domenica 10 marzo 2024

Cringe a Metopolis

Commenti molto personali e soggettivi riguardo a opere cinematografiche particolarmente erudite e di nicchia, scritti negli anni ma mai pubblicati prima. 


AAVV: Guerre Stellari

Ho rivisto I-II-III dopo un decennio e sono stupefatto, soprattutto da I e II (III che era bello si sapeva): in cosa sarebbero brutti, esattamente (e io me li ricordavo parecchio noiosi)? II, poi, è geniale per come riesce ad essere anche autoconclusivo. 

E l'intrigo politico è di una comprensibilità disarmante. Ed è molto realistico, ma realizzato (cinematograficamente) prima che divenisse una moda. Sono dinamiche che da noi si compiono quotidianamente.

Quanto alle bambinate (da JJ ai droidi alla love story di Moccia). Sarà che ho avuto la fortuna di guardare Episodio I a 11 anni (bambino), Episodio II a 14 (ragazzetto) e Episodio III a 18 (post adolescente), ho avuto modo di identificarmi nel percorso seguito dalla trilogia. 

Certo, alcune cose nella mia testa sono ormai in versione Ortolani, a partire da Palpatine (interpretazione mostruosa, peraltro) e dai Mercanti. E Padme, come sempre, mi fa soffrire troppo.


Ho rivisto IV-V-VI dopo sostanzialmente un ventennio e più e sono abbastanza stupefatto della freschezza di Episodio VI, decisamente il più vicino alla trilogia prequel (con tanto di Imperatore in comune). Episodio IV è ovviamente il più grezzo e Episodio V campa molto sulla Marcia Imperiale, che introduce e propone in loop quasi perpetuo dall'inizio alla fine. Mi rendo conto di come molte scene di culto siano contenute in Episodio V, ma devo dire che il mio affetto va più all'inizio di Episodio IV e a quasi tutto il VI. 


Cosa differenzia le due trilogie? Nella trilogia storica la trama è decisamente semplice, è una fiaba bella e buona. Nella trilogia prequel imho manca l'elemento sessuale: Leyla senza mutande o in abitini strizzati e Han che ci prova in continuazione, riuscendo poi a spupazzarsela; nella love story fra Anakin e Padme questo aspetto è molto abbozzato, un po' perché in fondo quando li vediamo sono ragazzini e un po' perché il perbenismo si sa com'è fatto (anche se per me è evidente che Anakin è più infoiato che innamorato). 

La trilogia "nuova" è anche più ricca sul piano musicale, anche se i pezzi storici appartengono a quella "vecchia".

Quale amo di più fra le due, non mi chiedete? Non ve lo dico subito: IV-V-VI appartiene alla sfera della mia infanzia più ancestrale, sinceramente è la prima cosa di cui ho ricordo, assieme a un paio di Topolini e a Quantum Leap (ma questo sicuramente l'ho visto dopo; di poco, ma dopo); I-II-III, come già detto, appartiene al mio periodo della crescita e della formazione, dalle medie alla maturità; questo significa che questa ultima è ancora abbastanza viva e scorre più forte dentro di me, mentre l'altra è di fatto il nucleo dei miei midichlorian. 

(2015)


Gareth Edwards: Rogue One. Una storia di Guerre Stellari

Episodio in live action della serie animata della quale non riesco a fottermi.
Filmucolo salvato dal finale fanservice in senso buono; dal voodoo cibernetico che resuscita gli attori morti o dona loro l'eterna giovinezza; dal faccino guanciottoso della tipa che fa l'eroa, deliziosamente stupidina in altri film.

(visione: 2017; commento: 2019)



Rian Johnson: Star Wars Episodio VIII. Gli ultimi Jedi

Una schifezza che ammazza la poesia, l'epica e il mito di SW.
Si salvano solo l'isola, perché è bellissima di suo, e le relative scene di Liuc che strizza le mammelle al mostro o pesca il pescione con la fiociona.

(visione: 2018; commento: 2019)


Ron Howard: Solo. Una storia di Guerre Stellari

Carino.
C'è un regista, ci sono degli attori, c'è uno sceneggiatore, e tutto ciò risalta.
Tutto sommato non è niente di che, però è ciò che ci aspetta: una fanfiction fatta bene.
E diciamolo, hanno azzeccato il recast di Han. Chi l'avrebbe mai detto.

(visione: 2018; commento: 2019)


J.J. Abrams: Star Wars Episodio IX. L'ascesa di Skywalker

Sono d'accordo con la recensione di Recchioni, e ho detto tutto. 
Tante splendide immagini. Su tutte, l'arrivo delle astronavi qualunque (copiata da Doctor Who) e il Falcon arenato sulla collina. Ma anche i marosi. 
Finalmente un po' di Avventura!
E tutto il film è in fondo una caccia al tesoro, alla ricerca del pianeta perduto coi fossili mistici.
Ce n'è voluto, eh, per capire quali sono le storie che funzionano. Adesso, mi raccomando, rifacciamo la parodia decostruzionista solo per sentirci dire che siamo "coraggiosi".
La trilogia in due parti soffre comunque degli ovvi problemi derivati dall'assenza del capitolo centrale, sostituito dalla parodia dello youtuber irriverente, un po' come guardare Episodi IV e VI senza il V, saltando dal party per la Morte Nera distrutta a Han dentro al monolite e a Leia in mutande con Jabba. 
Sia chiaro che sia Episodio VII che questo IX hanno dei dialoghi da strapparsi le orecchie ed è evidente che Palpatine sia stato buttato dentro all'ultimo momento (è sempre il migliore, però), e alla fine Finn non ha detto a Rey quello che non le voleva dire  in presenza di Poe (a meno che non volesse dirle che Poe era un contrabbandiere, ma non mi sembra che sarebbe stata una grande sorpresa), e quella roba del Sith definitivo, con dentro tutti i Sith, contro la Jedi definitiva, con dentro tutti gli Jedi, è roba da anime. Ma gli anime ci piacciono, quindi va bene.
E plauso, plauso, PLAUSO, al ritorno delle marionette. C'era stato Yoda nell'VIII, ma per un breve momento, perché il regista voleva farci vedere di detestare Star Wars solo al 95% e non al 100%. Ma qui è stato tutto più studiato, più armonico, più giocherellone.
VIVA LE MARIONETTE E GLI ANIMATRONI.
Non c'è poi molto da aggiungere, per una volta (e che non si ripeta mai più) Recchioni e Calcare hanno ragione: nonostante tutto, è un buon film di SW e tanto ci basti.

P.S.:
Divertente vedere Charlie mettersi in posa e Greg Grunberg ingrassare ad ogni inquadratura (ma è malato?). Abramsianamente soddisfacente scoprire il senso del titolo e rivedere le sue inquadrature-tormentoni, tipo Rey che guarda l'aereo lasciare l'isola o le rovine del Progetto Dharma (e c'è pure Ben che si redime). Molto kitsch il cadavere di Leia che diventa personaggio, in linea con la carriera della Fisher. 
Naturalmente tutti ci chiediamo il perché della seconda Morte Nera, ma per quarant'anni ci siamo chiesti pure come fosse stata distrutta la prima, e non mi pare che la cosa ci abbia danneggiati più di tanto. Mi perplime un pochino di più il florilegio di apparizioni fantasmatiche. 
Nota del curato: Cosa volesse dire Finn lo abbiamo scoperto dopo, ma se non lo scoprivamo era meglio.

