Commenti umorali e scorretti, allo scopo non di criticare una serie a fumetti, ma di rappresentare il decadimento psico-fisico di un lettore, condotto all'esaurimento dalle avversità della vita
MM #395/396: Attenti alla Testa!/L'Altro Volto della Verità (Lotti&Mainardi/Sforza)
Copertine nel più tradizionale stile della collana e risguardi tra i più guardabili realizzati da Velardi (ma ciò non toglie che queste pagine abbiano fatto il loro tempo): il quattrocentennale si avvicina, e occorre farsi trovare ben confezionati. Persino il fumetto, l'ennesima doppia che non è affatto una giacenza, è tra i meno catastrofici del tragico duo. Siamo dalle parti di Obiettivo: Apocalisse, uno dei peggiori albi del periodo d'oro, ma che, rapportato alla produzione di questi autori, equivale ad una promozione con tanto di encomio. Manicomio? Sì, è uguale. L'intera storia si basa su di una grossolana "topolinata", dato che ci vogliono almeno cento pagine per giungere al colpo di scena, ovvero la rivelazione dell'esistenza di due teste senzienti anziché una, evento che però era immediatamente ravvisabile dai dialoghi del prologo, se non altro ai lettori di età postpuberale; e quindi non è un errore, ma una scelta voluta e ponderata. Non mancano le superficialità, tipo il "Re" innominato che volle edificare la Torre di Babele, in un flashback che sembra proprio un fumetto dei Paperi di Michelini o Russo (dove c'è pure un tizio con un abito moderno, boh); non manca, ovviamente, la retcon del Classico amato dai lettori con Diploma Superiore di Secondo Grado (perché la base di Etemenanki fu così facilmente accessibile? Perché PaperMesopotamico fu indotto dalla testa malvagia a causare una esplosione semi-atomica togliendo il sigillo alla porticina); e non possono mancare, naturalmente, le situazioni "per famiglie" nei momenti meno opportuni, soprattutto nella sequenza della Meteora. Ah già, torniamo alle Meteore, in una strizzata d'occhio che non mancherà di commuovere i Lettori Laureandi, ma non nella stessa delle altre volte, in un'altra lì a fianco, e stavolta ci facciamo pure le foto turistiche. Se Mainardi è scuola Disney, Lotti è perito informatico, pertanto riecco il Martin "adottivo digitale", sagace utilizzatore di tecnologie d'ogni tipo a proprio uso e consumo. Gli servono documenti antichi? Si fa mandare le scan sullo smartphone. Deve produrre una opera alchemica al volo? Fornellino da campo, TAAC!, tel chì il Sesquiossido. Abbisogna di far passare il metal detector da polso alla dogana? Lo compra online e se lo fa mandare in Grecia. TAAC!. Ah, se solo fosse sempre così ingegnoso e "laterale". L'autore di La grande illusione si dimostra ancora una volta attento alla realtà, e nella sapida critica alle demenziali quest dei tiktokers, e nel disvelamento della duplice natura delle IA, che possono essere sia buone che malvagie, e scatenare guerre nucleari (il loro potere principale è quello "seduttivo della parola", però possono anche controllare tutto ciò che è elettronico), come nella sequenza moralesiana in cui topolinescamente i militari si fanno sfuggire i missili (un finale grottesco che è anche un omaggio all'albo che diede inizio a questo interminabile filone di proto-robot e proto-IA, Il giocatore di scacchi). Alla fine vince la testa buona, ma questa sceglie di non rivelare a Martin tutti i segreti di Atlantide, avvertendolo quasi testualmente che, se lo facesse, sarebbe finita la serie ("non avreste più nulla su cui indagare"; e che ci sarebbe di male?). E minacciando di ritornare nell'eventualità di una grande saga, a imitazione dell'Orfeo nel "Ciclo del Countdown". Ma perché avevamo parlato di fumetto meno tragico del consueto? Mah, forse per via di Bacone e dei suoi flashbacks, forse per via della costruzione "a puzzle" del mystero inventato, con riferimenti storici e geografici che appaiono verosimili e che denotano quantomeno una lettura documentativa di Wikipedia (ma va sempre ricordato il precedente del bus sovietico). L'arte inizia male, poi si ripiglia un po': c'è un certo lavoro sui protagonisti, gli sfondi appaiono accurati fino a prova contraria (ah no, la chiesa è piemontese, perché "fa più scena"), le scene d'azione sono invece rigide e mediocri; il prestigiatore è Anthony Hopkins di Magic, ma copiato dalla versione dylandoghiana di Dell'Uomo. Da segnalare una striscia dei Bonelli Kids copiata da DoppioTì e Zio Boris a Sanremo con Amadeus (sigh).
MM #397/398: Specchio, Specchio, delle mie brame!/La Regina Cattiva (Barzi/Mattone)
Albi e fumetto bipolari, tanto che una striscia dei Kids verte su questo tema. Una copertina normale e una imposta dall'Editore, per appiccicarvi le piastrine da indossare in Ucraina; due titoli coerenti con la storia, ma uno è una citazione errata; una "Macchina per Leggere" che termina in sospeso, e un'altra che ospita la lettera dell'Editore, ma con un commento sconsolato. Fumetto altrettanto dicotomico: eccentrico come le storie dei coniugi Bagnoli, con personaggi balzani e riempitivi istrionici (l'appello dei tedeschi famosi); pedante come i dopolavori di Morales, con citazioni petulanti ed "emozionanti" copincollate di netto, fino all'apoteosi mistico-piangina del finale; colto, con numerosi riferimenti dotti per secchioni, una gita turistica in stile anni 1990 e un mystero costruito forzatamente, ma con una certa logica a incastro; goffo e puerile, con vari momenti inutili, dialoghi piatti e artefatti e un mystero costruito con una certa logica a incastro, ma forzatamente. Il cliffhanger di mezzo è identico a quello a metà della storia immediatamente precedente: sono due Meduse, non una. Per visualizzare la cultura di Martin, l'autore gli mette in bocca lunghi brani virgolettati presi da libri secondari di Nietzche; poi, per non dare l'impressione che sia un infallibile alieno radiocomandato, gli fa ricordare soltanto otto dei dieci nomi famosi che aveva visto in forma di statua a casa del nazista. Evabbè. Le Gorgoni, da quel che sapevamo, erano creazioni di Oduarpa. Invece no: erano creature autonome e semidivine, come riporta correttamente la mitologia (e noi che credevamo che i fumetti fossero più attendibili). Giustamente, le Gorgoni erano tre: scopriamo che la testa di Medusa era sepolta a Lipsia, mentre Steno era letteralmente la statua di Uta di Ballenstedt ed Euriale la deus ex machinae dietro le quinte, con tanto di figlio/astro. La vicenda di quest'ultimo, con tutte le sue giravolte (non è nazista, è il figlio, no è l'altro figlio) è la strambata in stile Pfeffer: non è la cosa più stupida che abbiamo letto su questa testata, ma non è certamente tra le più necessarie. Dialoghi a parte, sembra comunque un passo avanti rispetto alle precedenti prove dello sceneggiatore. L'arte, di scuola moralesiana, come appare ormai inevitabile, si muove tra tutti questi cambi di registro: un po' pulp, un po' fotorealistica, un po' cartoonesca, un po' accettabile un po' discutibile. Non resta particolarmente impressa. E quindi pure i fratelli Grimm sono sopravvissuti al loro tempo, o qualcosa del genere. Evabbè.
MM #399: Il Segreto della Superba (Barbieri L./Foderà)
Mystero Italiano turistico-promozionale previsto dal Contratto Contenutistico di Narrazione Laterale. Stavolta tocca ai dintorni di Genova: l'autore, un autoctono, è anche uno dei Redattori di maggior rilievo nelle gerarchie della Casa Editrice, e ci tiene a dare una buona immagine di sé e delle proprie origini. Ormai è inevitabile inserire ogni episodio nel contesto di totale sfacelo in cui la serie è precipitata da un tempo che continua impietosamente ad aumentare. Forse non è il modo corretto di analizzare queste storie, ma l'istinto ci conduce a questo. Dopo tutto, è soltanto in questo modo che possiamo considerare la prima metà dell'albo una sorpresa, da intendersi in positivo. La quantità di nozionismo e trivia che l'entusiasta e "superbo" autore propone - per i motivi di cui sopra - spiazza e travolge l'insonnolito già rassegnato alla consueta dose di tablet e mostriciattoli, tant'è che il tizio mette becco pure nella rubrica in prosa. Siamo nel più classico dei Mysteri Italiani, tant'è che si comincia con gli operai che fanno le scoperte nelle fogne. In realtà, si comincia con l'elogio della città di Genova, e quindi si passa agli operai che ne sventrano il sottosuolo, ma soprassediamo. Ecco, dunque, l'inarrestabile filotto di eventi storici di cui eravamo del tutto ignoranti: esistevano due Colombo, e quello famoso non era il genovese, ma l'altro, il nativo di Cogoleto (Ge); ma una leggenda di Arenzano (Ge) dice, invece, che la sorella gemella di Cris era del posto, e quindi anche il fratello gemello. E ancora: a Genova è realmente conservato il Sacro Catino luccicante di verde, quindi perché non anche una Pietra "estirpata da un demone" durante le Crociate da San Giorgio, che uccise il Drago con la sua Spada? Una mitragliata di strizzate d'occhio che ci manda knock-out, complice il crollo delle certezze che ci avevano guidati nelle nostre numerose visite al capoluogo (a Genova c'è la metropolitana, ma noi siamo riusciti a non vederla mai; la diroccata casa di Colombo che visitammo, in una giornata torrida come le odierne, non è quella vera: che cacchio visitammo, dunque? Nuove porte si spalancano sul Mystero). Orgogliosamente sadico, l'autore ci espone tutto questo tramite i più classici "cliscè" (cit. Agarthi) e muovendo i personaggi con gli adeguati atteggiamenti "radical chic" (possiamo chiamarli "eccentrici"?) che gli sono propri: Diana, ad esempio, che si annoia alla conferenza sui Colomboes (e anche Martin sembra discretamente tentato dal sopore), e appena va in spiaggia si espone in mutande (e Java la imita) davanti al prof. attaccabottoni appena conosciuto, che li ha accompagnati fin lì, in giacca e cravatta e scarpe di pelle come Martin. Purtroppo, il curatore di Dragonero, da buon esperto di fantasy, non ha la più pallida idea di come utilizzare tutto questo appetibile materiale, e sceglie la via più semplice. La "spada di San Giorgio" è dunque la solita spada laser di Atlantide (con tanto di stemma ergonomico), e quindi anche gli eventualmente accettabili echi di Lazarus Ledd si spengono in un soffio, e l'energumeno saraceno risvegliatosi dai flashback (in cui agivano gli immancabili UiN dell'epoca) ai giorni nostri è, naturalmente, un ennesimo androide di Mu (da buon "superbo", si vanta di essere l'unico, e Martin, per farselo amico, non s'azzarda a contraddirlo). Tutto qua, alla fine non succede nulla: la famiglia che ha custodito l'arma per secoli prosegue la sua vita come se nulla fosse, il Catino e la genealogia di Colombo non c'entravano nulla, l'androide - che ha ucciso gli operai e distrutto la spada, ma non è cattivo - si disattiva volontariamente con la citazione del famoso film con gli androidi, rimirando le poetiche immagini dei luoghi cari all'autore, in una conclusione che evidenzia una volta di più i danni portati dall'"erede di Castelli" e dai suoi "capolavori emozionanti". L'artista ricorda vagamente i primissimi Esposito: si vedano i Java e Diana quasi esili quando vestiti e semiculturisti quando denudati. Anche le morfologie dei primi piani suggerisce questa ipotesi. Le ambientazioni appaiono curate il giusto, copiate da fotografie. Il dinamismo è più efficace che in altri artisti. Curiosamente, la copertina della "prima edizione di 'Atlas of the Unknown'" ospita una illustrazione moderna (non è la prima edizione italiana: il titolo è in lingua originale). Dopo la breve parentesi, ritorna lo Zio Boris politicizzato, ma stavolta non capiamo bene la frecciatina, non è che sta offendendo la nostra parte politica? Sembra ke la skritto Bidet!!
