[148-149-150-151-152] LA CASA DELL'ARCHEOLOGO - LA NOTTE DEI MACHETES - AGGUATO NELLA CITTÀ SEPOLTA - IL GIUSTIZIERE DI BONAMPAK (Nolitta/Bignotti-Della Monica)
L'incipit, a casa del prof. Bauer e consorte, a San Cristobàl de Las Casas, è di quelli che ci hanno fatto amare questa serie, in cui impariamo sempre cose nuove. Filmone diviso in due metà. La prima è pasionaria e socialista, e veniamo coinvolti nell'ennesimo genocidio indio (stavolta messicano) di cui non sapevamo nulla. La seconda metà è di intrattenimento avventuroso ed è sostanzialmente un remake dei #12/15, di cui ripete un paio di situazioni. Abbiamo preferito la prima. Peraltro, la congiunzione tra le due sottostorie è molto forzato: guarda caso, l'archeologo è il vecchio compagno di classe della carogna. Il finale tira le fila di ambo le parti, spiazzando un poco sull'identità del giustiziere mascherato, e in seguito coinvolgendoci di nuovo con il tipico finale tragico-malinconico dell'autore. Al quale diamo anche atto di aver omaggiato Kipling senza farsi tanti problemi. Arte artigiana, di quelle che amiamo tanto.
[152-153-154] LA DONNA DEL MISTERO - IL TESORO SCOMPARSO - L'ASSASSINO NELL'OMBRA (Ongaro/Diso)
"Giallo-noir" un po' troppo allungato, con tante chiacchiere e un colpevole abbastanza scontato. Non convincono la love story di secondo piano (l'amica di Jerry) e la scelta di Mister No di disfarsi della registrazione: se il cattivo è morto, non vuol dire che incriminarlo non avrebbe conseguenze. La parte migliore è il breve flashback bellico isolano. Difetti a parte, è un fumetto scritto meglio di quelli recenti. Disegni all'altezza, anche se talvolta ci sono apparsi revisionati.
[155-156-157-158-159] SFIDA AL PANTANAL - ZAGAIEIRO! - UN MONDO VIOLENTO - LO SPETTRO DEL RIO CUIABÀ - VIAGGIO ALL'INFERNO (Nolitta/Di Vitto bros.)
Classico dei Classici, l'avventura più lunga della serie, versione amazzonica dell'Odissea Americana zagoriana (la storia, non la saga), dove filosoficamente si osserva lo scorrere del mondo attraversando il fiume. Viaggio nell'interpretazione più ampia (pura?) del termine: fisico, attraverso paesaggi diversi e in contesti esplorativi; e morale, nella più amara constatazione che "tutto il mondo è paese". Dinanzi a una tale manifestazione della negatività portata dall'essere umano, la domanda che ci si pone è perché a Nolitta piacessero tanto questi luoghi. La risposta non c'è, o, meglio, è intrinseca nei personaggi che Nolitta ha creato e in tutta la sua attività di sceneggiatore ed editore. Un romanzone formativo d'avventure non può che comporsi di capitoli interni, a loro volta divisi in capitoletti. Nel primo assistiamo alla preparazione del viaggio, con il racconto della maledizione del battello acquistato dal miniesploratore Raffles e, quindi, l'assemblamento della ciurma. I successivi capitoli sono frammezzati a cavallo degli albi. Il primo incontro del viaggio è con gli zagaieiros, i cacciatori di giaguari armati di zagaie, che sembra segnare subito il destino degli avventurieri. Seguono i coureiros, i cacciatori di caimani e rapitori di mogli altrui; particolarmente efficace il momento in cui il marito della poveretta si lascia prendere dalla collera e disprezza i rapitori uccisi, costringendo Jerry ad ammonirlo. Un difetto di questo epico fumetto, se proprio vogliamo trovarne uno, è l'assenza di almeno una tappa positiva, magari puramente etnografica; l'unico momento che vi si avvicina, brevemente, è al centro esatto della storia, quando il battello costeggia le praterie dei vaqueiros; guarda caso, è anche il momento migliore. Successivamente, anche i vaqueiros si rivelano bellicosi intriganti e vili nemici, e ovviamente, seguendo il manuale del feuilleton, è qui che lo zagaieiro vendicativo può fare il suo ritorno. Anche in questo segmento non mancano personaggi umanamente e meschinamente ambigui, quali la figlia e il figlioletto del latifondista, cattivi senza rendersene conto. L'ultimo tratto, giustamente, riporta al discorso iniziale della maledizione del Capitano Teixeira, in realtà ancora vivo e sfigurato, impazzito fino ad impadronirsi del battello per autodistruggersi con esso. Scena curiosamente analoga a quella che conclude la storia pubblicata (sul mensile) immediatamente dopo a questa. Nonostante la strage dell'equipaggio, caduto ad eliminazione tappa dopo tappa, per Jerry e Raffles (e Moacyr, l'unico superstite, il ragazzino figlio della prima vittima di Teixeira e tornato a casa "adulto") l'epilogo è materialmente positivo, ma un certo turbamento indescrivibile (che Nolitta è bravissimo a non descrivere) persiste ad aleggiare, e difficilmente si può parlare di "lieto fine". Un vero e proprio romanzo, insomma, infatti pubblicato anche in volume negli Oscar Mondadori: è su questa edizione che lo leggemmo per la prima volta, giovani e disinteressati, senza capirci molto, e senza pertanto apprezzarlo come dovuto. L'arte non stupisce tanto per la sua solidità e la sua robustezza, la sua chiarezza, la sua leggibilità, la sua capacità di saper trasmettere i caratteri emotivi dei personaggi quanto la naturalezza degli sfondi; stupisce per saper gestire tutto questo per così tante pagine, senza mai accennare ad un fisiologico calo. Davvero azzeccati i titoli degli albi.
[Speciale 3] IL RE DEL SERTÃO (Nolitta/Diso)
Seguito degradato e farsesco dei #3/5, con una Miranda ormai persa dopo i fatti dei #116/119. L'ex fiamma di Jerry qui trascina la sua ex fiamma (che comunque limona, se serve) dentro una storia losca, in mezzo a gentaglia d'ogni risma, e poi ne finisce vittima, arrestata come unica criminale. Un imprenditore del Sertão è a capo di una cospirazione con propositi di secessione, decisa a fare della regione uno Stato autonomo; a titolo simbolico, decide di rubare la testa del Cangaceiro più famoso, Limpião (personaggio storico). La vicenda presenta personaggi abbastanza respingenti, tra cui la prostituta negra, protagonista di una scenetta relativamente osé. Anche il ritrovo dei Cangaceiros, con la fugace ripresa della celebre canzone, non ha il sapore leggendario dei #3/5, ma quello più triste e amaro di un seguito realizzato molti anni dopo. Infine, ecco il prete, rappresentato come uomo d'azione cinico e deciso soltanto a riempire la propria parrocchia di fedeli sfruttando la fama della testa; una ennesima interpretazione inusuale (al giorno d'oggi) della religione offerta da questa serie iconoclasta. Orsonwellianamente, ogni fazione dà di Limpião una visione differente, tutte (a quanto pare) veritiere: per i ribelli Cangaceiros è il leader storico; il leghista lo considera uomo di destra, conservatore e antisocialista; alcuni poveracci lo vedono come amico dei poveri; altri, come sanguinario demonio in Terra; il prete, infine, come uomo di Chiesa e latore del messaggio evangelico. Una storia simile non può che avere una conclusione cinica, in cui Jerry salva Miranda dal carcere soltanto grazie all'intervento del Governatore dello Stato di Bahia, fratello dell'imprenditore malavitoso, di diverse vedute politiche ma dai modi non dissimili. Ai testi dello sceneggiatore di punta corrispondono i disegni dell'artista di punta: e non poteva essere altrimenti. Fugace apparizione di Getulio, il tassista di Bahia. Il Cangaceiro in copertina pare essere di Claudio Villa.
