tra protagonista e spalla. Arte di un veterano di Tex, perfettamente a suo agio, forse perché rifinito e interpolato da altri (Diso si riconosce immediatamente). Simpatica la scenetta di Jerry che non riesce a imitare Tarzan (cioè Zagor).


[65-66-67] I MERCENARI - INTRIGO INTERNAZIONALE - REQUIEM PER UN SOLDATO (Castelli/Civitelli)

Dimostrazione della versatilità dello sceneggiatore, noto per una tipologia di storie completamente differente: che bravo che era. La vicenda è ripartibile in tre segmenti. Nei primi due è un film d'azione di quelli prodotti oggi, solo che è di quarant'anni fa; il complotto multigovernativo, a base di esportazioni petrolifere, appare quantomeno realistico, così come le dinamiche successive (gli Stati Uniti che impongono all'Ecuador di allertare i soldati panamensi e le brigate colombiane); l'autore riversa tutte le sue indignazioni politiche e sociali sul protagonista, rendendolo umano; l'inganno perpetrato a Jerry ricalca coerentemente altri già visti; il crescendo di tensione si ha dopo l'addestramento, con la missione di estrazione e la lunga fuga ad eliminazione dei comprimari caratteristici, prima in aereo, poi a piedi (quest'ultima, forse, la sequenza più appassionante). Di botto, la storia finisce e si salta al terzo segmento, dedicato esclusivamente alla vendetta dei protagonisti nei confronti del villain, il politico ecuadoregno riparato ad Acapulco; la sequenza della truffa in stile Mandrake (quello di Steno) ai danni dello sfigato che lavora per il cattivo è forse allungata per completare l'albo, ma diverte; più memorabile è, però, la conclusione amarissima, col suicidio del personaggio di Connelly (l'ex commilitone/istruttore di Jerry, ora mercenario buono, tipo Stallone nei film recenti) e la malinconica chiusa di un rassegnato Mister No. L'arte è esordiente, ma questo si nota solo perché sappiamo già come sarà in seguito; di per sé, è già notevole. Le prime due vignette del secondo albo sono redazionali (Pepe?).


[68-69] ARGENTINA! - I CAVALIERI DELLA PAMPA (Missaglia/Diso)

Nonostante l'arte di punta, è un riempitivo un po' sfigato, che solitamente si tende a dimenticare. Eppure ha tutti i requisiti per essere un classico episodio di questa serie, con la piccola variazione della gag (con protagonista Esse-Esse) che non è proposta subito, ma come secondo atto. Per il resto c'è tutto: il complotto ai danni di Jerry, la trasferta avventurosa (col sole e colla pioggia), l'etnografia antropologica (tutto sulle pampas e i gauchos), il comprimario da ricordare (un gaucho boselliano), la vendetta di Jerry servita calda. Bella la fuga nelle pianure e nelle trincee naturali. E la caccia al nandù con le boleadoras, naturalmente. Suggestive copertine: e per la colorazione carica; e per la curiosa concezione quasi sequenziale; e perché la seconda è inusuale ed esilarante. 


[69-70-71-72] CIAK! SI GIRA! - CINEMA CRUDELE - INDIOS ALL'ATTACCO (Castelli/Bignotti)

Fumetto brillante e ben congegnato, con sottotesto storicamente anacronistico e documentaristicamente memorabile: gli "holocaust movies" sono degli anni 1960-70, e Castelli li denunzia retrodatandoli di un decennio. Fino a metà del terzo albo, è un giuoco metanarrativo delizioso, dove quella tipologia di film viene ripetutamente additata e condannata, senza censure di sorta... eppure, la storia stessa che Castelli propone segue il canovaccio-tipo di quelle sceneggiature. Non è un caso, infatti, che lo sceneggiatore alcolizzato Al Castle, totalmente privo di autostima, sia l'autocaricatura di quello del fumetto. La tripartizione in segmenti, anche questa volta, offre un terzo segmento diverso dai primi due: conclusa la lunga avventura nella giungla, prende spazio un "giallo" Christiano (Castle lo chiama "Assassinio sul Rio") e quasi sclaviano nel suo eludere i finali precostituiti, offrendone uno beffardo, seppur coerente con gli indizi esposti in precedenza. Tutte le tappe del viaggio si fanno ricordare: l'arrivo dell'imprenditore greco; il primo incontro col macistoide tarzanide; le continue litigate con l'odiosa troupe; le scene della scimmia squartata e dell'anaconda; la cerimonia puberale india; l'assedio vendicativo degli indios, durante il quale si fa strada il "giallo"; i sospetti razionali di Jerry; il volo contro il tempo verso Bogotà; la risoluzione dell'enigma. Lo stile dell'artista, di per sé già memorabile, accompagna come si deve un Classico della serie. La pellicola girata diventerà il pretesto per dare il via a Martin Mystère #219/220, vero e proprio spin-off di questa avventura.


