venerdì 30 dicembre 2022

I CLISTERI DI CLYSTÈRE (1)

Commenti umorali e scorretti, allo scopo non di criticare una serie a fumetti, ma di rappresentare il decadimento psico-fisico di un lettore, condotto all'esaurimento dalle avversità della vita



Dove eravamo rimasti? Ah, sì.

Niente, siamo sempre lì.


Alla fine l'abbiamo letto 

MM Special #33: Anni 30: Troppi supereroi! (Castelli/Alessandrini)

ma se non lo leggevamo era uguale. È anche simpatico - meno del precedente Saturno contro la Terra, però -, ma alla fine qual è l'interesse di questa serie? Per quanto ci riguarda, nessuno. Per chi volesse, in questo episodio compare Will Dannay con le sue creazioni più celebri.


MM presenta #12: Un racconto dal Deep Web (Castelli/Caluri)

è una storiella breve simpaticamente inutile, che in realtà neanche parla del Deep Web (di cui invece si dovrebbe parlare), ma è la solita sciocchezzuola con l'invasione aliena inversa. 

Il racconto è spezzato in due perché contiene la ennesima ristampa di La macchina pensante (Castelli/Alessandrini), che, a nostro avviso, è sempre un piccolo capolavoro di intelligente cultura e arte. E dobbiamo  dire che in questa cornicetta non ci sta neanche malino.


MM #346: Xibalba! (Voglino/Torti)

è il classico action movie da due soldi, con i messicanos que dicon cosas espagnolas mentre sparano. Ci sono i cartelli della droga, le maschere folkloristiche e la chica con le palle (cattiva). Secondo l'autore, è mysterioso che la Nasa conduca test nelle grotte, quindi ci spiega questa cosa. Tutto sommato si legge senza pena, ma il finale con gli astronauti mutati emigrati su Venere è davvero una grottesca spacconata. Torti è contento quando può disegnare sfondi che non siano corridoi o uffici.


Storie da Altrove #19: Il ladro che si alleò con Sherlock Holmes (Recagno/Sforza)

E per questa collana (la nostra preferita) finisce l'epoca dei titoli brillanti, non quella del taglio delle pagine. Cambia pure la grafica di copertina, ora più pacchiana. Finiscono anche i mysteri: qui non ce ne sono minimamente. E allora perché non fa schifo 'sto numero? Perché è la conclusione della Storia e Gloria di Sherlock Holmes (versione Recagno), che chiude il cerchio addirittura con Aria di Baker Street, non il racconto di MM, ma quello degli Aristocratici castelliani del Corriere dei Ragazzi! Lo fa con una ret-con, tuttavia il fascino per questa saga d'altri tempi non accenna a diminuire. Anzi, con Milo Thorpe e la parentela rubata al Wold Newton Universe, potrebbe pure andare avanti (infatti vi andrà). Un po' meno interessante il drammone di Lupin, in quanto prelevato dai romanzi di Leblanc senza dirlo a nessuno, e totalmente sprecata l'occasione di sfruttare i mysteri di cui quei romanzi sono pieni (tipo che nell'Isola delle Bare c'è il Tesoro di Francia). Arte gradevole, ci stiamo abituando all'assenza di Giardo.


Per Lucca '17 AMys pubblica, con Sergio Bonelli Editore (!), con copertina di Cavazzano (!),

Le uova quadre (Chendi/Rubin)

pastiche semiserio che fa da ponte tra Il Mistero degli Incas di Barks e MM #100 che lo omaggiava, e scritto da Carlo Chendi (!). Era già stato pubblicato in primavera per Albissola Comics, ma senza le collaborazioni di pregio (a parte Chendi, è chiaro). Anzi, quello lo aveva prefatto un tizio discutibile.


MM #347: L'oro di Re Mida (Castelli-Lotti/Sforza)

Una storiaccia, disegni a parte (ma è antecedente agli Altrove, e si vede, e non ci piacciono i personaggi con i volti dei divi di Hollywood). Nel glorioso episodio La Setta degli Assassini (MM #88-89-90) si citava di straforo il Graal di Re Mida, ma nessuno degli autori coinvolti in questo numero se lo è ricordato (e fra essi c'è il creatore della serie). Per fortuna l'albo è talmente imbarazzante che non si può neanche parlare di ret-con, e quei flashback posticci con gli attori in vece dei personaggi storici sono tranquillamente smontabili. Ancora peggio è il maldestro tentativo di "spiegare" la trasmutazione del metallo vile in oro come cosa fatta, però ci regala l'indimenticabile Badescu, la versione umanizzata di Arnabaldo Giribaffo. La sceneggiatura cerca anche di darsi lustro ritirando in ballo i libri, questi oggetti per matusa di cui Mystère una volta era ghiotto, ma si fa ricordare per la tristissima sequenza del museo, utilizzato come set per scenette tipo i film con Ben Stiller anziché come spunto per riflessioni o divagazioni esaustive.


MM #348: Il Grande Gioco (Castelli-Lotti/Esposito Bros.)

Il numero precedente menzionava - così, pour parler - Alessandro il Grande, ed ecco subito dopo l'albo dedicato a lui. Qual era il suo segreto? E perché a fine Ottocento le sue terre erano piene di spie di ogni potenza europea? Lo spunto è interessante, la risoluzione frivola (una cameretta atlantidea che "crea" carisma: ma che vuol dire?), ma ciò che intristisce è la superficialità della sceneggiatura, piena di forzature quando non salti logici insensati (la camera funziona solo lì, come può essere portata altrove e funzionare ancora?). Bene la questione del tesoro di Baghdad, male la Fratellanza Alessandrina, solita consorteria fuffa, male la spia sovrappeso che fa come le pare. A questo punto gli Esposito non vedevano già l'ora di passare a Zagor in pianta stabile.


MM #349: Green Man, l'Uomo Verde (Castelli-Lotti/Romanini)

I "tantissimi lettori speciali" dei tempi d'oro non ci sono più, a quei pochi rimasti è necessario spiegare per bene ogni concetto, da qui il titolo di questo numero. Anche questa volta siamo più dalle parti del fumetto Disney italiano un tanto al chilo che da quelle genuinamente bonelliane; ma il soggetto stavolta è simpatico e non è ammazzato da scempiaggini irritanti, solo dalle solite banalità dei cattivi "alla Carlo Panaro". È una lettura disimpegnata, dai disegni caricaturali, ma la figura dell'Uomo Verde attraverso i secoli sa impietosire quanto basta ("fa gli occhioni", verrebbe da dire). Nella veduta della Milano rinascimentale della prima vignetta compare una torre a caso.


MM #350: Le Dieci Tribù (Castelli-Lotti/Grimaldi)

Poraccio, Grimaldi: dopo il #342 gli tocca illustrare pure questo, così ha illustrato i due albi più brutti di tutto MM. Dov'è finita la Decima Tribù d'Israele? Lo aveva già spiegato il capolavoro New York Stories (MM #182/184), ma Castelli non lo ricorda e Lotti non lo ha mai letto. In questa ret-con, la tribù si è mescolata coi giapponesi, e avevano un prisma esagonale, che quindi è uno degli Esagoni portati dai Thatua de Danaan (uno dei pilastri della serie, introdotto nell'altro capolavoro MM Gigante #1). L'albo si basa dunque su capolavori, probabilmente allo scopo di distruggerne il ricordo, perché non ha nessun interesse a cucirne gli elementi in modo sensato, anzi, alla fine si permette pure di plagiare platealmente il finale di un terzo capolavoro, L'uomo programmato (MM #123/124). Simbolo della sciatteria di questa robaccia che vorrebbe definirsi fumetto è il prisma, che su un lato predice il futuro (ma solo gli eventi che servono a portare avanti la "trama"), sugli altri è normale. Questa specie di albo vorrebbe pure essere celebrativo, dato che festeggia il 35°ennale della serie, con tanto di giochino 35°-350. Ma, visto il risultato, forse sarebbe stato meglio non arrivarci.


MM #351: Ore 3.12 pm. L'adunata (Castelli-Lotti/Coppola)

Il famigerato "CastelLotti" ripesca pure l'altrettanto famigerato progetto MKUltra (cui sono stati dedicati i #214/215, #321, Speciale #18) per spiegare come mai i superstiti dell'autobus sovietico teletrasportato negli USA negli anni '50 avessero subito condizionamento mentale. Interessante? L'episodio del bus è inventato di sana pianta, dunque poco ci cale di tutto l'ambaradan.


Il Maxi Zona X di turno ha ristampato Le due Sfingi (Beretta/F.Russo), solo per il cognome dello sceneggiatore, Dietro le quinte (Carpi-Castelli/Del Vecchio), dai #8 e #9 della vecchia collana, e La grande truffa (Castelli-Beretta/Torti), cioè MM #226, alla faccia di Zona X.


A RiminiComix '17

Martin Mystère presenta I Bonelli Kids (Castelli-Masperi-Adamo/Filippucci-Rubin)

ma la cosa non ci interessa.


MM Special #34: Le molte vite di Martin Mystère (Recagno/Torti-Esposito Bros.-Ongaro-Coppola-Orlandi)

Presentazione virtuale delle NAAC e una nuova declinazione della deriva senile di Recagno, divenuto anziano prematuramente, e quindi ora solamente interessato alle, e ispirato dalle, cose veramente importanti nella vita (le relazioni sociali e la salute): per il suo compleanno, Martin riceve, senza saperlo, un enorme e dispendioso regalo dai suoi amici di Altrove e affini; così Tower, Angie e Dee+Kelly si prestano a fargli credere di essere degli spiriti dickensiani/angeli capriani, e nell'appartamento di Washington Mews - alla faccia di "Axis Mundi" di Cappi - gli installano svariati proiettori olografici, o quel che l'è, di avveniristica generazione (ispirati dalle tecnologie con cui la Disney oggi resuscita gli attori defunti o ringiovanisce i viventi). L'obiettivo è mostrare a Martin versioni alternative della sua esistenza, per la gioia di Castelli e di Recagno (che può rifare il MM Presenta del 2012) e dello stesso Mystère, spinto dalla morte di un suo amico di gioventù (Rick Howard dello Speciale #3; noi, che siamo ancora più senili, lo avevamo rimosso) ad una crisi di mezza/terza età che lo ha portato a comportarsi da personaggio vanziniano (lo vediamo ballare il Rock anni 1960 e vestirsi con camicie a fiori). Poi Recagno specifica che la causa scatenante è il ritrovamento della vecchia lettera con la quale mamma Laura si congratulava col figlio per la sua laurea. Torti illustra queste pagine: forse perché sono meno del solito, ci sembra quasi rinato. Agli altri artisti sono deputati i vari spezzoni. Agli Esposito tocca, ovviamente, il segmento in cui Orloff e Martin si sono scambiati di posto: a parte questa modifica, però, il resto è identico a come lo conoscevamo. Un Ongaro anziano e deficitario si occupa (purtroppo) del Martin che non ha sposato Diana, ma che per il resto è rimasto lo stesso Martin; senonché, rimasta lei vedova di Aldridge (con cui s'era maritata), i due fanno la reciproca e vivace conoscenza al party in cui sono introdotti ad Aaron Goldberg. Lo scopo della sequenza è riepilogare ai nuovi lettori tutti gli amici del BVZM, con abbondanti riferimenti ai Classici della serie. L'ultima incursione di Coppola nella serie è una breve sequenza in cui Martin è un archeologo con i modismi british del Rip Kirby di Alex Raymond, convocato da Travis e dal detective Java, che da Travis è stato adottato. La particolarità di questo segmento è l'essere inframmezzato da una quarta sequenza (di Orlandi), in cui Martin è un atlantideo ribelle, condannato per aver rivelato la fine-di-mondo alle masse. Nel complesso, un episodio molto lontano dalle originarie atmosfere della serie, ma comunque dotato di una decenza, negli anni successivi perduta indecorosamente. Nelle preview era inclusa una tavola di Alessandrini contenente uno svarione deprimente: abbiamo pensato per anni che questo fosse il motivo della sostituzione del decano degli artisti con Orlandi (inizialmente non accreditato), salvo poi trovare quella tavola nello Speciale #37 e scoprire la sua appartenenza all'universo Anni 30; e allora forse questo universo avrebbe dovuto comparire in questo albo? Non che la questione sia dirimente.