MM #400: I Colori Impossibili (Recagno/Alessandrini,Grimaldi,Orlandi,Torti/col. Rudoni,Sguanci)
Incredibile, giunse infine il quadricentenario. Per noi un traguardo molto sentito, in quanto abbiamo da tempo adottato il #300 come virtuale albo conclusivo della serie. All'epoca ci entusiasmò, e fummo gli unici a cui sortì un tale effetto: pensare che da allora, da quell'apoteosi del recagnismo - che però sancì, col sennò di poi, la sconfitta dello stesso e del castellismo, crollati impietosamente dinanzi alle lagne rincitrullenti dei lettori speciali - siano trascorsi circa quindici anni, ci etichetta ineluttabilmente come ruderi anacronistici, fossili di un'era remota e perduta per sempre, che solo per motivi ignoti ancora circolano su di un pianeta di cui detestano pressoché tutto. Questo è lo spirito con cui accogliamo l'ennesima autocelebrazione mysteriana, la quinta negli ultimi due anni: senza alcuna aspettativa, senza la forza né la volontà di opporsi ad eventuali delusioni. Fortunatamente, il tono dell'albo è quello della cena conviviale tra individui che un tempo hanno condiviso molto, ma che cogli anni hanno preso strade un po' differenti, e che si ritrovano senza avere realmente qualcosa da dirsi, non tanto per motivi di astio o di eccessive divergenze, quanto perché tutti accomunati dall'essere "troppo vecchi per questo genere di cose" (cit.?), relitti di una gloria passata, di un orizzonte abbandonato più che perduto. Se i risguardi appaiono soltanto banali, la copertina è già esemplare di questo stato di cose: attira l'occhio, presenta un effetto inedito per la Casa Editrice (e dunque porta avanti una tradizione ultradecennale che vuole Castelli aprire, nel suo piccolo, nuove soluzioni), è disegnata dallo storico copertinista (il terzo, dopo Ferri e Galep, a raggiungere il traguardo, ma Galep lì si è fermato), ma il disegno in sé non è proprio il massimo che si poteva auspicare. Tutta l'arte di Alessandrini, anche nel fumetto, per quanto sempre ad alto grado di chiarezza e leggibilità, non sembra essersi sforzata molto. Non siamo ancora del tutto convinti che lo status dell'artista, oggi, sebbene invecchiato e spremuto soprattutto in termini di regia da più di quattrocento copertine, sia questo. La trama congegnata dal nuovamente sostituto Recagno per tenere in piedi la celebrazione, pure, non è certo la più originale che si potesse concepire: la sinossi alternativa che Castelli non ha potuto utilizzare (e temiamo che l'occasione non potrà mai presentarsi, a rinvigorire la nostra malinconia) ci è parsa, pur nella sua reiterazione di modismi, un pelo più inusuale: sì, noi volevamo vedere Martin operato alla cataratta! Non foss'altro perché è una delle paure ancestrali di chi, come noi, ha gli occhi deboli e sofferenti. Ora, per quanto possiamo amare il #300, ammettiamo che, anche in quel caso, la cornice narrativa non fosse certo la cosa migliore dell'albo. Albo da cui l'autore riprende il concetto per cui l'"universo di Martin Mystère" sia più importante di Martin Mystère stesso. Il contrario di quanto qualcun altro ha ritenuto di proporre nelle sue produzioni, insomma. Ma, se nel #300 la glorificazione dell'universo mysteriano si traduceva, appunto, nella dimostrazione di come ogni filone narrativo e ambientale potesse ancora dire la propria, oggi "universo di MM" significa semplicemente la parata dei suoi amici più ricorrenti. Il numero delle pagine tragicamente inferiore, rispetto a quelle a disposizione un centenario fa, certamente incide, ma insomma. Ritrovare Spektor fa sicuramente piacere, scoprirne il legame con Altrove e Aldous non disturba ma nemmeno entusiasma, e vederlo mettere in riga un Tower scorbutico & infastidito (una strizzata d'occhio a chi sta leggendo?) e tutta la combriccola smemorata annessa, restituisce quell'idea di farsa di fine carriera che fa sorridere con una punta di amarezza. C'è da dire che l'idea del teatrino sembra una di quelle che avrebbe potuto partorire il Castelli più recente, dunque Recagno ancora una volta ha dimostrato di esserne il vero "erede". Grimaldi, con i suoi personaggi "smorfiosi", e i cui sfondi vuoti sono riempiti dal colore, appare indicato ad illustrare un raccontino in cui Martin è costretto dalle circostanze a prodursi in numerose espressioni a metà tra l'attonito e il perplesso. Apprezzabile il tono perentorio, tipico del complottista, con cui viene ribadita l'inesistenza dei colori, concetto che tuttavia avrebbe potuto condurre a tematiche ancora più estreme di quelle proposte. Ma forse il tema dell'universo simulato non è più adatto al pubblico dei "moderati" che si cerca invano di inseguire, o forse non ci si voleva sovrapporre ai lavori nathanneveriani di Bepi Vigna (il quale, però, utilizza le invenzioni mysteriane quando e come gli torna utile). L'idea del View-Master capace di mostrare i desideri inconsci delle persone, dopo che Martin ha battuto la testa facendo la doccia, è di nuovo di quelle che "piacciono all'ultimo Castelli", e dunque poco passabili di obiezione. Che possiamo dire? Il tema vintage, Diana che cucina, il sarcasmo sui vicini di casa, il cinismo della politica: sembra tutto accomodato per noi vetusti barbogi, gozzoviglianti alla rimpatriata. Stona soltanto il cameo di Safarà, che crea involontariamente un legame, di cui si poteva fare a meno, con la storia pubblicata il mese dopo, del tutto estranea a questi temi. Il secondo racconto è al contempo il segmento migliore dell'albo e quello nel quale il cortocircuito della retroconnessione narrativa si manifesta con maggiore rilievo. Che vuol dire? Semplicemente che l'"universo mysteriano" di cui sopra si è rimpicciolito al punto da divenire uno di quei micromondi semiumoristici in cui si incontrano tutti. Certo, tutti coloro che sono in vita in un determinato momento storico si trovano contemporaneamente su questa valle di lacrime in quel dato momento (è il "Principio di LaPalisse" rapportato alla Storia), ma, diciamocelo, ritrovare, letteralmente nella stessa stanzetta, durante un incontro segreto tra tizi che agiscono in incognito, Cavour, sua cugina, il padre de f.lli Holmes, gli Uomini in Nero, con l'aggiunta di una rocambolesca irruzione del Docteur Mystère e di Cigale, è una di quelle trovate difficilmente classificabili come "incredibili coincidenze". Viene più semplice chiamarle "soluzioni di comodo". Non è nemmeno l'unica: anche il Magenta, come l'Indaco del #300, si rivela essere un "colore venuto dallo Spazio". A compensare la pigrizia del riciclo, va detto che il 2023 è stato decretato "l'anno del Magenta" (in realtà, di una sua variante), pertanto appariva opportuno dedicarvi uno dei mini episodi, in un albo che sembrava cadere proprio a fagiuolo. E ancora: come giustamente afferma il Castelli, Recagno ha sceneggiato il fumetto con il suo stile, ma lo stile di questo Recagno sembra ripiombato nei modismi tipici di una certa serie televisiva, da cui, ad esempio nel #390, sembrava essersi finalmente smarcato. E invece ecco "Nap" e altre battute moderniste. Di contro, fatichiamo a non apprezzare il discreto brio del racconto, e il tentativo di far tornare tutte le (posticce) fila del discorso, cercando una convergenza sincretistica fra eventi e personaggi tra i più disparati. L'arte, come già detto quando fu impegnata in uno Storie da Altrove, non è la più adatta ai flashback storici, per la sua tendenza a renderli troppo moderni, come accade in certi film americani. Trattandosi di un diario del Doc, sarebbe stato più logico affidarsi nuovamente al suo creatore grafico. Da segnalare come il tizio dipinto di magenta, nella prima vignetta in cui appare, sembri quasi un pupazzetto. Prosegue, infine, l'opinabile tendenza a produrre "edizioni ancora più definitive delle precedenti" di un dato personaggio (in questo caso il Docteur Mystère) pubblicizzandole con episodi inediti che non andranno a confluire nelle suddette edizioni. Il terzo episodio è immancabilmente dedicato allo "Speciale" trio ADK. Giustamente, è Torti a farsi carico delle illustrazioni. Probabilmente, anche in questo caso il colore colma diverse lacune, rendendo più armonioso e gradevole l'impatto visivo "a prima vista". Confessiamo che reincontrare ancora questo stile, di tanto in tanto, regala un piccolo sorriso di invalidante nostalgia. Tra le tre brevi trame, quest'ultima è decisamente la più frivola e la più tendente al fantasy. I colori chimerici, di fatto, non si vedono, e a Rudoni e Sguanci non è nemmeno chiesto di abbozzarne una figurazione. Resta la chimica tra i tre protagonisti, che soltanto Castelli e Recagno sanno rendere con simpatia nonostante gli ormai triti tormentoni. Più soggettiva la rivelazione dell'identità dell'universo in cui sono precipitati (con un omaggio non necessario a Generazioni): quello delle NAAC. Un universo di cui, decisamente, si può fare a meno. Ma, col senno di poi, era impensabile non ritrovarselo in qualche modo in un albo che tratta di colori. Il Mandala, dopotutto, era un indizio abbastanza palese (era protagonista di uno degli episodi del reboot). Una prece per "Teresa Travis", personaggio che non rammentiamo di aver visto agire nelle Nuove Avventure (ma potremmo sbagliarci), mentre "Georgecaro" ci ricorda qualcuno. La conclusione della storia è una vorticosa miscela di recagneserie: laddove, nel solito #300, lo sceneggiatore riprendeva perlopiù classici di Castelli, qui si concentra sulla propria produzione, quasi a voler "marcare il territorio". "Questa tipologia di MM, anacronistica e destinata all'oblio, è roba mia", sembra dirci. Quanto vorremmo che fosse, invece, di tutti. Riecco, allora, le tecnologie olografiche degli Special #32 e #34; il paradosso della predestinazione (Generazioni, lo Special #31 e altri ancora); e, soprattutto, il SuperSpettro del #315 e dello Special #26 (ma è più vicino alla connotazione nel bimestrale, da cui riprende anche gli esseri visibili "con la coda dell'occhio"), di cui Spektor sembra offrire una definizione... definitiva (con tanto di citazione pop indovinata). Non c'è spazio per molto altro: la "scomparsa di Martin Mystère", cancellato dall'esistenza e dimenticato dai suoi amici, non ha il tempo di svilupparsi adeguatamente e non lascia traccia al termine della lettura. Peraltro, sembra contraddire gli eventi del citato Special #26, nel quale era stata Angie a perdersi nel SuperSpettro, con effetti diversi da quelli che vediamo proposti in questa occasione. Non convince nemmeno la tavola in cui Martin sembra parlare con l'anomalia spazio-temporale come se stesse parlando a sé stesso: l'anomalia sarebbe senziente? Prendendo per buona la definizione di "luogo della mente" data da Spektor (che peraltro non la differenzia granché dai vari Mondi dei Sogni visti nella serie), viene da chiedersi se non sarebbe stato più logico che fosse lo stesso Martin ad aver, in qualche modo, ideato tutto questo. Ma che motivi avrebbe potuto avere Martin per voler essere cancellato dalla realtà e dimenticato da tutti? Il soggetto, a questo punto, avrebbe potuto prendere le pieghe più disparate. Un'altra ipotesi è che Spektor stia imbrogliando tutti, ma il movente, in questo caso, si potrebbe cogliere soltanto tirando a indovinare. L'impressione è quella di aver assistito ad un'altra trovata "alla Doctor Who" da accettare senza porre obiezioni, lasciandosi trascinare dal trip. I coniugi Rudoni & Sguanci fanno un ottimo lavoro. Con l'unico appunto di quel "verde rossastro e rosso verdastro" del racconto di Grimaldi, la cui resa non corrisponde proprio alla descrizione che ne fa Mystère. La rubrica "Fantasmagoria" è decisamente la più appassionante e riuscita tra quelle proposte a partire dal #375. Non manca neppure un cenno, davvero tempistico, all'"affaire armocromista", ripreso, per par condicio in termini derisori, anche dalla tavola di Zio Boris. Ma la vera chiusura dell'albo è la striscia dei Bonelli Kids, involontariamente portatrice di quel mix di vivido affetto e malinconia iettatoria con cui avevamo aperto il commento. "Il viaggio è solo all'inizio", di solito, è qualcosa che si afferma quando si assiste ad un passaggio di consegne.
Martin Mystère #387//400: Martin Mystère: Zona Y
è il romanzo in dodici puntate di Andrea Carlo Cappi, pubblicato nel corso dell'anno maggio 2022/giugno 2023. Rispetto al precedente, che spaziava di capitolo in capitolo in tempi e ambienti diversi, qui tutta la storia è ambientata nell'estate 2000, immediatamente al termine degli eventi dei #219/220 (che diventano scenografia in uno degli scenari virtuali vissuti da Martin). Fanno eccezione il primo e l'ultimo capitolo, collocati nel tempo di uscita. Dando così l'impressione del solito Martin Mystère smemorato in modo patologico, capace di dimenticare eventi che segnerebbero chiunque per sempre (tanto poi i mysteri si risolvono da soli anche a venti e passa anni di distanza). Il Potere del Falco aveva dalla sua il background più amato dai veri mysteriani, quello storico-esoterico-avventuroso (la classica Cerca dell'Oggetto Leggendario), e partiva bene concedendosi anche divagazioni metaeditoriali che non appesantivano la lettura, ma la arricchivano. Col passare dei capitoli, però, la storia finiva per incanalarsi sui classici binari del romanzo-medio di matrice americana, con una maggiore attenzione data agli elementi cari ai lettori di Segretissimo. In Zona Y avviene l'inverso: la storia si presenta fin da subito come un lungo ed estenuante esercizio di stile, e davvero occorre una certa pazienza per autoinvogliarsi, mentre i mesi passano e i capelli inbiancano, a vedere Martin interpretare ruoli che non gli sono congegnali (il pistolero del Far West, l'investigatore hard boiled, eccetera), mentre i dati mysteriosi forniti restano gli stessi dal secondo capitolo e per gli otto-nove successivi, senza che la storia faccia un passo avanti. Stavolta sono gli ultimi capitoli, specialmente il terz'ultimo, a sobillare gli istinti del lettore speciale, andando a ricollegarsi direttamente alla saga dei muviani dell'[i]Ultima Legione[/i] (che la redazione avrà cura di riproporre all'uopo un mese dopo), rendendo questa opera perfettamente integrata nel filone dei Romanzi pubblicati a sé stanti dal 2017 al 2022. Per quanto ci riguarda, se questa storia ha un pregio, è quello di aver saputo ricreare quell'atmosfera "ufologico-millenarista" tipica del tardo X-Files (e delle varie riviste affini), per la quale coviamo un pizzico di nostalgia (al pari di tutto ciò che ci ricorda qualcosa di diverso dall'attualità).
Nathan Never Magazine 2023: Uniti per il Pianeta, Miniere e lattine, Cielo di piombo, Programma Life, Per un futuro migliore (AAVV)
Mystère compare anche nella copertina di Bonazzi dell'albo che ristampa, comodamente brossurato, il fumetto cross-over con Nathan Never e Mister No. Mysterianamente parlando, il volume contiene anche i due racconti a sfondo ecologista e una sequenza di Nostra Terra dei Mysteri. Come contorno, oltre a dei servizi che nessuno leggerà mai, una breve sequenza da NN #250, un racconto breve sempre di NN e uno molto raro di MN, nel quale ci viene spiegato che certi disboscamenti sono necessari per rinverdire i boschi, e che la "carta non inquina" (cit.), il ché appare coerente con l'universo in cui il cross-over di cui sopra non è mai avvenuto e nel quale questo albo non è mai uscito.