[72-73-74] LE NOTTI DI NEW YORK - SANGUE SULLA NEVE - UN PIANO DIABOLICO (Nolitta/Diso)

Ancora un "Mister No racconta", stavolta post-guerra. Siamo nel '49, ma il fumetto è sessantottino. Questo, però, non ci nausea, per la delicatezza e la sobrietà della narrazione e dell'arte, quest'ultima davvero vivida e tridimensionale. Spettacolari le vignettone a NY e ad Aspen, da leggere e rileggere le due paginette della gita nel parco naturale. Delizioso anche il prologo. Nel terzo albo c'è un breve "giallo", alquanto scontato, ma necessario al finale malinconico. Come dice Esse-Esse, le storie di Jerry sono come dei film. Dei bei film, che mai stancano. Mitica Lauren Bacall. La questione dei riders resta in sospeso: si risolverà nei #86/90.


[74-75-76] INCONTRI PERICOLOSI - XAVANTES! (Castelli/Ricci)

Riempitivo di routine: i servizi segreti, anche americani, ovviamente doppiogiochisti, debbono recuperare l'aereo precipitato (con le bombe atomiche!) tra gli indios bellicosi. Jerry, Esse-Esse (nel ruolo di spalla), le spie canaglie e la guida india si avventurano, prima fanno arrabbiare una tribù, poi l'altra. Dialoghi spigliati e tanto mestiere da studiare. Arte estranea, ma simpaticissima. Oltre all'inganno della CIA, l'autore ripropone anche un militare con l'occhio coperto (stavolta da un pence-nez).


[76-77-78] LA MAFIA NON PERDONA - MORIRE A CAPRI (Nolitta/Diso)

Classico della testata, ora anche libro a fumetti, un pelino portasfiga in quanto fu l'ultimo dell'edizione Tutto MN. Ribaltamento delle solite storie di gangster: Jerry racconta di quando, nel '48, girò la costa campana (da Positano a Capri) per conto dell'FBI sulle tracce della lettera contenente le prove dell'aiuto dato da Lucky Luciano all'Esercito USA durante la WWII. E quindi vai di mafiosi e borghi italiani, elementi che di norma detestiamo, ma su cui la grazia di Nolitta e l'arte molto curata aiutano a sorvolare. Il fumetto è naturalmente tragico, alla fin della fiera muoiono tutti, ma il momento che ci ha più toccati è proprio nelle ultime due pagine, quando Jerry scazza all'improvviso, intristito dalla vacuità altrui.


[78-79-80] PAURA NEI CARAIBI - PRIGIONIERO SUL FONDO - FUGA IMPOSSIBILE (Nizzi/Bignotti)