[159-160-161] COMA PROFONDO - L'ORO DEL FIUME - IL NEMICO SENZA NOME (Sclavi/Bianchini)
Fumetto crepuscolare, forse appartenente al periodo alcolista dell'autore. Frullato quasi stordente di riferimenti babeliani dello sceneggiatore, su cui primeggia la gnocca svampita tipo Anna Never, qui straniamente modellata su Audrey Hepburn (la quale, al giorno d'oggi, è ormai identificata con Julia, da cui lo straniamento). Ma non è da meno il terzetto di ex galeotti Boris (Karloff), Klaus (Kinski) e Ugarte (Peter Lorre), cui si aggiunge poi Simon (misto tra Marty Feldman e Sclavi). C'è spazio anche per il portacenere a forma di teschio di Dellamorte Dellamore, e che l'autore stesse contemporaneamente lavorando anche ai primi Dylan Dog è evidente dai brevi inserti orrorifici: la mano scarnificata, il costume da scheletro, le esplosioni e la morte infernale di Klaus (curiosamente non troppo dissimile da quella del Capitano Teixeira di Sfida al Pantanal). La prima puntata è formidabile, a partire dall'incipit in cui Mister No viene sparato e cade in coma. Suggestivamente, viene rievocata l'avventura che lo ha condotto fin lì, ed è una irrefrenabile commedia degli equivoci, con momenti demenziali e adorabilmente pecorecci con protagonista Audrey, che si aggrappa a Jerry in modo equivoco durante il volo o che si ritrova smutandata a Manaus inseguita dal trio, fino al delizioso cliffhanger in cui torniamo al Teatro dell'Opera (#97/98; più avanti vediamo pure la tomba dei protagonisti di quella storia). Il secondo albo prosegue il delirio, prima con l'incontro col trio (memorabile la gag dei bauli), e poi trasportandoci al cimitero, in una sequenza degna delle migliori parodie degli anni 1970 (da ricordare Ugarte nella bara). Ovviamente, fedele al principio per cui una storia non è tale se non vi è un mistero da risolvere, anche questa trama propone un "giallo" amazzonico, costruito con perizia e attenzione alla concatenazione di eventi, tuttavia abbordabile per un lettore un minimo sveglio. Il viaggio sul fiume è esemplare nella capacità di mantenere l'equilibrio tra commedia, "giallo" e classica azione etnografica prevista dal contratto, e intrattiene gradevolmente tra contrattempi e incidenti di percorso realistici: l'incendio della chiatta, il sabotaggio della tuta da palombaro, i sospetti tra i membri dell'equipaggio. Atmosfere che, unitamente alla mai doma carica erotica di Audrey, anticipano di decenni un film come Tutti pazzi per l'oro. Esilaranti i due indios lazzaroni, che l'autore ripropone da Altai & Jonson (lì erano messicani). Dipanato sul secondo e terzo albo, questo lungo segmento avrebbe forse giovato di un lieve accorciamento, ma comunque di Sclavi tutto si può dire tranne che sia noioso. La conclusione, che riprende e prosegue il clamoroso prologo, è da vero e proprio "giallo", sclaviano ed umano, naturalmente. Al termine di quest'ultima incursione sclaviana nella serie, Mister No si lascia scappare quello che è anche il pensiero del lettore: peccato che questa storia sia finita. Arte a stretta imitazione civitelliana, dannatamente altalenante: ottimo e grossolano convivono entusiasticamente, in linea con i testi.
[162-163-164] VERACRUZ! - IL POZZO DEI SACRIFICI - IL MISTERO DELLA MAPPA (Ongaro/Della Monica)
Forse la storia meno entusiasmante dei primi duecento numeri, è un intricato "noir" esotico (Veracruz, Madera, le rovine Maya), in cui si alternano eventi abbastanza interessanti, pur nella loro prevedibilità, ma appesantiti da ininterrotti dialoghi privi della brillantezza consueta, e il più delle volte ridondanti. Non aiuta nemmeno l'arte al suo esordio: i fasti della maturità sono ancora lontani. Rimangono, comunque, abbastanza impressi il doppio inseguimento sulle spiagge di Veracruz, prima a cavallo (primo albo) poi sulle jeep (l'epilogo), e la sequenza in cui Jerry è tumulato nel pozzo e viene salvato col camper (oh, finalmente ne vediamo uno). A noi i camper ricordano sempre Pezzin e Ubezio, che volete farci. A Disney (Cavazzano e Gazzarri) ci rimanda anche la mappa tatuata sulla crapa pelada. Simpatiche le inflessioni texiane (Piedras Negras) e il condimento esoterico-naturista del cane vendicativo maledetto. Il vero villain è Alex Brady, il tizio che da ragazzino abitava a NY sopra a Jerry, e che casualmente viene incontrato in Messico.
[164-165-166] LA PASSEGGERA SENZA BAGAGLI - IL CLANDESTINO - IL MOMENTO DELLA VERITÀ (Ongaro/Roi+Della Monica-Chiuppi)
"Noir" verboso, ma avvincente nelle prime due puntate, quasi hitchockiano: l'equivoco, la località esotica (Bogotà) ma cupa (piove sempre), due contro tutti (due gruppi all'inseguimento), l'albergo, il nuovo viaggio in treno, azione bondiana. Quando i fili vengono riannodati, la vicenda si fa un po' troppo chiacchierona; sebbene, volendo essere laterali, il terzo albo possa essere definito, nell'intreccio, quasi castellian-boselliano. Ovviamente la finta lei è la vera lei, ma è un colpo di scena logico, che conduce alla breve caccia al tesoro conclusiva (quasi un bonus videoludico sbloccato) e al conseguente finale malinconico. Arte sperimentale: due artisti alla loro unica o quasi apparizione, assurdamente fusi in un ibrido industriale, ed entrambi ben riconoscibili. Notevole il nascondiglio del tesoro Inca: si scende nella sala murata, si risale l'albero secolare, ci si cala al suo interno e si trovano le gallerie sotterranee. L'episodio introduce inconsapevolmente un simpatico tormentone, quello di Jerry che non riesce mai a vedere Casablanca: Mignacco lo renderà consapevole.