MM Speciale #40: La Storia Misteriosa Del Mondo. Parte 1 (Dante/AAVV)
Edizione ridotta (a detta dell'autore, prevista e voluta fin dall'inizio) dei due ingombranti volumi sulla Storia Impossibile del Mondo pubblicati tempo addietro, a loro volta remake di quello famoso della Hazard del 2000. Come da titolo, tavole scelte dagli albi di MM accompagnano i testi nozionistici che ribadiscono i trivia già noti ai lettori più affezionati. Il prodotto è evidentemente inteso come la "Bibbia del Nuovo MM", quello frutto delle recenti riscritture. Le tavole presentate provengono da: La Scintilla (Almanacco del Mystero 1989), curiosamente è il prologo che era stato rimosso nel MM Extra; Il tredicesimo segno (MM #142), è il prologo con le origini del cosmo; Intrigo a Pechino (#73/74), con la mitologia degli Dei dell'Est e dell'Ovest; Orrore a Providence (#4/5), le tavole visionarie con i Grandi Antichi in persona (tiè, Boselli); L'isola di ghiaccio e di fuoco (Gigante #6), con l'approdo degli Esagoni Kundingas, preferito all'omologa scena del Gigante #1, che invece era nel volume Hazard (la dida ci spiega che dire Tatua De Danaan, Kundingas o "dio Toth" è la stessa cosa); Ritorno all'Eden (Almanacco del Mystero 1992), per la presentazione di Agarthi e il cameo di Nathan Never (e quindi avevamo ragione a considerare quella storia immaginaria solo a metà); tocca poi ai dinosauri, dunque ecco Magia Africana (#56/58), la riflessione che fece Martin in proposito; in questa continuità, gli angeli vengono dopo, ed ecco allora le pagine di La vendetta di Loki (#244/246), per la precisione della seconda puntata, che ci fecero innamorare di questo fumetto prima di allora a noi sconosciuto-o-quasi; ritorna allora il Gigante #6, con la creazione dell'Esagono-Anello dei Nibelungi; da qui si passa direttamente all'Età dell'Oro, ripresentata per mezzo delle apposite tavole de Il presagio (#66/67); niente da fare per le Tre Razze introdotte da Recagno in uno dei suoi spin-off, meglio spiegare di nuovo la mitologia del Mondo del Sogno, grazie a Moha-Moha (#35/36), e da qui saltare direttamente al Pan marziano de Il sabba delle streghe (#38/40); è ora il momento della distruzione di Ruta e Daytia, da Il Re Rosso (Gigante #11); segue l'esilio del Piccolo Popolo (storia omonima, #76/77); con uno stacco, ci troviamo poi a Nazca (#58/60); e da qui saltiamo alla Grande Madre, da La falce e il druido (#50/51); per la fine ufficiale di Atlantide e Mu sono scomodati simultaneamente Gli Uomini in Nero (Gigante #3) e Il segreto della grande piramide (Speciale #3); restano in continuità Isemori e il suo patto con i Kundinga de Il segreto delle ombre diafane (Gigante #8); non si poteva certo sorvolare su Operazione Arca (#3, versione ritoccata da Alessandrini); né sulla morte di Amaterasu ne La vera storia del Capitano Nemo (#69/71); Gli Uomini in Nero sono presentati di nuovo per mezzo del Gigante #3 (l'inserto di Beretta e Alessandrini); c'è stranamente spazio per il Marduk di Orrore tra i Sumeri (#126/127), forse perché poi si parla della Torre di Babele (Orrore nello Spazio, #19/21); ci sono persino i Dogon dei #60/61 (forse perché il seguito è del Grande Morales); lo Speciale #3 torna ancora in simultanea, stavolta col suo seguito La Donna Immortale (#79/80). Qui si conclude la prima parte dell'Alba dell'Umanità (versione riveduta e corretta). Altrettanto speciale è la sezione "rovesciata", dedicata alla prima parte dell'ultima intervista rilasciata da Castelli, raccolta dal suo - glom - erede designato. Posto che leggere Castelli è sempre piacevole, anche in una versione malata e senile, qualche chicca interessante la si trova. Ad esempio, abbiamo gli schizzi primigeni di Siò, Zaniboni e Bagnoli, comparsi soltanto su vetusti cataloghi d'antan, e pure il famoso volantino svizzero dell'81, mentre Castelli ci svela che il finale dei Mister No #93/95 non era solo platealmente mysteriano, ma era proprio quello previsto per Allan Quatermain (e perché non ce lo ricordavamo? Poi ci chiediamo perché l'erede è Dante e non noialtri). L'intervista si distingue dalle innumerevoli precedenti per la presenza di domande legate alla continuità della serie; l'intento è lodevole, ma la lettura appare talvolta straniante, sia perché l'intervistatore fa riferimento alla "sua" continuità, sia perché Castelli non fa mai nulla per nascondere il suo disinteresse pressoché totale sull'argomento. Ecco allora che, ad una inusuale domanda incentrata sulle divinità dell'Est e dell'Ovest, Castelli rivela un suo abortito progetto per una serie di volumi "Un Dio Un'Avventura". E così via, con domande e risposte che a volte lasciano perplessi, come quando Castelli dice di "non aver mai voluto fare retcon", oppure quando lui e Dante sono concordi nel ritenere Kundingas e Tatua De Danaan entità imparentate ma non coincidenti (ma che diav...), o, ancora, la "storiella del nonno messo in frigo" alla base dello Speciale #5 (e come finisce? è un altro "corvo nell'occhio"?). C'è comunque lo spazio per materiale interessante, come il fumettino sugli Esagoni venduto con la gassosa negli anni 1950. Più opinabili l'autopubblicità di Dante ai suoi lavori futuri e la rivelazione del metodo di lavoro di Castelli (usare i film come ispirazione; non era Sclavi, quello?). Intriganti le "vere origini" dei #7/9 (Colombo) e #22/24 (Tunguska). Più triste leggere delle idee di Castelli per l'Oera Linda e per la guida turistica mysteriosa di NY (triste perché non le ha potute realizzare lui). A mo' di cliffhanger, il Mahatma ci svela che H.G.Wells aveva creato Tempo Zero prima di lui.
MM #401/402: L'esperimento del Dottor Mesmer/La Sequenza dell'Immortalità (Lotti&Mainardi/Grimaldi)
Chi l'avrebbe mai detto? Inizia il quinto centinaio della serie. Lo fa con una ennesima giacenza: avremmo preferito non dirlo. La tradizione di cominciare il centinaio con un episodio opinabile (Gioconda,Hampton,Tramonto) è rispettata. (A proposito, Augé ci ha lasciati da poco). Si riparte da Grimaldi: il segmento di sua competenza del #400 conteneva un omaggio dylandoghiano, ed eccolo subito alle prese con una variante della famosa storia del mesmerismo. Ovviamente, è solo un caso. (A proposito, Montanari ci ha lasciati da poco). I due scrittori danno l'impressione di aver sceneggiato le due puntate a compartimenti stagni, oppure di essere caduti nel più classico errore che può commettere un inesperto autore mysteriano: dannarsi l'animo per conferire un contesto storico-geografico credibile al proprio soggetto, anche forzando le situazioni (ad esempio inventandole di sana pianta) e poi perdersi le fila degli avvenimenti ai giorni nostri, finendo per contraddirsi e cadere in situazioni poco plausibili, dopo essere partiti da associazioni mentali discutibili (la Zia May dei film Marvel recenti è una milf ancora appetibile, quindi "Zia May rallenta l'invecchiamento"). Lo diciamo perché ci siamo caduti anche noi. Ora, i flashback appaiono curati, nei limiti della fiction tipica di questa testata, sebbene il "mystero" sia svelato praticamente a metà del primo albo. Il flusso al tempo corrente, invece, è una costellazione di forzature. La "nipote" di Aaron, dopo le prime scenette, cade nel dimenticatoio; la si rivede di sfuggita verso la fine. "Zia May" e la sua tisana non presentano nulla di mysterioso. Il nipote della zia, poi, si rivela essere un coglione. D'improvviso, nella seconda puntata, Mystère ha l'intuizione giusta. E svolge (con l'immancabile aiuto off screen di Travis) tutta una "vera indagine da detective", vantandosene, che ci riassume a posteriori; è quella solita di Highlander, dove studiando i documenti anagrafici e catastali, le calligrafie e le coincidenze, si scopre che il dato personaggio è pluricentenario; nel film del 1986 era una trovata appassionante, ma il lettore di questo fumetto era già stato edotto nella prima puntata. E quindi i fili si riannodano, compresi i ripetuti stacchi sulle chiacchiere complottiste degli Uomini in Nero (che per un momento diventano improvvisamente Industre Farmaceutiche rivali, ah no, sono infiltrati). Gli UiN irrompono e mitragliano Java, che muore, ma la povera mesmerizzata si immola per resuscitarlo e trovare la pace, con l'ausilio di Martin che si fa restituire il favore da Aaron imponendo un grottesco collegamento in diretta televisiva (gli eventi di Sansone non gli sono bastati). La casa esplode, gli UiN e Aaron coprono tutto, tutto rientra nei ranghi. Ma almeno due cose non tornano. Tutto il casino è nato perché Rachel non ha trovato le pagine del libro di Mesmer strappate dal nipote sfaccendato e strafottente (una gag disneyana instant cult che aveva visto Martin portarsi le dita agli occhi e lanciare insulti plateali), ma Martin avrebbe dovuto ricordarsi che le pagine erano state strappate per essere scansionate (così gli dice il minchione), e quindi tutta la trovata conclusiva avrebbe potuto essere evitata semplicemente usando le scan. Sarcasmo metanarrativo? E ancora: l'elemento magitecnico è davvero improvvisato. I simboli (la cui origine è ignota) causano effetti diversi a seconda della sequenza con cui sono disposti, ma per attrarre il flusso magnetico dalle persone (quest'ultimo un altro aspetto trascurato) occorre che il pubblico sia il più ampio possibile, ma è necessario anche che il mesmerizzatore faccia dei gesti, ma poi - questo è l'elemento rivelatore - pure la natura fisica dei simboli (concavità/convessità) è fondamentale. Va da sé che, in assenza delle pagine, Martin trova la combinazione giusta tirando a indovinare, e fuori scena. Castelli, poco interessato a tutto ciò, propone due "Fantasmagorie" strettamente connesse: la prima puntata è dedicata a Mesmer, e ci delude scoprire che l'episodio del Dr.Flambeau è inventato; la seconda è dedicata al mesmerismo, ma solo nella prima pagina, poi ci parla dell'Abate Faria e, soprattutto, di Dracula: le origini storiche e letterarie, i trascorsi di Castelli col personaggio. Da decifrare anche i risguardi del #402, con dei mostri il cui significato ci sfugge. Quel che non sfugge affatto, per fortuna, è l'assenza dei Bonelli Kids. Continuità: il Poe che compare nel prologo non sembra affatto un agente di Altrove, mentre Martin paragona una mesmerizzata, in bilico tra vita e morte da un secolo e mezzo, a un androide muviano (il Signor Max del #355, che "resuscitava" in quanto robot). E l'Orizzonte degli Eventi? Il che? (A proposito, vorremmo andarci non poco).
MM #403/404/405: Di padre in figlio/L'uomo che voleva troppo/Prigionieri dell'Alterjinga (Dante/Giordano-Cuffari)
Prima storia in tre puntate dopo quasi diciotto anni, è l'opera prima del tizio dei trailer, in seguito divenuto factotum redazionale a cottimo, e ora, si mormora, nuovo erede designato di Castelli. La nuova storia miliare che vorrebbe cambiare la serie, ma intanto esce tra due riempitivi di Lotti, e pure in ritardo. Immaginatevi De Vita che, con il suo accento milanese vecchio stile, dà della "furbacchiona" a Elisa Penna (che si accreditava ideazioni non sue). Ecco: è una storia "furbacchiona" che prende, senza dirlo, diverse idee da Get a Life! e cerca un modo di trasporle con uno stile meno di nicchia e più "spendibbile" (cit.) alla massa. Non è ciò che auspicavamo da tantissimo tempo? Beh..ecco..sì. Ma non proprio così, ecco. Cominciamo dal nipote. Non abbiamo forse fantasticato per decenni sul come dare un erede a Martin? Sì, ma non pensavamo che la rivelazione di un tradimento di Mark avrebbe portato Martin a dire solamente "allora sono davvero il Buon Vecchio Zio". Non vogliamo dire che doveva strapparsi il ciuffo - e d'altronde la garantista Diana gli ricorda che "nessuno può giudicare, nemmeno tu", e lui ormai è succube della moglie - però nel #325 Martin sembrava emotivamente legato al babbo. Non possiamo nemmeno ricordare che quell'albo risale a dieci anni fa, quando la lucidità era maggiore e gli esagoni giravano di meno, giacché - ecco la vera, grande innovazione di questi albi - nella strampalata cronologia proposta da Dante gli eventi dei #35/36 non sono accaduti nel 1985 ma molto dopo, e pertanto oggi Martin è più giovane di ieri. Ora. Il povero collezionista castelliano (non meno di 70€ all'anno in volumi su/di/con/per Castelli) sa bene come i volumi lussuosissimi e costosissimi de Gli Aristocratici propongano la versione aggiornata agli anni 1990, e dalla cronologia completamente rivista, degli episodi di quella serie. Pertanto questa scelta di aggiornare l'universo mysteriano, sganciandolo dalla datazione storica verso una impostazione più generica, appare persino coerente con i trascorsi del creatore della collana. Ma, nel caso di MM, la scelta appare davvero invalexdante, dato l'abbondare di date, guerre, Yalta, Vietnam, Sovietici, Reagan e Clinton e compagni, anche nei capolavori del Maestro Morales. Per fortuna Sangiuliano non legge, e la ramanzina dovremmo evitarla. Non solo: verso la conclusione della vicenda, un colpo di scena vuole dare l'impressione che i guardiani pseudoKundingas del Dataesaginga possano essere umani evoluti ("siamo voi", dicono). In ciò somigliano sinistramente (anche somaticamente) ai tizi introdotti dal solito Vigna nelle sue recenti retcon di NN, che, guarda caso, hanno a che fare con riscritture di universi. Vabbè. Però l'anno prossimo c'è MM&NN 3... Ma torniamo a noi. L'erede no, la vecchiaia no, ma capperi, almeno l'Alterjinga, il Databank, gli Esagoni erano cose che volevamo un albo sì e l'altro pure! Beh, sì, almeno finché non abbiamo letto Le dieci tribù... Inoltre, Get a Life! ha provveduto ad edurci e a saziarci abbondantemente su questi temi, con competenza ed originalità. Questo remix - nel quale ravvisiamo anche strizzate d'occhi a nostre personali creazioni forumistiche - arriva tardi, ed eccede nell'accumulo e nella concentrazione di riscritture. Noi dobbiamo ancora digerire la fusione di Kundingas e De Danann; quanto può appassionarci veder spuntare dal nulla un altro Cumbo/Jaspar/MM hipster, per tacere dello UiN e dell'Altroviana geni autistici, mentre personaggi che abbiamo sempre conosciuto come maturi ora sono ritratti industrialmente come giovani gagliardi e si occupano, come se fosse la prima volta o quasi, di tematiche un tempo differenti ma che ora sono frullate in un unicum superficiale? Se non altro, appare ancora più evidente come il Capo del Direttivo possa essere solo uno tra Mark e Tower. Da segnalare i risguardi della terza puntata, con la metà colorata in stile aborigeno ma totalmente sconnessa dall'altra metà, e la 'Fantasmagoria' della seconda puntata, dedicata alle scimmie che scrivono a caso (la terza è il bigino dell'Almanacco 1996). La seconda copertina è un omaggio texiano simpatico, ma per nulla inerente ai temi della storia. Zio Boris del #404 è tematicamente connesso alla rubrica dello stesso albo, mentre il #405 è metafumetto puro, ormai l'unico divertimento di Castelli.