(2019)


AAVV: Star Wars. The Mandalorian S1/S2

Tutto vero: hanno azzeccato il mood, il quid, lo sberequack. Non c'era bisogno delle sboronate (MegaJedi contro MegaSith, i cadaveri volanti, la derisione del Mito), bastava una cosa semplice semplice, tipo due che camminano. Come all'inizio della Nuova Speranza.
Eppure devo dire che questa "estrema semplicità", alla lunga, mi è parsa... fin troppo semplice.
Ho molto amato i primi 3 episodi della Stagione 1, e questa impostazione anime del "duo buffo che vive avventure di ogni tipo in luoghi differenti". Solo che le avventure si sono rivelate dello stesso tipo ogni volta, e i luoghi sono sempre stati quei 2-3. 
Tant'è che di questo proceduralume ho amato l'episodio soltanto del peschereccio, che almeno era nuovo. E che peraltro mi ha aperto tutto un mondo su Dallas Howard Buyers Club che non immaginavo. 
Ma se alla fine ho amato gli ultimi 3 episodi della Stagione 2, per una simmetria tutt'altro che casuale, è stato perché... bastavano quelli.
Sì, Ahsoka. Fighissima, uao. Rinascita della Dawson. Trucco della madonna. 
Puccettino e Valker coppia dell'anno. Chi lo nega. 
Orde di ultratrentenni che stravedono per un pupazzetto cucciolino. La vittoria della major.
Il tema indovinato in pieno (ma Williams? Non ti vergogni?).
Ma la ciccia? Non per fare l'antipatico social, ma tutto questo rinviare a cartoni animati e romanzetti non si discosta molto dallo strizzare l'occhio di abramsiana memoria. 
E' vero, questa FOOOORSE è la volta buona che mi convinco a sciropparmi i milioni di puntate del Filoniverse. Ma l'ho già detto altre volte e non ho mantenuto la promessa. 
E Padron Liuk? Perché, alla fine, SI RITORNA SEMPRE LI' (e sempre alla magia dell'eterna giovinezza)? In cuor mio ho una risposta che non mi piacerà: e se non ci fosse altro da aggiungere?
Ma vediamo se con Boba Fett compiono un'altra magia. In parte lo hanno fatto, con quel temino adorabile. 
p.s.: meno male che tolgono la Carano. Peraltro la ricordavo più fregna. 
p.p.s.: Ming-Na Wen c'ha quasi 60 anni. 

Nota del curandero: sì, è una serie tv. 

(2021)


AAVV: Star Wars. The Book of Boba Fett

Spin-off di Mandalorian. Il format è tra più idioti o tra i più geniali di sempre, diciamo che è tra i più assurdi. Quattro puntate secondo copione, una quinta presa di netto da Mandalorian, e due di cross-over. Quella che resta più impressa è la quinta, il ché è indicativo. Come è indicativo che, anche in questa occasione, finiamo di nuovo a PADRON LIUC. Alla fine, di Boba Fett e del suo cast da sit-com camorrista non ce ne fotte nulla, ed è un peccato, perché comunque i flashback indie in cui il glorioso cattivo dei gloriosi film diventa un bonario pacioccone sono simpatici, soprattutto per - di nuovo, ancora - il tema musicale (ormai sanno fare solo questo). Ma come può questo competere con Baby Yoda e Andrea Mete?  

(2022)


AAVV: Star Wars: The Mandalorian S3

Stagione da considerare a parte rispetto alle prime due. E già questa compartimentazione è fastidiosa. 
Ma paradossalmente il limite di questa terza miniserie è quella di essere fin troppo poco compartimentata, cioè l'essere tutta un rimando a cartoni animati e romanzi riservati a pochi iniziati. 
Di per sé, non è altro che una sequela di chiacchiere e di andirivieni negli stessi due-tre posti, tutte finalizzate al consueto scontro finale col villain tornato per morire (fino a che non si cambierà idea, i cloni servono a questo), con in mezzo una puntata-riempitivo folkloristica. Tutto sommato, il format delle stagioni precedenti. 
Ma decisamente qui è mancata la ciccia. Ci siamo sempre lamentati di come tutti i prodotti starwarsiani recenti siano finiti immancabilmente nella comfort zone di Padron Liuc e della sua misticanza, ed era una lamentela in prospettiva: cioè, temevamo che usciti da quel perimetro di sicurezza, non ci sarebbe stato qualcosa all'altezza a rimpiazzarlo. Tra Andor e questa reunion dei Mandaloriani, non ci sembra di avere avuto tanto torto.
Seppure non abbiamo avuto ancora l'ardire di seguirle, ci risulta che le serie animate non siano un mero collage di sparatorie e di chiacchiere militaresche: la mitologia filosofico-esoterica dovrebbe esservi sviscerata. E allora perché nel live action ancora si tituba, su questo aspetto? Si teme la deriva fantasy? Perché dovevano immaginarlo che, a noi pubblico generalista, di Bo-Katan e dei suoi compari ce ne sarebbe calato sino a un certo punto.
Comunque il meraviglioso temino della serie c'è (non quanto vorremmo, ma c'è), il rimpiazzo di Pascal (cioè Mete) e la marionetta sono ormai classici della serialità televisiva a cui vogliamo un mando di bene, i comprimari regular sono amichevoli, Jack Black e Christopher Lloyd li abbiamo avuti (Lizzo non sapevamo chi fosse, ma ha un bel faccino), scenari e regie sono state sempre di buon livello. Per cui il compitino merita l'ampia sufficienza.
Ma secondo noi è meglio chiuderla qui, con questo format.

(2023)



AAVV: Star Wars. Obi-Wan Kenobi

Serial che fa da trait d'union tra lo SW "originario" e quello adottato da Disney Senza Walt: è una specie di Rogue One, laddove però quello si connetteva esplicitamente al classicume solo alla fine, mentre qui è tutto apprecchiato fin dall'inizio. È un ulteriore step evolutivo, nonché, da un certo punto di vista, la prima vera manifestazione dell'universo espanso su celluloide digitale, con tanto di primo cast filmico che si presta a spinoffare di persona personalmente (e quindi Tarkin resuscitato non lo contiamo, ma nemmeno Boba Fett, che nei film era poco più di una comparsa). E, dunque, se Rogue One era una palla per due ore, ma si esaltava nei minuti conclusivi, qui le ore pesantucce sono quasi quattro, ma in compenso sono quasi due quelle buone. Solo che, come già accaduto per il Mandaloriano (dal quale è pure copiato lo schema della baby spalla), a salvarsi sono l'inizio e la fine, mentre di quel che dovrebbe costituire la polpa resta giusto un po' di succo con coloranti (le iscrizioni, le tombe dei Jedi), spremuto su azione insipida, andirivieni riempitivi e personaggi petulanti (non la bambina). [No, a nostro avviso in questo brand non ha senso criticare i buchi di sceneggiatura e le facilonate, altrimenti dopo Episodio IV avremmo dovuto buttare tutto nel cesso.] 
Nelle due ore buone c'è invece esattamente quel fanservice ruffiano che solo Disney sa curare così amorevolmente, con le interazioni del cast storico che volevamo e una seconda bambolina (dopo Yoda) da tenere sempre in braccio e a cui schiacciare il nasino tutto il giorno o sgridare quando fa la birbante. Ma, soprattutto, c'è un'ultima mezz'ora bellissima e coinvolgente, con lo scontro non finale e l'addio mondi: guarda caso, quella più prettamente starwarsiana e meno adottiva. Certo, tirando le somme, siamo ancora, inesorabilmente, inestricabilmente, impietosamente ed inevitabilmente fermi a Padron Liuc, a Tatooine e ai soliti punti fermi, e ora pure con Ward come nemesi di Prando (il doppiaggio definitivo, sebbene Ward con Vader c'azzecchi poco). Ma, insomma, se altre cose proprio non le si sanno fare, tanto vale rifare sempre le solite, se fatte bene. Ma solo se fatte bene. E viva la Holt.