Episodio estivo, gradevole passatempo ventilato. Terza versione del "Triangolo" bermudiano, con Jerry che di nuovo dimentica i #44/45 (ma ricorda con dovizia di particolari i #55/56). La prima metà è un intrigo alla luce del sole: assieme a Phil Mulligan (in ferie, poi in trasferta), girovaghiamo per i Caraibi e addirittura torniamo negli USA (a Miami). Qui si nota la mano dello sceneggiatore esordiente, che tiene la cartina accanto alla macchina da scrivere, e ci descrive minuziosamente tutti gli spostamenti da un posto all'altro (St.Kitts, Miami, Antigua, ecc.): non possiamo dire di non aver gradito. Si fa ricordare la scena del suicidio del tizio, durante la quale Jerry e Phil ricalcano un po' Rosco & Sonny. Nella seconda metà si passa alla pirateria moderna, con il panzone che ha ciulato divisa e sottomarino ai nazi e rapina i ricconi sugli yacht. Memorabile la finta fuga di Jerry dalla prigionia, in seguito alla quale poi staziona clandestinamente sull'isola: grazie anche all'artista (mai smetteremmo di ringraziarlo), sembra di stare lì con lui, a osservare l'arrivo della nave. Da ricordare anche il pretesto della fuga: Jerry convince la bellona di turno a concedersi alla guardia! Naturalmente, alla fine, i due sono innamorati (lei e Jerry, non la guardia) ma debbono lasciarsi. Fa parte dei clichés della serie. Oltre all'isola, si fa notare il nascondiglio del sottomarino, la nave da carico. Il finale è coerente e razionale, con l'intervento della Guardia Costiera. Il cattivo minaccia di tornare: essendo marinaio, non ha mantenuto la promessa; probabilmente, l'autore stava provando gli stilemi di Tex (di cui questa storia omaggia l'episodio con Barbanera).


[80-81-82-83-84] UN RAGAZZO CHIAMATO SANTIAGO - VERSO L'IGNOTO - IL TORRENTE NASCOSTO - ORO! (Nizzi/Civitelli)

Romanzone fluviale dell'esordiente cui è stata data "carta bianca". In prima lettura, avvince e sorprende, con trovate quali l'affluente (dell'affluente) nascosto tra il fogliame e, dunque, "invisibile". In seconda lettura, emergono le piccole forzature di chi vuol realizzare a tutti i costi un'epopea memorabile, per non sfigurare con l'editore: così, ecco Jerry che non vede per quale motivo non debba fidarsi dei banditi che hanno cercato di eliminarlo poco prima; o che si perde nella giungla, letteralmente terrorizzato dagli indios e in preda alla paranoia (ma come è possibile?). Tuttavia, resta pur sempre un fumetto "sgangherato e sgangherabile" (cit.), antologia di sequenze e personaggi, nel loro piccolo, memorabili: dai tre banditi, tra cui spicca quello con le fattezze di Bud Spencer, a Santiago (che non assomiglia tanto a Terence Hill, però è biondo e furbetto); dal vecchietto neanche sessantenne, rovinato dalla febbre dell'oro, alla gnocca di turno col fratellino che sorveglia il Piper; dall'indio Mupuku, il cui nome è un sinonimo di "Mister No" (e che chiama Jerry Senhor Nao), ad Arhama, l'amante india di Jerry nel finale della storia. E ancora: il furto del Piper da parte di Santiago (che conosce anche la tecnica del calcione); i cambi di squadra di Jerry; il noleggio dell'aereo; la lunga sequenza delle rapide, davvero coinvolgente, e concluse al secondo tentativo, dopo la parentesi col caimano e l'anaconda; la scalata della Sierra Paracaima, vagamente texiana; la ricerca dell'affluente ricoperto dalla giungla e il suo attraversamento a testa bassa; la ricerca dell'oro, con un acuirsi dell'avidità realistico e non esasperato; la lunga fuga nella foresta in preda al panico, dalle premesse (come detto) illogiche, ma dalla resa suggestiva; la parentesi felice nel campo indio, poi bruscamente interrotta. L'arte presenta qualche anatomia ancora work in progress, ma sul piano espressivo è già pienamente padrona del mezzo, e accompagna in modo eccellente tutte le varie fasi della vicenda. Le prime vignette degli ultimi tre albi sono di Bignotti.