MM/ASI: L'enigma del satellite (Recagno/Orlandi/col. Rudoni+Sguanci)
Volume promozional-didattico per il circuito librario, la nuova frontiera bonelliana. Copertina di Filippucci e redazionali assortiti racchiudono un inedito fumetto di 68 tavole che riporta Martin nel ruolo di testimonial educativo che lo ha reso celebre tra i dotti. Dopo decenni in cui il personaggio ha inseguito i gongoli ed i brontoli, questo gravoso compito gli è ancora congegnale? A quanto pare, sì. La ghiotta occasione per ripulirsi un po' l'immagine è da non farsi scappare, pertanto l'episodio è affidato a Recagno. La foliazione scarna impone all'autore una imitazione dello stile "accelerato" del Dottor Who di qualche anno fa, quello che correva sempre: lo sceneggiatore, ancora una volta, si immola per la causa. Va detto che, per l'occasione, i rimandi whoviani appaiono meno fuori luogo del solito, anche perché gran parte della storia si svolge a Londra. Pure, la trama è quella delle grandi occasioni: scopriamo nientepoppedimeno che un altro dei sette Graal, e non un Graal a caso, ma proprio quello del ciclo cavalleresco, di Parsifal, Galahad, il Re Pescatore. Certo, le linee guida editoriali, che pretendono quanta più genericità possibile, portano i testi a descrivere questo Graal come quello primigenio - l'Esagono, per capirci -, un po' come ai tempi, ancora acerbi, di San Nicola. Non solo: addirittura, in una rivelazione un po' grottesca ma al contempo affascinante (d'altronde è ispirata ai lavori di Get a Life!), assistiamo alla nascita di un nuovo Graal, nato da un frammento di questo, e che poi va chissà dove fra le stelle (con la forma di calice). Le tempistiche, però, non mentono: se si trattasse del Calderone originario, andrebbe a ramengo tutta la mitologia della suddivisione in sette, con tutto quel che ne consegue. Nonostante ciò, nonostante il ritmo sempre alto e vivace, il fumetto si prende tutti i tempi che vuole, tra flashback, depistaggi, il nozionismo previsto dal contratto (stavolta letteralmente) e quello non previsto, e persino una conclusione epico-romantica (molto whoviana) dagli inattesi risvolti personali. Il tutto porta a pensare che Recagno avesse in mente questa storia da svariato tempo, e che aspettasse solo l'occasione giusta per proporla. E insomma, chi ha vissuto tutto il viaggio - la Cerca? - dal Cavaliere Verde a questo "Cavaliere Rosso", non può non sentirsi appagato. Tutto questo meritava una edizione degna di questo nome e la giusta visibilità: e allora Castelli presenta Recagno come uno stalker maschilista (avevamo notato che non indossa più gli occhiali), e in contemporanea manda in edicola gli albi mensili che riducono Esagoni e Sogni a una retcon superficiale, mentre l'editore gli controprogramma addirittura un albo ideato da Parmitano. Altro che Fazio. Di Orlandi, immutabile dagli anni 1990, non possiamo che ripetere le solite cose: il mondo contemporaneo gli è molto congegnale, quello passato un po' meno, per un lavoro comunque dignitoso. L'archeologo di stanza a Londra è Bob Hoskins in Super Mario, così è sia italiano che inglese. Alla fin della fiera, la cosa dell'archeologia satellitare è solo un pretesto, e la presenza di Matera giusto una casualità.
MM #406: La rivolta degli Abeti di Natale (Lotti&Mainardi/W.Venturi)
E va bene, lo confessiamo: in una vita precedente abbiamo commesso le più atroci efferatezze. Pensate a qualcosa di particolarmente ripugnante: certamente può essere riportato sulla nostra fedina penale. Solamente così si può spiegare la sciagura punitiva che ogni anno si scatena sulle nostre povere anime: l'albo natalizio di MM. Non bastavano le mestizie che ci ricorda pure Zio Boris (come se le avessimo dimenticate), l'estinto filone "leggero" estivo doveva esserci propinato a Dicembre, e pure affidato a M&L (purtroppo non sta per Mailing List). Detto ciò, al terzo tentativo potremmo parlare di "qualità crescente", se non fosse sarcasmo. Il #382 era veramente agghiacciante; il #394 si sforzava, se non altro, di darsi un canovaccio. Questa volta si azzarda un "messaggio" ecologista: in un momento in cui ad avere a cuore certi temi si viene sputati in faccia, è già meglio che niente. Ma com'è questo approccio dagli intenti positivi? Cerebralmente romantico come Nostra Terra dei Mysteri? No, affatto. Allora è puntigliosamente folkloristico, tipo L'Oceano dei veleni? No, perché? No, c'è il meteorite precipitato con le spore aliene in questa specifica foresta del Minnesota, i cui alberi sono divenuti senzienti; anche quando, sradicati e trapiantati altrove, questi si trovano ormai a enorme distanza dagli altri, riescono comunque a comunicare telepaticamente con gli animali e ad aizzarli contro l'umanità malvagia. Ah, è Topolino di Muci. Esatto! L'Ispettore Travetta chiede aiuto a Martinino e Javippo, che indagano. Il primo rimugina, aiuta il barbùn che tutti credono pazzo, da buon amico delle guardie fa scarcerare sia lui che Angiebella (per la gioia di Dianinni). Il secondo, solo apparentemente strano, possiede in realtà facoltà che lo connettono alla Natura. E quindi il malvagio imprenditore boscaiolo del Minnesota viene fermato, grazie alle intercettazioni che gli alberi dettano ai nostri eroi (introdottisi illegalmente nella proprietà del cattivo; oppure no, perché quella sarebbe una riserva protetta, però nessun ranger si è accorto dei reticolati). Non ricorda le storie coi Pikoletos? Non rispondete, eh? Fortunatamente, tutto è bene quel che finisce bene, tranne per l'albero di NY, che muore, e viene rimpiazzato da uno artificiale donato dagli ambientalisti. La Magia del Natale fornisce sufficienti spiegazioni in merito alle spore infestanti, ed è rimarchevole la dolce fermezza con la quale Mystère elogia, dinanzi all'albero arrabbiato, la necessità di non impedire queste festività. Allo zagoriano artista sono adeguatamente regalati due brevi flashback nelle ambientazioni tipiche di quella serie. Ma lui non ricambia, e persiste a non indovinare i protagonisti di quest'altra testata: la sua Angie gommosa e il suo Martin caricaturale sono davvero fastidiosi a vedersi. Di Boris antigovernativo abbiamo detto, mentre 'Fantasmagoria' propone due pagine di "GianBurrasca" e dimentica L'Albero Filosofico nell'elenco degli albi alberosi (ma Morales c'è, tranquilli).
MM #407/408: I Misteri di Villa Winchester/Dalle viscere dell'Ipercubo (Eccher/Forlini+Avogadro)
Fumetto funebre e mortuario, durante il quale è morto Castelli. E' la fine di Martin Mystère. Già nella seconda puntata i redazionali sono rimaneggiati (da Contro, Gualdoni e altri tizi, tutti tranne Recagno), mentre nella prima l'Ancora Vivo Zio Alfy rivela di aver preso il covid proprio quando lo avevamo preso anche noi. I bivi della Storia, come in quella roba di Spennacchiotti: a lui è andata male, a noi peggio. Ma soprattutto è il fumetto stesso a rappresentare la morte di Martin Mystère, e non può essere casuale l'essercelo ritrovato davanti agli occhi subito dopo una di quelle botte di nostalgia con le quali andiamo a riguardarci i vecchi episodi della serie: è un soggetto che di mysteriano non ha proprio nulla, come lo erano i soggetti di Chiaverotti - per dirne uno -, solo che quelli facevano ridere, per l'epoca un paio erano anche originali. Questo è, per l'ennesima volta, "la saga del multiverso" - ancora, di nuovo - "e della necrofilia" aggiungiamo, con questo insistere sul riprendere la solita minestra e mescolarla in senso antiorario anziché orario per farla sembrare diversa. Eccher ci aveva già proposto il suo "seguito" di Slumberland, ma ancora sente il bisogno di tirare in ballo "il mondo dietro le quinte", l'aldilà, i mostri, e per fare che? Per citare Insidious e La Vedova Winchester. Almeno Baraldi su DD cita i filmacci anni 1980. E quindi c'è l'universo "alla Escher" dove dimorano i fantasmi, e Martin ricorda Escher ma non l'Orizzonte degli Eventi, e alla fine dice pure "ma chissenefrega?". Sì, abbiamo visto a più riprese come il Castelli degli ultimi tempi avesse perso molta della sua cura per i dettagli, e infatti l'abbiamo a più riprese criticato. Questo però non può essere il pretesto per produrre storie completamente riempitive: cosa c'è di interessante in questi due albi? Per quanto ci riguarda, solo Cappi, che almeno ci costringe a leggere un po' di prosa. Per il resto, c'è Martin Mystère che parla e si muove, fa cose e vede gente, ci spiega che "quid pro quo" è sbagliato, incontra l'ennesimo vecchio amico di università imborghesito, si fa aiutare dagli onnipotenti Tower e Travis, ma insomma, è Martin Mystère, non Martin Mystère. Non mancano, ovviamente, i flashback storici dove tutti sembrano moderni, e il cattivo che diventa macchietta. Neanche un mese dopo, AMyS ristampa Orrore nello Spazio, nella quale Martin transita davanti a Villa Winchester e le dedica lo spazio che merita: tre vignette. ("AH! Allora "chissenefrega" lo diceva anche ai tempi d'oro!"). D'altronde, lo stesso Castelli ebbe a dire che "i libri sulle case stregate sono i più noiosi, sono tutti uguali". Vabbè, ormai non è più un suo problema. Due artisti al prezzo di uno: si distinguono poco, solo la caricatura di Java sembra una chiara indicazione. Ciao Alfredo, siamo forse gli unici che non ti hanno dedicato uno scritto struggente: non ce la facciamo, tutta la situazione ci fa soffrire troppo. In passato ci salvasti la vita, adesso non puoi più farlo e ci sentiamo condannati.