MM presenta #13: Mysteri di prima dell'Euro ci fa cadere le braccia già dal titolo; ma soprattutto è un "tutto ristampa" senza inediti, con l'eccezione parziale di I mysteri dell'Euro (Castelli/Filippucci), grazioso raccontino del 2001 qui rimontato su 3 strisce e riveduto completamente per rovinarne l'importanza. Codici, reti, archivi e mysteri (Castelli/Palumbo), Il cielo dei Sargassi (Castelli/Brindisi) e Questioni di famiglia (Castelli/Toppi) sono racconti deliziosi, ma che abbiamo letto e riletto nelle edizioni precedenti.


Esordio di una nuova collana:

I Romanzi di Martin Mystère #1: La Donna Leopardo 

è, tuttavia, il terzo romanzo scritto da Andrea Carlo Cappi, dopo quelli del 2002 (ottimo) e del 2014 (altalenante). Qui la forma è quella del romanzetto da edicola, e la sostanza quella delle novellette a puntate delle riviste pulp. Non è neanche malaccio, tutto sommato, ma Martin ormai viaggia nel Tempo troppo spesso, togliendo credibilità a tutto l'impianto che sostiene la serie (sia libraria che fumettistica).


MM #352: Le Porte dell'Immaginazione (Beretta/Esposito Bros.,Alessandrini)

Beretta era l'autore di uno dei pochissimi albi recenti decenti, ma stavolta ha voluto strafare. In questa parodia dark (o emo) dei fantasy, Martin passeggia nel Tempo (ancora?) e girovaga per un'altra Dimensione (ancora?) per scovare chi è l'imprenditore magico che ha schiavizzato le Muse (sembra la sinossi de La Stirpe di Elan). Cosa c'entra questo con i mysteri? Niente. Il colpevole è - colpo di scena man mano intuibile - Auberon, re di Faerie e ex amico di MM, ora sbroccato. Boh. Toccante l'ultima pagina, con le Muse tristi come il lettore. 


Che i mysteri non interessino più agli autori di Martin Mystère lo dimostra pure il volume L'alta cucina del fumetto, che contiene Il cibo degli Dei (MM Special #14), L'ossessione del Reverendo Dogdson (Almanacco Mystero 1997), Ritorno all'Eden (Almanacco 1992, che manco c'entra nulla col cibo) e La notte degli orti viventi (MM presenta #11), più una versione riveduta e corretta del 14° Dizionario dei Mysteri.


Storie da Altrove #20: L'angelo che chiese aiuto a George Washington (Recagno/Sforza-Romanini)

Come questa collana sia riuscita a rimanere in edicola per vent'anni, è un mystero. Ma ce l'ha fatta ed è giusto celebrare l'evento (ndr: Rosario Chiarchiaro ha colpito ancora). Ecco dunque un'altra avventura dei fondatori della Base, e stavolta il focus è puntato su Benjamin Franklin, di cui viene narrata la morte. C'è un po' di romanticismo spiccio nella conclusione e nella ret-con storica che stabilisce che suo figlio è vissuto più di quanto affermi la Storia. Non c'è il mystero, ammazzato dal triste ricorso ad alieni generici come nei peggiori fumetti. Prima, però, ci sono belle pagine di flashback nevosi con Washington e una punta di omaggio Zagoriano col Thunderbolt-Pokemon Leggendario (solo menzionato). Anche le dinamiche relazionali fra i quattro fondatori sono quelle di un tempo, con l'aggiunta di un tocco di malinconica nostalgia.


MM #353: La catena del Potere (Mainardi/Devescovi)

Poraccio Devescovi: dopo L'ombra di Za-Te-Nay (MM #335), gli è toccato pure questo, così ha illustrato pure lui due tra i peggiori albi di sempre. Solo la passeggiatina turistica sul monte Olimpo è degna del vero MM. Il resto è un'accozzaglia di mitologie trancianti e cattivi di quartiere, che culminano in un finale veramente tra i più insensati di questi 35 anni, una robaccia senza capo né coda.


MM #354: Effetti speciali (Castelli-Lotti/Esposito Bros.)

Esiste anche un mistero riguardante la scritta "Hollywood" sopra Los Angeles: non è vero, se l'è inventato CastelLotti per giustificare questo ennesimo riempitivo soporifero. Che poi è anche giusto che un newyorkese prima o poi vada a LA a godersene i cliché. Ma almeno che il pretesto sia sensato, mica la polverina del prestigiatore sulla scritta vecchia che genera allucinazioni nei party dei vip, ma che storia è.


Nel 2017, oltre al sonoro flop della Collezione storica a colori di Repubblica, fermatasi a 20 volumi (#51 della serie regolare), si è conclusa anche la prima serie delle stantie Nuove Avventure a Colori, iniziate l'anno prima.

Ecco riepilogate le nostre opinioni in breve, non aspettavate altro.

1-Ritorno all'impossibile. Diviso in due parti. La prima metà è il prologo, tutto azione fighetta e improbabile. Non abbiamo capito dove vanno a prendere il treno una volta passato il confine (non è una stazione importante della Lombardia). La seconda metà è l'inizio vero e proprio. Anghiari non serve a nulla di per sé; il mondo bidimensionale va bene, è reso meglio che ne I Cavalieri di San Romano; è un McGuffin pure questo, comunque.

2-L'elmo di Scipio: a cosa serve l'elmo, esattamente? A nulla. Perché proprio San Galgano, SI? Boh, così. I licantropi zingari sono passabili, i nazi vampiri sono macchiette.

3-L'arca dell'estinzione: splendida copertina (ma è meglio in toni di verde) per un albo noioso. La storia di Atlantide-Mu è la stessa del MM "Classic", ma semplificata e asettica. L'esodo drammone lo aveva già raccontato Cappi nei romanzi. Le bombe tachioniche sono armi Disney. La Genigarchia Mu è una buona idea buttata nel water con il finale ridicolo (consorteria ancestrale infiltrata in luoghi di potere e autoreplicantesi => anziano che vola e spara raggi dalle mani).

4-La melodia che uccide. Caccia al tesoro a Milano simpatica, sebbene inverosimile. Per dire, la storia delle tre croci arturiane de La Spada di Re Artù è inventata, ma è plausibile. Questa sembra assurda (la grata nel bar: magari c'è davvero, ma qualcuno l'avrà aperta, no?). Comunque è passabile. La minacciona della cantante pop ci ha ricordato quelle puntate infantili di Warehouse 13 che ci facevano sentire stupidi mentre le guardavamo (però le guardavamo).

5-Quando i mondi si scontrano. Sfumature sclaviane a sorpresa, con l'alieno Woody Allen cui nessuno fa caso. Intriganti atmosfere rarefatte lucchesi con l'invasione aliena con ribaltone. Il tutto è un po' "topolinoso" (l'alieno ha grandi occhioni ed è stronzetto, come il Paul del film) ma anche "uraniesco". Riprende tre elementi sfruttati male nel MM "Classic" (ufo crash di Galileo, affari Nobili Scimmie-alieni, un altro che abbiamo rimosso). Accettabile. 

6-Una voce dal futuro. Il gerarca macchietta rovina l'atmosfera alla Twilight Zone che l'episodio aveva provato a ricreare. La scena di sesso idem (inutile: MM non è bigotto, non ha bisogno di essere trasgressivo. E poi più avanti si scoprirà che non ha senso). Il paradosso è elementare e pure esso sei numeri dopo subirà una specie di retcon; gli eventi al presente si dimenticano all'istante (i Ciclopi riempitivo sono qui?).

7-Dalla Terra alla Luna. La lunga sequenza onirica con le citazioni elementari della letteratura italiana ci ha annoiati a morte. Che altro succede? Boh. La questione di Laura Donna in Nero era scontatissima e non è che ci interessasse molto. Orloff abita nel Bosco Verticale. Questa è la notizia principale. Di Valentina poco ci cale. 

8-La caccia di Jasper. Che tristezza il talent show. In generale ci fa proprio cacare la banalizzazione di Jaspar. I ragazzini mutanti NOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!! Mainardi ha fatto l'albo migliore, Mignacco il peggiore. Ma poi che piano è? Qualcuno di nostra conoscenza avrebbe detto: sono tutti dementi?

9-Il pianeta dei robot. Omaggio a Swamp Thing accettabile, benché fasullo. Jinx totalmente stravolto è meglio che un inutile riciclo della controparte originale. In un certo senso, è quasi più inquietante questa versione assurda di quella solita, e proprio perché il personaggio non è approfondito ma spunta così dal nulla. Finale a effetto che genera un minimo di interesse.

10-La caduta di Agarthi. Come per Atlantide-Mu, anche il passato di Martino e Sergio è uguale al "Classic". Che ce ne può importare, dunque? Il culto mitraico è buttato lì per fare scena e, ciò nonostante, occupa quasi mezzo albo. La scena dello scivolone sul Mandala l'abbiamo già vista da qualche parte (ma dove?). Max è chiaramente vivo ma non deve sembrare tale sennò ce ne accorgiamo.

11-La Pietra Filosofale. Passabile la sequenza del Feng Shui. Noia tutto il resto. Il tipo nell'ombra con gli stessi lineamenti di Max sembra proprio Max, chissà se è Max. Brody-"Angie" vogliamo dimenticarli. Tutta la scena finale con la marina USA è da emoticon triste.

12-Al centro della tenebra. Pagine e pagine di sbadigli, fino al ribaltone dell'arciere, che non ci convince. Il cattivo è il Re del Mondo. Chi è? È un mostro, chi vuoi che sia. Jasper e amichetti dobbiamo cavarmeli dalle iridi. Gli altri fili si riannodano, è innegabile. Lo scontro Martino-Sergio non poteva mancare. Diana per fortuna non è Classic. Alessandrini fa piacere. Orloff papone boh.   

Tirando le somme. Christine e Maria sono mai state vive? A Orloff non importa, a Martin nemmeno. Perché dovremmo deluderli? I robot trombano, i gusci vuoti pure. Mah. Arianna sembra nascondere dei segreti fino al n.11, poi è semplicemente un altro personaggio. Diana sembra prima una cosa, poi un'altra, poi un'altra ancora, alla fine è una qualunque. Max è un Deus Ex Machina, qualunque spiegazione razionale sulla sua natura ormai risulterebbe banale (è un robot, è immortale, c'ha i poteri, è un mutato, è mistico, è un clone, è muviano, ecc.: che importa?): forse la spiegazione più logica sarebbe proprio "è un Deus Ex Machina". Il Silenzio ci è parso un grande spreco. Uomini in Nero troppo fessi. Vabbé che con la Genigarchia si pestano i piedi. E poi Orloff, Altrove, consorterie assorterie. Anche nel "Classic" ce ne sono troppe, e anche lì la cosa non ha senso. Comunque: i mostri del carcere che fine fanno? Soprattutto: se il Re del Mondo mangia le Dimensioni, che scappano a fare gli alieni? E ancora: perché accade tutto in Italia? Andava spiegato: l'elmo di Scipio è un elmo qualunque. Perché la tv italiana trasmette show stranieri? Immagino che Martino sia stato umiliato su Rai5, o su DMax. Come fa Castelli a dire che il finale avvicina la serie a quella Classica, se è caduto il Silenzio e l'umanità ha scoperto il paranormale? Valentina è dentro il robot di Martin anziano e dice di volerlo cambiare: ma chi glielo costruisce? Ci sarebbero altre domande, ma non abbiamo voglia di porcele.


Di questa roba esce pure un romanzo prequel di Domenico Baccalario, che ci siamo guardati bene dal leggere.


Abbiamo invece letto (ma potevamo evitarlo) il Maxi Zagor #30, Il segreto dei druidi, in cui compare un agente di Altrove.



MM #355: Le strane morti del signor Max (Lotti/Orlandi)

Stavolta Lotti prende l'iniziativa e un vecchio fumetto di Castelli il cui protagonista moriva ogni volta in modo diverso. Si chiamava Max, come il tizio delle Nuove Avventure a Colori, dunque eccone una terza versione nella serie regular. Come avevamo intuito appena pubblicata online la sinossi, due mesi prima dell'uscita (per il semplice motivo che tanti anni fa avevamo concepito lo stesso identico soggetto), è un androide di Mu come il glorioso Robinson (MM #42/43 e #69/71), in guerra con un androide di Atlantide. Ma non c'è spazio per la nostalgia per le grandi avventure del passato, perché la tematica viene qui svilita in un inutile, noioso, vuoto chiacchiericcio tra personaggi annoiati (Mara Marata) o rincoglioniti (Martin), che di quelle avventure non ricordano un cacchio (esattamente come gli autori e i lettori). E BASTA CO' STA SARDEGNA.