[167-168-169] AFRICA! - SAFARI - LE MASCHERE SACRE (Nolitta-Mignacco/Dell'Uomo)
Primo albo (o poco meno) nolittiano e coinvolgente, come si fa a non volergli bene? Manco è partito e già hai il mal d'Africa. Si parte da Belém (con carrellata veloce sui #139/143 e #24/26), dove Jerry fa il ciacione con Maria e Irene e difende Madalena (#136/138) dalle molestie del candidato Governatore dello Stato. Perseguitato "politico", per sfuggire ai sicari, Mister No s'imbarca come clandestino e si ritrova in viaggio per l'Africa: inizia la trasferta. Tutta questa parte è narrata col pacioso e determinato piglio di Nolitta. La sequenza più bella è quella in cui Jerry ricorda Topolino e il Gorilla Spettro e Cino e Franco con la Regina Loana, oltre ai vari Cary Grant, Gary Cooper e simili. Subentra quindi Mignacco, con uno stacco nei dialoghi che è come un cazzotto sui denti. Che fine fanno lo stramboide capitano e la ciurma che bullizzava il clandestino? Appena arrivati ad Abidjan (Costa d'Avorio), spariscono dalle scene. La prima "storia africana" vera e propria è di fortissima derivazione sclaviana, e nel cast, e nella regia allucinata di alcune sequenze. La trama non è particolarmente brillante: il riccone appassionato d'arte accompagna un artista alcolizzato (dalle fattezze di Sclavi) e la sua musa nel villaggio alla ricerca dei segreti dell'arte dell'intarsio delle maschere. Non manca il negretto complice dei banditi di strada. La tribù ospita due scienziati occidentali, marito e moglie, che si aggiungono al cast di casi umani, come pure il fabbro del villaggio e il di lui figlio scapestrato e indolente, in realtà avido e corruttibile. La sequenza del safari è solo una parentesi richiesta da Nolitta a scopo documentaristico, ma non vogliamo attribuire a lui la gratuita e sgradevole uccisione dell'elefante da parte di Jerry (seppur roso dai rimorsi e a scopo difensivo e con la scusante posticcia dell'animale anziano e in cerca di morte dignitosa), peraltro quasi manualistica nel suo rivelarci il segreto per riuscire nell'impresa. Più gradevole la gita turistica al villaggio, con le danze tribali e il gironzolare tra le rovine delle torri sacrificali. Immancabile, dunque, il "giallo", dichiaratamente dylandoghiano "prima maniera", tra sospetti eccentrici (ovviamente quasi nessuno è ciò che sembra), incubi deformanti e battute sferzanti. Divertente - e sempre derivativo - vedere Jerry risolvere l'intrico, ma sbagliare colpevole; più scontato il controfinale, seppure con la variazione del salvataggio del colpevole. Alla fine, il soggetto appare comunque concepito originariamente per l'ambientazione amazzonica e in seguito riadattato. L'arte è adeguatamente dylandoghian-sclaviana: grottesca e imprecisamente suggestiva, a volte non sembra affatto a suo agio con questa testata, a volte sì. Nolitta è accreditato anche nel terzo albo, ma deve aver firmato solo l'ultima pagina.
[Speciale 4] UN MONDO PERDUTO (Nolitta/Diso)
L'incipit è una mezza novità per Nolitta, con Jerry semi-naufrago per cause di forza maggiore. Anche l'amico che si rivela carogna è inusualmente parte del prologo. Quindi ecco Patricia, più tonta e mignottella del solito, che se Jerry non capitava lì per caso era già spacciata. Spedizione alla ricerca di Zeta e Fawcett, nientemeno (argomenti su cui Jerry è ferratissimo). Ma è tutta una truffa, come Mister No ripete simpaticamente per tutto il viaggio, indicando più volte i colpevoli. D'altronde ci aveva già pensato Martin Mystère, omaggiato con l'archeologo Castle. Con un elemento mancante in quel Classico: l'aneddotica sulla statuetta psicometrista donata da Rider Haggard a Fawcett. Parodia, dunque, dove pure l'attacco dell'anaconda è una simulazione. Ma, pur essendo una storia amazzonicissima, è un prodromo alla saga africana, come manifesto nella sequenza migliore, il malinconico finale con il miraggio pareidolico delle rovine di Atlantide, inno al Sogno e all'Avventura. Disegni di punta. Patricia ricorda i #12/15, #60/62, #108/110.
[169-170-171-172-173] ATTRAVERSO L'AFRICA - GLI UOMINI LEOPARDO - SORTILEGIO AFRICANO - NELLA TERRA DEI FANG (Ongaro/Bianchini)
Fumettone epico-interminabile, ottocentesco feuilleton ricco e articolato di capitoli personaggi e divagazioni. Se i testi fossero stati meno ridondanti, soprattutto nella seconda metà della storia, e se i disegni fossero stati più artistici, ne parleremmo come di un capolavoro. Troviamo Jerry nei pressi di Abidjan: si è già fatto la fidanzata-amante, con tanto di fratellino adottivo. Ricevuto il telegramma dal Brasile che gli consiglia di attendere buone nuove, Jerry decide di raggiungere il suo ex commilitone Jimmy Collins, dei tempi della Birmania, in Kenia. L'autore sa bene che un buon feuilleton non può prevedere solo disgrazie, ma deve concedere momenti più rilassati e personaggi positivi, e giustamente fa in modo che tutta questa parte iniziale sia relativamente tranquilla: così, ecco il tizio che accompagna Jerry a Lagos (Nigeria) e lo raccomanda al fratello camierere a Yaoundé, ed ecco che l'imbarco clandestino per il Camerun si svolge senza problemi. La vera storia inizia a questo punto, quando Jerry incontra Mbara, stregone degli Ewondo, veggente e latore di una ancestrale profezia che vede Jerry come liberatore del Camerun dalla tirannia della tribù dei Fang. Tutto il naufragio aereo nella giungla, lo sforamento in Congo (un po' illogico) e la necessità di attraversare il fiume-confine in piena, il successivo incontro coi Pigmei (che costruiscono il ponte nella notte), l'addio tra i due, e l'uccisione del giaguaro/spirito Hu dei Fang, è, in fondo, la parte migliore della storia. Seguono due albi e mezzo di lotta contro gli uomini-giaguaro, dapprima fuggendo dagli attentati, infine, dopo vari andirivieni divulgativi e una breve parentesi romantica con la segretaria dell'ambasciatore americano in Camerun, infilandosi nel covo locale della setta, per poi ritrovare Mbara e andare con lui a rapire il Re dei Fang di persona. In questa lunghissima parte, Ongaro la tira un poco per le lunghe, soprattutto inserendo di netto i flashback delle origini della diatriba tra tribù e della conseguente profezia, che, tutto sommato, non erano così necessari ai fini della comprensione complessiva; è comunque un escamotage tipico dei romanzi popolari di fine Ottocento, per cui in linea con i contenuti; lo stesso vale per lo svelamento dell'intrico al lettore, che non coincide con quello riservato a Mister No, molto più tardivo. Un vero romanzone "prussiano" dev'essere estenuante in modo soddisfacente; e, così, ecco un ulteriore epilogo, in cui si introduce perfino la caccia al tesoro nel fortino in riva al mare. Quando si suol dire "voler vincere facile". Molto interessante e articolata la base storica della vicenda, con le colonizzazioni prima tedesca poi anglo-francese di inizio Novecento, e la piena coscienza della situazione dei vari personaggi. Molti gli elementi esplicitamente soprannaturali: dalla "fusione" tra uomo e animale all'evocazione del vento da parte di Mbara; ma, più straniante di tutti, l'esistenza di un uomo di 120 anni, tranquillamente vivo e in buona salute. L'arte inizia bene, come di consueto civitelliana; poi diventa altalenante, comunque sempre chiara e leggibile.
[Dylan Dog 36] INCUBO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE (Chiaverotti/Montanari&Grassani)
Dylan rimette in moto il maggiolino dando un calcio al cruscotto, come in un certo fumetto.