MM #409/410: Sulle tracce del Re Cigno/L'orrore di Mayerling (Badino/Sforza)
Bigino elettorale, antigovernativo maternalista: il più liberale degli sceneggiatori (e MM ormai è la Serie Delle Libertà), presagito l'esito già scritto e rassegnato all'opposizione, si diverte ad immaginare la più classica delle ucronie ("i nazisti hanno vinto"), spostando però l'azione ai giorni nostri e interpretandola in chiave mysteriana. Da buon insegnante, la tecnica è da manuale: si scartabella forsennatamente wikipedia, saltellando qua e là seguendo gli hyperlink, si fanno incrociare le date, si trova disperatamente uno spunto non ancora sfruttato dai dannati precedessori (non potevano trovarsi un altro mestiere?) e si osserva se l'idea immaginata collima con la Storia. E' la Grande Opera rapportata alla narrativa: quando tutto torna, e la propria tesi è apparentemente soddisfatta, non occorre altro. L'intreccio è secondario. Inoltre i tempi sono cupi, per dire certe cose bisogna dare l'idea di stare parlando d'altro: ed ecco che per arrivare al nocciolo della questione si racconta tutta la genealogia a partire dai bisnonni, tramortendo il povero lettore speciale di nomi luoghi e nozioni, in un profluvio senza sosta, solo intervallato da sparute sequenze di azione abitudinaria, con cazzotti ai naziskin e Java che lancia cose e prende botte. Eppure Mystère, da buon liberale, sembra davvero convinto che questa puntata de "I misteri di Mystère" dedicata ai castelli bavaresi lussuosi possa avvincere il suo pubblico; ah no, forse era liberismo, quello. Almeno Giacobbo ha la macchinina radiocomandata e si riprende sempre col fiatone quando fa le scale, fa il petulante con l'assistente o fa finta di avere avuto chiavi esclusive con cui aprire comuni porte ingiallite. Nel frattempo, i depistaggi si fanno sempre più numerosi: da Sissi il focus si sposta su Ludwig, quindi su Wagner, e solo poi su Rodolfo. Ciò nonostante, a pagina 27 della prima puntata, quando si accenna a come Rodolfo fosse portato per l'arte, il mystero è già risolto. Com'è possibile? Da quando siamo dei professoroni? Beh, da quando abbiamo letto quel fumettino di Prosperi (sic!) su Zona X #19; è lì che imparammo la storia di A.H. pittore mancato e di Klara. Ma MM quella testata la presentava soltanto, mica la leggeva. E quindi deve scoprire tutto daccapo, spostandosi da un castello e da un agguato naziskin all'altro, tanto i viaggi sono spesati, e quando Martin esplora un luogo noto i turisti vanno al mare, lasciandogli campo largo. L'insistenza sulle differenze tra liberalismo e violenza, l'onnipresenza dei neonazi (con immancabile ribaltone a tradimento), il passato dell'immigrata di seconda generazione: tutto sembra supporre che l'autore voglia inscenare un sottile parallelismo tra l'attualità in corso e il "mitico" passato tanto rimpianto, suggerendo come dal bene possa nascere il male. E' solo un'impressione, o...? No, è proprio così, ma già lo sapevamo. E quindi "Hitler aveva ragione"! Una rivelazione di tale portata dev'essere nascosta sotto gli occhi di tutti, in un luogo per disadattati: no, non la chiesa ortodossa, intendevamo l'albo. La chiesa non è un problema: se dobbiamo credere che ad Axum ci sia l'arca dell'alleanza, "ma noi non possiamo vederla", possiamo credere che in questa chiesa russa ci sia il diario del giovane Rudy e che "per cento anni nessuno lo troverà". Le visioni anacronistiche di HPB e Rodolfo sono un dazio da pagare per essere pubblicati su queste pagine (potremmo perfino parlare di recagnismi, anche se Recagno le sue le spiegava); la versione russa di Padre Kastron, invece, poteva esserci risparmiata (oppure Badino intende riesumare la mummia dei tatuaggi? È solo un'impressione o sembriamo esserci già risposti?). Piccola svista quando si dice che Rodolfo chiama Mikhail pastore e non prete perché a quel tempo non lo era ancora diventato, ma poi si dice che lo è diventato l'anno prima. Non è invece una svista sottolineare, nella prima puntata, che Natale sia passato da un pezzo e che però ci siano ancora le processioni "perché la primavera tarda ad arrivare" (ah ah), e poi trovarsi gli abeti decorati nella seconda: fa parte del complotto ordito per "nascondere" le epocali tesi del fumetto. Imperdibile, in tal senso, sfruttare la concomitante dipartita del Mahatma per dedicargli il #410, con tanto di titolo e copertina di facciata. E noi che pensavamo volessero solo oscurare una storia brutta. Eh sì, perché non bastassero i nazisti, le elezioni, la primavera scomparsa, gli autori del fumetto, è pure morto Castelli. E allora il fumetto parla di castelli e ha il titolo "recigno", Masiero si prende un editoriale e Recagno esordisce nell'altro con un inno alla vita che ci ha condotti dall'analista (ma vivici tu per sempre!), mentre Contro debutta nella Fantasmagoria, dimostrando di aver appreso appieno la lezione di chi lo ha preceduto, riuscendo a riempire le pagine nonostante l'inesistente mystero del fumetto. Nel #410 rubriche e romanzo lasciano spazio ad uno speciale commemorativo: 48 pagine che appaiono sia soddisfacenti che poche. Ne avremmo volute altre, ma d'altro canto chi avrebbe potuto esserci? Ormai sono morti tutti. Tranne noi e gli autori di MM.
MM #411: La Terza Grotta Alchemica (Perniola/Mattone)
Copertina brillante in stile anni 1990, titolo a effetto e un soggetto inizialmente ambizioso, che si azzarda ad utilizzare in modo inedito una vecchia continuità. Quando si dice la ruffianeria. Le nuove linee guida della redazione prevedono di saccheggiare Get a Life! stavolta tocca a tutte quelle storie col Mister Jinx postumano e gestore dell'Orizzonte Degli Eventi. Per l'autore lo spunto è valido e intende riproporlo, ovviamente, a sorpresa, al termine di una indagine "laterale" apparentemente autonoma. La fregatura è che questa indagine è anch'essa ruffiana e apparentemente interessante: come il collega nella storia del mese precedente, anche Perniola sommerge noi poveri zoticoni con una messe di nozionismo multimediale, dove eventi e personaggi storici noti per motivi differenti si scoprono interconnessi in una visione storico-romanzesca sincretistica, alla quale, essendo zoticoni, finiamo per "credere". Naturalmente l'incapacità dei diseredi di Castelli di gestire il canovaccio-tipo mysteriano non è mai celata, in particolare quando si tratta di gestire il protagonista e gli eventi al tempo corrente. In questo caso, oltre alla grossolana alternanza tra la fluviale staticità delle chiacchierate e la fulmineità tranciante dell'immancabile azione all'americana, le parti al presente si connotano fin dall'inizio per una serie di bambinate, a partire dalla presenza del fantomatico "browser più usato al mondo, creato da due italiani", che peraltro diventa ben presto un "motore di ricerca" (nell'accezione più ristretta del termine); e sorvoliamo sul cliente cialtrone di turno, dal volto di un noto attore nostrano. Come detto, lo sceneggiatore nasconde la polvere di queste dabbenaggini sotto un tappeto su cui è ricamato un po' di tutto: dagli scrittori italiani ottocenteschi (che si conoscevano tutti) ai soliti temi ricorrenti negli ultimi tempi (le sedute spiritiche, il mesmerismo), ma coinvolgendo personaggi diversi dalle altre volte, passando per illusorie digressioni mitologico-filosofiche (illusorie per il lettore, che si fa i film mentali) e per dei richiami alla continuità storica, nei quali Martin dà l'impressione di non essere del tutto immemore. (Quando rammenta il Bafometto, non lo chiama in quel modo, ma utilizza una curiosa circonlocuzione tecnico-ragionata che ci illude nuovamente di stare per assistere a delle rivelazioni importanti). Più plateale la ruffianeria della location scelta, la città di Torino, con la sua consueta mitologia riassunta all'uopo. Per diverse pagine, nonostante i diversi indizi presagenti la truffa (il cameo burlesco delle anime dell'Orizzonte degli Eventi, tra cui Laura Mystère, le cialtronate che il cialtrone alterna alla cultura, i precedenti albi della serie, la TV a manetta e il bambino che ci saltellava sulla testa durante la lettura), questa finta tensione trova un suo equilibrio interno. Che tuttavia si perde del tutto e sbraca in una desolante conclusione, nella quale - dato che fortunatamente nessuno ce lo ha spoilerato prima - veniamo a sapere che la caccia al tesoro conduce all'Orizzonte degli Eventi, che si apre con un varco (anzi no, poi si vede Martin esanime), conquistata dall'ennesima IA (il browser...) cattivissima. Quindi il cialtrone tradisce e crolla tutto e bla bla. Per bontà cristiana e con franchezza, sorvoliamo sulla reincarnazione di Eusapia Palladino nella scimmia. L'impressione è che le idee previste dall'autore siano state assemblate male. Il concetto del "motore di ricerca onnisciente e capace di influenzare le scelte degli utenti" non viene sviluppato, solo accennato. L'IA che si sostituisce (letteralmente) a Dio, controllando e gestendo l'aldilà, è reso con modalità che definire caricaturali è farle un complimento. Azzardiamo anche una nostra ipotesi. Dato che i concetti di base sono prelevati dal Jinx di GaL!, e che l'IA si presenta con le fattezze di Vittorio Emanuele II, in una versione cartoon dai connotati simili a quelli di Jinx, ci piace (?) pensare che inizialmente il fumetto dovesse coinvolgere quel personaggio. Aldilà (ah ah) di tutto, a spegnere definitivamente ogni interesse per questo fumetto è la Fantasmagoria di Contro, che ignora completamente gli argomenti proposti - per derubricarli a fantasie o semplicemente per non ripetersi? L'istinto ci suggerisce la prima ipotesi - e ne ricapitola altri (scopriamo che pure Giuditta Dembech è finita nell'OdE). D'altro canto, il motore di ricerca, quello vero, non offre risultati sul "codice di Caronte" (e che degli scrittori italiani usassero un codice asiatico ci era già apparsa una forzatura). L'artista è costretto, o si diverte, a sfoggiare addirittura due stili differenti, uno realistico e uno grottesco per i "fantasmini", ma non ci appassiona né nell'uno né nell'altro.
MM #412/413: Il Codice Dell'Oscurità/Anime Digitali (Cajelli/Cipriani)
Un Recagno già a suo agio come imbonitore apre i due albi che ospitano l'ennesimo fumetto dedicato alle IA. D'altronde il decadimento cognitivo è il più grande mystero dei nostri tempi cibernetici, e Martin è sempre stato molto attento all'attualità (a parte quando non è utile agli autori). Lo sceneggiatore, caduto in disgrazia, si paga un paio di affitti intessendo un intreccio attorno ai medesimi temi del #411, il cui autore, pure, ha avuto dei problemi. Come si spiega? Evidentemente, la scaletta prevedeva lo smaltimento di tutta la paccottiglia legata ai mondi virtuali prima del mega evento retcon, ormai prossimo, con Nathan Never (o, almeno, è ciò che ci auguriamo). Quanto alla precaria salute dei fumettisti bonelliani, beh, questo è davvero un enigma inesplicabile. Grazie a dIA, non abbiamo mai assecondato i nostri sogni di gioventù e non ci siamo mai proposti, e abbiamo provveduto a finire in miseria per altre vie. Ora. Che questo doppio episodio si occupi di IA è immediatamente spiattellato dal curatore della testata. Nel fumetto, tuttavia, ciò corrisponde ad uno dei colpi di scena previsti dalla narrazione. La redazione deve aver dunque ritenuto che l'avventura fosse già sufficientemente solida ed avvincente, pur avendone rivelato anzitempo i presupposti. Come si dice, contento uno, contenti tutti. Martin Mystère, com'è noto, non è certo divenuto celebre per le sue ponderose elucubrazioni sofisticate sui grandi temi storici e contemporanei, bensì per le sue burle facete. Lo sceneggiatore ricorda molto bene l'epocale equivoco del "socorro Mystère" (e, più sottilmente, quello del robottino), e pertanto ripropone quel vecchio topos della narrativa caro anche a Castelli, "il fucile che compare all'inizio e che certamente sparerà", e inizia la storia facendo acquistare a Mystère i rottami di un vecchio computer. Naturalmente, più di cento pagine dopo, questo si rivelerà risolutivo per sbrogliare la matassa. Il resto è molto meno tradizionale, se ci riferiamo agli albi storici, e vede la riproposizione dei classici canovacci degli ultimi anni: lo spionaggio, la chiamata a Travis, la chiamata ad amici creati ad hoc (c'è anche il primario, adesso), la personificazione infantile dei concetti (le IA sono donne e i ChatBot ragazzini). L'arte industriale illustra dignitosamente, senza le insopportabili caricature dei colleghi, tutto l'alternarsi tra i vari setting, dato che il montaggio salta ripetutamente da Martin ai comprimari di turno ai cattivi multinazionali di turno (con una curiosa, breve sequenza ambientata a Ginevra, che sembra messa lì per allungare il brodo; ma a Ginevra non dovrebbe abitare quel tizio creduto morto? E quindi? A Ginevra abitano tante persone). E insomma, mentre scriviamo abbiamo già cominciato a scordarci alcuni passaggi, e ricordiamo giusto la lieta conclusione, colla quale tutti vissero felici e contenti. Sì, anche le IA, che si rifugiano nei "sogni", e non vogliamo assolutamente sapere cosa ciò significhi; ricordiamo che Martin aveva rammentato lo Speciale #7, azzardando una connessione tra realtà cibernetica e mondo onirico. (Meno rilevante è il rimando all'Obiettivo: Apocalisse tanto caro a Get a Life!.) Per dovere di cronaca, il tentativo di dare una spiegazione scientifica alla Telepatia Telematica non è che sia proprio riuscito. Senonché, lo confessiamo, tanto su internet si trova tutto, le materie in cui difettavamo di più a scuola erano fisica, elettronica e informatica, pertanto, in questi settori, siamo poco più che dei boccaloni a cui si può far credere di tutto. A Contro invece non la si fa, e nelle sue dissertazioni non menziona mai Mister Jinx. Oltre a Recagno, anche Bonfatti è già pienamente padrone della sua paginetta.