[Martin Mystère 2-3] LA VENDETTA DI RA (Castelli/Alessandrini)

Mysterianamente parlando, soggetto riciclato da Allan Quatermain e ulteriormente riaggiustato nella ristampa a fini di continuità interna. Fumetto simpatico, con un canovaccio simil-amazzonico nella versione più esoterica: la spedizione nella giungla, con la marcia e gli indios, il professore e la bellina di turno, alla ricerca del manufatto fantarcheologico. Siamo in Belize, Stato poco o per nulla esplorato su MN, che Castelli decide di raggiungere per mezzo di un imbolsito (e ingrassato) Mister No, ora proprietario di una piccola compagnia aerea, la Jerome Drake Airlines, a La Aurora (Guatemala). Si tratta di un semplice cameo di due pagine, uno scherzo a Nolitta, che tuttavia, anni dopo, verrà preso sul serio (prima dallo stesso Castelli, poi dai suoi epigoni) e darà vita all'universo (poi multi) bonelliano, sebbene la scelta del Guatemala non sarà tenuta da conto dagli eredi nolittiani. Jerry insulta Java e rivela di aver avuto per cliente anche Sergej Orloff.


[84-85-86] QUEL VOLO PER RIO - NEMICI PER LA PELLE - LA GOLA DEL DIAVOLO (Castelli/Montorio)

Artista diaboliko alla sua unica apparizione: un discreto lavoro, con l'evidente presenza di diversi interventi di Bignotti e Diso. Fumetto brillante del nolittiano Castelli, dove il pretesto comico - Jerry vuole sposarsi! - diventa, alla fine, risolutivo del dramma. In mezzo, l'eroe e una carogna sono costretti a collaborare dopo il naufragio nella giungla. Come tipico dello sceneggiatore, lo stacco tra secondo e terzo atto è netto. Questa volta, il segmento conclusivo è il più memorabile: dapprima la lunga vendetta di Vadinho Moraes contro il suo boss, in cui Jerry è assente; l'assassinio della ex quasi moglie di Mister No, e il reincontro tra i due nemici al cimitero; il memorabile finale holmesiano alle cascate, ove l'arcinemico cade tra i flutti. Una conclusione amara e vagamente aperta, per una sceneggiatura riuscita, capace di presentare anche più d'un tocco da manuale, mutuato dai comics americani. Suggestiva la prima copertina, con la mappa rovesciata.


[86-87-88-89-90] BATTAGLIA AL TRAMONTO - GLI OSTAGGI - LA CITTÀ DEL CRIMINE - I GANGSTER - CORSA VERSO LA MORTE (Castelli/Diso-V.Monti)

Avventura fluviale e nolittiana, ma di ambientazione interamente urbana. Non è da escludere che lo spunto sia proprio di Nolitta, dato che il lungo flashback prosegue quello dei #72/74, raccontando la conclusione della vicenda dei "New Barbarians", i motociclisti sadici, allora rimasta in sospeso. Ostaggio in una banca, Jerry distrae il rapinatore, una sua vecchia conoscenza (ovviamente), raccontandogli le sventure capitategli a NY una volta tornato da Aspen: sfrattato da casa, ricercato dai teppisti (divenuti sicari della mafia), coinvolto da Phil Mulligan in una storia di gangsters e polizia corrotta, legato suo malgrado alla patetica figura di Ratso, viziato figlio di papà rovinato dal gioco, nel tempo corrente divenuto rapinatore e sequestratore. La sequenza migliore della storia è quella, ansiogena e claustrofobica, in cui Jerry si nasconde in un altro quartiere, a casa di una vecchia bigotta, che deve anche accompagnare a messa: altro che lockdown (e che fine brutale fa la megera). In generale, le fotografie newyorkesi sono da sempre uno dei cavalli di battaglia di Castelli, come quando Jerry fa il barista o come quando si salva dall'attentato sulla litoranea perché la macchina è difettosa. Non può dirsi pienamente riuscita la suspence legata alla presunta morte di Mulligan, che i lettori sanno già essere ancora vivo nel "presente" della serie (#78/80), ma possiamo ritenerlo comunque un elemento da romanzo popolare. E chi scrive non è proprio un appassionato di mafia e affini, ma può riconoscere all'autore la capacità di non indugiare eccessivamente in stereotipi. Come è tipico della produzione di Castelli, il finale è circolare nel suo ricondursi alla gag iniziale, rivelatasi, a posteriori, non fine a sé stessa: così, vedere Jerry partecipare come stuntman alle riprese di un film, non è un tradimento dei #69/72, ma necessario al percorso involutivo di Ratso. Costui è decisamente l'elemento più memorabile di tutta la storia: una figura talmente vigliacca e debole da risultare feuilletonescamente repellente e attraente al contempo. Vederlo buttarsi dal Piper è davvero catartico. Inusuale e cinica la chiosa conclusiva, attribuita ad una comparsa. Arte mediamente di buon livello: la prima vignetta della seconda puntata è di Bignotti; le relative delle successive puntate, non lo sappiamo; ci fidiamo dei dati rimediati online e le attribuiamo a Monti. Insomma, quando Jerry scopre di non avere più l'appartamento, la sua roba si trova accantonata in una cantina: l'ha mai ripresa? In questa storia di sicuro non ne ha avuto il tempo, né l'interesse.