MM #356: Il Dio che venne dal mare (Lotti/Ongaro)

Ancora Lotti, ancora una inutile frivolezza. Ma per metà albo la reazione di Martin alle amenità che gli capitano è in character, e si ridacchia. Dopodiché l'autore sente il bisogno di prendersi sul serio, ripesca l'agente CIA cicciona (#348) e addirittura il figlio di Patsy il delfino parlante (MM #81/83 e #131bis), che ovviamente è uguale al padre. Per completare il quadro grottesco, i nemici si rivelano essere formiche telepati. Sic.


Mistero a Rivoli (Castelli/Vercelli) è un racconto breve che nessuno potrà mai leggere, in quanto edito da Cronaca di Topolinia al solito prezzo esorbitante (altro che i 19€ per i volumi di Sclavi).


Invece

MM #357: Nomoli (Morales/Esposito Bros.)

se iddio vuole, è l'ultimo albo di Morales, lo sceneggiatore più attivo da morto che da vivo. In questa sua ultima avventura, a finire sotto la mano distruttrice dell'autore è uno sgangherato Classico di Prosperi (MM #60/61), per cui ha pure gioco facile a farne scempio. Eppure riesce comunque a fare del suo meglio, col poliziotto manesco (alla The Rock) e coi quattro negretti semi alieni (di cui ne restano solo due). Gli oggetti del titolo non c'entrano nulla con la storia e il loro mystero è inventato, ma chi ne dubitava?


A RiminiComix '18 

Martin Mystère presenta Gli Astrostoppisti (Castelli/Filippucci-Zeccara)

ma senza sbattersi: la pagina inedita è solo una.


Altrettanto puntuale come le tasse è il Maxi Zona X, sempre meno Zona X e sempre più contenitore casuale. Oltre all'ottima Ukbar (Medda-Serra-Vigna/Arduini), dal #9, contiene infatti il Classico Il castello degli orrori (MM #52/54), perché contemporaneamente Castelli doveva pubblicizzare un suo volume dedicato a Frankenstein.


Un breve ritorno alla serietà si ha soltanto in

MM Special #35: Le ombre di Camelot (Recagno/Torti)

che addirittura mostra la genesi della Spada di Nuada e riporta in scena l'Excalibur, rigenerata per volontà di Merlino e pretesa da Mordred, figlio di Morgana. La rimpatriata tra vecchi amici è completata da Lancilotto, Ginevra e persino Artù ridestato all'uopo. Il sapore e il tono della narrazione sono proprio quelli di una rimpatriata tra compagni di scuola: chi si è fatto una vita, si è tolto il callo e il giorno dopo tornerà a pensare alle sue cose; chi è ancora appassionato della continuity di questa serie un tempo ben curata, continuerà a rosicare e a sperare che certi rapporti possano riprendere, in qualche modo, ma con il rancore che si può portare ad uno sceneggiatore che non ricorda le storie che lui stesso ha scritto (Martin non può ricordare che ad Avalon c'è la tomba di Artù).


MM presenta #14: Alla rovescia (Castelli/Orlandi)

rappresenta il ritorno dell'inedito nel flip book, e pure questo contribuisce a tenere in mano l'albo con piacere anziché fastidio come negli altri casi descritti. Non è un racconto vero e proprio, è una presentazione, introdotta da un ribaltone simpatico, la spiegazione seria di uno sketch comico. 

All'interno è contenuta la versione cut de Gli eroi dei due o tre mondi, l'incontro con zio Boris di due anni prima che non avevamo (meglio un inedito inutile di una ristampa utile), e, purtroppo, l'oscena riproposta, a soli quattro numeri di distanza, de La danza dell'oscurità, che nemmeno c'entra una mazza col tema del ribaltone. Boh.


Deludente pure

I Romanzi di Martin Mystère #2: Le Guerre del Buio di A.C.Cappi,

prosecuzione del romanzetto precedente, ma in chiave puramente action. Gli sparatutto con i mostri ringhianti ci annoiano. Mystero del Mothman sprecato.


MM #358: Chimere (Castelli-Lotti/Romanini)

Sembrava che ormai MM non potesse offrire più nulla: e, invece, ecco questa spazzatura, in cui Martin combatte dei minacciosi motociclisti borchiati e conversa con un cristallo alieno con le zampette. Un albo epocale che entra di diritto nella Top Three degli albi peggiori di sempre.


Storie da Altrove #21: I tre uomini che ridestarono Chtulhu (Recagno/Sforza)

Riesce nell'impresa di deluderci anche l'Altrove di turno, una storia sicuramente leggibile e relativamente scorrevole (ma molte pagine sono copiate dal romanzo citato), ma che trasforma il Grande Antico più celebre in una macchietta. Sembra "Natale a R'lyeh". Unico motivo d'interesse, la somiglianza tra Randolph Carter e Jaspar (probabilmente dovuta a scarsa fantasia, ma volendo ci si può inventare qualcosa).


MM #359: Il custode delle cinque vette (Castelli-Lotti/Ongaro)

Altri danni: chi sono i parenti di Diana che compaiono dal nulla? Cugini, cognati, che importa. Il soggetto vorrebbe occuparsi di Aleyster Crowley, personaggio curiosamente solo lambito ai tempi d'oro, ma vira subito sulle consuete chiacchiere spionistiche, per concludere con ologrammi atlantidei nell'astronave pronta a partire per lo spazio, cioè le solite cose inserite a caso senza rispetto per chi legge. A Crowley è dedicato pure il Dampyr in edicola nello stesso mese: il confronto è veramente impietoso.


Maxi Martin Mystère #10: Dylan Dog & Martin Mystère: L'abisso del Male (Recagno-Castelli/Freghieri-Camagni-Giardo-AAVV)

È in questo quadro mysteriano degradante, nel pieno di una spirale negativa che appare sempre più inarrestabile, che compare a sorpresa il terzo team-up tra Dylan e Martin. I primi due sono pressoché perfetti, per cui la paura di un ennesimo scempio era molta. Ma, stavolta, qualcosa va per il verso giusto, e si riesce a godere di un genuino divertissement (che in realtà avrebbe pretese maggiori, ma è solo contro tutti), certamente frettoloso in certi passaggi (Extersteine) e fin troppo rilassato in altri (Mocambo), ma che ha un pregio enorme: le dinamiche relazionali tra i personaggi sono - come nell'Altrove #20 - quelle di un tempo, e si ha anche qui l'impressione di reincontrare dei vecchi amici, non le versioni patetiche delle pubblicazioni recenti. Castelli dice di aver collaborato alla sceneggiatura, mentre Sclavi è il grande assente, ma solo all'appello, giacché tutta la vicenda poggia sulla sua personalissima mitologia e le sue invenzioni. Anche in questo caso, molti anni fa, avevamo immaginato un soggetto praticamente identico a questo ideato da Recagno. Per più d'un motivo, dunque, non possiamo fare a meno di voler bene a questo genuino omaggio alla Bonelli che fu e a ciò che avrebbe potuto essere ancora oggi, se non avesse fatto altre scelte (vedi Dampyr, che inizialmente non era affatto un universo alternativo; vedi Hellingen, già annientato dalla megalomania di Burattini). Per un albo che, alla prova dei fatti, abbiamo riletto già almeno venti volte, caso praticamente unico nella produzione del decennio 2010-2020.


MM #360: I ragazzi venuti da Hamelin (Castelli-Lotti/Coppola)

Per chiudere in bellezza, CastelLotti fa il remake di sé stesso. Il soggetto, estrapolato nei suoi passaggi fondamentali, è lo stesso del #351. Cambia tutto il contorno, i ripescaggi sterili (Strokov, finalmente canuto), le risoluzioni frivole (Blob di un'altra Dimensione). Però c'è anche qui l'autobus sovietico!


Sergio Bonelli presenta #2: Il grande Zirmani & Martin Mystère: Il fantasma del Museo (Cremona-Castelli/Ongaro)

Un altro albo speciale, anche questo frivolmente ambizioso. Il personaggio creato da Raul Cremona nel 2016, l'onnipotente e zelighiano Zirmani, aiuta Martin a sventare la minaccia di un robottino atlantideo cercato pure dai nazisti. Ad un soggetto penosetto corrisponde una sceneggiatura semiseria e genuinamente mysteriana, diciamo nello stile dei racconti brevi fuoriserie (cosa che questo albo è), che arricchisce la trama di suggestioni classiche (Altrove, Mandrake, il Vril). Corposa e verbosa la documentazione in prosa. 


MM #361: L'Ombra ritorna! (Mignacco/Torti)

Se il 2018 è stato "salvato" dai due inattesi extra, il 2019 si apre subito con una parentesi non negativa. Si tratta, in realtà, di una sceneggiatura di almeno 6 anni prima, in cui l'ennesimo vecchio fumetto di Castelli entra nell'universo mysteriano: stavolta tocca a L'Ombra, ancora dal Corriere dei Ragazzi. Del personaggio viene riproposta una ret-con di gran parte dell'episodio iniziale, ma il trait d'union è costituito dal redivivo Mister Jinx, che proprio su L'Ombra aveva esordito in incognito. Jinx non si vedeva su MM dal 2004, e qui ricompare in una versione leggermente goffa e annoiata, in cui il massimo che riesce a fare è utilizzare una combo dei suoi vecchi aggeggi, perché non riesce a scoprire il segreto dell'invisibilità. Il buono dell'albo sta comunque altrove, nelle atmosfere pulp degli anni '70 dei flashback con i giovani Jinx e Travis, nei chiaroscuri delle sequenze allucinate - un po' Fritz Lang un po' Sclavi - in cui MM si crede invisibile, e nelle caratterizzazioni dei protagonisti, che si esprimono come persone, dotate di memoria e intelletto, e non come attori. 


L'agente di Altrove Raven, Edgar Allan Poe, si fa raccontare da Zagor delle storielle dimenticabili, prima nel Maxi Zagor #35 Brividi da Altrove, poi negli Zenith #693/696 (Monument Valley).


Il libro Il gatto che sapeva leggere e altri animali impossibili ristampa i due classici episodi dedicati a Manny Gould (MM #93/94 e #270/271) e Il ritorno della Bestia (MM #312) di CastelLotti (brr), con una cospicua sezione informativa. La cosa scocciante di questi volumi è che, non fossero assemblati con questi pretesti puerili (la cucina, i gattini), sarebbero anche ben confezionati. 


MM #362: Sewer Gator (Perniola/Ongaro)

Non c'era nessun bisogno di svelare l'origine della leggenda metropolitana degli alligatori nelle fogne di NY, ma questo albo vuole farlo, e lo fa con gli universi paralleli e il rettiloide parlante telepate. Se non lo si lancia dalla finestra è soltanto perché i personaggi principali (non i secondari) esprimono pensieri raziocinanti.


Nel volume di Zona X troviamo stavolta Effetto Venere (Chiaverotti/Genzianella), l'unica storia mysteriana del disegnatore dampyriano (dal #6), Figli di un mondo perduto (Vietti-Memola/Romanini-Milano), una vecchia continuity abortita senza difficoltà (dal #30), e lo Special #15 Il mondo di Escher. Il volume è intitolato Illusioni ottiche e copertinato dall'esperto di effetti ottici Carlo Faggi. Il suo scopo recondito, evidente solo nell'ultima pagina, è pubblicizzare il volume "lunare" più sotto.


MM #363: Il Mondiale che non c'era (Artusi-Lombardo-Zilio/Grimaldi)

Non c'era nessun bisogno nemmeno di svelare l'origine della leggenda metropolitana del Mondiale di Calcio del 1942, anche perché è l'invenzione di un romanzo e di un docufilm. Ma questo albo vuole farlo, e lo fa con dialoghi penosi, tavole allungabrodo e Martin che si veste da arbitro e arbitra una partita. Lo si lancia dalla finestra senza problemi. Davvero sfigato Grimaldi.


In una pagina introduttiva 

MM presenta Mark Merlin (Castelli/Filippucci-Bagnoli)

nel consueto albetto per RiminiComix previsto dal contratto.