MM Speciale #41: La Storia Mysteriosa Del Mondo. Parte 2 (Dante/AAVV)
Seconda parte del #40. L'ennesimo, l'ultimo, colpo di genio del Mahatma: metà opera vivente, metà postuma. Ancora una copertina riciclata, ma stavolta è veramente bella. Wow. Che tempi abbiamo vissuto. Riparte la Storia Impossibile/Mysteriosa del Mondo. Merlino, da Roncisvalle (#94/96) ci racconta per la prima volta dei Doni degli Dèi; dagli stessi albi, ecco lo spiegone sui megaliti; uno dei Doni è la Pietra di Fal, dunque ecco Thwt Rym, da Nea Heliopolis (#133/134); da qui saltiamo al Terith de La città sotto i ghiacci (Speciale #5); e da lui agli Etruschi de La stirpe immortale (#4); logicamente, a seguire troviamo Joshua con i suoi commensali, nel famoso flashback de Il Segreto di San Nicola (Gigante #1); è allora il turno della Vindobona atomizzata all'inizio de L'eredità dei Teutoni (#160/161); segue l'origine di Meroveo (#281); si ritorna allora (auff) ai #94/96 per la genesi degli Artù e di Orlando; dalla Durlindana si ritorna all'Excalibur, e le pagine provengono nuovamente dal Gigante #1; poi, finalmente, c'è spazio per La Setta degli Assassini (#88/90); La quarta caravella (Speciale #9) ci spiega, invece, gli affari oltreoceano dei Templari; segue una puntualizzazione su Castel Del Monte, sempre dal Gigante #1; è quindi il turno della protagonista de Il segreto di Giovanna d'Arco (#299); dal medioevo al rinascimento, ecco i profughi fuggiti a Tunguska! (#22/24); per i conquistadores, è tirato in ballo Queztalcoatl! (#343), sigh; i secoli successivi non sono rilevanti, e arriviamo alla fondazione di Altrove (Storie da Altrove #1); segue la breve carrellata dei collaboratori tratta da Storie da Altrove #2; in due pagine siamo nel novecento, ed ecco i nazi, con il ritorno de Il presagio (#66/67), cui segue L'ultimo mistero (#127bis); saltiamo la noiosa guerra, ed eccoci a Cospirazione Luna (#295); per la gioia di qualcuno di nostra conoscenza, in una strizzata d'occhi all'attualità, gli Uomini in Nero progettano la Terza Guerra Mondiale tra le pagine de I Signori della Guerra (#67/69); la carrellata, non poi così esaustiva, si conclude ai giorni nostri con le rivelazioni de Congiura nei cieli (#322), con le quali, in un certo senso, è finita la serie. La seconda parte dell'intervista a Castelli è, naturalmente, inficiata dalla dipartita dello stesso, e l'umore di chi la legge si fa simile a quello di Martin che ascolta la voce del padre in Voci dal passato: a questo punto, non è nemmeno più rilevante ciò che Castelli dice, conta solo il fatto che lo dica. Però qualcosa di interessante lo dice lo stesso: ad esempio, che l'idea originaria per Operazione Dorian Gray è quella poi sfruttata nel team-up che ne è derivato. Erano invece già noti gli aneddoti inerenti il nome Jacques e la grafica di Dylan Dog, e, in buona sostanza, tutti gli altri aneddoti riportati a seguire. Si fanno comunque notare i ricordi della malattia del 2008 e quello del telefilm AleX. Tra gli aneddoti moderni, è da segnalare solo quello sui disegnatori, oltre all'idea della guida turistica. La "bibbia", invece, era già nota (noi la trovammo sul web vent'anni fa). Un po' triste il riferimento alla nuova serie animata (triste perché Castelli non la vedrà, ma noi sì). La chiacchierata si chiude con un saluto ad AMyS, giusto per non farci uscire la lacrimuccia. Riconosciamo a Dante (o a chi per lui) la pubblicazione di quattro/cinque vecchie "one pagers", a discreta risoluzione.
MM #414/415: La Camera d'Ambra/Immagini viventi (Eccher/Da Sacco)
Dalle IA moderne alle IA ante-litteram, o qualcosa che vi assomiglia. La camera d'ambra prussiana-poirussa-poinazi (riecco pure questi elementi, già incontrati di recente) aveva il potere di catturare le anime degli specchiati, poi evocabili a piacimento. Sofia Carlotta di Kalsruhe lo faceva per filosofeggiare anche quando non aveva ospiti; un qualunque altro bifolco - ad esempio, un mafioso dei giorni nostri - potrebbe approfittarne per estorcere a piacimento informazioni preziose ai suoi invitati, senza che questi nemmeno se ne accorgano. Giacché dai mafiosi, ai giorni nostri (in passato non accadeva), si intrattengono imprenditori e politici d'ogni risma, ecco che la storia a fumetti è servita su di un piatto d'argento. Basta metterci Martin e, voilà, le pagine si riempiono da sole. La vecchia amica di Martin viene trucidata, Martin indaga, va in Russia, ma c'è la guerra!, eh vabbè ma basta non essere persone non grate e ci si può andare, lo spiegano anche i laureati del forum, qualche andirivieni tra la reggia del mafioso e le auto del controspionaggio, un inseguimento spettacolare con Martin Schumacher, tante minacce poliziottesche (Martin, per qualche pagina, è ricercato), una risoluzione sarcastica (si evocano i nazi per spaventare gli scagnozzi, che si sparano da soli), del dramma à la Morales (il mafioso viene reclutato dal kgb, e Martin non ha frigoriferi da sbattere; e la cara amica defunta? Chi?). Non v'è necessità di spiegare il mystero, essendo inventato. Il grande Alfredo Castelli spiegava forse i funzionamenti dei vari congegni di Jinx? E allora perché i suoi discadenti dovrebbero farlo? In fondo, cos'è questo sistema di specchi e ambra se non un "computer a proteine viventi"? Un altro indizio: le immagini sono senzienti, ma conservano le memorie fino al momento della cattura, come dei robot. Lo sventurato Gianmaria Contro, nelle due Fantasmagorie dedicate, fa i salti mortali per dare una parvenza di interesse agli argomenti trattati, e tutto sommato vi riesce, sopratutto quando si occupa di specchi: lì, in due paginette, offre gli spunti per almeno tre storie (oppure no, ma almeno ci ha intrattenuti). Purtroppo ci svela anche i recenti studi secondo i quali l'ambra danneggia il dna degli elementi organici che ingloba, e quindi Jurassic Park non ha senso, e quindi nemmeno questo fumetto (ma non per questo motivo: non ne avrebbe avuto in alcun caso). La "coincidenza Mystère", impossessatesi del neocuratore, riesce comunque a rendere concreta l'esistenza dei due albi. Innanzitutto, fa in modo che nella vicenda Martin incontri un suo doppio, e noi già sappiamo cosa accadrà fra due numeri (in origine avrebbe dovuto trattarsi proprio del prossimo). In secondo luogo, Topolino Libretto torna a blastare la sua imitazione, in quella che è ormai una tradizione, proponendo in contemporanea pubblicazione un episodio con tematiche molto affini (lo specchio ruba-memorie dell'ultima Tops Storia). Ah, e poi c'è il titolo del #415 che è il contrario di quello del #413 (ed è pure spoiler). Vabbè. Ci arrampichiamo sugli specchi. Non è la Rai. Arte impattante nella sua ruvidità, con fisionomie aspre che mutano costantemente, mantenendo però una certa riconoscibilità. Ma certe vignette erano da rifare. Un pregio è comunque quello di modificare involontariamente i volti dei divi cinematografici di turno, rendendo le ispirazioni meno piatte. Ci fa sorridere la Sofia Carlotta rappresentata come una milfona maggiorata. Dai, anche Martin non distoglieva lo sguardo dal décollete. Belle copertine nel tradizionale stile della testata, davvero l'ultimo aggancio ai tempi che furono (la seconda, però, è riciclata). Bonfatti già pieno padrone di Boris. Nella prima puntata, Recagno imbonitore promotore di cianfrusaglie. Nella seconda, suoi saluti luttuosi all'Esposito Bro inchiostratore e di nuovo a Castelli (con una bella chiosa di quelle che si scrivono da sole). Si conclude il romanzo.
Martin Mystère #401//409,411//415: Martin Mystère: Le Tavole del Destino
è il romanzo in quattordici puntate di Andrea Carlo Cappi, pubblicato da luglio 2023 al settembre 2024, con una pausa nell'aprile '24 per cause di forza maggiore. Lo spunto iniziale è venuto in mente all'autore durante la stesura de Il Potere del Falco, un episodio del quale era ambientato negli anni 1970: perché non fare subito un intero romanzo collocato in quegli anni? Spossati dagli ultimi quindici anni della testata e dai suoi autori e lettori, anche qualora ritenessimo inopportuna questa scelta, non abbiamo le forze per replicare, e ci adeguiamo immediatamente alle circostanze. Anche perché Cappi fa una cosa che ci piace moltissimo: prende eventi e personaggi storici e di fantasia totalmente sconnessi e li ricuce creando un arazzo sincretistico credibile, e stavolta lo fa pure nel nostro amato medioriente mitologico. Resta comunque, l'enigma sui due primi capitoli del romanzo, ambientati su una nave infestata in Grecia, che non risultano rilevanti a romanzo terminato. Prendiamoli come un "racconto nel racconto". I capitoli successivi tirano in ballo Agatha Christie e le sue esperienze archeologiche (quasi una risposta ad un certo albo di qualche anno fa), e ci portano in Iraq, e lì praticamente restiamo per tutta la narrazione. Nella vicenda troviamo purtroppo anche l'ennesimo nemico malvagissimo e le solite statuette potenziate (ah no qui sono sigilli), ma la storia si fa comunque seguire, anche se Martin si ritrova ad esperire l'ennesimo paradosso temporale, incontrando lo spettro della Christie (una ennesima esperienza che terrà per sé negli anni a venire, alla faccia nostra). Fortunatamente, invece, non è Martin ad assistere al flashforward dei #172/173. Negli ultimi capitoli, tuttavia, tutta la trama prefigurativa che sembra connettere la Christie (cognomen omen!) e Shaitan e Lefarge cade un po' nel vuoto, mentre diventano decisive le riprese - tenutesi tre anni prima degli eventi "in presa diretta" - del film L'Esorcista, tant'è che nella conclusione - dal sapore quasi da Special estivo - è risolutiva proprio la replica dell'idolo di Pazuzu fatto realizzare da Friedkin. Una conclusione, peraltro, in cui non è chiaro se Lefarge l'abbia scampata; a giudicare dalla postilla, si direbbe di sì. Si tratta, dunque, di un romanzo davvero in stile feuilleton, in cui mini storie differenti, legate da un vago canovaccio, si danno il cambio fino alla conclusione imposta? O forse siamo noi che ci siamo persi qualche filo durante la sporadica e frastagliata lettura? Trattandosi, questo, dell'ultimo romanzo a puntate pubblicato, a causa delle incessanti e asfissianti lamentele dei lettori speciali (e sono quattro gatti, pensa se fossero ancora "tantissimi"), è l'occasione per riflettere un momento sulla effettiva capacità di assorbimento che un romanzo pubblicato in quattordici - quindici, anzi - mesi può generare. Probabilmente, l'esperimento avrebbe funzionato con storie effettivamente più brevi e complete. Cioè, anziché un romanzone, ancorché diluito nella forma del feuilleton e delle "ministorie connesse" (forma arcaica del fumetto a strisce degli anni 1930-50), forse dei racconti brevi autoconclusivi, magari in alternanza a rubriche differenti, avrebbero potuto agganciare almeno uno o due dei belanti lettori. Lo stesso Cappi, nonostante sia più noto per l'attività di romanziere fluviale, ha all'attivo alcuni racconti brevi, compreso quel paio della raccolta Mysteriosamente. Beh, non lo sapremo mai. Tale riflessione ha lo scopo di assolverci parzialmente dall'aver perso qualche filo durante la lettura. E questo ci conduce ad una seconda riflessione. Come si scrive Martin Mystère, oggi? Si snaturano i personaggi e ci si occupa di sciocchezze, come fa la gran parte dello staff attuale; oppure, come fanno Cappi e talvolta Recagno, si "inventano" i mysteri semplicemente collegando elementi storici e di fantasia? Esiste una terza via? Non lo sappiamo. Certamente la seconda è preferibile alla prima. Ma prendiamo ad esempio questo romanzo, che, dagli elementi in esso contenuti, aveva i presupposti per apparirci come un capolavoro dell'avventura e della fantastoria, e che invece ci ha divertiti solo in parte. Come mai si finisce sempre sull'oggetto "magico" usato alla carlona come nei telefilm americani? Non c'erano altre soluzioni? Adesso non ci sovvengono, e quindi sono chiacchiere senza valore, le nostre, e allora perché le scriviamo? Per nessun motivo, sono annotazioni a nostro uso e consumo. Vabbè. Volevamo dire una ultima cosa, ma ci siamo dimenticati anche questa. Che tristezza. (Forse è questo ciò che esperiscono i lettori speciali. Abbiamo risolto un clystero?). Ah, già, ecco. Al termine di alcuni capitoli Cappi inserisce noterelle divulgative. I minimisteri di Minimystère. Apprezzabile. Ciao Cappi, speriamo di ritrovarti presto, da qualche parte. Però cambia un po' canovaccio, dai. p.s.: le illustrazioni d'accompagnamento. Bella idea. Ma un disegnatore più dotato, non c'era?