(2022)



Shane Black: The Predator

Incipit in stile spielberghian-disneyano: un remake diverso dall'originale (comunque migliore).
Poi arrivano i matti, e Olivia Munn, che fa la troietta, e c'è una scena volgare totalmente fuori contesto; anche se, bisogna ammetterlo, "leccati la fica" è proprio una cosa che si potrebbe dire a Olivia Munn.
Il target a questo punto è cambiato, anche i ragazzini diventano stronzi (non cattivi alla Stephen King, che è diverso) e il film passa ad essere un action spaccone contemporaneo, che peraltro pian piano si annacqua in scene dalla regia confusa e già vista.
O almeno credo. Ad un certo punto ho perso interesse e mi sono ritrovato a pensare a ciò a cui la mia mente pensa quando si riposa, cioè alle cronologie Bonelli. 
Nell'ultima scena mi sono ridestato e mi sono chiesto: "ma Olivia Munn? Si è leccata la fica? Neanche ce l'ha fatta vedere, 'sta troietta". 

(2020)


Kristoffer Nyholm: The Vanishing - Il mistero del faro

Mah, speravo fosse come The lighthouse (che non ho visto), invece mi sono annoiato. 
Alla fine potevano andarsene quando volevano!

(2020)


Christian Rivers: Macchine mortali

Primi minuti notevolissimi, potenti. Tutta la prima metà del film è davvero figa, come Hera Hilmar. Non conoscevo minimamente questa ennesima saga iang edalt e questa idea delle città semoventi cannibali nel futuro prossimo mi ha travolto come un harakiri arabo (harabiri?).
La seconda metà del film è la solita saga iang edalt e ho cominciato a pensare ad altro.
Facendo la media, direi buono.

(2019)



Rob Letterman: Pokémon. Detective Pikachu

A parte i versi stranianti e il Gengar/Slimer (ma perché?), un ennesimo piccolo capolavoro di questo brand. Nella scena di Cubone e nell'arrivo in città c'è tutta la magia di questo mondo meraviglioso, la utopia più bella di tutte. Certo, la storia in sé non è nulla di nuovo, ed è piena di strizzate d'occhi, ma si gioca comunque delle carte intelligenti (il dare un senso al pokemon parlante), e, ad esempio, nella sequenza dei Torterroni, ti sbatte in faccia tutto il sense of wonder tipico degli oav. Chi scrive rimase sbalordito dal primo film d'animazione - visto al cinema per avere la carta omaggio - e tuttora rammenta quell'atmosfera allucinante della piattaforma sul mare in tempesta come una delle cose più lovecraftiane e avventurose di sempre. Qui siamo in città, tutto si svolge in ambienti più americani e vicini a casa, ma devo dire che un pizzico della magia provata vent'anni fa si è riverberata sui miei occhioni lucidi (e, comunque, il Ditto pazzo è orrorifico a dir poco). Mi duole sapere che sia stato un flop e che non sia diventata una nuova serie.

(2021)



Malcolm D. Lee: Space Jam. A new legend

Chiariamo una cosa. Peraltro lo lascia sottintendere La Tana del Sollazzo quando ci ricorda cos'erano i Looney Toones nei '90. Il primo film non era affatto brutto né stupido, anzi era uno zeitgeist bello pieno. Questo secondo film non lo è: è già roba vecchia, sorpassata... i videogiuochi demonizzati, sul serio? Nel 2021? Certo, io sono un vecchione, e francamente ho trovato questa partita davvero bruttina, così come il "serververso" abbastanza triste. Molto buona invece l'animazione a scritture miste e, essendo un vecchione, confesso che la scena di Michael Jordan - che bramavo da sempre, o almeno da quando è spuntato questo tizio - mi è sufficiente per farmi piacere il film. Ma certo i LT mi sembrano davvero andati, ormai.

(2021)


Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle (trailer)

Quando esce l'acscion figar di lei? 

Per il resto, passino Black e Rock; il resto sembra tutto sbagliato. 
Ma io posso vedere i rinoceronti al computer nel 2017?

(2017)

Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle

E invece non era tanto sbagliato, eccetto le terrificanti gag gender per neonati.
Quando la scatola decide di diventare videogiuoco è molto figo.

(2018)


J.A. Bayona: Jurassic World. Il regno distrutto

Qualche anno dopo, del primo film mi sono rimaste solo le palle che rotolano. In compenso, amo ancora di più la vecchia trilogia.

Ma questo secondo l'ho trovato simpaticamente caruccio, e i motivi sono scontatissimi:
- è letteralmente copiato dai primi due vecchi;
- finalmente porta il brand nell'unica direzione possibile, dove avrebbe dovuto andare già nel precedente.

Vediamo come sarà il terzo/sesto, ma spero sia l'ultimo.

Non ho capito perché il personaggio di Pratt è scazzatissimo.
Ah, e la bambina-clone. Di chi? Del dinosauro? Rettilian Park?
Della Chaplin non mi fotte nulla, poraccia.

(2019)


Colin Trevorrow: Jurassic World. Il Dominio

E finalmente ci siamo arrivati. Che fatica. Eppure era così ovvio, no?, che un nuovo film di questo brand, realizzato dopo il 2010, avrebbe dovuto mostrare i dinosauri liberi pel mondo, e il vecchio cast confrontarsi con questo scenario mutato. E invece no, prima bisognava fare il remake, poi il remake del seguito... e arrivare sfiancati alla svolta decisiva. 
Ma per fortuna adesso abbiamo questo capolavoro... giusto? Sbagliato. Abbiamo invece un film che per un'ora e passa ci mostra i soliti quattro dinosauri divenuti famosi nel '93, senza approfondire quasi nulla del nuovo ecosistema (c'è solo l'immancabile riassunto al telegiornale), e che, ad un certo punto, vira pure sull'action spionistico, costringendo Neill e Dern a girare per il laboratorio dello scienziato pazzo con gli scafandri (sigh). Il tutto condito con dialoghi che definirli tali è già fare loro un complimento (con un tripudio di "What?/Cosa?" smorfiosi che si presume dovrebbero farci ridere). Si potrebbe considerare positivo il non aver abbandonato la demenziale idea della piccola clone e averla, anzi, resa la vera protagonista del film... senonché l'idea continua ad apparirci abbastanza triste. 
Superata la metà, il film abbandona le velleità modernistiche e si rituffa nella fuga del gruppone dai dinosauri malvagi, e qui, finalmente, riesce a creare un minimo di coinvolgimento, dato che si prende anche il lusso di mostrare due dinosauri nuovi, il Quezzarcuato (sicuramente un omaggio allo scomparso Piero Angela) e quello piumato. C'è anche spazio per l'abbondante (dapprima gradito, poi ridondante) ritorno del dinosaurino che sbranò il ciccione del Capolavoro di Spielberg. Quel poco di empatia che si era creata viene però buttata nello sbrigativo finale, che di definitivo non ha nulla: ormai i dinosauri lì sono e lì restano. Certo, la vera minaccia del film non sono loro, ma le locuste ogm: però, francamente, dai... davvero ve ne fregava qualcosa delle locuste?
Gli attori, al netto dei risibili copioni che sono costretti a leggere, sono abbastanza in parte, anche se il personaggio di Pratt persiste ad avere le palle girate (forse per via delle altre volte); e, ovviamente, alle vecchie glorie hanno dovuto rovinare le vite per avere la scusa di ricongiungerli nuovamente. Scopriamo, anche, che la presenza dell'asiatico fin dal primo JW non era casuale, dato che qui colui che, di fatto, è il vero creatore del franchise, viene totalmente riabilitato e reso coprotagonista. 
Il film delude pure sul piano visivo, con una regia complessivamente piatta e televisiva, e con effetti speciali che a volte sono meno che normali: ad esempio, quando i Raptor "schizzano via" con l'avanti veloce. Boh. 
Quasi dieci anni fa (gulp!) ci eravamo approcciati tutt'altro che ostili al rilancio di un universo che avrebbe potuto avere qualcosa da dire, se sviscerato a dovere. Oggi, tuttavia, anche basta, grazie.    