[173-174-175] IL CACCIATORE - IL TRONO D'ORO (Ongaro/Bignotti)
Ancora Camerun, stavolta a Douala. L'incontro con i coniugi Mason è l'occasione per liberarsi di Carol (#169/173), che dopo un attacco di isteria, sembra prenderla con filosofia; alla fine, fuori scena, scopriamo che si è subito sposata col barista di Yaoundé, ora direttore dell'albergo (caspita). Di nuovo safari, stavolta più documentato, nelle pianure interne del Camerun, verso le montagne; Jerry ammazza ben due rinoceronti, ma stavolta la sequenza è meno grossolana della precedente mignaccata (#167/169). Bello l'incontro coi Bemileke. Oltre al classico triangolo viscido-perverso, il soggetto presenta elementi interessanti fusi in una trama intrigante, basata su presupposti (storici o romanzati?) inusuali. E alla fine è una caccia al tesoro, che vogliamo di più? Questo potrebbe già bastare, ma ecco il colpo di scena che più ci ha colpiti nella nostra carriera di lettori (e non solo) tout-court: la tribù composta da afroamericani travestiti! In prima lettura, rimanemmo a bocca aperta; e ancora oggi ci appare come un'idea geniale. La trovata non è affatto gratuita, ma è parte integrante dell'intrico, che guadagna ulteriore valore con lo svelamento della stretta parentela tra Mason e il negro, che ribalta castellianamente il tormentone dell'"americano al 100%" e offre lo spunto per la ricostruzione storicista, con la quale si risale alle origini del Camerun, ai tempi della dinastia Ashanti (immigrata sudanese) e della lotta fratricida al suo interno. Ed è ancora puro feuilleton il riverberarsi di questa lotta nel "presente" della serie, alla ricerca del trono d'oro di Dinka. Il luogo scelto ha il fascino del più celebre viaggio africano, la ricerca delle sorgenti del Nilo, giacché è sommerso da un lago creato artificialmente, ma le cui acque sembrano scaturire da chissà dove. La magnifica arte di Bignotti rende questi e altri paesaggi con il suo inimitabile fascino e la sua cura a tratti fotorealista, trasportandoci fisicamente sul posto. Nel fumetto agisce di nuovo Mbara (sempre dai #169/173), che ci presenta Bornu, il suo collega telepate depositario del segreto; è Mbara a liberare Carol dalla prigionia dei delinquenti, ma questa parte è totalmente sacrificata e ci viene soltanto riassunta a posteriori. Nell'epilogo, la trance medianica di Bornu viene quasi demistificata: eppure Mbara aveva garantito per lui.
[175-176-177] I PIRATI DELLA GUINEA - KALAHARI! (Ongaro/Di Vitto bros.)
L'autore fa in modo che Mister No si impicci degli affari altrui, per consentirgli di lasciare Douala e il Camerun e imbarcarsi, dunque, verso il Sud (comunque è lui che ha lasciato Carol, #173/175, non lei lui), tra le attuali Namibia e Botswana (ma con i nomi e i confini di metà Novecento). Coprotagonista è un sosia armatore di Jean Gabin, che deve trasportare tre bisarche cariche di jeep al fortino-sede di una compagnia mineraria diamantifera. Sulle loro tracce, ecco una compagnia rivale, guidata da due fratelli francesi, ex collaborazionisti nazisti. Il primo terzo della storia è navale; il restante, il grosso della vicenda, è di ambientazione desertica. Come in un moderno film, seguiamo l'inusuale carovana nel Kalahari, tra boscimani vendicativi e gli attacchi dei banditi. L'autore è bravo ad elencarci i nomi insoliti delle terre attraversate e a rendere la calura opprimente del deserto. Una volta giunti al forte, eccede un po' con dialoghi e ripetizioni. La sequenza migliore è la fuga di Jerry a piedi scalzi, fuga che peraltro si rivela inutile, tant'è che la vera azione decisiva è del coprotagonista. La sconfitta dei banditi è simpaticamente spaccona, e anticipatrice di certi film di oggi, con i nostri che agganciano l'elicottero al camion e lo portano a schiantarsi. Opportunistica l'introduzione dell'indigeno che è stato a Baltimora, dotato di due mogli Zulù (negli anni 1950?) che gironzolano a seno nudo; quest'ultima caratteristica è sfruttata dapprima a fini narrativi, per distrarre i sorveglianti dell'aereo da sabotare, infine per una esilarante battuta pecoreccia, grazie alla quale, per diverso tempo, abbiamo attribuito i testi a Mignacco. Arte solida, documentata, espressiva, guascona; esilaranti le tette siliconate delle due negrette.
[Speciale 5] ZULU! (Nolitta/Diso)
Pubblicato dopo il #180, ma da leggere prima. Speciale nel senso più letterale: Mister No ha raggiunto Johannesburg ed è in visita al memoriale dell'unica vittoria degli Zulu contro gli inglesi; un colpo di sole lo mette ko. L'intero episodio è il sogno in cui Jerry si ritrova nel passato e vive le origini romanzate - ma documentate - di quella battaglia, in cui gli inglesi ospitano un esercito di volontari internazionali, capeggiati nientemeno che dal Generale Custer, privato di un occhio ma sopravvissuto segretamente al Big Horn. Per mezzo di Jerry, Nolitta conferisce a Custer un valore oltremondano, di Spirito della Guerra che ogni volta gli permette di seminare il caos, generare morte e disfatte, e rigenerarsi. Tutto sommato, l'avventura è relativamente breve (per i canoni della serie), pertanto Jerry non fa altro che trasecolare e litigare coi militari, mentre nella furiosa battaglia è all'incirca una palla al piede. Ma non per questo si tratta di un fumetto noioso, anzi, e comunque l'idea complessiva è davvero originale, e resta gradevolmente impressa. Trattandosi di uno dei temi più cari a Nolitta, il capo Zulu è ritratto molto benevolmente, e tutto il fumetto trasuda di verace passione. A tradire platealmente la connotazione onirica della vicenda sono i camei "what if" di Esse-Esse e di Dana Winter (#12/15), quest'ultimo nei panni del nipote del capo di cui sopra. Senza di essi, l'impressione era che il sogno avrebbe potuto anche non essere tale, come nelle migliori Twilight Zones. Chiude una gag buffa quanto quella dei #131/133, con la tipa molestata da Jerry che si sigilla nel sacco a pelo. L'artista non può che accompagnare al suo meglio il suo sceneggiatore prediletto, regalandoci altre splendide panoramiche tipiche di questa trasferta africana.