MM #416: Percezioni di realtà (Matteuzzi/Vitolo)
Quando, nel 2014, Castelli pensò di riciclare Zona X innestandolo nella collana Maxi MM, e per riciclare intendiamo proprio riproporre le storie vecchie, restammo perplessi. A chi mai, in quegli anni di perdizione regressiva, avrebbe potuto interessare quel materiale così invecchiato e, in fondo, abbastanza sopravvalutato da nostalgia e ricordi autoindotti? Perché, diciamocelo, le sole storie valide di Zona X erano quelle di Castelli; delle altre, si salvavano quelle revisionate dal Mahatma (cfr. Pier Carpi, i sardi, Chiaverotti), più un'altra manciatina, ma solo per gli strampalati soggetti. Altri episodi erano davvero piatti. Persino le due storie firmate Beretta disattendevano le premesse della testata. Riflettemmo, dunque, e ci chiedemmo se quella tipologia di fantascienza, non identificabile in altro macrogenere se non con l'espressione "alla Rod Serling", fosse ancora praticabile. Ci sforzammo, e cercammo di elaborare qualcosa che potesse essere ricondotto alla tipologia narrativa di cui sopra: niente, non cavammo un ragno dal buco. Il solo parto prodotto dai nostri cinerei neuroni restò quel sarcastico "I due soli" che ficcammo in una qualche "altreprima". Giungemmo alla conclusione che quella tipologia di storie aveva avuto un minimo successo (tra i futuri amys) solo ed esclusivamente per merito della qualità del lavoro di Castelli e delle sue pensate, o, in alternativa, per la stravaganza dei soggetti (stravaganza, se non altro, all'interno della produzione Bonelli). Ma a cosa dobbiamo questo profluvio di manfrine? Ebbene, è che scopriamo oggi che Matteuzzi, a una certa, ha avvertito la medesima necessità fisiologica di sfidare sé stesso nel tentare di imitare forzatamente ciò che a Castelli risultava naturale. Solo che, a differenza nostra, lui l'albo è riuscito a proporlo, e a farselo pubblicare. Ci siamo perciò approcciati alla lettura con un pizzico di interesse conoscitivo (già una piccola vittoria, visti gli ultimi tempi)... senonché, al termine della lettura, abbiamo avuto l'impressione che l'autore abbia un po' barato. Non vorremmo dire che "così eravamo capaci pure noi", perché vogliamo tenerci stretta l'umiltà del dilettante, ma insomma. L'albo si apre in medias res con un racconto nel racconto. L'approccio, lo ha rivelato lo stesso Matteuzzi, è il medesimo del famoso "incipit dell'aragosta" di Zona X #1, ma a parti invertite: qui l'obiettivo non è capire chi sia il narratore, ma chi sia il destinatario. Possiamo definirlo riuscito, seppure, col senno di poi, non molto originale (al contrario, dell'aragosta non abbiamo ancora individuato le fonti ispiratrici). Essendo comunque teso platealmente a stupire con la rivelazione finale, il racconto in sé non appare particolarmente solido: ad un certo punto, si perde il filo delle varie tecnobubbole elencate dal narratore, e l'effetto complessivo è un po' artefatto. Abbiamo letto di peggio, comunque. Inizia allora la narrazione vera e propria, con un Martin serio e compito che ci presenta tre storie. Matteuzzi compie anche qui uno sforzo, cercando di rifarsi alla sintassi castelliana, con dide monologiche, inserti e brevi divagazioni ragionate; ma il lessico, letto con attenzione, non si rivela essere molto ricco, e sfrutta abilmente diverse ripetizioni e circonlocuzioni per ribadire gli stessi due-tre generici concetti. Il primo racconto proposto vede Martin raggiungere l'abitazione di un suo eccentrico collega, isolatosi in una foresta. Costui ritiene di avere compreso e descritto matematicamente la "Teoria del Tutto". Castelli aveva affrontato l'argomento nel mitico #317, nella sua ultima storia degna dei tempi d'oro. Trattandosi di un argomento indescrivibile e inenarrabile per definizione, Castelli lo aveva affrontato con un approccio avventuroso e a tratti ironico, mantenendo però un respiro mysteriano credibile. Aveva poi deputato ad altri lo svelamento concreto dell'intreccio, in un seguito (#331) che, privo del talento del Maestro, si era rifugiato nel solito multiverso. Purtroppo, Matteuzzi qui non fa molto di più: capiamo rapidamente, attraverso opportune inquadrature, che lo scienziato è capace di vedere "oltre" la realtà a tre dimensioni, e in qualche modo intuiamo che ciò è dovuto alla sua imminente dipartita, trovando una sorta di conferma nella conclusione; o, almeno, questa è la spiegazione che ci siamo dati noi, giacché a Martin preme solo dargli del matto e spronarlo ad uscire dall'isolamento. Sembra di leggere una via di mezzo tra Sclavi (vedi Il mondo di fuori, su Dylan Dog. I Racconti di Domani vol.1) e il Recagno più sentimentale degli ultimi tempi. Ma sono tutte suggestioni nostre, il racconto effettivo è molto più asettico, e privo di un finale vero e proprio: e quindi? Era tutto vero o no? È evidente l'astuzia di evitare di dare risposte celandosi dietro la pretesa di fare fantascienza. Non proprio l'approccio più corretto, né il più fedele alla vecchia Zona X, i cui episodi davano sempre una qualche chiave di lettura, spesso sempliciona. Il secondo racconto vede Martin costretto a proteggere una bambina dotata di escrescenze frontali che, a detta di lei, la metterebbero in contatto con creature invisibili all'occhio umano, o comunque non appartenenti alla sfera percettiva a noi accessibile. Quest'ultimo è un altro concetto molto generico che viene utilizzato nel modo più a portata di mano, e il disegno ci mostra queste creature, senza alcuna originalità, come alienoidi di un mondo fatato. Anche in questo racconto l'azione è prediletta a scapito dell'approfondimento, e sembra quasi di assistere alla versione condensata de La bambina scomparsa (Maxi #2), uno dei racconti meno mysteriani di sempre. Qui la conclusione è ancora più prosaica rispetto al racconto precedente: la tizia vede davvero gli alienoidi, ma perde le protuberanze e perderà il suo dono, ma le viene promesso che prima o poi le rivedrà (come?). E quindi? L'autore, qui, deve aver guardato alla seconda incarnazione di Zona X, quella del fantasy alla buona. Nel terzo racconto torniamo ad atmosfere più castelliane... forse troppo, dato che il twist è lo stesso di un vecchio classico (per non fare spoiler, diciamo solo i numeri: #123/124), con un aggancio tematico alla breve Codici, reti, archivi e mysteri. In questo caso, la copertina non è affatto d'aiuto, nello spiattellare allegramente l'identità delle sarte di Martin (ma in Ultima fermata: l'incubo! diceva di comprarsele, le giacche). Ma probabilmente è con l'epilogo della storia-cornice che Matteuzzi sperava di fare il colpo, come si intuisce dalla costruzione riuscita della rivelazione: ci siamo accorti solo col senno di poi, che quel Martin narratore non era mai stato inquadrato dal lato destro. Purtroppo per lo sceneggiatore, i colleghi e gli spoiler gli hanno taroccato il gioco. A ogni buon conto, se la presenza del MM robotico del futuro è diventata immediatamente il segreto di Pulcinella, è pur vero che il cameo non risulta fastidioso, ed è coerente il rimando a NN #231 (per la cronaca, è solo la seconda citazione esplicita di un albo neveriano in uno mysteriano; il precedente era su Generazioni; allo stesso modo, le due vignette con Nathan Legs e Sigmund Baginov fanno di questo solo il terzo albo di MM con i personaggi di quella serie, dopo i camei di Nathan in Ritorno all'Eden e di nuovo in Generazioni); ci spingiamo oltre, e diciamo che, più o meno in contemporanea alle elucubrazioni di cui alle prime righe, a suo tempo ci sprememmo le meningi al fine di riutilizzare in modo proficuo la sequenza nella Washington Mews del futuro di quell'albo neveriano, anche in quel caso senza ottenere nulla. Che dire: evidentemente la fantascienza non è alla nostra portata, e il Premio Urania Short ci limiteremo a leggerlo. Tornando al roboMartin, scopriamo che la "coincidenza Mystère" degli Speciali altri non era che Recagno: la manomissione ai testi dell'ultima pagina da parte del curatore riesce in poche battute a rendere grazia al personaggio e merito alla lettura, oltre che a portare avanti l'operato del predecessore del bravo Carlo. Com'è noto, infatti, gran parte della serie di MM, costruita con sagacia dal BVZA negli anni, si basa su agganci posticci tra storie create per motivi differenti. L'artista è un ennesimo esordiente: forse ne abbiamo trovato uno valido. Speriamo bene. Errore nella Fantasmagoria: Quelo di Guzzanti è degli anni 1990, non 2000. Basta romanzi! Ora le pagine che tanto annoiavano i lettori sono appannaggio di due sezioni differenti. La prima è Il Mondo di Castelli. E apriamo di nuovo una digressione, che ci riporta all'inizio del commento: dopo una iniziale perplessità, i Maxi Zona X ci divennero quasi simpatici, pur nella loro totale inutilità; finimmo per apprezzare l'immarcescibile capacità di Castelli di sapersi riciclare in tutte le salse, ma senza mai riproporsi in modo identico e pedissequo; arrivammo dunque a immaginare che, qualora ci fossero finalmente state date in mano le redini della testata, avremmo immediatamente affidato la collana Maxi al Mahatma, trasformandola in un "Alfredo Castelli Show" senza limiti o tabù. Che c'azzecca questo con le due paginette proposte dalla redazione? Niente, se non che il presupposto di questa nuova rubrica è mostrare materiale sparso dai nutriti ed eterogenei archivi castelliani. Si comincia con una (nota) one pager celebrativa dedicatagli nel 1999 da quattro artisti. La sezione successiva è dedicata al Docteur Mystère. Come spiega Del Savio nell'introduzione, e come è più volte ripetuto un po' ovunque tra posta e social network, è di imminente pubblicazione il più volte annunciato volume con la riedizione delle avventure del Docteur, rimontate in formato a striscia e ampiamente rivedute e corrette. Forse presagendo che gli acquirenti non saranno molti, oltre che per risparmiare qualche costo, si è deciso che dal prossimo mese queste pagine ospiteranno quelle stesse storie, benché serializzate. Nel frattempo, in questa prima presentazione vengono riproposti un redazionale di Castelli che accompagnava le edizioni librarie dello spin-off e, a seguire, quattro tavole tratte dal #175, con una ultima vignetta modificata all'uopo a scopo pubblicitario (nella quale Martin disegnato da Alessandrini del '96 dice "spoilerare" ed è come un cazzotto in un occhio). Alla fine, quando Zio Boris critica il governo, capiamo finalmente cosa si intende per percepire la realtá.
MM #417: Martin Mystère & Nathan Never: Crossover (Barone/Cuffari+Giordano)
Ed eccoci al famoso cross-over (a noi garba scriverlo così) con Nathan Never, con tanto di logo e presenza in copertina (una prima volta per la serie di MM, mentre è noto che Martin presenziò, senza logo, su due copertine neveriane). Ricordiamo? Ci era tanto piaciuto Dylan Dog & Martin Mystère #3, "avevamo avuto la stessa idea molti anni prima"; e questo nonostante fosse un fumetto evidentemente pretestuoso, con alcuni passaggi un poco meccanici... e, soprattutto, implicasse e desse la stura a qualunque americanata immaginabile con i personaggi SBE, che da quel momento sarebbe diventata possibile. Con l'ignoranza che ci contraddistingue, parlammo di "#0 di Justice Society della Bonelli". Beh, ecco il #1. Non è proprio una "giastis sosaieti", ma insomma, che pignoli, ricordatevi di Flash #123. E così, ecco Martin Mystère che incontra di persona Nathan Never e Martin Mystère robotico... ma questo era già accaduto nel volume ASI di Vigna; e allora tutti e tre incontrano Nathan Never Zero, l'"archetipo multiversale non ricorsivo" (cit.) dei Nathan Nevers. Non è casuale: si percepisce immediatamente come Nathan sia ben più rilevante di Martin e come questa sia più una storia di Nathan Never che di Martin Mystère. D'altronde, come spiegato nel prologo semiufficiale di NN #401, l'obiettivo reale della saga è rimettere a posto alcune deviazioni compiute da Bepi Vigna nella serie neveriana; solo che, per poterlo fare senza limitarsi a delle semplici ret-con, è necessario risistemare tutti gli universi bonelliani; e quello alla portata di mano più immediata, e a sua volta già in via di autodisfacimento, è proprio il mysteriano. Dopotutto, per un seguace di Vietti come è Barone, l'occasione per poter finalmente tirare le cuo..le fila di tutti gli inside jokes, i rimandi, gli incroci, le citazioni, i cimicianga che quello sceneggiatore ha infilato nelle due testate, è davvero ghiotta. Non a caso, l'albo in questione avrebbe dovuto intitolarsi "I Venerabili"... e invece gli abbiamo ciulato il titolo noi di Get a Life!, tiè. Però lui ci aveva già fregati sfottendo il concetto di "Capo degli UiN" nel prologo in cui Jerry ipotizza soluzioni ardite per una nuova serie narrativa scritta da Martin (o forse sfotte Smith?). Nemmeno questo prologo è casuale. Innanzitutto, l'idea di Jerry che suggerisce a Martin di darsi alla narrativa, e questo capriccio viene involontariamente risolto al termine dell'indagine mysteriosa di turno, la avemmo molti anni fa nel nostro primo soggetto scartato. E quindi, come scherzano i personaggi, "tutto è già accaduto". Ed è evidente come tale prologo metanarrativo suggerisca "castellianamente" la risoluzione dell'intera vicenda (al momento sono ipotesi, ma le sinossi degli episodi successivi paiono confermarle). Inoltre, il fatto che la vicenda portante, o meglio, il suo avvio, sia raccontato a posteriori da Mystère sembra implicare delle difficoltà, da parte della redazione mysteriana, di accettare in toto il crossover. Già, perché, preso singolarmente, questo albo di MM non funziona benissimo. La copertina, vista dal vivo, è meno attraente di quel che pareva. I disegni sono eccessivamente asettici, ed effettivamente se la cavano molto meglio con gli ambienti e il cast neveriani che con quelli mysteriani. I testi sono davvero molto schematici, forzati, e i personaggi si dicono frettolosamente cose che "devono dirsi" per forza, altrimenti non c'è abbastanza spazio per inserire tutte le informazioni necessarie al lettore. Gli eventi sono troppo rapidi e sbrigati quasi sempre tramite battutine in stile americano. Le caratterizzazioni dei personaggi, di fatto, non sono pervenute, con una parziale eccezione: il Martin Mystère robotico, sul cui "mal di vivere" si insiste ripetutamente, al punto che inizialmente lo troviamo in procinto di suicidarsi. Così, di punto in bianco, dal #416 al #417. Tale insistenza fa sospettare che il personaggio potrà cambiare il proprio status, al termine dell'avventura. Oppure no, date le implicazioni di base del nuovo multiverso. Vedremo. Altre sequenze, come dicevamo, sono davvero sbrigative. All'improvviso ricompare Caterina Saratov (#248/249, una delle nostre prime letture, che su Agenzia Alfa proseguì con seguiti via via sempre più fantasy) e ben 4/5 pagine vengono impiegate solamente per rifare la stessa scena del #248 nella quale si erano conosciuti; il motivo è semplice: Martin fa la doccia e poi veste solo in accappatoio. Per la questione dei Venerabili e il "nozionismo" previsto dalla quota mysteriana bastano poche battute e zac, eccoci in Iraq. Qui l'autore ripropone succintamente il canovaccio-tipo dell'albo mysteriano attuale, con i membri della spedizione traditori e idiotamente sconfittisi da soli. Il ritorno dei Venerabili, però, dura lo spazio di due tavole e la "spiegazione" del loro "mystero" ancora meno: scopriamo che quei tre superstiti (ce ne sono altri?) sono dei poveracci autoesiliati tra le pieghe del tempospazio, in vista di non si sa bene cosa, visto che tutta la loro genealogia, da quel che sapevamo, era frutto di un paradosso temporale. Non importa. La loro unica rilevanza è attribuita al fatto che il misterioso Manipolatore (il cattivo di Dipartimento 51 che sarà anche quello del crossover) ha utilizzato le loro tecnologie (non occorre sapere quali). In parallelo al canovaccio "normale" si svolgono gli eventi inusuali nel 26° secolo, nei quali l'Altrove di Generazioni lamenta il ripresentarsi delle Anomalie di Classe A, ma stavolta multiple, mentre quello che nelle preview sembrava il Nathan Never "oltremondano" di Nathan Never: Generazioni (proprio così, che fatica) è invece un banale Nathan alternativo con gli zombie. Parliamo in tutto di nemmeno dieci tavole. Alla fine, quando Nathan Never Zero (lo stesso di NN: Generazioni, si presume, ma la somiglianza non è immediata) ha reclutato Martin e roboMartin, e il gruppo va a reclutare il Nathan Never della serie omonima, la schematicità raggiunge il suo apice. Nathan, Direttore dell'Agenzia Alfa, trasecola per una sola vignetta, poi come se niente fosse li accoglie senza rivestirsi (è in mutande) e accetta tutto di buon grado. In fondo, tutti i personaggi ricordano tutti i loro precedenti incontri, anche quelli ASI (quindi sono in continuità). E il protagonista effettivo di questo albo? No, il Martin Mystère originale non ricorda niente, oppure viene indotto a ricordare, e comunque il suo ruolo nel quartetto è quello dello sparabattute spiritose ("già, siamo in due", "ho dimenticato anche questo?", "vi clonate tutti, nel futuro?"). Qui si conclude lo spezzatino: con Jerry che non crede a una parola, rinuncia al rilancio dell'immagine di Martin e se ne va sconsolato, come il lettore che ora dovrà scegliere se proseguire questa storia su una testata concorrente (senza aver ancora capito di quanti albi si comporrà o se sarà una ristampa) o se restare a godersi il prossimo, agghiacciante MM natalizio di Lotti. Ehi, e la continuità? Beh, nei mesi scorsi Barone non vedeva l'ora di rivelarci i trenta e passa albi che ha citato, ma ora, dopo i primi commenti, sembra aver perso ogni esuberanza. Comunque, oltre agli episodi già menzionati, tra le Anomalie elencate dall'Altrove del 26° secolo, si intuiscono i riferimenti al restyling di Dylan Dog (uno dei due), all'universo del #6 di NN: Generazioni e alla famosa ret-con operata da Vigna sulla caduta di Urania nella serie di NN. Grazie al DD & MM #3, troviamo Dylan Dog ed Hellingen menzionati in grassetto. Insomma, un albo fin troppo chiaro e schematico, poco affine a MM, ma dove tutto è apparecchiato minuziosamente per non spaventare eccessivamente i Lettori Speciali e invitarli a comperare tre albi in più del solito. L'unico dubbio, di cui nessuno si è accorto, riguarda il tizio mascherato che compare anche in copertina: dalle anteprime sembrava il Manipolatore, invece è Nathan Never Zero; ma poi in una tavola si parla del Manipolatore e lo si rappresenta con una tuta molto simile. Vedremo. Il resto dell'albo si compone, oltre che di una Fantasmagoria in difficoltà con gli argomenti, di due vecchi disegni celebrativi e della prima puntata di Docteur Mystère e gli scorridori del selvaggio Ovest (Castelli/Filippucci), pubblicato - a differenza dell'Almanacco 1999 dove esordì - a strisce capovolte di 90°. Ma è una ristampa? SI. E, francamente, tra riempire nove pagine in questo modo triste o tagliarle del tutto, forse sarebbe stata più opportuna la seconda opzione. Zio Boris sfotte i lettori.