(2023)



Gareth Edwards: Godzilla 

Piaciuto ma annoiato. Alcune belle inquadrature, vago rispetto per l'originale; ma gli attori famosi durano poco e tutto è terribilmente ovvio. Se chi lo ha scritto fosse stato un genio lo avrebbe ambientato tutto nel 1999 e lo avrebbe fuso con quello del 1998. Binoche e Reno in fondo si conoscono (Jet Leg è del 2002, ma ero convinto fosse del 1995 perché l'avevo confuso con French Kiss: ma il problema sarebbe stato facilmente risolvibile mettendo Kline al posto di Cranston). 

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 

Piaciuto e divertito. Varie belle inquadrature, vago rispetto per l'originale, gli attori famosi durano molto (adorabile l'inutilità di Hiddleston), tutto è terribilmente ovvio ma allo stesso tempo diverso. Il regista, vivaddio, ha lo stesso approccio di McFarlane nel Milione di modi per morire nel West (ma senza la merda): è un bambino che gioca con i suoi pupazzetti mettendoci tutto quello che gli piace. Tanta isola, tanta natura selvaggia, tanto giorno: c'ho visto molto Jurassic Park. E la furbata del vintage funziona.

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 2° versione

Con una certa sorpresa (tre cose odio nei film: gli escrementi, i mafiosi simpatici e i mostri in digitale che ruggiscono), confesso che mi è piaciuto. Gradevole intrattenimento estivo (perché è uscito in inverno? boh). 
Hiddleston non fa una mazza :D , Larson mostra le bocce (ma Karen Gillan di Jumanji 2 non si batte), Jackson è stereotipatissimo, Goodman inutile, gli altri boh, solo Reilly gigiona. Però (come nel nuovo Jumanji) sono tutti delle action figures già pronte. Venticinque anni fa avrei già trovato i pupazzi Mattel nei negozi. E' una cosa che valuto positivamente (mica faccio il critico).

Location selvagge dall'inizio alla fine, la collocazione vintage azzeccata, un po' di mystero, un sacco di avventura pura e un regista che gioca con i pupazzetti mischiando riferimenti pop per associazione d'idee (esattamente come facevo io) e spesso mette in piedi belle inquadrature che invogliano a giocare con lui.

Un film di King Kong che non solo non mi ha abbioccato, ma mi ha pure divertito. Me lo segno.

(2017)


Michael Dougherty: Godzilla II. King of the monsters 

Annoiato più del primo. Sì, è un film di mostri; sì, i mostri sono fatti al computer ma sembrano proprio animali preistorici; sì, i mostri se le danno di santa ragione, come doveva essere; sì, l'ultima scena è proprio quella che aspettavamo fin dal titolo. Sì, pure la mitologia ha un suo fascino, perché no.
Ma purtroppo gli umani sono terribili, i soliti standard characters americani, Vera Farmiga è nel ruolo peggiore della sua carriera (più della tossica metallara), la ragazzina è una cosa strana, insopportabile, il padre è un essere inutile, il giapponese muore pur di non prestarsi più a tutto questo, ed è sempre buio, così non si capisce niente.
King Kong è più volte menzionato, ma mai per nome, metti che il team-up non si fa più.

(2021)


Adam Wingard: Godzilla vs Kong

Lo volevamo? Eccolo. Ma forse lo volevamo di più dieci anni fa. Si è fatto attendere troppo. Lo si vede già dal cast: dove sono i grandi nomi di Skull Island? Vabbè, quello era un flashback, ma si è capito cosa intendiamo. E allora diciamo che le due, di numero, scazzottatone tra i due sono state anche abbastanza gradevoli; senza sorprese, ovviamente Gogira batte Chincon che batte, con l'aiuto del rivale, MeciaGozzilla. E diciamo che abbiamo apprezzato l'aver spostato l'asse più verso Kong che verso il rettile (questi il sicuel l'aveva già avuto), e quindi aver visto la Terra Cava con tutti i mostriciattoli annessi, e il gorillone buonone che parla a gesti come in Congo. Ma insomma, a parte questo poco altro. Una regia che prova pure ad avere qualche guizzo  anninovantesco, ma poi deve comunque sottostare alla legge della compiuter graffica e delle scene in notturna per coprire i bug (ma anche qui s'è visto di peggio, diamogliene atto). Fortunatamente, per compensare l'eccessiva lunghezza dei minutaggi, oggi i copioni prevedono per contratto vari momenti piatti in cui potersi appisolare. Qui l'ampio uso di personaggi umani stereotipati contribuisce al raggiungimento del risultato.

(2023)



Denis Villeneuve: Dune

Verstappen campione del mondo: in questo strambo 2021 (che per me è il 2022) doveva succedere anche questo. Finalmente Gilles imbrocca un film. Stappèm le campagne! Dopo l'anonimo Prisoners, il soporifero Sicario (capace di farmi dormire anche col suo prequel italiano), il mediocerrimo Arrival e l'inutile Coso 2049, nemmeno la Salernitana avrebbe potuto sbagliare anche questo, e infatti non l'ha sbagliato. O, almeno, così ci piace pensare, dato che il romanzo di Herbert non ci ha mai entusiasmato (per noi Herbert è quello che confondiamo sempre con Hubbard)... ma non solo: è proprio questo tipo di "fantasyenza" a non attrarci, con la sola eccezione di Guerre Stellari, che ne era quasi la parodia (e probabilmente per questo motivo). Eppure, nonostante questo film sia un inno a tagliuzzarsi col rasoio, e nonostante anche qui il sonno abbia avuto la meglio sul discernimento degli ultimi accadimenti, in certe sequenze (perlopiù panoramiche, ma non solo) abbiamo rintracciato la grandeur che avremmo voluto trovare, per un curioso paradosso nerdistico, nella terza trilogia guerrestellaresca, dove faceva capolino solo un paio di volte, di sfuggita. Ma perché da una parodia dovremmo pretendere l'epica di un polpettone prussiano? Ma che ne so, se si chiama "space opera" e non "space vaudeville" ci sarà un motivo. Dicevamo del romanzo (ignoriamo volutamente seguiti e Lynch): non lo abbiamo mai letto perché così è andata la vita, però ne conosciamo a grandi linee l'intreccio e i retroscena; andando a documentarci, abbiamo scoperto che anche questo film ha apportato modifiche a suo uso e consumo; parafrasando Socrate, se abbiamo detto che del romanzo non ci importava molto, non ci importerà molto nemmeno di questo. Il problema è che, ripensandoci a mente fredda, effettivamente, in queste interminabili due ore e mezza, per noi ridottesi a due ore causa abbiocco, stringi stringi, non sono accadute poi così tante cose, e alcune di queste sono accadute alquanto frettolosamente e disempaticamente (tutte le morti dei comprimari famosi, per capirci). Alla fine, cosa ci è restato di questi anni '80 ridisegnati? Belle fotografie; computer grafica fluida e amalgamata col live action (grande vittoria, questa, lo confessiamo); mezzi meccanici che sembrano veri; un vermone credibile (perché astutamente mostra solo la faccia); la fidanzata di Spiderman che si volta, come negli spot delle creme solari. Niente di imprescindibile, e, soprattutto, niente che Herbert avrebbe posto in primo piano. Comunque è un film in cui Javier Bardem fa un cameo di due minuti, quindi molto coraggioso. Ma manca qualcosa, e non è solo la seconda parte. Eppure, come direbbe Hamilton, "qualcosa è sempre meglio di niente".