[Martin Mystère 7-8-9] L'UOMO CHE SCOPRÌ L'EUROPA - LA FONTE DELLA GIOVINEZZA (Castelli/Bignotti)

Fumetto pienamente mysteriano, seppur di ambientazione esotica, da "trasferta misternoiana". Victor Von Hansen rivela a Martin Mystère che Lions, il cattivo della storia, negli anni 1960 gironzolò il SudAmerica con "un certo Drake", alla ricerca della fonte della giovinezza in Amazzonia. Questo Drake, con i soldi guadagnati, finì per crearsi una piccola compagnia aerea: ecco le origini del cameo di MM #2/3, di cui però Mystère non coglie il riferimento. Peccato che questa storia solo accennata non sia mai stata realizzata: anzi, forse questa di MM ne è la rielaborazione.


[90-91-92] GLI OCCHI DEL MOSTRO - ANANGA! - LO SPIRITO DEL MALE (Sclavi/Civitelli)

Classico della SBE, che chiunque conosce. Episodio particolare della serie, non il primo orrorifico, né il primo con un esplicito soprannaturale, ma il primo dalla narrazione sofisticata e cinematografica, e il primo in cui il "mystero" è preponderante e domina la vicenda dall'inizio alla fine. Fumetto dalla sceneggiatura impressionante, da manuale e oltre, accompagnata da un'arte ormai padrona totale del mezzo e in totale sinergia con i testi. Difficile stilare un elenco delle sequenze iconiche: lo sono quasi tutte. Dal vecchio Paco, vivo e morto, ai coniugi Wolfe; dalla danza onirica di Ananga alla voce della foresta; dal primo volo sul Piper al secondo; da Isaura all'indio senza nome. Dialoghi spigliati, ma forse le pagine mute sono ancora meglio. Oltre ad essere un fumetto formidabile e bellissimo, è trascolorato nella leggenda e nel culto grazie al seguito dylandoghiano, uno dei miti del presente estensore. 


[92-93-94] INCONTRI PERICOLOSI - INFERNO DI GHIACCIO - PAURA BIANCA (Missaglia/Civitelli)

Soggetto dall'impostazione nolittiana: si apre con una lunga gag autoconclusiva, simpaticamente stiracchiata, che funge da pretesto all'ennesima avventura in trasferta. Nel secondo albo si va - finalmente - in Antartide, sulla rotta di Scott (giustamente, Amundsen lo aveva fatto Scarpa). Per una cinquantina di pagine siamo rapiti dall'ennesimo documentario bonelliano, capace non tanto di spiegarci le cose, quanto di farcele provare di persona. Nelle tende come nella capanna (vera) di Scott, è come stare lì con Jerry, dentro al fumetto. Nell'altra cinquantina di pagine ecco il "giallo" nel bianco della talpa misteriosa dagli scopi indefiniti, sempre godibile, con le sue trovate azzeccate (le stalattiti). La trama devìa poi verso l'omaggio Bondiano, con l'equivalente della Spectre (la Ghost), che mira a sovvertire il mondo dal Polo. Una svolta un po' meno nolittiana, ma comunque divertente... se non fosse che la copertina l'aveva assurdamente spoilerata senza vergogna. L'autore - oggi considerato una mezza calzetta, mah, a noi pare un genio, soprattutto in confronto ai suoi eredi - riesce ad intrattenere con intelligenza anche durante lo scontro con i cattivi, regalandoci perle come il "white out", una specie di "Fata Morgana" quasi horrorifica, per poi concludere con consumato mestiere (ci rifiutiamo di pensare che Nolitta abbia riscritto tutte le pagine, per cui diamo a Ennio quel ch'è di Guido). L'arte deve ancora prendere le misure nei momenti più dinamici, ma il talento è già palese.