MM Special #36: L'uomo dal Rinascimento (Recagno/Santoro-Romanini)

Martin ha indagato più volte su Leonardo da Vinci e sui misteri della Luna, ma entrambi vanno celebrati per contratto. Come fare per renderli riutilizzabili? Semplice, con le dimensioni parallele. E allora ecco un'avventura del Martin alternativo dell'universo steampunk di Jules Verne (un giochino nato con La macchina pensante e canonicizzato da Recagno in MM #294). In questo universo, Leonardo è morto ragazzino, e il suo spirito geniale e vendicativo si è ritirato sulla Luna. Leonardo+Luna, da sempre, equivale a dire Jeff Hawke, ma qui Recagno guarda al solito Dottor Vù e agli anime della sua infanzia, perlomeno per quanto concerne ritmo e stile. Una storiella bambinesca, dunque pimpante e puerile, in cui di interessante c'è ben poco per un maschio alfa in età da riproduzione, nemmeno le relazioni alternative rimescolate (che, tutto sommato, chissene).


MM presenta #15: Colpi di Luna contiene La Luna nel pozzo (Castelli/Orlandi)

racconto-cornice che funziona per due pagine, poi sbrodola nella comicità da Bagaglino e nel delirio autoreferenziale, il cui unico fine è pubblicizzare il libro qui sotto. Al suo interno compare persino un raccontino in prosa, Il fratello gemello di Martin Mystère, scritto da Castelli in preda a una qualche ubriacatura veramente molesta: una cosa senza capo né coda come raramente si è visto da un autore professionista. O almeno così ci è parsa: sicuramente le sue origini editoriali sono più avvincenti del contenuto. Seguono le ristampe de La città in equilibrio  (Castelli/Torti), simpatico ancorché what if e de L'ora dei lupi di Palumbo, nato a colori e morto in grigetto.


Il volume pubblicizzato è Le altre facce della Luna. Favole per giovani seleniti, un titolo del cacchio che ristampa i racconti Cospirazione Luna (MM #295), e ci sta, Ricordi dal futuro (MM #294), casualmente il prequel dello Special di cui sopra, e, per l'ennesima volta, La guerra dei mondi del Docteur Mystère (dall'Almanacco 2000).


Nel frattempo, per Burattini arriva l'atteso momento di invalidare il terzo DD&MM. Accade nei patetici e mal sceneggiati Zenith #699/701 (Il destino di Hellingen o come si intitola), in cui l'Hellingen spiritico viene reincarnato ed eliminato assieme al Wendigo suo carceriere. 


I Romanzi di Martin Mystère #3: Il mestiere del diavolo di A.C. Cappi 

prosegue ancora questa serie o miniserie libraria, ma finalmente (pensa te!) si abbandona la mitologia atlantideo-muviana e si passa ad un normale caso verticale procedural, zeppo di messicani que matano e sono matati, di governativi che uccidono e sono uccisi, di mafiosi che idem, di hacker fessi che complottano goffamente. Con una certa protervia, questa avventura """"spiega"""" perché Martin dimenticò il murchadna nel 1988 (ma qui siamo nell'89, per capirci): perché finalmente si sentiva buono. Ah, e ritorna l'MKUltra: aggiungiamo pure questo all'elenco. Vabbé, comunque si fa leggere.


MM #364: Il Cervello Quantico (Eccher/Nisi)

Ancora film o telefilm copiati (ci sfugge quale) per poterne utilizzare l'intuizione migliore: il momento statico visitabile a 360°. Tutto il resto, l'amica esper, i governativi, la scusa del Cervello Quantico (a malapena citato), è solo riempitivo. Castelli ha colto l'occasione per inserire uno spunto da lasciare ai posteri: chi vuole reincontrare Java dopo tanto tempo? Visto l'andazzo, speriamo di non venire mai a saperlo.


Storie da Altrove #22: L'uomo che scoprì il segreto di Leonardo (Recagno/Sforza)

Tie-in cross-over what-if dello Special #36: lì Leonardo muore, qui vive (e guarda te!), e ne vediamo le conseguenze durante un episodio storico dell'appena conclusa WWI, seguendo le gesta del figlio di Sherlock Holmes, aka Milo Thorpe aka Nero Wolfe. Il personaggio non assomiglia a Wolfe manco per sbaglio, e ha questa faccia da Tino Buazzelli davvero inquietante su di un corpo atletico, ma, come detto tre Altrovi fa, siamo affezionati a questa genealogia copiata dal Farmer Universe, e ci piacciono queste locations da feuilleton primonovecenteschi. Non è un fumetto brillantissimo, anzi è abbastanza pedantino, soprattutto quando arriva la topolinesca rivelazione, ma almeno è un fumetto contemporaneo che fila e in cui tutto torna, e in cui la sceneggiatura riesce pure a sostenere l'ennesima foliazione ridotta. Poi ci sono gli Uomini in Nero, i personaggi storici, i soliti amici. Naturalmente, se l'uomo scopriva il segreto di qualcun altro, il titolo era "L'uomo che scoprì il segreto di qualcun altro".


MM #365: La grande epidemia (Belli/Romanini-Sforza)

Rubrica seriosa di Castelli che spiega quello che Travaglio diceva quindici anni fa, perché il fumetto, che è di quasi dieci anni fa, non lo dice. O, meglio, ne accenna qualcosa, ma in sottofondo, senza mai esporsi troppo. Il mystero di turno è inventato, però è basato su presupposti storiografici interessanti, che si potrebbero riprendere e sviluppare. Anche il cattivo, pur essendo la solita macchietta, fa dei discorsi oggi banali, ma magari nel 2011 (anno da cui l'albo era in giacenza) avrebbero potuto sembrare un pelino più originali. Peccato per quel centinaio di pagine di azione e chiacchiere vuote inutili. Nota divertente, nella sua tristezza: viene citata la storia dei #249/250, ma Castelli non se ne accorge.


MM #366: Demoni! (G.Riccio/Sforza)

L'annata si conclude con l'ennesima paccottiglia da portare quando si va a trovare i parenti a Natale. Il soggetto è il seguente: il personaggio storico Ugolino Vivaldi, Templare in incognito, è giunto nelle Americhe nel 1291, ha bevuto una droga ed è stato posseduto da un demone; nel 2019 si è risvegliato ed è divenuto un boss del narcotraffico; quando viene liberato dal demone, muore. Una sinossi decisamente cervellotica, troppo per i tantissimi lettori speciali; la redazione ha pertanto apportato ampie modifiche all'originale plot, come lo stesso sceneggiatore ha rivelato. La faccenda perplime anche Martin: lo vediamo sbigottire a più riprese, nelle diverse tavole in cui è disegnato caricaturamente male, con espressioni da ebete, e lo troviamo costretto a porre ripetutamente domande tipiche degli anziani che non hanno sentito bene cosa gli è stato detto. La quest intellettuale, volta ad individuare l'identità del Templare misterioso, sembra essere comunque farina del sacco di Riccio: in effetti Ugolino Vivaldi è un personaggio storico minore e per il pubblico dei quiz televisivi preserali la breve sequenza nozionistica che ne ripercorre le gesta rappresenta certamente una sorpresa soddisfacente (tanto più che, per l'occasione, Martin ricorda vagamente di aver già affrontato l'argomento Templari; ma non ricorda che, una volta, c'erano di mezzo anche possessioni aliene). Di matrice altrettanto castelliana, quella attuale, è l'organizzazione segreta di Indios modernizzati. Sembra essere farina di Riccio anche la parte portante dell'albo, le sparatorie fra bande di narcos, viste in molti altri albi recenti e che pertanto possiamo ormai considerare un elemento caratteristico della serie, che la distingue fra le altre produzioni action bonelliane. Insomma, "tanta roba", come si dice oggigiorno, quando si parla di tutt'altro. Lo sconforto dato dalla lettura di tutto questo si tramuta in malinconia quando, nella tavola di Zio Boris, disegnata da Bonfatti, salutiamo poeticamente lo scomparso Fagarazzi e ne invidiamo la dipartita.



Tra il 2019 e il 2020 una sciagura si abbatte sul mondo civilizzato: la seconda stagione delle NAAC. Rispetto alla prima stagione, le storie hanno "aggiustato il tiro", cioè sono ancora più brutte e inutili, e sono caratterizzate dall'essere la copia impoverita di alcuni vecchi classici.

1-Ritorno alle origini. Prologo congiuntivo (che egli prologasse) con la prima stagione: dov'è finito Max? E perché Martin non se lo ricorda? Ecco perché il nuovo Martin è più vicino a quello Classico, gli difetta la memoria. Il resto è il remake de Gli Uomini in Nero, ma più piatto e sbrigativo. Sulla Meteora Martin sale con le scale, ma poi prende il deltaplano comunque. Disegni di artisti vari, Alessandrini fa due pagine a caso.

2-Guerra nella Preistoria. Remake de La città delle ombre diafane. Avalon Hillman è rossa ed è uguale a Valentina Cosa Lì, la blogger del mistero. Nel prologo viene proposta un'altra battagliona nel passato remoto, copiata da Alexander e affini. Kramer non è Kramer, ma tanto muore, oppure no, boh. Neanderthaliani palestrati e neanderthaliane gnocche.

3-New York rosso sangue. Remake di Un vampiro a New York, ma con l'azienda farmaceutica cattiva. Il resto è la storia vecchia con meno pathos e gli Uomini in Nero berettiani.

4-Il naufrago del Tempo. Remake de La fonte della giovinezza, l'unico non completamente ridondante. La cerca è diversa, con un vaghissimo tentativo di imbastire una caccia al tesoro, il finale è diverso, ci sono gli indiani, e vabbè. C'è anche Valentina Ventura. Terribilis est locus iste, per carità. Chi lo nega. E tutto è molto dozzinale, tipo The Librarian, ma sempre meglio del remake impoverito. Ritorna la """""trama""""" di Max redivivo che nessuno riconosce.

5-Il segreto dei Mamuthones. Remake sardegnolo del Mistero del nuraghe, ma anche dei Get a Life! di Mont'e Prama. Rispettosamente, però, qui il gigante non è reale, ma è l'eco di un'altra Dimensione, idem il dinosauro. Invece lo Scultone è un'iguana gigante. Al posto della Grande Madre, c'è una protomolecola mutagena, un nome sicuramente più spendibile oggigiorno. Martin e Diana vanno in Sardegna con le amiche troccole e il placet del sindaco autoctono, perché in Sardegna, com'è noto, le normative italiane non vengono recepite. Martin ritrova Diana basandosi sull'app contapassi: geniale.

6-Frankenstein 2020. Remake della storia suggerita dal titolo stesso. Ma stavolta Konrad Dippel ha le fattezze di Fedez e sa già chi è. Martin usa un drone, o lo fa usare a qualcun altro; per il resto è come la storia vecchia, se fosse stata sceneggiata dagli americani. Dippel ha un cacciavite sonico tipo Doctor Who, e Martin alla fine lo mostra in televisione, raccontando tutta la storia.

7-L'uomo che morì due volte. Remake de Il Triangolo delle Bermude, solo col coprotagonista antipatico-villain. La riscrittura povera dura dieci pagine in meno, perché la falla spaziotemporale permette a Martin di ritrovare Max, che era rimasto nel mondo a Due Dimensioni di Anghiari (ma perché? boh). E qui scopriamo che questo Martin non è quello della prima stagione, e nell'ultima pagina vediamo un terzo (quarto?) Martin postapocalittico, senza occhio e con Java parlante. E non aggiungiamo altro, se non che l'amico di Castelli che ha ispirato Max è morto. A buon intenditor...