(2022)


Martin Scorsese: Silence 

Sotto certi aspetti è un film d'altri tempi, da maestro: immagini bellissime e una cura per i dettagli che, da sola, sfiora il sense of wonder. Si vede il tocco del regista. Però è anche un film eccessivamente lento, con punte da palla colossale. Va bene sfidare l'ordine costituito (la moda dei film d'azione industriali), ma, se proprio devi votarti al martirio, almeno non farlo così lungo.

(2022)


David F. Sandberg: Shazam!

Ciacc Bartoschi nella sua grande occasione ci inebria di soddisfazione, senza un reale motivo, a dire il vero: non è solo lui, a rendere riuscito il suo telefilm. Una prova in palla, la sua, comunque: però sentirlo con un'altra voce ci ha un po' infastiditi. Ma il film ci è parso alquanto modesto e infantile, tant'è che, ad un certo punto, ci siamo distratti e non abbiamo più ripreso il filo, salvo ritrovarci ai titoli di coda copiati da Homecoming e ad un finto cameo postcredits che lasciava perplessi anche prima dei recenti avvenimenti. E, a parte l'anziano Honsou, abbiamo rimosso quasi tutto.

(visione: 2022; commento: 2023)


Jason Reitman: Ghostbusters: Legacy

Titolo poco convincente per un filmetto che intrattiene ruffianamente fino alla fine, con un piccolo calo nella parte-clou riproposta quasi para para dal primo film (ma anche le novità della trama erano scontate fin da subito: a me è andata bene perché ho saltato il prologo per cause di forza maggiore, ma chi lo ha visto poteva indovinare il finale dopo due minuti). Cast nuovo abbastanza in palla, mentre il confronto tra quello vecchio nella forma attuale e lo stesso nella forma dei tempi d'oro è relativamente impietoso: non perché i tre superstiti siano da buttare, ma perché i loro personaggi, da irriverenti e sbruffoni, sono divenuti anziani lamentosi. A questo punto, comunque, direi che è il caso di far morire il brand in pace, anziché tormentarne il fantasma.

(2022)


Justin Benson & Aaron Moorhead: Synchronic

Fantascienza "indie" una decina d'anni fa originale e capace di appassionarci enfaticamente. Arriva un po' in ritardo, quando il filone è stato svuotato dalle major e ci ha perso appeal, ma fa il suo, intrattenendo convintamente dall'inizio alla fine. A dire il vero, l'inizio è a forte rischio noia: ma forse levarsi subito di torno le psichedelie e la parte "urban drama" è stata la mossa giusta. La seconda metà è quella dei viaggi nel tempo: come si fa a trattare ancora questo tema facendolo sembrare nuovo? Beh, quella proposta è una soluzione. Tanti paletti, in modo da rendere i cronoviaggi delle vere esplorazioni, laddove per "vere" si intende "realistiche", cioè come le vivrebbe uno sfigato qualunque, per il quale anche svoltare l'angolo, in un'altra epoca, è avventurarsi nell'ignoto. Dieci anni fa Mackie non ci entusiasmava, ora ci piace, e quindi va bene: il finale poteva concedergli qualche minuto in più. 

(2022)


Robert Eggers: The lighthouse

Prima ora e dieci magistrale. Capolavoro, classico istantaneo. Due interpretazioni immediatamente iconiche, costumi set luci sfondi, utilizzo del b/n che dà lezioni anche a cineasti blasonati, tutto perfetto. Tecnicamente è un crescendo, ma per noi è un tempo sospeso che vorremmo non finisse. Ma appunto è un crescendo, e quindi esplode in una grottesca sequenza "porno", e da lì si discende veramente nel delirio. Una quarantina di minuti abbastanza cruda, o almeno ferale, e quindi di difficile revisione. Ma quell'ora e dieci... In fondo, molti Classici non lo sono letteralmente per intero. Sembra un film che può davvero entrare nell'elite dei sempre riguardabili.  

(2022)



Akiva Schaffer: Cip e Ciop Agenti Speciali

Il primo miracolo è che sia riuscito a vederlo. Il secondo è che è un film di produzione recente che ho già voglia di rivedere. Non c'è due senza tre: chissà. Eh sì, è Roger Rabbit 2.0, ed è complessivamente inferiore al capolavoro, eppure è un film bello e divertente. Divertimento millennial, certo, per bamboccioni, chi lo nega. Ma è divertente: il rap della balena l'ho già cultizzato. Tutto - lo sfondo "geopolitico", i camei, l'animazione - non ha la magia di Chi ha incastrato..., e quel che resta più impresso è Monty tossico. Ma è giusto così: decisamente gli anni '90 sono finiti negli anni '90. Bova&Morelli non irreprensibili, ma simpatici. Non mangio la balena, quindi per cena non darmi la balena.

(2022)


James Gunn: The Suicide Squad - Missione suicida

Sequel migliore dell'originale, ma stavolta ci voleva davvero poco. Tolto il paio di volgarità previste dai contratti, è un film abbastanza divertente pure per chi ha sempre trovato esagerata la grancassa sui Guardiani della Galassia: far ridere, oggi, è facile; è essere seri che è difficile. L'incipit prologico è studiato per catturare l'occhio, e ci riesce: sia con lo sterminio dei freaks del primo film, che, e soprattutto, col look stravagante di Rooker. I personaggi sono decisamente più azzeccati che nel film di Ayer, considerato pure che i due protagonisti di quello sono qui quasi stravolti: nel senso che questa Harley Robbie rinuncia del tutto al look che l'aveva resa iconica e segue l'andamento del canovaccio, adattandosi di volta in volta; mentre il personaggio di Elba non è quello di Smith, ma praticamente lo è, ed è più credibile qua. Ben costruiti anche i due comprimari ponzati per generare empatia, la topara narcolettica e l'uomo squalo ritardato, e guarda caso sono i due che sopravvivono. Peraltro, la delusione per la totale assenza di riferimenti a Stallone nell'edizione italiana è controbilanciata dall'irriconoscibilità della voce di Ward; ma va detto che non abbiamo riconosciuto nemmeno la Rossi, e sì che è almeno la terza volta che incontriamo il personaggio della Davis (sempre cazzutissima). Simpatico anche l'uomo a pois. Peacemaker, invece, ci è sembrato solo uno stronzo, ma lo spin-off lo hanno dato a lui. Vabbè. Nonostante la vena con pretese d'irriverenza, è comunque un film di supereroi, e dunque destinato al parziale oblio geriatrico (dai e dai, si assomigliano tutti). Ma, sul momento, le sequenze simpatiche e ben girate sono diverse: lo sterminio del campo dei rivoluzionari e l'evasione di Harley spiccano per durata e coreografia, ma ci è piaciuto anche il crearsi dell'alchimia nel gruppo, con le scenette dei topi e dello squalo. Alquanto manifesta la critica governativa, cosa che, volendo, potremmo considerare una piccola sorpresa (non che anche l'MCU non avesse dato, in questo senso, ma qui è più sbandierata). La parte finale, come l'iniziale, cerca nuovamente di catturare l'occhio, ma stavolta letteralmente, con l'introduzione di Starro. Scusateci, non potevamo non scrivere questa battuta. Scontro dall'esito scontato, anche coreograficamente, ma certo non insensato (grottesco sì). Forse facevamo il tifo per Starro. Insomma, film astutamente congegnato e che ha consegnato a Gunn le chiavi del potere: speriamo che almeno 'sta rivoluzione non diventi dittatura. 