[94-95-96] MACCHU PICCHU - LA FORTEZZA PERDUTA - LA TORRE MALEDETTA (Castelli/Marraffa)

Episodio pubblicitario della nuova serie di Alfredo Castelli, pubblicata dall'anno precedente, concepito come un cross-over: lo stile è, in gran parte, quello di un fumetto del Martin Mystère "primo periodo". Non solo: la tipica ironia dell'autore aveva portato Mystère proprio a Macchu Picchu, in una delle sue prime avventure concepite (ma pubblicate un anno dopo questa, MM #27/28), dove aveva collezionato una figuraccia più unica che rara; qui, invece, Mister No trova un laboratorio di At'lan, con tanto di messaggio preregistrato, espositivo della continuità mysteriana (nei dettagli: si menzionano il satellite, gli stati-cuscinetto, le camere del tempo). La trovata delle allucinazioni difensive e il risveglio della reincarnazione atlantidea ci riconducono ai MM #2/3 e #4 (già pubblicati), mentre il deposito di scorie anticipa di molto il MM Speciale #3, dove la questione della reincarnazione verrà razionalizzata con i cloni (qui rimane sul vago); e i disegni di Nazca prefigurano i MM #57/59. Senza mai nominarli esplicitamente, si parla anche tranquillamente di Uomini in Nero. Le sequenze migliori sono proprio quelle mysteriane, dal nozionismo sul Vaso di Pandora al countdown del sogno del frate, passando per la gestione archeologica dell'ingresso e della discesa nella torre. Tra i personaggi spiccano la bellona di turno (particolarmente gnocca) e gli archeologi-macchiette, sia il padre burbero (finto milanese) che il pavido quattrocchi (che non è un Uomo in Nero, come è facile sospettare). Ma più di tutto, a risaltare è la location magnifica di Macchu Picchu, non mero sfondo, ma splendida protagonista, anche quando è assente (come nella parentesi di Cuzco o durante l'inseguimento). Sembra proprio di stare lì. Suggestivi i primi attacchi di follia degli indigeni, resta impresso quello che si butta di sotto. Dicevamo del cross-over: rispettosamente e intelligentemente, sapendo di aver inscenato uno degli episodi più esplicitamente paranormali della testata (lo stesso Jerry menziona i #22/24, a paragone), lo sceneggiatore imbastisce una trama parallela più prettamente legata agli stilemi del fumetto ospitante, con i banditi che vogliono impadronirsi dei gioielli Inca; ed è godibile anch'essa, specialmente nella sequenza in cui Jerry insegue Trump (ah ah ah), prima col Piper e poi a piedi. Nel finale, un paio di ellissi, soprattutto sul ruolo del frate: era alquanto evidente che fosse l'altro reincarnato ibernato; questa parte dev'essere stata tagliata, forse per non eccedere con l'iconoclastia. L'arte è brillante, eccellente in taluni momenti (già evidenziati), più sbrigativa in altri: in questi ultimi casi, è corretta da interventi esterni, in prevalenza di Bignotti. Le prime due vignette della seconda parte sono nientemeno che di Claudio Villa. Trent'anni dopo verrà deciso che, nel passato, Zagor aveva già trovato un laboratorio analogo in quel di Cuzco, che noi fanzinari potremmo considerare un'estensione di questo. Oltre ad Haiti, Jerry ricorda un'avventura con la macumba cui non abbiamo mai assistito: quando vi assisterà per davvero, se ne dimenticherà.