MM #367: La Frequenza del Caos (Badino/Piacentini)

L'autore de Il Nilo Giallo torna con una nuova avventura di Topolino, e precisamente con Topolino e il gigante della pubblicità. Arthur Randall Kane è il mysteriano del nuovo millennio, e quindi tutta NY è pazza di lui, chiunque ne segue le gesta sui social network, manco avesse le tette della Leotta, e le sue gigantografie appaiono ovunque, la gente smania dall'idea di vederlo assieme al mitico Martin Mystère, il vecchio che ci ha insegnato tante cose quando eravamo piccoli, tipo l'accoppiamento dei facoceri. Alla fine è meglio il Classico di Scarpa. Bambinate a parte, finalmente si riprende ad esplorare un pochino, seppure per sbaglio, un argomento affrontato solo in Congiura nei cieli e che andrebbe ripreso più spesso, cioè il ruolo di Martin nel mondo di oggi. Il siparietto dei quattro (più uno) colleghi è gustoso e andava fatto prima. Peccato che Von Ericksen sia off character, rozzo e arruffone peggio di Totò. Però anche questo contribuisce a dare verosimiglianza: in fondo era un palese burattino degli Uomini in Nero, e può darsi che col tempo si sia incarognito, come tutti al giorno d'oggi. Ben gestito il distacco schizofrenico-disempatico con cui Martin è colpito dalla sorte del collega in coma all'ospedale, ma al tempo stesso non gliene frega nulla, distratto com'è dai fatti suoi. Sembra proprio il 2020. Ma probabilmente è qualcosa di meno, giacché quando "dieci anni prima" Kane faceva il negro stagista per i "Mysteri di Mystère" - l'unico altro aspetto interessante - menziona una trasferta di Martin a Singapore, di cui non v'è traccia nel 2010. Naturalmente questo è un appunto che può interessare soltanto noi scapoloni avvizziti. Copertina truffaldina, ma involontariamente (?) azzeccata, nel senso che il presunto e vago collegamento tra Kane e Orloff è l'unico aspetto interessante della storia, dato che il "mistero" del Theremin è inventato di sana pianta (se metti un vaso di coccio tunguskiano dentro al Theremin originale, e solo a quello, influenzi la mente della gente, e questo è il motivo per cui è crollato il muro di Berlino nel 1989; rendiamoci conto di quanto sia "misteriosa" questa storia) e, sotto questo aspetto, è più avvincente l'articoletto in cui Castelli ricopia la vita di Leon Theremin da Wikipedia. Ma, tutto sommato, da questa roba si potrebbe pure trarne una nuova soap opera tipo "Sentieri" (che poi è come dire "Linee di Leys") o come si chiamava quella roba con Christine e i figli di Loki. La poderosa sceneggiatura ha goduto di un'edizione di pregio firmata Amys e della sponsorizzazione di Mark Pollard lui medesimo, finalmente - lo ha dichiarato esplicitamente in una intervista - disegnato bene, con tutto il rispetto per il Grande Ongaro, di cui possiede la tavola originale. Se Von Ericksen è incattivito e di Charles Fearless nessuno se ne cale, Mark Pollard è invece il grande amico di Martin, con cui si abbraccia e bacia appena ne ha l'occasione, mentre lo Csicop (il Comitato Statunitente per Il Controllo delle Opinioni in merito al Paranormale) smaschera Kane solo a giochi fatti, senza riuscire a svelarne la reale identità (l'idea che possa trattarsi di un parente di Orloff appare comunque troppo pacchiana, sebbene gli indizi e le distratte riflessioni di Mystère vadano insistentemente in quella direzione; altrettanto distrattamente, ci balena solo ora l'idea che possa trattarsi del figlio di Kate, la tizia de La grande truffa; i tempi non collimerebbero, ma ormai in pochi lo reputerebbero un problema). I disegni in stile NAC, ma V e BN, creano un cortocircuito nonsense per cui il vecchio e sorpassato MM è uguale al giovane rampante MM delle NAC, rendendo pertanto ridicole le pretese di A. R. Kane (Arcane, omaggio a un vecchio fumetto).

  

MM #368: Come Kaspar Hauser (Perniola/G.Nisi)

Coronavirus! Martin ci invita a stare a casa, e ci racconta una avventura vissuta all'inizio dell'anno, e così Perniola si ritrova un'altra storia rimaneggiata, anche se solo per una tavola. Il resto Castelli lo lascia com'è, perché è di quelle cose che piacciono a lui: un mad doctor ottocentesco che si ritrova ai giorni nostri dopo un tentativo di teletrasporto e quindi era simile al personaggio storico del titolo, ma non è lui, e le storie precedenti che hanno affrontato l'argomento vengono citate innocuamente. E sì, questo viaggio nel tempo si rifà all'originale impostazione di Time Travel Inc., ma la cosa fa sorridere dopo i numerosi cronoviaggi di Recagno, Cappi e compagnia. Una storia desueta, che, fooorse, se fosse uscita negli anni di Pasini e soci, ricorderemmo come un filler sgangherato, ma oggi sembra il solito racconto del nonnino stanco, quello che ci ha raccontato anche l'altroieri. E insomma, 'sto Kaspar Hauser non lo lasciano più in pace, e il finale inquieta in questo senso (non per quello che effettivamente vorrebbe). Al solito, Perniola dimostra di avere un minimo di rispetto per i personaggi e per il loro mondo, e qui vediamo finalmente Martin, sano di mente, telefonare ai suoi amici influenti (Tower, Travis, Aaron) per avere uno,due,tre aiutini, mentre Java torna ad avere un ruolo utile dopo eoni, almeno per un po', poi c'è il tizio che organizza la mostra (realisticamente inutile), eccetera, per un albo tutto sommato discretamente congegnato, pur nella sua desolante assenza di fantasia. Unico svarione, l'isoletta inventata.


MM #369: Il cannone dello Zar (G.Riccio/Rallo-Cardinale-Grimaldi)

Lo sceneggiatore lamenta per la seconda volta (su due) modifiche redazionali ai testi; per la seconda volta (su due), l'impressione è che, nella sua versione vergine, l'albo sarebbe stato noioso lo stesso. Come noialtri, l'autore ha visionato con interesse Chinese Zodiac con Jackie Chan, ritenendolo ricco di stimoli mysteriosi; ma, per la fortuna del nostro abbozzo di soggetto, qui il riferimento allo Zodiaco viene progressivamente trasformato in un depistaggio (ma se l'artefice di questa ret-con interna è Castelli, la nostra idea va a farsi benedire in ogni caso). Se questo motivo d'irritazione perde rilevanza, permane invece il fastidio per il Martin Giacobbo che ritiene i giocattoli a molla della paccottiglia per bambini: lui è a Parigi soltanto per il suo programma dedicato a Napoleone (in cui parlerà del pettine tenuto nel taschino con la mano), potete raccontargli tutti gli aneddoti curiosi ed insoliti che volete che tanto ha altro per la testa. Il professore suo amico è un puttaniere, ma è anche suo amico, quindi Castelli ha modificato la tavola di modo da non doverci scandalizzare; peraltro, dopo tale tavola improvvisamente il personaggio si volatilizza nel nulla, ricomparendo fugacemente in una vignetta nel finale, ma lo sceneggiatore non si è lamentato di questo, quindi dev'essere voluto. Comunque, a Java non piace più la piramide del Louvre (forse perché le piramidi erano costruite dagli schiavi, non lo dice). Il mystero, inventato di sana pianta, è il seguente: due consorterie ancestrali, infiltrate ambedue nella Massoneria, si combattono da secoli per ricercare un cannone costruito con una lega inesistente. Se il lettore speciale può comunque divertirsi a riconoscere i volti degli attori famosi sulle macchiette di turno, il lettore normale è sconfortato dal trovarsi quasi a comprendere il fastidio provato dal detective dell'impossibile nel doversi occupare di questa roba. Ma uno spettro si aggira sul BVZM, quello della ret-con, ed ecco piombare dal cielo la "civiltà del deserto del Gobi", cioè i Tathua de Danaan, i fondatori di Agarthi, quelli che il protagonista della serie non conosce bene e considera un invenzione degli scrittori di fantarcheologia (lo dice esplicitamente, con un moto di disprezzo). A questa rivelazione, tutto il resto perde improvvisamente significato e si dequalifica da solo, lasciando il lettore normale confuso e distratto, indistinguibile dallo speciale. (D'altro canto Riccio non ha lamentato modifiche al soggetto, né Castelli può ricordarsi del capolavoro Le Dieci Tribù, non avendolo supervisionato, ergo questa civiltà ancestrale, alla base di tutte le civiltà ancestrali, sembra essere davvero un nuovo snodo narrativo, di cui dovremo tenere conto). Cardinale torna dopo diverso tempo, occupandosi solo delle chine. Solo? Il suo tratto è molto riconoscibile. Senza Orlandi sta decisamente meglio. Doppio intervento posticcio con avvitamento: le ultime pagine sono di Grimaldi, tranne l'ultima dove Martin rivela che è tutto un flashback pre-Covid.


MM Special #37: Anni 30: La vita è meravigliosa? (Castelli/Alessandrini-Grimaldi)

presenta la tavola di Alessandrini originariamente inserita nelle anteprime dello Speciale #34. Cosa significa? Forse la sequenza doveva far parte delle visioni alternative che Martin sperimenta in quella storia? O semplicemente si erano mischiate le tavole sulla scrivania di Castelli? La domanda è lecita, in quanto di Alessandrini è solamente la sequenza iniziale - una ventina scarsa di pagine -, un prologo quasi autoconclusivo (quasi), e da lì in poi è un flusso di coscienza affidato al factotum Grimaldi. Con questo quinto episodio, la miniserie Anni 30 (che Castelli rivela essere la sua preferita, tra tutte quelle coi MM alternativi, fra i quali include anche il MM robotico di NN) salta lo squalo, abbandona il collante da fumetto a strisce con l'episodio precedente e si lancia nel delirio burlesque, con il pretesto dell'angelo Giuseppe (come il Premier in carica nel 2020) che riscrive la realtà ogni volta che ne avverte il bisogno, come il Demiurgo dell'Almanacco 2010. E quindi Martin Mystère non è più l'avventuriero "dieselpunk", ma (prima) l'attore di film bollywoodiani antipatico e saccente, (poi) la spia hollywoodiana di Altrove nel Luna Park di Coney Island (assieme ai colleghi Gable, Stanlio e Ollio, eccetera), (infine) il gangster mafioso a capo della malavita newyorkese e (dunque) lo stesso gangster ma in disgrazia e dimenticato da tutti. Non manca la ridda di riferimenti pop banalotti ma simpatici, shakerati non mescolati (Trump ha rotto i maroni, più simpatiche le Giussani e le riscritture cinefile), e non manca - dopo lo Speciale #36 - una nuova rivisitazione di Dee e Kelly, (prima) attori shakespeariani (poi) collaboratori di Altrove (quindi) doppiogiochisti nazistofili. Nonostante le raccomandazioni filogovernative antipandemiche e l'essere un prodotto recente, il fumetto offre in dosi massicce elementi "scandalosi" quali Dio in persona (nella raffigurazione sclaviana(?) della stella più luminosa del firmamento) e una Angie probabilmente mai così denudata e priva di mutande. Alla fine Giuseppi azzera l'intera storia e riporta il what if alla sua connotazione originaria - ma questo lo dice a parole, noi non lo vediamo - e ci saluta con un paio di gag infantilmente simpatiche (haha il Piccolo Principe haha il nazi).   


MM Presenta #16: Lo Spirito di Raffaello (Castelli/Orlandi)

è un racconto breve di quindici tavole insolitamente inedito e classicamente mysterioso, perlomeno nella concezione, un po' meno nello svolgimento; nel senso che di svolgimento praticamente non ce n'è e il tutto si riduce a un'intuizione di Castelli, che lo stesso - ci fa sapere - ha passato al compianto Giorello, che l'ha a sua volta riciclata fino alla morte. La sede della SBE è in via Buonarroti, e Michelangelo Buonarroti ha dipinto la Cappella Sistina da sinistra a destra, come un fumetto ante litteram (in realtà Castelli accenna solo alla seconda asserzione, e solo di sfuggita). In questo modo non è Dio ad aver creato l'Uomo, ma viceversa. Si tratta solo di uno scherzo? Lo risposta, forse, è in un altro albo. Per ora sappiamo solo che Raffaello Sanzio, yuppie d'altri tempi, era a conoscenza del trucco, indeciso se rivelarlo o meno; nevrotico e tossico, si è suicidato per errore. Martin e la cliente (la figlia del suo defunto prof. di Arte, che finalmente conosciamo) si limitano a raccontarsi questo aneddoto e rimangono pure all'oscuro della sua vera conclusione. L'artista disegna un brevissimo flashback di Martin studente a Firenze con un abbigliamento moderno. 

Nostra Terra dei mysteri (Castelli/Alessandrini) è un capolavoro che conosciamo a menadito e non era necessario riproporcelo, senza effetto speciale e come pubblicità al CicapFest.


Anche nell'anno del covid non manca l'albetto Cartoon Club, che però stavolta è decente e realizzato con AMyS.