(2023)


Lana Wachowski: Matrix Resurrections

Le recensioni dell'Anonima Cinefili e dei 400calci sono sufficientemente esaustive. Per noi il primo film è un cult per via del contesto, più che per l'opera in sé. Il secondo e il terzo ancora meno: li vedemmo addirittura al cinema, ma ce li ricordiamo più per Rat-Max. Questo quarto film ci ha procurato lo stesso identico status psicofisico degli altri tre: una cornice di gasamento, con all'interno un irresistibile abbiocco. E già questa è stata una sorpresa, ci eravamo rassegnati al solito requel piatto e triste. Invece ha sciorinato molti altri difetti, ma non quei due. Ci ha pure, qua e là, di soppiatto, infilato qualche pregio: ad esempio l'inserimento dei vecchi spezzoni lo abbiamo gradito, e pure tutta la lettura meta ci è parsa paciosamente bonelliana. Naturalmente non è mancato il repertorio delle Uacioschi donne, da Sense 8, tipo il cast di quel telefilm, i vestiti alla Malgioglio e Trinity più forte di Neo; roba che inevitabilmente non abbiamo gradito, ma che non ci ha colti impreparati. Cosa che invece ha fatto Pinketts Smith, improvvisamente decrepita. Insomma, questo film, che, nel complesso, ci è sembrato più "vero seguito del primo" rispetto ai secondo e terzo, è riuscito persino a spiegarci, dopo quasi venti anni, l'inintellegibile bambina indiana, rompicapo tormentone finalmente archiviabile.

(2022)


Matt Reeves: The Batman

Inizia maluccio, con un monologo soporifero e un'impressione generale di poverata. Pian piano, si riscatta e si arriva a comprendere l'intento degli autori, ovvero riprendere Detective Comics: una buona trovata, che differenzia questo dagli altri diecimila film sul personaggio. Non diventa mai un film particolarmente eccellente, con sequenze o battute memorabili, ma un intreccio giallo-noir-thriller (cioè mistery) è sempre la chiave giusta per tenere desta l'attenzione (lo diceva anche Sclavi: "dev'esserci sempre un mistero da risolvere"). Questo - possiamo dire: quasi a sorpresa - riesce finché... il mistero non viene svelato. A quel punto il film è finito, ma gli autori debbono per forza attribuire all'Enigmista un piano "alla Bane di Nolan". Risultato: un ulteriore mezz'oretta, o più, ridondante ed inutile, che conduce ad un finale capace di dare un senso etico a questo ennesimo Batman, ma comunque abbastanza piatto da vedere o ascoltare. Il cast è - sorprendentemente, lo ribadiamo - abbastanza azzeccato, compreso Gordonero, e pure Selina ha effettivamente un volto da micetta. Il protagonista, un'altra sorpresa, passa più tempo in costume che senza, al contrario dei suoi predecessori: forse perché, in borghese, non è ancora molto credibile; mascherato, però, risulta autorevole ed inquietante, come un Batman dovrebbe sempre essere. Sorprendente anche Crescentini, ormai prezzemolino, e con un timbro che teoricamente con Batman c'entra come i cavoli a merenda; e invece, vedi che la verdura fa bene? Pure la colonna sonora (o, se non altro, il tema di Giacchino), che all'inizio mette tristezza, arriva progressivamente ad avere un minimo di pathos. La chiave con cui è reinterpretato l'Enigmista non è la più originale possibile, ma anche qui, il "Fantomas" terrorista dalle mille identità è un Classico senza tempo, che mai stanca; ma assolutamente il suo "vero piano" non avrebbe dovuto essere rivelato; ora è il solito pirla. E Giocher? Diosanto, pure qua? Meno male che l'hanno tagliato. A Pinguino, invece, non avremmo abbinato Boccanera, tanto che sia Farrell non si capisce mica. Il maggiordomo, infine, è anonimo: possiamo dire "finalmente"?

(2022)


Keith Thomas: The Firestarter

Non amiamo molto la pirocinesi: quindi il romanzo di King è quello che ci interessa meno, e il film vecchio non l'abbiamo visto (ma ne amiamo moltissimo il titolo italiano). Qui il titolo è quello originale, metti che ci confondiamo, e possiamo dire di non aver visto nemmeno questo, avendone saltato dei pezzi. E allora perché ne scriviamo qui? Intanto perché c'è Zac Efron che si ostina ad avere un'età indefinita, che lo rende giovane e vecchio al contempo: è più vecchio di quando era giovane, appositamente per far sembrare vecchi anche noi; ma non è proprio vecchio, perché tutto sommato ha ancora quegli occhi glamour, però noi invece siamo indiscutibilmente vecchi, come è possibile? E questo è già un motivo. L'altro è che, nell'ultima parte, quando la pimpa si scatena, visivamente parlando il film si sforza tantissimo di non sembrare un film odierno, giocando di scuri e rossarancio, e soprattutto tenendo ininterrottamente un ipnotico temino in stile anni '80, che non sappiamo se sia lo stesso del film vecchio (non avendolo visto, vedi sopra). 

(2023)


Paolo Virzì: Siccità

Film italiano contemporaneo con un tocco di fantascienza sociale, che già da solo vale una visione. Il Tevere prosciugato fa il suo effetto (speciale), ed è bella la sequenza in cui si scopre che dall'alveo è emerso il Colosso romanico. Invece gli effetti del razionamento dell'acqua fanno più da sfondo sotteso, anche se le file alle cisterne e i bacarozzi li vediamo più volte, e non manca il tormentone dell'acqua della Valtellina, mentre la scena al supermercato è soltanto una e breve. Infatti, il film preferisce concentrarsi più sulle storie dei personaggi, ricordandoci che si tratta comunque di un film italiano contemporaneo. Ma, pur essendo contemporaneo, sembra rifarsi alla gloriosa "commedia all'italiana" degli anni 1970 (che non faceva ridere di gusto, ma empatizzare nel disgusto), pure nella sua coralità di caratteristi: i personaggi di Tortora, Orlando e Mastandrea, in particolare, sembrano provenire proprio da quel tipo di cinematografia. Poco sfruttato quello della Pandolfi, invece; fin troppo quelli della Fanelli e del bodyguard; poco incisivi lo scienziato vip e la diva.

(2023)