[177-178-179-180] NAIROBI AUTOSTOP - I RAZZIATORI DELLA SAVANA - LA RIVOLTA DEI MASAI - L'ULTIMA PALLOTTOLA (Nolitta-Mignacco/Diso)
Nella moderna Johannesburg, Jerry sfotte un'agente di viaggi un po' racchia e strappa un passaggio in Chessna verso Arusha, in Tanganyka (simpatico il pilota, è bello che non tutti siano carogne). Qui assistiamo al momento più atteso della saga, la sosta al bar/punto di scambio tra le piste nella savana. In questo crocevia, Jerry riesce a liberare un giaguaro dalla cattività e a finire in prigione. Soggetto nolittiano, di quelli a cui teneva molto; quindi Mignacco, che gli subentra ai testi, si sforza di seguirne il canovaccio e di imitarne lo stile. Il gioco gli riesce per un albo intero. Bello il viaggio nel Parco del Serengeti con i prof. Konrad (omaggio a Lorenz), sul Piper tigrato; bello il bigino sulle tecniche di caccia degli indigeni (narrato in stile documentaristico e non cinematografico); bello il safari, meno sguaiato dei precedenti e in cui Jerry non ammazza la leonessa ma la addormenta soltanto; bella la visita al villaggio Masai; bella la trama che vede gli etologi cercare di convincere gli autoctoni a non devastare involontariamente le loro terre. Nel terzo albo, il focus si sposta sulla caccia ai contrabbandieri. Qui forse a qualche paginetta si poteva rinunciare. Ma, soprattutto, non convince l'iniziale ostinazione di Jerry a farsi da parte e a voler mantenere lo status quo, in un'interpretazione mignacchesca del personaggio che sarà riproposta anche in altre occasioni. A capo dei banditi c'è, ovviamente, il figlioccio del capo Masai, che ne usurpa il posto e scatena la ribellione di tutte le tribù contro gli occidentali. Un concetto che sarà proposto anche nelle storie immediatamente successive, che tuttavia godranno dei testi firmati da Nolitta, così che a farne le spese sarà questa prima versione. Comunque, il fumetto resta più che dignitoso e, quando giunge all'assedio ai coloni tedeschi, recupera la verve iniziale. Mister No scopa anche in mezzo al deserto: eppure la sequenza, più che grottesca, risulta invitante. La conclusione è positiva per tutti, persino per l'americano coglione, eccetto che per Jerry, che continua a provare malinconia preventiva per questo micromondo destinato all'estinzione; dev'essersi accorto che spostare i confini del Parco per sistemare i Masai non è molto diverso dal confinare gli indiani (d'America, quelli dell'India qui sono cattivi) nelle riserve; ma né lui né l'autore lo dicono esplicitamente. L'artista di punta della testata si comporta di conseguenza e regala splendidi panorami e personaggi ben caratterizzati.
[180-181-182-183-184] I RIBELLI - MAU-MAU - TEMPESTA SUL KENYA - LO STREGONE KIKUYU - FURORE! (Nolitta/Bignotti-Di Vitto bros.)
Kolossal africano, la seconda storia più lunga della serie. Forse un capolavoro, forse no: la lunghezza è un'arma a doppio taglio. Lasciato il Serengeti, Jerry entra in Kenia. Di nuovo un punto di scambio: evviva. Ma subito vede i morti appesi (aneddoto dell'autore?). Entriamo, così, ignoranti come il protagonista, nel mondo della guerra civile keniota degli anni 1950, la genesi degli odierni villaggi-vacanze. Ci spostiamo coi militari, subiamo un attentato, quindi ecco la squallida e povera Nairobi. Bella la cena al locale indiano, dove fronteggiamo, senza censure e giri di parole, il razzismo a cascata tra povery: l'indiano odia i negri. Simpatico lo svizzero, di fatto unico personaggio positivo della storia, che viene trucidato da altri attentatori. Conosciamo il comandante militare dal volto di Stalin (!), solo per poi vederlo ammazzato quando, accompagnati verso nord (tra bei paesaggi, diciamolo), subiamo il terzo attentato. Siamo a metà storia e a circa metà trasferta: finalmente incontriamo Jimmy Collins, l'ex commilitone di Jerry che volevamo raggiungere dai #169/173. Costui ora è l'incattivito e bellicoso "Kikuyu Killer", lo sterminatore di Mau-Mau (che sono tutti della tribù Kikuyu), che fa uso di Masai a mo' di milizia armata (curiosamente, Jerry non menziona mai i #177/180). Manco arriviamo a casa sua, alle pendici del Monte Kenya, che il quarto attentato gli porta via il figlio. La sequenza in cui Jerry riesce finalmente a parlare al suo ex amico è indolentemente breve. Inizia dunque la missione sotto copertura al villaggio Kikuyu del generale sanguinario: assieme a Jerry, ci spacciamo per trafficanti d'armi e cerchiamo di agganciare i servizi segreti maumauiani (i Kappa-Kappa). Eccolo, è il candido barista, il guerrafondaio combattente. Tutta la parte al villaggio è quella che resta più impressa, cruda e sanguinaria: il rito tribale con cui il sacerdote alcolizzato cava gli occhi e sventra il caprone ancora vivo, per farne bere il sangue al nuovo adepto; la congiura istintiva con cui gli invasati ammazzano il loro stesso generale; l'arrivo del suo autoproclamato sostituto, che ci spezza il cuore: è il benzinaio del punto di scambio (sia lui che il barista crepano, comunque); l'irruzione di Collins e scagnozzi e la trucidazione dei Mau-Mau, anche dopo la resa; l'ira funesta di Mister No e il salvataggio del povero figlioletto di Collins, sballottato stremato e pure sparato. Alla fine nulla si ricompone: esattamente come Jerry, ne abbiamo le tasche piene di tutto e preferiamo mandare a tutti a quel paese, sperando (senza convinzione) che il ragazzino non diventi demente come gli adulti. Via, verso Khartoum! Ah no, c'è il quinto attentato. Guarda, facciamo così: fate come vi pare, basta che ci lasciate in pace. Sembra un commento irriverente, ma è un bel fumetto impegnativo, di certo non spensierato. L'arte, insolitamente (cause di forza maggiore) a sei mani e ibrida, ci distrae molto spesso: è un'arte curata, evocativa, documentaristica, espressiva; ma è davvero straniante vedere i primi piani dei Di Vitto sugli sfondi di Bignotti (e spesso anche sulle anatomie). L'impressione è che i fratelli abbiano matitato, e il genio rifinito. A livello di cultura e società, è un fumetto da cui si traggono molti insegnamenti, e questo è probabilmente il suo pregio maggiore (Wa-Russia, Wa-America: e chi se lo scorda?). A livello di regia, nel quinto albo Nolitta utilizza per sei volte la stessa inquadratura dall'alto della collina: un po' di fretta? Naturalmente, questo Collins è ormai andato, e non lo rivedremo; la versione ancora non corrotta del passato, invece, comparirà nei flashback bellici e di continuità mignaccheschi.