[97-98] IL FANTASMA DELL'OPERA - IL PASSAGGIO SEGRETO (Sclavi/Diso)

Fumetto sperimentale, commedia degli equivoci con un fondo di mystery, mutuato da un Classico della letteratura e da uno dei film preferiti dello sceneggiatore (quello di De Palma). Sceneggiatura formidabile, sostenuta da un'arte divertita e in grande spolvero, e che addirittura si prende il lusso di impaginarsi "alla francese" in un paio di segmenti: è di questo che Sclavi parlerà, in un suo articolo per Orient Express dell'anno successivo. Dialoghi brillanti, messi in bocca a personaggi caratteristici e teatrali, che si fanno ricordare: il poliziotto, il giornalista, la "divina", la cariatide india (c'è anche Olinto Righetti dei #6/7, nel ruolo di spalla). La cosa più riuscita e memorabile è l'adattamento della storia di Leroux nella location di Manaus degli anni 1950, nel vero Teatro locale, sulla base della vera Storia della città. Come sempre, la scoperta del canale navigabile sotterraneo ha il suo fascino. Nonostante tutto questo, l'argomento musicale non è più tra i nostri favoriti (ha subìto lo stesso destino un'omologa produzione disneyana) e il finale è fin troppo simile all'originale. Per fortuna, l'autore riproporrà il bel canovaccio, in una versione più approfondita e letteralmente teatrale, in una delle più belle storie di Dylan Dog. Le prime due vignette della seconda puntata sono di Bignotti.


[98-99] I RESUSCITATI - L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO (Castelli/Civitelli)

La conclusione della trilogia castelliana di Delia Norris (#29/30, #49/51) ripropone il concept del complotto della CIA volto a sfruttare Mister No per i propri fini senza dargliela a bere, ma alzando ancora di più l'asticella: stavolta, il complotto è lungo quanto il fumetto stesso. Essendo, però, una virtuale conclusione del canovaccio (almeno per quanto riguarda l'autore che l'ha originato), nel finale Jerry riesce, finalmente, ad anticipare Delia e a rigirarsi la frittata, in una conclusione, tuttavia, cui manca uno strascico consolatorio. Mischiando, come consueto, realismo e macchiettismo, l'autore riprende un suo storico tormentone, la setta di penitenti, qui razionalizzata e sfruttata con il gusto per la logistica e la politica, e lasciando fino all'ultimo istante il dubbio su come stiano davvero le cose. Dialoghi brillanti, soprattutto tra i militari. C'è spazio anche per O Bispo (#49/51), il finto prete, canaglia francamente non molto simpatica e ulteriormente incarognita. Godibile l'inseguimento di Jerry, sulle tracce di Delia. Arte stilosa e di classe, sebbene il cameo di Lino Banfi risulti alquanto straniante. 


[100] GIUNGLA! (Nolitta-Sclavi/Diso)

Albo autoconclusivo sceneggiato su commissione a scopo celebrativo. Lo sceneggiatore sfrutta la presenza del colore per lasciare molto spazio a inquadrature documentaristiche ed evocative dei colori della foresta e dei suoi abitanti, animali ed indigeni umani. Ma c'è spazio pure per un omaggio al protagonista della serie, ritratto come una "forza della natura" al pari degli elementi che lo circondano: col pretesto del rifacimento amazzonico de Il volo della Fenice, Jerry ed Esse-Esse, considerati semidivini dalla tribù di turno, debbono - con le sole proprie forze - rimettere in sesto e far volare un DC-3 precipitato, pena la condanna a morte sancita dal sagace capo indio. La narrazione, che a momenti sfiora l'impaginazione francese, e i dialoghi spigliati rendono ben evidente l'identità dello sceneggiatore, nonostante l'attribuzione nolittiana della prima edizione. Si tratta di un fumetto simpatico, prevalentemente scanzonato, in cui solo la presenza di Patricia Rowland appare una richiesta dell'editore. La sequenza più memorabile (al contrario del film?) è la conclusione, in cui il fiume viene usato come pista e l'aereo riesce a rialzarsi facendo uso del calcione (cui viene data una spiegazione fanta-scientifica!, infatti i cavetti sostitutivi vengono dal Piper). L'arte è, ovviamente, stimolata a dare il meglio, e la colorazione carica è da noi sempre favorita a quelle sbiaditoidi di moda oggigiorno. Sbadatamente, non avevamo mai fatto caso che il Piper fosse bianco. Come di consueto fino a tutti gli anni 1980, le copertine degli albi centenari non rispecchiano i contenuti degli episodi abbinati.


(2022)