SKY Atlantic: 1992/1993/1994

Serial italiano all'americana, dai risultati migliori di quanto lascerebbe pensare un'occhiata superficiale. Certo, l'approccio è americano: quindi spettacolarizzazione degli eventi storici, nudità (ma è Miriam Leone, mica chiudiamo gli occhi), alcuni personaggi riadattati (Di Pietro fighissimo, non sembra tanto quello vero), altri erano già macchiette dal vivo (S.B. su tutti).  
La prima stagione è su Tangentopoli e la crisi delle ideologie, la seconda sulla nascita di FI, la terza si concentra sul primo governo B. La prima, tirando in ballo i partiti storici, è un pelo più assortita. I protagonisti - di fantasia - sono tre: Accorsi, Leone e Caprino; il primo ha una rilevanza lievemente maggiore; il nostro favorito è il terzo: abbiamo impiegato più di una stagione a renderci conto che si trattava del Commissario Manara, ma dopo averlo riconosciuto è stato una sorpresa continua. Il personaggio di Accorsi rappresenta quel tipo umano che detestiamo da quando portavamo i calzoni corti, il "rancoroso con la sinistra che va a destra per dispetto". Nel suo tratteggio, comunque, ci è parso verosimile. Leone fa la zoccola che diviene vip che si dà alla politica arrivista: un personaggio quasi assurdo, eppure ispirato ad alcuni realmente esistenti. Il leghista di Caprino si presenta fin da subito con qualche connotato un po' eccessivo, tipo che era un militare del Golfo, ha il padre ludopatico, poi si rigira tutti i Big del partito a suo piacimento (ed in questa semi-finzione è lui quello del cappio in Parlamento), e in generale, sia lui che Accorsi vanno in galera e commettono omicidio. Ma diciamo che le spettacolarizzazioni servono ad esemplificare alcuni concetti altrimenti difficili da rappresentare, su tutti le origini "oneste" ("disciamo", cit.) dei personaggi e della rabbia contro la partitocrazia. Col passare delle puntate, naturalmente, sul trio protagonista si intreccia tutta una telenovela nazional-popolare che giunge ad un suo compimento irreversibilmente novellistico. Ma ciò che a noialtri attrae l'occhio è l'inconsueto - per la produzione italiana - sciorinare di nomi ed eventi storici, con un parterre vastissimo di camei e partecipazioni (anche di attori celebri), ed è evidente come, oltre ai personaggi di fantasia, siano da considerare semi-protagonisti Di Pietro e S.B., il primo più nelle prime due stagioni, il secondo nelle ultime due (nella prima è solo una minaccia incombente). In particolare, un S.B. così, in una fiction italiana, non lo avevamo mai visto (e grazie tante, a parte Il caimano e Loro è stato sempre tutelato). E questo nonostante il cambio di attore tra seconda e terza stagione, che non ha tolto nulla ad una mimesi che ci è parsa sempre riuscita. Un certo ruolo è dato anche a Bossi e Maroni (bravi gli attori, soprattutto il secondo), mentre al D'Alema di Marchioni bastano le due sequenze in cui appare per rubare la scena (notevole il "caruccio"). Buffi i camei di Melandri Finocchiaro Prestigiacomo e Mussolini che fanno una legge social warrior insieme. La seconda cosa che colpisce, visto il Paese in cui viviamo, è che si parla proprio del centrodestra, sviscerato senza troppe censure (qualche ellissi c'è, tipo i Graviano e soprattutto la P2, ma non si poteva rischiare la cancellazione), tant'è che sostanzialmente l'impressione che se ne ricava è che siano tutti delle merde, il ché avvalora le tesi che teorizziamo da trent'anni, e quindi siamo in pieno romanzo popolare consolatorio ("Il superuomo di massa"). Il centrosinistra non manca, ma è considerato quasi irrilevante. Se ne parla più per i trascorsi di Accorsi/Notte, e quindi sul tema prevale il suo punto di vista astioso, ma quando è il PdS a comparire in scena questo non appare poi così terribile. L'ultimo episodio della serie è ambientato nel 2011, nei giorni della caduta del B. IV. Uno stacco un po' tranciante, ma soprattutto un po' iettatorio, dato che simbolicamente vorrebbe rappresentare la fine di questa interminabile parentesi berlusconiana, e invece nel 2023 guarda come stiamo. 

(2023)


Andy Muschietti: The Flash

La combo "offerta a metà prezzo"/"cinema a 200 mt da casa" non solo ci ha riportati al cine, ma addirittura a vedere un film il giorno della sua uscita ufficiale nelle sale. Ora. Sapevamo bene che questo Flash hipster del cocainomane Miller fosse la macchietta della Giastis Lìg, se non altro perché così era stato presentato nelle sue precedenti apparizioni nello Snyderverse. Ma scoprire che almeno metà del kolossal ad egli dedicato sarebbe stato ai livelli di Strafumati ha interdetto perfino gente abituata a sciropparsi obtorto collo l'intera filmografia di Boldi e affini. Fortunatamente, avendo raggiunto da tempo l'apache dei sensi (siamo costantemente sul sentiero di guerra, nonostante la lotta impari), e soverchiati da una quantità multiversale di soprusi ed umiliazioni, vedere un supereroe fare il clown e dire battutacce adolescenziali dinanzi alle star di hollywood a fine carriera, non solo non ci disgusta più, ma sembra quasi sollecitare i nostri intinti più grassi (=solleticare, istinti, bassi). In fondo, è ciò che l'EmmeCiU fa da diverso tempo. Peraltro, abituati alle farse della serie tv, che però si prendeva sul serio (l'Arrowverse, fascinoso nel suo complesso, ma alla lunga insostenibile in termini procedurali), non possiamo certo definirci inorriditi dall'aver visto scenette demenziali come i balletti dei neonati e dei cani precipitanti o dal Barry-2 strafatto (in tutto il resto del film). Addirittura, in poche, certosine occasioni, ne abbiamo sorriso sotto i baffi. In fondo, se ai tempi di American Pie potevamo ancora credere che il livello intellettuale degli statunitensi non fosse effettivamente quello, oggi la fede incerta si è incarnata in dato di fatto. Gli americani sono questi: stiamoci. Almeno per loro il caimano è ancora un puttaniere. 
Miller, facendo leva sulle sue esperienze, giostra alla grande le due versioni (entrambe asperger) di sé stesso, soprattutto quella più sboccata, che con evidenza gli è più naturale. Ma quando c'è da recitare la parte del serio e compito giovanotto, non si tira indietro (forse presagendo che non avrà altre occasioni). Il resto del cast del personaggio-mondo è ridotto ai minimi termini: il padre che è un altro attore, ma non per colpa del multiverso; la madre, ispanica senza un motivo, Maribel Verdu senza un motivo, una Verdu anoressica e rugosa senza un motivo; Iris West, che per differenziarsi dal telefilm è di un colore meno carico. Tutto il resto è metacinema. Si comincia, ovviamente, con lo Snyderverse (Jeremy Irons con Ben Affleck che, in pochi minuti, riesce a fare sia il mentore che il Batman, dato che addirittura lo vediamo in azione; e poi Gadot e Momoa, quest'ultimo dopo i crediti perché inseguito da Vin Diesel). Si passa, dunque, ad un altro universo, quello di Eric Stoltz e di Temuera Morrison sposato con la moglie di Andy Capp. Che però è l'universo del Batman di Tim Burton: e quindi vai di set Lego (villa, caverna, soundtrack). Decisamente la parte migliore, quella in cui personaggi di un film si muovono negli ambienti di un altro film. Le ripetute e ossessive citazioni di Ritorno al Futuro non appaiono casuali: sembra proprio di rivederci, infanti, giuocare alle contaminazioni metanarrative, come ai gloriosi tempi in cui ci sparafleshavamo quella trilogia in loop e ne ideavamo improbabili e disinibiti remake con i pupazzetti e i fumetti. Keaton, nonostante la cialtronesca (ri)entrée, si riappropria rapidamente del ruolo, e lo tiene saldamente fino alla fine. Anche quando è costretto ad uscire dalla comfort zone e ad addentrarsi in questioni che poca attinenza hanno coi suoi trascorsi (Supergirl e il polo, Zod e la battagliona in cgi). La stessa Supergirl, pur meno graziosetta pucci pucci della Benoist, ha delle curve che attirano l'occhio (è il suo scopo, infatti fa poco altro). La battagliona, coerentemente con i precedenti storici, non è affatto interessante, e infatti il fulcro del film è un altro. No, non "Flashpoint": è una bella storia, ma l'abbiamo già vista tante volte. No, ovviamente ci riferiamo ai multiversi che si incontrano, e forse fondono (Muschietti ha detto che i mischietti sono voluti): ecco Superman di Donner e Reeve, e la Supergirl di Slater; ecco Superman di Nicolas Cage, leggenda urbana che prende finalmente vita; ecco Superman degli anni 1950, Batman di West, e un Flash in stile anni 1940 che ci dicono essere quello che faceva il pazzone nel telefilm di cui sopra (mah). Purtroppo, il tutto è in una computer grafica scadentuccia, da videogiuoco datato. Il parterro di re è pure incompleto: dove sono Val Kilmer, le varie gattine, Lynda Carter, i tizi dell'Arrowverse, i cartoni animati, il Flash degli anni 1990, Superman Dylan Dog e Ryan Reynolds? E Nolan? "Immagina, puoi", diceva il protagonista dell'ultimo, gustoso cameo, nel simpatico e posticcio finale. Che è come dire "Se puoi sognarlo, puoi farlo" (il motto della concorrenza). Ma forse la storia di "Flashpoint" ci insegna proprio il contrario. 