[184-185-186-187] KHARTOUM - LA DIGA NEL DESERTO - IL FARAONE DIMENTICATO - LABIRINTO INFERNALE (Castelli/Bignotti)
Primo, storico cross-over bonelliano, fumetto tipicamente e gustosamente castelliano, episodio misternoiano a tutti gli effetti. Quando uno sceneggiatore è bravo, è bravo. Si parte dal Sudan, con i tormentoni dell'autore: la partita a carte, "bisogna saper perdere", Belmopan, i depistaggi doppi, tripli, quadrupli. Personaggi sempre ambigui, anche quando non lo sono. Mentre fa l'autostop nel deserto, Jerry ritrova proprio il prof. che accompagnò in Belize. Ma costui ora è un personaggio da "linea chiara" (Hergé e Jacobs), apparentemente sclerato: prima la balla dei componenti elettronici, poi quella della figlia rapita dal principe del deserto libico (parodia dei polpettoni rosa e autoironia, che l'autore propose poco prima anche in uno Speciale MM); quindi, il tentato attentato alla diga in costruzione. Già: l'episodio storico di Assuan fa da sfondo, in modo romanzato (la diga è un'altra) a tutta la vicenda. La seconda metà del primo albo completo è decisamente claustrofobica (e quindi anticipatoria del prosieguo): la tortura degli islamici nel capannone in mezzo al nulla e la successiva strage; quindi il risveglio di Jerry in mezzo al deserto e il viaggio, in incognito, fino al Cairo; infine, l'angosciosa fuga dalla pula, nei cunicoli sotto la pista. Anche questa, alla fine, si rivela una burla: ma che ansia. In contemporanea, ecco gli attentati degli estremisti islamici sui mezzi di trasporto: e se questo non è fare fumetto d'attualità, non sappiamo cosa sia. Siccome l'autore è intelligente, non sono messi lì per fare sensazionalismo: sono parte integrante della trama che inizia quando Jerry viene ricattato dalla polizia egizia e rispedito in Sudan, nella valle del Wadi Al-Malik, a sorvegliare la spedizione archeologica in cerca del segreto del Culto di Aton, e in corsa contro il tempo, dato che, ultimata la diga, il sito verrà allagato. Ancora, tutti complottano: Jerry, la tipa, Meltzer, l'arabo; ognuno ha qualcosa da nascondere agli altri. L'autore sciorina gradevolissime citazioni barksiane - non fini a sé stesse, ma in seguito risolutive - e momenti di ragionamento logico quasi commovente (la sequenza in cui Jerry e Meltzer sono nella stessa caverna, ma non si trovano). Nolitta deve aver deciso che Jerry non avrebbe visitato i soliti monumenti egizi, e che per Il Cairo sarebbe solo transitato, per cui Castelli inserisce, con intelligenza, il tour egizio nel momento nozionistico (anche questo non ridondante, ma necessario alla comprensione della documentazione alla base della geniale idea proposta dal fumetto). La sequenza più affascinante di una storia già intelligente e colta arriva nella quarta parte, quando Mister No si inabissa nel labirinto iniziatico dei seguaci di Aton, una rassegna di allucinazioni evocative e suggestive come poche, soprattutto la scala dei Tarocchi. Il tutto culmina nella più pura estasi soprannaturale, con l'apparizione messianica di Ekhnaton in persona, l'immortale di tutte le mitologie maledetto all'alba dei tempi (un altro tormentone dell'autore, dal vampiro mysteriano in poi), all'eterna ricerca del segreto di Aton, ovvero la Pietra Nera (per gli amici mysteriani, la Pietra di Fal), che può finalmente restituirgli la mortalità. La questione dello Stato Islamico monoteista si scioglie all'istante, come chimera dalla ciclica riproposizione, mentre per Jerry anche il ritorno alla civiltà è ansiogeno. Solo l'epilogo cairota appare mal coordinato coi lavori nolittiani, dato che nelle storie successive Jerry dovrà di nuovo raggiungere la città. Soggetto epico, sequenze da antologia, arte commovente nella sua bellezza: è un grande fumetto. E vale doppio. La carovana dei seguaci di Aton si divise in due: la Pietra fu nascosta qui, l'Arca dell'Alleanza si trova nei Martin Mystère #104/106, altrettanto epici e memorabili.
[188-189-190-191] SULLE PISTE DEL SAHARA - TUAREG! - DUNE INSANGUINATE (Nolitta/Diso)
L'unico errore di programmazione della trasferta: Mister No aveva raggiunto Il Cairo al termine della vicenda immediatamente precedente, ma qui lo ritroviamo ad Agadés, nel Niger; la scusa di aver preso l'aereo per Dakar, costretto poi alla sosta forzata, non regge, perché, in seguito, Jerry tornerà oltreoceano proprio dal Cairo. Pazienza. Episodio memorabile per sua stessa esistenza, in quanto favorito di Nolitta. Le sue visite al minareto di Agadés, infatti, sono state tra gli aneddoti che più ha amato divulgare, e celebre è la fotografia che Diso ha ripreso all'inizio della storia. Fumetto colto ed estremamente divulgativo, che ripete concettualmente i #180/184, stavolta con i Tuareg. A differenza di quell'avventura, però, qui la parte puramente di intrattenimento è relativamente breve e di mestiere, mentre in quell'epopea interminabile lo strazio di Mister No era emerso con maggiore veracità. Va anche detto che la scelta di Mokhamed El Khorer di assassinare a sangue freddo il professore non ci pare così giustificabile e passibile di rassegnazione, come opta, invece, Mister No nell'amara conclusione. La visita turistica di Agadés è molto immersiva, seppure si tratti di una cittadella con poco da offrire, oltre al "torracchione". Interessante è la storia, perlopiù militare, dei Tuareg ai tempi della WWI, così come sembra di passeggiare coi personaggi tra i fossili di dinosauri nel Teneré. L'albo migliore è decisamente il secondo, in cui Mister No vaga nel deserto assolato, e Diso gli disegna persino le grinze delle labbra rinsecchite. Simpatici i miraggi di Stanlio&Ollio e Gianni&Pinotto. Ancora meglio è la tappa al villaggio Tuareg di Mokhamed. Particolarmente memorabile è l'assurda (per i canoni odierni) gag in cui Jerry è erroneamente convinto di essere stato invitato ad un'orgia (!) e si comporta di conseguenza. Divertenti anche i siparietti di Jerry alle prese col cammello, immancabili e simpatici, e anch'essi evidentemente aneddotici. Jerry e Mokhamed condividono una chiacchierata notturna sotto il cielo stellato, non molto lunga in verità, e volutamente in contrasto con la decisione guerrafondaia presa il giorno seguente da Mokhamed: il contrasto si percepisce, ma appare un poco brusco. Commovente, comunque, il momento in cui Jerry viene risparmiato dall'amico/nemico. Il finale, in cui Mister No è roso dai tormenti, ma alla fine decide di far finta di nulla e andarsene, non ci convince del tutto, o forse semplicemente non lo condividiamo. Per una storia così importante per lo sceneggiatore, il disegnatore non poteva fare altro che dare il massimo: e così è, e se quella dannata sabbia sembra reale è merito suo. Un paio di vignette malriuscite su tre albi e passa non inficiano il grande lavoro svolto. Jerry parte per Tamanrasset, dove - gli dicono - lo aspetta un aereo per Parigi, ma è una bufala.