Docteur Mystère presenta: Il mistero del corvo (Castelli-Salvadei/Filippucci)

è un feuilleton in prosa rimasto interrotto anni fa, e qui finalmente riunito e concluso e corredato di prologo a fumetti di due pagine. Non l'abbiamo letto, ma prima o poi succederà. 


Felicemente saltati anche i Maxi Zona X #12/15 ristampanti i primi 5 episodi di Magic Patrol (vecchiume già letto) e i primi 5 de La stirpe di Elan (vecchiume e basta).


I Romanzi di Martin Mystère #4: La Pietra di Wolfram di A.C, Cappi 

invece l'abbiamo letto, anche se con modalità differenti dalle solite. Difatti, è una storia diversa dalle consuete, dato che è un'avventura classica in cui si riprendono tematiche molto care ai mysteriani (oggi elettori di destra), come i Graal e i nazisti. Un romanzetto pulp piacevole, come avrebbero dovuto essere anche i due precedenti. Da prendere comunque con le pinze, la continuity è un po' tirata per i capelli e Cappi continua ad infilare i suoi amici come personaggi, come facevamo noi alle Scuole Medie. Ma, come si suol dire, "meglio questo di un cazzotto in bocca".


MM #370: Il caso della Matilda Briggs (Artusi-Lombardo/Artusi-Lombardo-Velardi)

E finalmente viene risolto uno dei più grandi mysteri  della serie: per quale motivo questo albo, annunciato ufficialmente ogni anno a partire dal 2012 e sempre rinviato, non è stato pubblicato fino ad ora? La risposta è disarmante, ma non così originale: perché è una ciofeca! Ma questo è l'anno del covid - come Castelli ci ricorda ad ogni rubrica - e questo albo "parla" di un laboratorio dove si testano virus (e basta, solo di questo), quindi "se non ora, quando?". Ma è un albo di una tristezza infame, un riempitivo di 154 pagine vuoto e dilettantesco, un bonellide degli anni 1990, di quelli che chiudevano al terzo numero. Tant'è che la rubrica si occupa dello Speciale #37 e che è a questo punto che sui social viene annunciato il prossimo cambio di formato della testata. Come a voler dire BASTA a questa roba indegna del peggior Nathan Never/Nick Raider scritto dall'amico occasionale di Serra/Piani. C'è pure un personaggio che fa le foto (con la macchina fotografica) ai documenti, una cosa che a noi non riesce mai (anche con 48mpx quadrangolare ultra hd ci vengono sfocate), e, parafrasando il grande detective (non MM), "quando una cosa non riesce mai, pur essendo improbabile che possa non riuscire mai, evidentemente è impossibile che riesca".  


Storie da Altrove #23: La donna che vide l'uomo invisibile (Recagno/Sforza)

Lo spin-off che tanto ci ha fatto sognare e divertire l'apparato cerebrale, già decaduto da qualche anno a causa della riduzione foliare imposta e della crisi di ispirazione del suo nume tutelare, chiude tristemente i battenti, nel disinteresse generale, con una ulteriore sforbiciata che porta l'albo alla foliazione del MM mensile. La sofferenza è troppa, e sul momento ci rifiutiamo di partecipare al funerale. Anni dopo, ci ripensiamo, perché siamo masochisti. Fumetto che oscilla tra il decoroso e il televisivo, con questo Recagno che proprio non la pianta di allungare il brodo con vignettone lunghe e panoramiche. Certo, forse lo fa perché l'artista sa fare solo quelle, mentre le fisionomie a volte lasciano a desiderare. Ma non è vero, è una fissa che gli è venuta con il fottuto Dottor Vù e l'ancor più fottuto Star Trek hipster delle nuove serie. Ci irritiamo perché le pagine a disposizione sono solo novantaquattro, e il signorino si permette comunque di sprecarne alcune, eppure riesce lo stesso a raccontare la sua storia. Ma magari se utilizzava meglio anche quelle alcune, riusciva a raccontarla meglio, no? Ma chi siamo noi per dirlo. A dire il vero, durante la lettura non è ben chiaro quale sia la storia che l'autore voglia raccontarci. I nostri amici ci sono tutti: Gordon Cole e Kyle Anderson e Aldous Morrigan e Kenzo Kabuto in riunione, Theodore Roosevelt, e quell'altro tizio. Già, perché Recagno riprende l'innovazione (chiamiamola così) castelliana del #18 (quello di Freud), in cui veniva buttato nella mischia Maxwell, il predestinato doppiogiochista della Base. Questo nonostante sia il 1904 e Maxwell sia uguale a come sarà nel 1914 (l'albo di Castelli): ma, come sappiamo, egli diventerà immortale a partire dai tardi anni 1930, quindi, vent'anni più vent'anni meno, siamo lì. Dunque Maxwell agisce pure qua, prima come misterioso ed evanescente criminale dietro le quinte, poi come talpa spudorata e meschina. La sua identità ci viene svelata troppo presto, o poteva esserci svelata fin da subito, d'altronde il "colpo di scena" lo aveva già usato Castelli? Non sappiamo rispondere, perché, in realtà, a noi interessa di più sapere qual è l'oggetto della contesa della vicenda, e ci rimaniamo malino quando veniamo a sapere che la donna misteriosa di turno altri non è che la sig.ra Roosevelt. Noi seguiamo con attenzione tutti gli spostamenti, i doppigiochi, queste comparse che dovrebbero ricordarci qualcuno ma che ci sembrano tizi qualunque (non è che noi siamo messi meglio dello sceneggiatore, diciamolo pure), e alla fine ci ritroviamo con una storia che apparentemente si prospetta come una noterella in uno degli infiniti fascicoli dell'archivio della Base. Pure l'uomo invisibile, non è Griffin, è un negher che ha rubato il lavoro a quello vero. Sì, perché Maxwell ha assoldato il tizio per conto degli Uomini in Nero, che volevano impedire a Roosevelt di realizzare il Canale di Panama. Perché? Lo scopriamo nell'ultimissima vignetta dell'albo, che nonostante una rivelazione un po' naif e straniante, riesce a qualificare anche questo caso come una Storia da Altrove. - Ma come! Finisce così? - direbbe il lettore speciale. - Proprio adesso che inizia il bello! - Caro mio, potevi pensarci prima, invece di lamentarti di Giardo e degli albi di 164 pagine.


MM #371: Gog e Magog (Mignacco/Ongaro)

Apocalisse! MM chiude! MM rinasce! Ma è tutto un bluff, il rilancio è rinviato. All'autore di Cassandra e La profezia (il quale, titol itol, ce lo aveva detto che noi fans non dovevamo farci problemi) non resta che sceneggiare male un soggetto vecchio di quasi trent'anni, come si evince dal tizio che assomiglia a Henry, dall'accenno iniziale all'infomagia, dal fatto che - concettualmente - l'approccio è lo stesso di Cassandra (il copycat di un episodio mitologico nella NY contemporanea), dalla presenza di un graffitaro millenarista, e, soprattutto, da una New York che pare presa di netto dagli anni di Bush Sr. Un altro parallelismo sta nella evidente revisione redazionale: così come gli aggiustamenti di Castelli avevano reso Cassandra un fumetto semplice ma godibile, qui abbiamo un moderno kiosk al posto della cabina telefonica e ben due riferimenti al covid-19; il fatto che nessuno, a NY, nel 2020, neanche una comparsa sullo sfondo, porti la mascherina, unito all'abbondanza davvero notevole di assembramenti, aumenta il grado di realismo della vicenda. L'Apocalisse, come dicevamo, è una beffa: l'albo è stato pubblicato soltanto perché lo Storie da Altrove contemporaneamente in edicola è dedicato all'uomo invisibile, e qui il graffitaro diventa invisibile; e poi c'è sempre quel libro di Castelli disponibile in tutte le librerie, dal titolo Apocalisse. L'iniziale riflessione oziosa sugli informatici ebrei ("se scrivo il nome di Dio al PC e scrollo col mouse, lo cancello?"), di per sé interessante, si rivela essere, due vignette più tardi, soltanto una riflessione oziosa. Molto spazio è dunque dedicato alla città, che scopriamo essere popolata, in buona parte, di maniaci sessuali e depravati. Da qui alla scoperta che "Gog" è una Golem disinibita e femminista, il passo è coerentemente breve. Fortunatamente, l'origine di questo ennesimo Golem appare una coerente aggiunta alla mitologia già nota, che non contraddice, ma anzi arricchisce le nozioni apprese nei Classici della serie (dai quali viene prelevato, a scopo illustrativo, anche il rabbino veneziano di Chiaverotti). Sfortunatamente, non sembrano esserci tracce di questa mitologia aggiuntiva nelle fonti storiche, salvo, forse, che nell'"Abremelin" già sfruttato in un Dampyr: né le Shappirit, né le Shapparit, come le chiama Mignacco nell'una e nell'altra pagina, appaiono sul più celebre motore di ricerca (per "female golem" il primo risultato attendibile è "Obviously, a female golem did not menstruate and did not need to take ablutions in the ritual bath to be cleansed for copulation."). Questo spiega anche perché la rubrica di Castelli si occupa di tutt'altro (preferendo Pascoli a Papini, ma solo per sminuirlo) e abbonda di virgolettati biblici. Vabbè, tanto la tipa muore, mentre il finto Henry diventa cattivo, ma non è che vogliamo proprio rivederlo. Meglio l'originale, allora. Pagina della non-posta filogovernativo-paternalistica, che offende il buon senso di noi elettori speciali. Molto meglio lo specchietto dedicato al fumetto prodotto dal fondamentalista evangelico cospirazionista e anticomunista. E che siamo, Bicornuti?


MM #372: Jenny Haniver (Castelli-Lotti/G.Nisi-Grimaldi)

Per chiudere in bellezza un anno ricolmo di soddisfazioni, ecco l'attesissimo seguito di Chimere, in un albo che, col senno di poi (la preview di quello successivo), si rivelerà essere l'ultimo albo "normale" della serie. Per l'occasione, dunque, il protagonista viene sostituito nientepopòdimeno che dal Cristallo Con Le Zampette di Chimere, di cui seguiamo le avventure in incognito, mentre è camuffato da MM. E pensa se l'albo non era normale! Cristyal - come ricorderemo, purtroppo - è un alieno poliziotto, che dà la caccia a un suo compianetano contrabbandiere; in Chimere - come ricorderemo, purtroppo - avevamo fatto la conoscenza del contrabbandiere; qui - come ricorderemo, purtroppo - seguiamo il poliziotto. La sceneggiatura del redattore della rivista di informatica è costruita in modo da non farci credere, nemmeno per un secondo, che Martin e Java abbiano viaggiato nel Tempo e perso la memoria, d'altro canto le riviste di informatica non pubblicano i giochi, ma le soluzioni: non è un caso se l'intera avventura si rivela essere una patch(ianata) a scadenza contenuta nel cd allegato. Tuttavia, le allodole possono ritenersi soddisfatte, dato che l'intera storia è a specchio: oltre ad essere la "versione contraria" di Chimere - come ricorderemo, purtroppo - è la "versione contrariata" dell'ennesimo Classico ricordato male, purtroppo, La vita segreta di Diana Lombard, solo che qui è Diana a piangere per Martin precipitato con l'aereo e disperso in Canada. Non sembra importante, invece, la ret-con dell'intera saga di Roanoke di Recagno, un po' perché alla fine Martin assicura sbuffando che un giorno forse ci penserà un momento, un po' perché Castelli cita di sfuggita gli albi nella rubrica (ma ci invita a leggere la versione di Zagor di Burattini), un po' perché, diciamolo, quella saga non è farina del grande Morales, perché mai dovremmo ricordarcene, purtroppo? Il soggetto di Castelli, oltre a citare sé stesso (Chimere - come ricorderemo, purtroppo), cita anche sé stesso: non erano forse alieni cacciatori di taglie, quelli visti nell'albo L'ombra di Za-Te-Nay? Come ricorderemo, purtroppo, è in questo autore che riponiamo le speranze in vista del prossimo rilancio. D'altronde, come riflette il creatoino titolare della testata, la nave spaziale di Crystial è ancora da qualche parte, scena che la nostra mente indotta reinterpreta come l'occhiolino di un cavatappi. Arte che chiamare "arte" è già farle un complimento: evidentemente Nisi è più anziano di quanto pensassimo, oppure si è adeguato alla sceneggiatura. Grimaldi disegna dei rattoppi, come faceva col grande Morales. A proposito: memore dell'esperienza de La stirpe di Tiamat, Travis stavolta si pone un sacco di problemi di giurisdizione (d'altronde il Canada è di sinistra, mica come l'Iran) e, se non era per Diana, neanche accendeva il Mac di Martin senza mandato, in una sequenza, a modo suo, già di culto.