(2023)


Riccardo Chemello: Dampyr

Chiediamo scusa. Per il ritardo: quei tre giorni lì, quand'era al cine, avevamo l'agendina piena; poi, ne abbiamo subìte di tutti i colori; alla fine non ce la siamo sentita di farci vivi con tutto quel ritardo accumulato. Per gli errori: noi davvero eravamo convinti che il film fosse l'adattamento della miniserie Le Origini (#266/269); invece no, adatta proprio i #1/2, anzi, il #1 e il finale del #2 (tutta la gita a Sarajevo è saltata di netto). Peccato, ci tenevamo tanto a vedere la donna vestita da uomo. (Ok, a Tesla è stato tolto il seno, ma non è la stessa cosa). Per la prima volta, dunque, abbiamo seguito un "cinecomic" conoscendo veramente tutta la trama, seguita pedissequamente, quasi a ricalco delle vignette. Un'esperienza sostanzialmente unica, per quanto ci riguarda, dunque difficile da inquadrare razionalmente: il fascino perverso di aver visto un film tratto da un fumetto Bonelli supera largamente i numerosi difetti. Del resto, è tutto un inestricabile pastiche di ottimo e pessimo. Il cast è bellissimo, nonostante siano tutti tizi qualunque truccati da pupazzi; gli effetti speciali sono bruttini, ma lo sono anche quelli dei kolossal americani, e comunque solo all'inizio e alla fine lasciano perplessi; le scene d'azione sono incredibilmente fumettose e gradevoli, e la furbata di sfruttare per ogni sequenza la musichetta ad hoc denota sagacia. (Non è bello ciò che piace, ma chemello, chemello, chemello.) Non mancano gli inevitabili tradimenti, su tutti Gorka che diventa Voldemort/Darth Sidious/Alberto Sordi col cappuccio e impone le mano, ma dai, alla fine è simpatico pure lui (con l'aggiunta metanarrativa: siccome è Pino Insegno, è SBE vs TeleMeloni). Ciò che ci ha più colpiti e straniti è la durata delle sequenze: tutte molto brevi, praticamente il film è un collage di stacchi. Una scelta opinabile o la più giusta visto il budget limitato? Francamente, ogni tanto ci è parso che mancasse qualche battuta tra uno scazzo e l'altro dei protagonisti (tagliuzzi nel montaggio?). Ah, peraltro per un'ora abbondante il film poggia su Kurjak, con la sua capigliatura disegnata e questo attore indovinatissimo che si è studiato le pose di Majo a memorja: complimentj. E' lui il vero eroe: quando sposta la sedia alzandola e non trascinandola, abbiamo emesso un gridolino. E la voce di Pucci? Ce la siamo sempre sognata diversa (sbagliando, evidentemente). Azzeccato anche il look di Tesla (sebbene nel fumetto appaia inizialmente nuda, qui ha il top), mentre il poveraccio costretto a fare Harlan deve farsi tutto il film coi ciuffi negli occhi; ma cosa gli possiamo dire? Noi lo abbiamo sempre infantilmente associato a Ralph Fiennes e a Pedicini, invece qui è un emo con la voce di Dean Winchester, un po' sfigato, ci mette un pochino ma diventa simpatico. E Yuri, Laszlo e il tricheco? Sono uguali al fumetto (forse il legionario è diverso). E Draka e le zie? C'è anche la loro partecipazione, sì. Esilarante la scena post credit. E ancora: il simbolo di Atlantide a Sarajevo (ma perché? Boh, perché no?), il libro coi disegni che sembrano di Dotti o Andreucci (ma è Nergal l'ultimo? E' diverso). Insomma, se vivessimo in un posto normale avremmo la voglia di rivederci subito daccapo questa roba kitsch e naif e radical e chic, pur sapendo... anzi, proprio sapendo che non avrà mai un seguito, e resterà un improbabile ed irripetibile unicum. "Mauro Boselli e Regione Lazio presentano". Ma quando ci ricapita. 

(2024)



James Mangold: Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Film non necessario, ma quale lo è? Almeno, se Il Regno del Teschio di Cristallo uscì in un momento in cui a nessuno poteva calare di un brand così vetusto e vintage - non quando si veniva da originali trilogie nuove fiammanti e si ammirava l'alba della saga del secolo - , quest'altro esce in piena era di bulimia da sequel e remake, in cui non avere uno straccio di idea è motivo di vanto e spremere i primi nerd è l'unica soluzione escogitata dal capitalismo cinefilo. E allora, cosa c'è di meglio, nel '23, di un film in cui Indy è vecchio e stanco e vuole morire in santa pace con i suoi interessi di nicchia? Diamine, siamo noi. Sì, un tempo avremmo detto che a rappresentare lo spettatore è il personaggio della Phoebe-eccetera, Vombato aka zia Sfrizza, ma guardiamoci in faccia: noi oggi siamo l'anziano malaticcio e svogliato, non la tipa sbarazzina che vuole ancora divertirsi. Si dice che questo sarà l'ultimo film con Indiana Jones: lo speriamo ardentemente, sebbene siamo consci che non sarà così. 
Eppure, dopo aver ammirato estasiati quella mezz'ora di flashback degli anni '30, ci chiediamo per quale motivo non insistere ancora di più con questa tecnologia del ringiovanimento, e fare un film intero in questo modo? Assomiglierebbe a un videogiuoco? Beh, ma i videogiuochi di IJ sono costruiti come dei veri film, e non sfigurano più di tanto dinanzi ai loro compari cinematografici. Ricordiamoci di Cushing. In fondo, il passaggio di consegne dai creatori della serie lo avevamo avuto con i suddetti videogiuochi, adesso è proprio ufficiale: la regia di Mangold sembra quasi realizzata sotto dettatura del buon Steve, non c'è proprio nulla di differente dagli episodi più gloriosi del brand. Si è pure ridotta, di molto, l'unica grave pecca del Teschio: il minutaggio del più becero green screen, abnorme in quel film (a quei tempi si pensava che lo stile di Capitan Cielo e il Mondo di Domani fosse una genialata), qui impiegato solo in un paio di panoramiche scadenti, ma riempitive. Il treno elegante, il magazzino, la parata, persino la Sicilia macchiettistica (con tanto di Margiotta senza Olcese) e le assurdità sotto la grotta sono momenti di genuino IJ (come ai tempi lo furono il frigo, il balletto sulle jeep e gli alieni non alieni). Lo stesso dicasi dei personaggi: di come sono costruiti e vestiti, di come parlano e di come interagiscono. E quindi pure gli sceneggiatori, volendo, si possono trovare. Ma avrebbe senso proseguire oltre? In fondo, l'unico grande mistero rimasto irrisolto è: cosa vuole la gente? Ora lo sappiamo: quello che vuole Indy. L'amore? No, la morte. Non siamo del tutto convinti che il lieto fine fosse necessario, ma d'altro canto non avrebbe avuto senso scegliere proprio quel momento storico e quel luogo geografico per far crepare un personaggio così potente. A nostro parere sarebbe stato più divertente che la breccia conducesse ai giorni nostri, e che Indy vedesse il suo futuro, cioè il nostro schifo di presente. Magari con Evans a salutarlo. Che brividi. ... Paura, eh? Stavamo scherzando, giù i randelli. Alziamo gli occhi, sbuffiamo e prepariamoci allo spin-off con Aunt Wombat/Zanardi, sperando che non finisca come lo spin-off di National Treasure. E speriamo che a Harry diano il fottuto Oscar alla Carriera prima che muoia.

(2024)