[191-192-193] I LEGIONARI - IL RITORNO DEGLI DEI - ATTENTATO AL FORTE (Nolitta/Bignotti)
Penultima prova dell'artista, ma potremmo considerarla virtualmente l'ultima. E allora possiamo scriverlo: è il nostro preferito. Algeria! Jerry ha già lasciato Tamanrasset e staziona da tempo a Djanet, un altro agglomerato di case in mezzo al deserto; una situazione simile a quella che apriva la storia immediatamente precedente. Stavolta, però, i comprimari sono più positivi, eccezion fatta per i due Legionari carogne. Scopriamo che Jerry ha inviato un telegramma in Brasile, da cui non ha ottenuto risposta, cosa che lo ha irritato. Per distrarsi, ecco la gita coi professori al Tassili N'Ajjer, con tanto di visita alle celebri pitture ufologiche. Degno di nota il morto di fame di Djanet, improvvisato ladruncolo e perdonato da Mister No, che lo ha voluto nella spedizione, e che poi scappa vigliaccamente davanti ai finti extraterrestri. Con un'ulteriore svolta, tornerà in seguito a liberare Mister No dalla prigionia, ma finirà ammazzato e abbandonato nel Tassili. La Legione Straniera proposta da Nolitta non è quella solita dei film e dei fumetti della Golden Age, bensì una fronda secessionista e golpista, decisa a compiere un attentato al comandante del forte più vicino. La sequenza più memorabile è la tortura inflitta a Jerry, immobilizzato sotto al sole cocente; il nostro artista preferito (vedi sopra) si produce in una delle prove più riuscite della sua pazzesca carriera, ci fa sudare col protagonista, ci sembra di avvertire pure le caccole agli occhi quando costui li chiude. E quando lo scorpione gli cammina addosso? Brrr. I due autori si danno poi man forte a vicenda, offrendo una regia in notturna "ad ombre cinesi" molto godibile. Il sorvegliante non disumano è un ennesimo personaggio ambiguo tipicamente nolittiano. Tutto sommato, di azione non ce n'è molta (sorprendentemente, per questa serie), e la conclusione vede Jerry ricoverato a letto per una ventina di pagine. Ma è una conclusione inusuale e molto gradevole, quasi castelliana, e apprezziamo la scelta di non farci sapere se il benevolo ma ambiguo colonnello fosse originariamente implicato nel complotto. Alla fine, Mister No viene invitato a raggiungere Algeri, e invece lo ritroveremo al Cairo. Pazienza.
[193-194-195-196] IL TESORO DELL'AFRIKA KORPS - ARRIVA ESSE-ESSE - DUE CONTRO TUTTI - AFRICA ADDIO! (Mignacco/Bianchini-Laurenti)
Intrigante caccia al tesoro razionale, verso un bunker della WWII sepolto nel deserto. Ma è anche una storia di continuity, la prima di tutta la serie: la trasferta africana giunge al termine e, contemporaneamente, l'autore si lascia lo spazio per due postille aggiuntive (le troveremo nei #198/199 e #201/203). Oltre allo status di "episodio di passaggio", è pure un episodio anomalo: dopo il simpatico prologo, con la telefonata intercontinentale al bar di Paulo Adolfo, in cui si imbuca tutto il paese, e il licenziamento dall'albergo, Mister No regredisce al ruolo di spalla del vero protagonista, Esse-Esse, giunto in fretta e furia fino al Cairo (Jerry ha rinunciato ai soldi della Legione Straniera, #191/193, e ha dovuto trovarsi un lavoro come facchino). Tutto il secondo albo è dedicato al crucco, che per la prima volta racconta un episodio del proprio passato, ai tempi dell'Afrika Korps di Rommel e delle battaglie nordafricane. Qui Mignacco si scatena in un profluvio di nozionismo storico-bellico, e ci conquista con la creazione di un contesto solido e credibile alla sua storia di fantasia, ma ci stordisce un pochetto con le chiacchiere, dato che i dettagli guerreschi non sono esattamente la nostra prima passione. Non solo: per l'autore è l'occasione di impadronirsi del personaggio e di presentarsi ufficialmente nel ruolo di viceNolitta (prossimo al ritiro), ed ecco la ret-con dei #17/20, in cui Kruger si chiamava Richard, poi divenuto Otto: il suo vero nome è Wolfgang Otto Richard Kruger; e non è mai stato nelle SS, il soprannome è sempre stato solo scherzoso; il generale di quella vecchia storia lo aveva conosciuto soltanto in occasione di un breve addestramento in un'altra unità, a SS già superate. Peraltro, nella vignetta ripresa da quell'arcaica storia, è presente un errore grossolano ("Otto" in luogo di "Richard"; a meno che nell'edizione TuttoMN non fosse stato corretto). Anche nel restante albo e mezzo, il focus resta su entrambi i personaggi, con Esse-Esse sulla stessa parità d'importanza del titolare della testata. Tutte queste novità, alla fin fine, provocano più clamore del dovuto, relegando l'avventura vera e propria in secondo piano. Ed è un peccato, perché di per sé si tratta di una vicenda simpatica, in cui all'estenuante flashback si alternano siparietti vivaci mutuati da certa cinematografia degli anni 1980 (la bilogia di Zemeckis con Douglas/Turner, soprattutto) e buffi complotti e controcomplotti d'ispirazione castelliana, illustrati con un'arte ballerina, e talora cartoonesca, involontariamente azzeccata. Ad esempio, chi se lo aspettava che quel mafioso fosse in realtà il commissario? O che il cliente scazzottato all'inizio fosse proprio quel tizio? Mentre che le gnocche fossero infingarde era più scontato. Riuscita anche la calata nel bunker, già di per sé affascinante per la locazione e l'origine storiografica scelte. E finalmente ecco i predoni macchiette e lo sconfinamento nel deserto libico. In tutto questo, però, a pagarne il prezzo è proprio l'Africa: il Cairo è ritratto con modalità brutalmente occidentali, da film patinato su Poirot (tant'è che fa un cameo il Mortimer di Jacobs); e l'addio di Jerry al continente, a dispetto dell'ultima copertina ingannatrice, è quanto di più frettoloso e antiromantico ci si potesse aspettare, alla faccia dei #167/169. Durante la telefonata, viene sciolta la sottotrama d'apertura della saga, rivelando che il candidato governatore che minacciò Jerry è stato poi sputtanato e costretto alla fuga dal Brasile; inoltre, debutta di soppiatto Augustino, il meccanico dell'aereoporto di Manaus nel periodo di transizione mignacchesca (#193-240). La chiosa sulle sigarette Camel ci riporta fisicamente in un secolo ormai sorpassato. Fastidiosamente, Mister No ci fa sapere di non chiamarsi così per via dei propositi nolittiani, ma solamente per via dei #145/148.
[Speciale 6] DARK LADY (Nolitta/Diso)
Tie-in dei #198/199, benché pubblicato prima, e dell'intera mini-saga "del ritorno dall'Africa", benché ambientato prima dei #167/169. Dopo una scazzottata con Esse-Esse, Jerry racconta agli amici del bar la nascita della loro amicizia. Tutto l'episodio è un flashback ambientato a São Luis Do Maranhão, dove Jerry staziona in attesa che il suo nuovo Piper riprenda a funzionare. Casus belli dell'incontro è l'arrivo nel paese di poveracci di una elegante e benestante stangona bionda, che gli autori modellano sulle fattezze di Veronica Lake (da qui Recagno trarrà l'aggancio per il cameo di Jerry nel terzo DD&MM). L'autista di Wendy (la tipa), Otto Kruger, è prima costretto a farsi da parte e a lasciare campo libero alla love story tra Jerry e la femme fatale, dal destino ovviamente negativo. Una tizia del genere, infatti, non poteva che essere coinvolta in affari loschi con mafiosi e banditi d'ogni risma, cui si aggiungono in seguito alcuni dei poveri del paese, incupiditi e corrotti dall'avidità. Il ritorno di Esse-Esse permette a Jerry di uscirne, ma nessuno dei due riesce a salvare la bellona dalla tragica fine. L'amicizia tra i due sbandati nasce a questo punto, con la decisione di raggiungere Manaus. Decisione alla quale il lettore può decidere di aggiungere o meno le rivelazioni mignacchesche dei #193/196 e #198/199. Il primo calcione al Piper è, invece, prerogativa di Nolitta, come è giusto che sia (e in teoria Wendy è la prima cliente). L'artista fa il suo dovere, come di consueto, regalando, soprattutto all'inizio, una "Veronica Lake" davvero invitante (oppure, come abbiamo sempre sostenuto, sono gli abiti attillati a rendere le donne invitanti).