(2018-2022)


martedì 30 agosto 2022

Gli Albori (5)

Riecco gli albi delle mie origini.

Per scusarci dell'intervallo di un anno dalla puntata precedente, oggi schieriamo alcuni pezzi da novanta (il decennio di pubblicazione): i Classici Disney (seconda serie) acquistati "in diretta" in quell'epoca di ristoranti pieni e sciali energetici.



Agosto 1994. Una memorabile copertina - è il n.213 - celebra il nuovo Governo italiano. Lo diciamo subito: Paperino e la vena aurifera (Barossi/Chierchini), Topolino e il campione di Kung-Fu (Martina/Asteriti), Zio Paperone e i residuati di guerra (Dalmasso/Chierchini), Nocciola e il titolo accademico (Chendi/Bottaro) sono storie di cui, al momento, non ricordiamo molto; giusto fugaci e sfuggenti flash. Di Paperino e il consulto gratis (Pier Carpi/Gatto) rammentiamo, a grandi linee, il canovaccio. Paperino e il ferro portafortuna (Cimino/Cavazzano), invece, ha avuto l'onore di essere riletta in tempi più recenti, e di guadagnarsi, dunque, qualche cenno di memorabilità in più.

Meglio è andata a Zio Paperone e il Dollaro da semina (Chendi/Bottaro), breve short di cui ci sono sempre rimasti impressi l'idea di fondo e il buffo alieno beccuto. 

Paperino e il... piede sinistro (Barossi/De Vita M.) è, invece, trascolorato nella leggenda, trasformandosi, nella nostra mente imberbe ed influenzabile, in un tormentone. È dal '94 che scendiamo sempre col piede destro, grazie alla saggezza appresa dai fumetti Disney.

Salendo ancora il podio, Topolino e la macchinazione di Macchinisto (Barossi/De Vita M.) è stata una delle primissime incursioni nella fantascienza dei nostri occhietti ancora non corrosi dalla miopia. Un fumetto molto semplice, adattissimo per insegnare ad un piccolo nerd a diffidare sempre dei dittatori. Un altro titolo divenuto per noi proverbiale.

Ma il vero tesoro di questo glorioso albo è Pippo e l'apatia volontaria (Chendi/Scarpa-Cavazzano). Un fumetto che ricordiamo a memoria da allora e che, ancora oggi, consideriamo uno dei veri e propri capolavori del fumetto italiano. Di più: a nostro dire, è una delle rarissime storie a fumetti che toccano la perfezione, nei testi come nei disegni, nella recitazione dei personaggi come nel soggetto. 




Nello stesso anno, ma nel periodo freddo, ecco il n.216 sfoggiare nientepopodimeno che una copertina di Romano Scarpa. Lì per lì ancora non colleghiamo questo disegno allo stile dell'artista dell'Apatia volontaria (vedi sopra), ma lo faremo non molto tempo dopo.

Immancabilmente, il volume ospita episodi che abbiamo dimenticato: Gambadilegno e l'attacco fatale (Missaglia/Asteriti), Topolino e il dipinto rivelatore (idem), e la doppietta del Diario di Paperina di Chendi e Gatto: Serata romantica e Balli moderni.

Discorso a parte per Zio Paperone e la rapina dell'altro secolo (Cimino/Cavazzano): a suo tempo non ci convinse, e questa impressione ci restò sul gargarozzo. Riletta con la dovuta intelligenza in tempi più recenti, abbiamo saporitamente digerito. Ringraziamo gli odori.

C'è un terzo episodio del Diario di Paperina: è L'anello di brillanti (Chendi/Gatto), che non ci è rimasto impresso semplicemente perché l'albo ospita anche Paperino e l'anello perduto (Chendi/Bottaro), e nella nostra mente dislessica i due titoli sono rimasti inestricabilmente intrecciati. In realtà, è la seconda storia quella che rammentiamo con dovizia di particolari.

Un'altra marachella da avanspettacolo che ricordiamo con affetto è Paperino salvatore salvato (Chendi/G.B.Carpi). Mentre Sgrizzo, il più balzano papero del mondo (Scarpa con Cavazzano) è divenuto poi un celebre classico.

Ecco dunque Topolino e l'enigma del campanile (Missaglia/De Vita M.), giallo di cui - per motivi insondabili - ci restò indelebilmente impressa la prima tavola. Rileggendolo proprio in questo fresco e sereno 2022, abbiamo risvegliato il ricordo delle rimanenti tavole.

Lo stesso è accaduto con Paperetta Yè Yè e il ricettario abbuffatorio (Scarpa con Cavazzano), anzi, in questo caso la riaccensione del ricordo ha coinciso con un miglioramento dello stesso. E comunque già il titolo è da antologia. 

All'albo è connotato pure un evento spiacevole, giacché ci rammenta come, quand'anche noialtri eravamo marmocchi, la persecuzione di marmocchi di età inferiore ci aveva già colpito con tutta la sua violenza. Nel caso in questione, il duenne parente alla molto lontana ci strappò la pagina del sommario: da quel momento, ad ogni sirena di "adunata parenti", non abbiamo mai lasciato un solo fumetto incustodito, ma siamo sempre corsi a nascondere il prezioso bene alla vista altrui.



Balziamo all'aprile 1995, n.221: ora il governo è tecnico, una bolla di sapone in cui il papero medio si crogiola mentre spreca acqua e infastidisce i vicini con la radio. 

Il volume ospita Zio Paperone e la collana della duchessa (Martina/Chierchini) e Zio Paperone e i germogli esplosivi (Cimino/Scarpa-Cavazzano-Capitanio). Con nostra somma vergogna, nonostante i nomi altisonanti coinvolti, i nostri ricordi di quelle due vecchie glorie sono labili e confusi.

Di Paperino cacciatore di aquile (Chendi/G.B.Carpi) e Paperino e la legge municipale (Barossi/Bottaro), pure, abbiamo ricordi confusi, ma almeno rammentiamo il canovaccio. Vogliamo qui confessare come il tema della prima storia, oggi, ci faccia leggermente inorridire. Ma confidiamo di potervi sorvolare imperiosamente in fase di eventuale rilettura.

Zio Paperone e il telesoggetto originale (Barossi/G.B.Carpi) è un altro fumetto di cui ricordiamo solo il canovaccio: la differenza dalle precedenti storie è che questa, in un momento imprecisato della nostra vita recente, l'abbiamo riletta... e immediatamente dimenticata una seconda volta.

Arriviamo al nostro podio. Ecco Topolino ferroviere d'assalto (Sisti/Gatto), giallo in due tempi che ci restò impresso per la sua inusuale ambientazione: un treno in corsa. Non avevamo ancora visto il celebre film cui è ispirato e i suoi numerosi remakes (anche televisivi). Memorabile, volenti o nolenti, il travestimento del cattivo.

Saliamo a Paperino e l'inseguimento senza fine (Salvagnini/Camboni), frenetica avventura comica di cui ci colpì pressoché tutto. Non è un capolavoro, ed è pure un fumetto già recente al momento della sua etichettatura a "Classico"; ma è ben disegnato ed è relativamente brillante.

Il pezzo forte dell'albo, tuttavia, è Zio Paperone e gli scherzi spazio-temporali (Concina/Zemolin). Da sempre appassionati di viaggi nel tempo, non riusciamo ad indicare con dovizia di particolari il casus belli che diede inizio a tale passione. Sicuramente, questa bislacca commedia affaristica è tra i candidati.




Soltanto un mese dopo, una memorabile copertina introduce il n.222.

Sorvoliamo subito le storie dimenticate: Topolino e l'Occhio del Drago (Amato/Gatto), Topolino e il frutto impossibile (Barossi/Asteriti), Topolino e il ciliegio dell'Imperatore (Saio-Repetto/Motta-Fedeli). Banalmente, i gialli. Con una annotazione: le influenze asiatiche non ci furono del tutto indifferenti.

Paper Ringo il trovatore (Martina/Gatto), episodio del ciclo C'era una volta... nel West, è un fumetto che abbiamo sostanzialmente rimosso, eccezion fatta per l'arguto titolo e per la vignettona conclusiva.

Zio Paperone e il petrolio lunare (Dalmasso/Perego) e I tre nipotini e i richiami marini (Pavese/De Vita M.) li abbiamo perfettamente dimenticati a metà: o, meglio, di entrambe rammentiamo bene alcune scene e male altre.

Di Paperino cacciatore di pellicce (Chendi/Bottaro), invece, idem. Ma come per le aquile del n.221, l'argomento provoca una leggera nausea.

E arriviamo finalmente al trittico da antologia. Paperino e il Venerdì 17 (Barossi/De Vita M.) fa il paio col "piede sinistro" di qualche numero fa (vedi sopra) e, più che un fumetto da rileggere, è divenuto uno dei nostri tormentoni.

Pippo salva la Terra (Pavese/De Vita P.L.) ha per noialtri lo stesso sapore di una commedia in bianco e nero degli anni 1950. Ci ha divertiti allora, nonostante i 40 anni di ritardo, e ci diverte ancora oggi, e per sempre.

Infine, Zio Paperone e la sirena d'Arabia (Cimino/Bordini) racchiude un po' tutte queste caratteristiche. Oltre ad uno dei twist narrativi che più hanno solleticato la nostra fantasia (non ci riferiamo al fatto che la sirena sia in bikini, ma alla sua natura di polena).



E dopo soli trenta giorni, arriva giugno, e con esso il n.223.

Salutiamo Topolino e la pasticca arabica (Pavese/Scala) e Zio Paperone e la voglia dell'Erba Voglio (Barossi/Chierchini) con l'aria di chi ricorda di aver già visto quel volto ma senza sapere bene chi fosse, e passiamo a Zio Paperone e l'amuleto su misura (Chendi/Scarpa-Cimino), l'esordio del nipote iettatore. Costui lo ricordiamo molto bene; un po' meno, o quasi nulla, degli eventi che lo vedono coinvolto.

Il resto del volumetto si compone di una quaterna indimenticabile, e infatti non l'abbiamo mai dimenticata.

Zio Paperone e il duello aereo (Siegel/De Vita M.), Topolino e l'instabile anniversario (Barossi/De Vita M.), Paperino e la fine del mondo (Bottaro), Topolino e il ferro d'oro (Scarpa con Del Conte). 

Quattro fumetti entrati nei nostri cuori. In particolare, le due coi paperi ancora oggi ci coinvolgono con efficacia.



Saltato il n.224, ecco il n.225. 

Di tutte le storie quivi pubblicate abbiamo almeno una vaga impressione rimastaci.

Ciò è valido, dunque, anche per fumetti di cui ricordiamo poco, come Zio Paperone e i fantasmautomi (Gazzarri/Chierchini), Paperino e il bricco briccone (Barossi/Gatto), Paperino e lo scopetto a strappo (Dalmasso/G.B.Carpi), e persino per Paperino maestro di guida (Langhans/Strobl-White), una delle indiscutibili elevazioni a "Classico" dei riempitivi dello Studio Program.

Una menzione a parte merita Topolino e la fantomatica F.O.L.P.O. (Pezzin/Asteriti): se il titolo e la pagina di apertura ci avevano colpiti, lo stesso non si era detto delle pagine interne. Fortunatamente, una provvidenziale rilettura recente ha provveduto (d'altronde era provvidenziale) a restaurare vivacemente ricordo e giudizio.

Non ci resta che entrare nella top three, dove troviamo Paperino e la fantastica sviolinata (Martina/Cavazzano): come dimenticare una tale bischerata, priva di una reale trama?

Al secondo posto, però, c'è Zio Paperone e il Deposito piramidale (Scarpa con Zemolin): e questa, davvero, non si poteva scordare.

Ma la storia-clou, capace di devastare i nostri neuroni e di imprimersi al loro interno, cortocircuitandoli per sempre, non poteva che essere Topolino e il Triangolo delle Bermude (Castelli/De Vita M.). E non c'è bisogno di spiegare perché.