[196-197-198] L'ISOLA DEI FORZATI - MUSICA, MAESTRO! - BELVE UMANE (Nolitta/Di Vitto bros.)
Primo episodio brasiliano di ritorno dall'Africa, in cui Mister No è ancora bloccato a Rio de Janeiro. Fumetto tipicamente nolittiano, e di fine carriera, come intuibile dalla connotazione quasi del tutto negativa e sfiduciata conferita al genere umano. Da questo punto di vista, si tratta di uno dei fumetti più riusciti dello sceneggiatore. Fin dalle prime pagine, in cui Jerry e la squinzia di turno oziano sulla spiaggia, emergono prepotentemente la noia e la vacuità della vita, tipiche di chi sogna costantemente l'utopia e non riesce a ritrovarla nella realtà. L'incontro con gli amici ricchi della tipa è un ulteriore sfogo, istintivo e ferino, verso l'ipocrisia e la cialtroneria. Eppure, pur condividendo le opinioni del protagonista, è difficile non considerare questo Mister No come un rompicoglioni inopportuno e a tratti sgradevole (è invitato a una festa e la trascorre insultando tutti). Caratterizzazione un po' eccessiva, non convintamente dovuta agli eventi africani, dato che alla trasferta è deputato solo un accenno posticcio, e che, in fondo, tutta la storia sarebbe stata pubblicabile anche prima del viaggio. Il ritorno di Dana Winter (#12/15) offre il fianco a siparietti altrettanto "sconci" e alle provocazioni degli yuppies radical chic. Inevitabile, a questo punto, il remake di un Classico zagoriano (La preda umana), a sua volta "plagiato" da un celebre film, tratto da un romanzo (e poi rifatto da Coliandro). Rispetto alla versione zagoriana, qui la caccia all'uomo è più breve, e non è il punto principale della questione. Più rilevanti ci appaiono le caratterizzazioni realisticamente ambigue e schizofreniche del cast nolittiano: dalla tipa, innamorata ma "confusa e paralizzata" al momento di essere d'aiuto, al fighetto onesto ma vigliacco, passando anche per il galeotto leale ma omicida, che si rivela essere il figlio della vecchietta che pareva tanto innocua e caruccia. A differenza di Nolitta, a noi il finale, in cui basta una canzone per distrarsi un po' e affratellarsi, non convince affatto. Ma fa parte dei clichés della serie, e ce lo facciamo andare bene. Arte solida e verace, funzionale e sempre in sintonia coi testi. Interessante l'ambientazione dicotomica, l'isola (vera) che ospita il carcere da una parte e il resort dall'altra.
[198-199] RITORNO A MANAUS - A VOLO RADENTE (Mignacco/Diso-Devescovi)
Inizio ufficiale del "quasi nuovo corso" della testata, con il nuovo showrunner, che si impone partendo dalle sorgenti del Rio delle Amazzoni. Fine ufficiale della trasferta, con Jerry finalmente a casa. La prima puntatina è spigliata e simpatica, proprio come ce l'aspettavamo. Tutto il paese viene a salutare Jerry e a portarlo in trionfo, con uno zelo a tratti eccessivo, considerando che all'inizio della serie non era poi così amato. Ma il #1 era ambientato nel 1952, mentre qui un dettaglio rivela che ci troviamo intorno al 1959, quindi del tempo è comunque trascorso. Tra le altre cose, scopriamo che il politicante dei #167/169 è fuggito a Cuba, da Batista. Augustino dapprima mente, millantando di aver distrutto involontariamente il Piper, e così facendo stimola Jerry a raccontare le origini del suo aereo: fu acquistato ad un'asta giudiziaria e durante il suo primo volo si impantanò a São Luis Do Maranhão, sede del primo incontro con Esse-Esse: qui Nolitta dimostra di avere ancora sotto controllo il nuovo curatore, e imbastisce con lui un vero e proprio cross-over interno alla serie, dato che l'aneddoto riassume gli eventi dello Speciale #6 pubblicato poco prima. Ma è Mignacco a gestire la continuità minore, ed è lui a decidere che dietro al Piper si nasconda una storia di truffe e furti di diamanti. La seconda puntata, dovendo occupare un albo intero, diluisce di molto la vicenda, ripescando Deborah Winter (#44/45), ora socia di tale Jack Daniels in una compagnia di aerei da turismo. Daniels ha vinto a poker (contro Augustino) il Piper di Mister No: ovviamente, era proprio lui l'originale proprietario, il rapinatore-truffatore, ma il suo obiettivo non era tanto l'aereo quanto il mazzo con le chiavi di avviamento che Jerry si era, però, portato in Africa senza volerlo. Fra quelle chiavi, ve ne era una di una cassetta di sicurezza della banca di Belèm. Lì la storia si conclude, dopo una parentesi nella giungla non irresistibile, con una scenetta di gelosia di Deborah nei confronti di Maria, Irene e Madalena. In effetti, Deborah non è brillante come ai tempi d'oro, e anche il suo spogliarello nella foresta è totalmente gratuito. Ma l'importante era che Jerry riottenesse il Piper. Nella seconda puntata, a Diso subentra Devescovi, uno dei preferiti di Nolitta ma qui alla sua unica apparizione su questa collana: entrambi ben riconoscibili, entrambi alternano ottimo e rivedibile; il primo imita Bianchini nella vignetta ripresa dal #193.
[Nathan Never 7-8] LA ZONA PROIBITA - UOMINI OMBRA (Serra/Mari)
Simpatico cameo di Jerry Drake (III°?), pronipote di quello canonico, a capo della Drake Airlines ed elegantemente vestito (col quadrifoglio sul doppiopetto). Un suo velivolo viene distrutto e i passeggeri rapiti.
[200] I SETTE DEL "SANTA CRUZ" (Nolitta/Bianchini-Civitelli)
Autoconclusivo celebrativo a colori, con 16 pagine in più. Ultima sceneggiatura - per due decenni abbondanti - del creatore della serie e suo editore. Per molti, la sua storia peggiore. Mah. Il soggetto è una ripetizione di elementi già visti, ma interpolati in modo nuovo. Ad esempio, i fortini militari contrapposti sui cocuzzoli dai due lati del confine fluviale tra Bolivia e Perù, non li avevamo ancora visti. E tutte le tappe sono squisitamente nolittiane, dalla nota iniziale sui colori della giungla, ingrigiti dalla nebbia e dalle acque limacciose, passando per la spedizione via battello con la ciurma composita e arrivando al missionario laico sderenato e fallimentare. Il tema degli aiuti forzati e controversi agli indios è quanto di più inerente i presupposti della testata si potesse affrontare, e cosa ci sia di più nolittiano della malinconia per il destino già scritto della natura amazzonica non è dato sapersi. L'artista - promosso per cause di forza maggiore - ha un compito gravoso, che svolge dignitosamente, forse perché aiutato dal suo mentore, e forse perché "coperto" dalla gradevole e mai eccessiva colorazione (bella la sequenza iniziale nella tempesta). Certo, il volto del superstite della spedizione cambia somatica troppo spesso, specialmente quando si ispira a Pippo Franco. La copertina, ovviamente, non rispecchia i contenuti dell'albo, come da tradizione.
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