Oplà! Due mesi dopo, è già tempo di n.227. 

Un numero quasi antitetico ai due precedenti: di questo abbiamo rimosso quasi tutto.

Topolino e la vernice generatrice (Vizzotto/De Vita P.L.) non ce la ricordiamo per niente. Di Zio Paperone e la scatola misteriosa (Siegel/Gatti) possediamo, forse, una labile traccia, mentre di Paperino direttore d'albergo (Studio Program), ci ricorda qualcosa, ma non sappiamo bene cosa. 

Di Paperino e la notte agitata (Chendi/Perego), invece, ce la ricordiamo abbastanza, ma forse perché l'abbiamo riletta. Al contrario, Zio Paperone e l'autogomma in serie (Chierchini) ce la ricordiamo abbastanza, ma non abbiamo voglia di rileggerla.

Zio Paperone e il debito d'onore (Cavazzano) è fumetto da riscoprire, ed è ciò che intendiamo fare quanto prima.

Un albo, dunque, senza storie capaci di rapirci e coinvolgerci? No, perché c'è ancora Topolino e la scorribanda nei canali (Michelini/Ubezio). Nonostante sia una sequela di marchette televisive, non tutte immediatamente comprensibili a pochi anni dalla prima pubblicazione (ad es. "Quelli della notte" era già passato remoto), l'atmosfera allucinata ai confini della realtà del viaggio di Topolino e Pippo ci lasciò diversi brividi di esaltante inquietudine.



Il numero del mese successivo, il n.228, è la copia quasi identica di quello del mese precedente al successivo.

Infornata di storie di cui abbiamo scordato tutto, tipo Topolino e i pescherecci sfondati (Sorrenti/Scala) e Paperino e la polvere magica (Chendi/Cavazzano) o di cui abbiamo fugaci flash, come Topolino e il cemento incollatutto (Howard/Jaime Diaz Studio), Pluto cane permaloso (Howard/Valenti), Paperino e l'autobiogradia (Nofziger/Strobl-Steere), Pippo e la corsa al bus (Howard/Jaime Diaz Studio), Paperino e la puntualità soprattutto (Dalmasso/Bargadà Studio).

Restano Zio Paperone e l'uovo conteso (Bordini): di questa ricordiamo il demenziale flashback. E Il terrore corre su quattro ruote (Chierchini): un fumetto che un tempo amavamo molto, ma che ora ci appare un poco sorpassato.

Come nel n.227, il solo pezzo forte è dato da un anomalo episodio in stile Twilight Zone: è Paperino e le concatenazioni imprevedibili (Salvagnini/Gottardo), la famosa storia coi personaggi che si leggono o si guardano in tv a vicenda.



Ci ritroviamo, dunque, ne 1996, con un albo acquistato senza un reale motivo. All'infuori del "Libretto" settimanale (e, in seguito, del PKNA), avevamo diritto ad un solo albo extra acquistabile durante la passeggiata domenicale. Ma non tutte le Domeniche trovavamo effettivamente albi capaci di entusiasmarci durante le nostre interminabili sfogliate dinanzi ai pazientissimi edicolanti. Così, in talune (poche) circostanze, ci siamo sentiti in dovere di dilapidare soldi altrui soltanto per sfizio.

Di questo volumetto, ad esempio, non ci colpì quasi nulla. Né Nocciola contro la banda a vela (Mandelli/Perego), né Paperino pericolo pubblico numero 6 (Barosso A.-Pavese/De Vita P.L.); né Topolino e il nasino francese (Concina/vari), né Topolino e il viaggio a Honolulu (Dalmasso/De Vita P.L.), e neppure Topolino e il ratto di Broadway (Siegel/De Vita P.L.).

Nemmeno Topolino forzuto per forza (Barossi/Asteriti), ad essere onesti. Una storiella che, tuttavia, è stata tra le prime ad essere incontrate nel momento in cui, adulti e vaccinati, ci siamo riaffacciati al mondo disneyano. E quindi si è salvata dall'anonimato.

A conti fatti, di questo n.232 soltanto due storie hanno bussato al nostro neurone: la demenziale e nonsense Zio Paperone e i fasti del Patè (Bellomi/Lostaffa) e il classico Paperino e la bistecca spray (Pezzin/Gatto). Almeno quest'ultima degna di menzione ed elogio.



Due mesi dopo, n.234, il copione si ripete.

Paperino e il premio galattico (Pavese/Gatto)? Topolino e il labirinto rivelatore (Missaglia/Capitanio)? Zio Paperone e la stangata dell'arcobaleno (Siegel/Perego)? E chi se le ricorda?

Vergognosamente, nemmeno Zio Paperone e il castello del Duca Pazzo (Barks) riesce a stimolare la nostra fantasia. Per fortuna, da grandi abbiamo colmato l'ignominiosa onta.

E Paperino e gli amuleti porta-iella (Barossi/Perego) e Topolino e l'Asso di Picche (Bramante)? D'accordo con quanto sopra esposto, non ci colpiscono. Ma lasciano una traccia sottesa, inintellegibile, soprattutto lo stile di Brahms.

Meno male che l'albo ospita Guido Martina. Zio Paperone e l'eredità indivisibile (Martina/Esposito) è una marachella che, senza un motivo particolare, si è lasciata ricordare.

L'amorosa istoria di PaperoMeo e Gioietta Paperina (Martina/Scarpa-Del Conte) è invece un Classico della Parodia e del fumetto italiano. Tutto qui? No, perché oggi, dopo attente analisi e riflessioni, abbiamo deciso che si tratta di un altro di quei rari fumetti prossimi alla perfezione, in questo caso se non altro nell'ambito disneyano.



Con il proliferare delle testate tematiche (PKNA, GM, Topomistery, ecc.), ai nostri occhi bramosi di novità i Classici perdono smalto. Gli acquisti si diradano.

Il n.237 lo acquistiamo solo ed esclusivamente per poter leggere Zio Paperone e il centenario (+1) bullonario (Concina/G.B.Carpi con Santillo), di cui non trovavamo il "Libretto" originale. Si tratta del famoso episodio con Agnelli (identico al vero) e l'Innominabile (completamente diverso), che, per motivo che non riusciamo a ricostruire, ci interessava davvero molto. Dopo attente riletture, non siamo in grado di spiegarcene il motivo. Però il titolo è davvero tra i più brillanti.

Anche Topolino nell'iperspazio (Concina/Dotta e Orazi)  ha goduto di un'analisi adulta e a posteriori, che ci ha portato a dequalificarne l'importanza storica. Ma almeno ha serbato una simpatia di fondo, se non altro per la sua involontaria dozzinalità.

Zio Paperone e la Crescirapida Precipitosa (Pezzin/Gorlero) non ci disse molto, mentre Zio Paperone e l'incubo predante (Michelini/Cavazzano) è il seguito di una storia cui teniamo molto, ma inferiore alla stessa. 

Di Zio Paperone e l'albergo sul picco (Cance/Cavazzano) rammentiamo il solo canovaccio. Leggermente migliore il ricordo di Paperino e il pollice d'ascolto (Salvagnini/Held) e Il club più... Più di Paperopoli del Diario di Paperina (Concina/Intini). Senonché quest'ultime due erano storie allora recenti, e la seconda l'avevamo già letta sul "Libretto".



E ora bariamo spudoratamente. Non acquistammo in diretta il n.239, ma lo recuperammo, anni dopo, all'usato. Senonché l'"anno dopo" fu comunque un "anno novanta" (l'ultimo): così rientra comunque nella categoria.

Acquistammo il volumetto per uno ed un solo motivo: Paperino e la leggenda dello "Scozzese Volante" (Scarpa con Gatto). Le cronologie di Luca Boschi ci avevano condotto alla follia delle mancoliste e della compartimentazione degli autori.

Ignorammo del tutto le altre storie, eccezion fatta per Gambadilegno e il ritorno a Leg City (Mezzavilla/Cavazzano), ma solo perché l'avevamo già sul "Libretto".




Medesimo discorso è da applicarsi al n.248, recuperato all'usato prima del nuovo millennio.

Casus belli è Topolino e gli enigmi del Tempo (Pezzin/De Vita M.), la prima storia del nostro ciclo favorito. Un fumetto che, col passare degli anni (i nostri), ha acquisito un valore estrinseco che supera quello effettivo. Oggi è uno dei nostri fumetti preferiti, per via di quella sua atmosfera a tratti gotica, a tratti nostalgica.

Anche in questo caso, saltammo a pié pari gli altri episodi proposti. 

Eccezion fatta per Le GM e il "test" da detective (Dester/Scala). Un gialletto per bambini, e dunque alla nostra portata, e dunque da noi apprezzato.



Ed eccoci all'albo del mistero, il n.256. 

Dovete sapere che, da sempre, rammentiamo alla perfezione di aver letto - ma che diciamo? divorato con ansia - Zio Paperone e la Corrente del Golfo (Dalmasso/De Vita M.) prima a casa e poi a scuola, durante le lezioni. L'unica pubblicazione sulla quale potevamo averlo fatto è questo Classico... che, tuttavia, non rammentiamo di aver avuto, giacché ci pare di non aver posseduto nessuna delle altre storie proposte. Probabilmente le saltammo a pié pari. 

In realtà, qualche timida suggestione de Paperino e l'amplificatore elettrostereofonico (Missaglia/Chierchini) l'abbiamo, ma l'argomento oggi ci disgusta al punto da volerne dannare la memoria. 

Topolino e la voce nuova (Missaglia/Capitanio), invece, semplicemente ce la siamo ritrovata in un'altra pubblicazione.



Non misterioso, ma altrettanto particolare è l'immediato n.257.

Non lo acquistammo, ma lo leggemmo a scrocco da un amico.

Una lettura veloce e con i minuti contati. La nostra attenzione non poté che concentarsi su Qui Quo Qua e la macchina del tempo (forse Martina/Capitanio), celebre per il cameo dei personaggi Hanna&Barbera (al tempo in licenza da Mondadori anch'essi). Le stranezze non sono terminate: da adulti, un'attenta analisi ci ha portati ad attribuire ad ignoti la sceneggiatura, che degli stilemi martiniani non ne presenta alcuno. (Questo, a sua volta, ci ha portati a dubitare delle cronologie a cui ci siamo abbeverati per decenni, ma non è il caso di dilungarvisi.)




Saltiamo con i piedi di Pippo al n.260, acquistato esclusivamente per poter godere di Paperon De' Paperoni contro Mandracchio (Cimino/De Vita M. e P.L.), che Boschi ci indicò come "prima storia di De Vita figlio". Dovremmo rileggerla, così come pure Zio Paperone e la fabbrica di sogni (Crecchi/De Vita M.), l'unica altro fumetto proposto che non abbiamo obnubilato.



E il n.261, perché lo acquistammo?

Forse per Topolino e il diabolico Dottor Talos (Chierchini), giacché al tempo amavamo le sceneggiature di questo autore.




Sappiamo benissimo, invece, il motivo dell'acquisto del n.267.

Si tratta di Topolino e la guarnigione segreta (Pezzin/De Vita M.), secondo episodio del ciclo dei Signori della Galassia. Un'epopea che abbiamo pure riassaggiato di recente, apprezzandola come fosse la prima volta.

E, se Zio Paperone e il generoso benefattore (Martina/De Vita P.L.) non ci disse nulla, e di Paperino e la giornata del lavoro (Martina/Amendola) ci restò il canovaccio, il volume contiene finalmente un'altra storiella che abbiamo sempre ricordato: è Tap e il violino da poco (Chendi/Cavazzano).

E Zio Paperone e la campana della generosità (Cimino/Coppola)? Beh, l'avevamo già letta sul "Libretto".



Infine, il n.285: è già il 2000, e noi stiamo di nuovo forzando le regole da noi stessi imposte.

Ma l'acquisto ci fu, causa la presenza di Arriva Paperetta Yé Yé (Scarpa con Cavazzano)? Come potevamo non volerla leggere, dopo le indicazioni del Boschi nelle sue puntigliose cronologie?

Delle altre avventure, conoscevamo già Topolino rapito! (Damianovich/Gatto) e Zio Paperone e il cambio della guardia (Cavazzano), mentre le altre, al solito, le ignorammo con stolida sicumera.


Il resto è storia nota: il nuovo millennio, la crisi, le guerre, la Panini. Dice il saggio: "Il mondo è fatto a scale, impara a zoppicare".