Nathan Never #402: Nathan Never & Martin Mystère: Dipartimento 51 (Barone/Giardo,De Biase)
Seconda puntata del cross-over col trattino. Stavolta sono i Mystères gli ospiti (e tali resteranno sino alla fine). Ma, in realtà, l'intero albo, pur intitolato a Nathan Never, di neveriano ha ben poco. Probabilmente, fino a questo punto, è l'albo meno bonelliano che la SBE abbia mai pubblicato. Sì, anche meno dei cosi con la DC. Si apre con un prologo in cui Barone ri-spiega, di nuovo, il funzionamento dei multiversi bonelliani. Questa volta niente olonomia, ma il più classico panel con le linee parallele che si intrecciano nei rispettivi "punti fissi", ovvero i protagonisti delle varie serie (gli "eroi"). Lo spiegone è fornito dai Signori dell'Eternità al Manipolatore, il cattivo del defunto spin-off Dipartimento 51, che lì era soltanto nominato (si pensava fosse banalmente uno tra Mister Alfa e l'Uomo Quantico) e che qui invece fa il suo esordio diretto. Lo scopo del Manipolatore è diventare uno dei Signori, cioè un Eterno immortale, e precisamente il Caso: ecco perché in quel vecchio spin-off, e nei NN che lo precedettero, causava tutte quelle anomalie spazio-temporali; voleva attirare l'attenzione. Finalmente lo sappiamo. Siccome all'Uomo Quantico, nei NN #301/303, fu concessa udienza dai Signori, ora anche il Manipolatore riesce finalmente ad ottenerne una. L'occasione è ghiotta per fare un po' di ordine. Apprendiamo, dunque, che i Signori dell'Eternità si compongono del Tribunale Cosmico (NN #301/303) e della Commissione Centrale al cui vertice v'è Mister Alfa Zero (NN Generazioni #0). Ma in ogni multiverso costoro sono percepiti in forme diverse: e quindi vediamo il Tribunale nella forma vista in Gregory Hunter #4 e le divinità Kiki Manito e Wendigo di Zagor (vari episodi; d'altronde, quando era supergasato, Barone raccontò che questa storia gli fu ispirata da due episodi boselliani di quest'ultima serie). E le altre divinità? Tipo tutte quelle mysteriane, le dylandoghiane, e così via? Boh. Magari più avanti. C'è spazio soltanto per una menzione fugace dei Tathua De Danaan, a quanto pare posti gerarchicamente poco sotto questi Signori. E ovviamente il Manipolatore ha interferito col "registro Akashico"; d'altronde, con quel nome, qualcosa doveva pur manipolare. Ma chi è questo Manipolatore? Non lo sappiamo, sennò era finita la storia. Ha i cornetti come un Tecnodroide, ma è gigantesco e mascherato; una volta era umano, ma ora ha acquisito poteri che non dovrebbe poter avere e ha superato Danaan e Trascendenti nella scala gerarchica; o, almeno, così ci pare d'aver capito. Aspetta, e Tempo Zero di Vigna? Lascia stare Vigna, adesso, sennò facciamo notte. Non ci confondere. Allora, viene detto che Nathan Never Zero, il "Guerriero", è il secondo tentativo dei Signori di riportare i multiversi all'ordine; prima c'era stato un "Esploratore", che si era ribellato. Nel gruppo attuale, invece, gli "Esploratori" sono i Mystères, o forse solo il Mystère originale. Non è che il Manipolatore è Mystère Zero? Ce lo domandiamo perché, nel resto dell'albo, queste prestigiose guest stars fanno poco o nulla. Infatti, concluso il prologo (cioè tutta la pappardella raccontata fin qui, che è la parte migliore dell'albo, non foss'altro per un Giardo molto ispirato, molto bello il suo Alfa Zero) inizia la storia vera e propria, che si compone di due filoni paralleli. Da una parte assistiamo all'attacco finale del Dipartimento 51 al Manipolatore: ce lo avevano promesso nei remoti Universo Alfa #9 e #15 e finalmente si danno una mossa, pur non avendo uno straccio di indizio sul cosa fare, ma almeno assistiamo al sesto episodio della loro mini-saga. L'autore ci ripresenta tutto il cast di quella serie nella serie e lo porta poi ad affrontare l'Orologio della Struttura del Tormento e l'Orda delle Degradazioni. Contemporaneamente, Nathan & Martin & Nathan & Martin si ritrovano a combattere il Re Probabilistico. Come ci ha spiegato lo stesso autore sul forum, ci troviamo in un geone, cioè una piega quantocosica del bubbleverso. Quindi è fantascienza, non fantasy. Orologio e Re sono Trascendenti. Ricordiamo? Li abbiamo menzionati prima. Sono entità molto potenti, seconde soltanto ai Signori dell'Eternità. Quindi sono gli dèi, tipo quelli a noi noti? Non facciamo queste domande, per cortesia. Entrambe le "avventure" sono rappresentate graficamente da De Biase (sic! Non poteva essere altrimenti) con uno stile supereroistico, schizzato e frenetico (i Martin sono bruttini), ma narrativamente svolgimento e risoluzione sono estremamente cerebrali. Entrambi i Trascendenti sono infatti sconfitti con il pensiero laterale, che conduce i ragionamenti a conclusioni paradossali. A questo è deputato il ruolo dei due Martin, che con una paginetta e mezza di associazioni mentali ispirano i due Nathan a fondersi (ri-sic!) tipo SuperSayan e a gabbare lo scommettitore cosmico. Dicevamo: fantascienza, non fantasy. E l'Orologio? Ah niente, quello lo sconfigge Helios, il mutante tipo Abe Sapien di Hellboy del Dipartimento 51; gli gira le lancette al contrario e ciao. Va detto che, se la lettura di tutto ciò non è affatto appassionante, questi due personaggi cosmici inquietanti e strampalati attirano l'occhio, se non altro perché non riusciamo a rintracciarne le fonti d'ispirazione. Eppure, è palese che ve ne siano. Forse Doctor Who? O forse qualche manga eccentrico. In conclusione, ritorna Giardo e i due gruppi si incontrano. Copertina scadentuccia, forse rovinata dai colori.
MM #418: L'ultimatum di Natale (Lotti&Mainardi/Forlini&Avogadro)
Ultimo lascito del covid, per il quarto Natale consecutivo ci viene propinata la sbobba tiramolliana (non "topolinesca", dopo spieghiamo perché). Allora, 'sta commissione parlamentare che l'abbiamo fatta a fare? I grillini sono già screditati, prendiamo provvedimenti seri, adesso, tipo fermare la redazione di MM. BASTA! Lo scriviamo da quattro anni: questa roba riesce persino ad essere più offensiva di Morales. Avevamo detto che il #382 faceva schifo, che il #394 almeno fingeva di avere una trama e che il #406 faceva di nuovo schifo; questo #418 non dovrebbe essere meno osceno del precedente? il principio dell'alternanza democratica non vale più? Onorevoli lettori, abbiate pazienza... no. Ma quale democrazia! Questa roba è illeggibile. Cioè... dai... inizia con la didascalia "18 dicembre 2024", e, terminato il prologo, lo stacco dice "21 dicembre. Oggi". Ma che vuol dire? Oggi rispetto a cosa? Ci sono già le date precise! Pure le dide si sono arrese... Poi. Ignoriamo lo scimmiottamento del glorioso Ultimatum a NY. In questo albo c'è una popolazione aliena simil-Cthulhu che intrattiene regolari interscambi culturali con Altrove, ma proprio tipo Erasmus, fanno le gite, alla fine del fumetto si implica che ANGIE ANDRA' SU DI UN ALTRO PIANETA, il leader del pianeta VIDEOTELEFONA tranquillamente ad Altrove con il TRADUTTORE SIMULTANEO... va bene, passi che Kolosimo e Von Daenicken sono stati abbandonati da una vita, ma qui nemmeno si cita più Doctor Who, lo si copia senza alcun pudore. Sì, Altrove è diventata una barzelletta già negli anni 1990... e infatti abbiamo sempre storto il naso dinanzi agli eccessi. Ma finché si trattava di fulminee citazioni durante singole vignette (le "passeggiate nella base", le chiamavamo) lo straniamento era passabile; ora siamo davvero al fumetto con animali antropomorfi per i più piccini (avrete notato che, di nuovo, abbiamo evitato di tirare in ballo "Topolino"). A questo punto, cose come New Atlantis (l'ufino che muore liquefandosi) o Il segreto delle ombre diafane che senso hanno? Comunque. La Terra è minacciata di distruzione e Brody elabora, con tutta calma, un intricato depistaggio per portare Mystère da Macy's ad Altrove. Martin interloquisce in videochiamata con un extraterrestre tentacolare che si esprime in perfetto inglese. Gli alieni ci vogliono scagliare addosso non una cometa qualunque, ma proprio quella di Halley, giusto per scimmiottare anche Nostra Terra dei Mysteri, e quindi il passaggio del 2061 viene anticipato di qualche decennio, tanto è un fumetto. L'alieno in erasmus ad Altrove aveva un'arma, ma Altrove non se ne è accorta. Naturalmente, poi l'alieno in erasmus è fuggito da Altrove come niente, e poi è morto (da qui la rappresaglia). Con molta originalità, gli alieni non conoscono il concetto di "finzione" e hanno scambiato i film di fantascienza per la realtà (e dunque stiamo scimmiottando anche Fantasmi a Manhattan, che già a sua volta era ispirato a qualcos'altro). Per monitorare la Cometa di Halley, riavvicinatasi alla Terra già nel 2024, Altrove utilizza tranquillamente il telescopio Webb, orizzontandolo a proprio piacimento. Il resto della "trama" è la ricerca della matita/cacciavite sonico di DW, che può spegnere i radiofari nascosti nella cometa e riportarla nella sua orbita. Vista l'ambientazione, l'oggetto è nascosto in un puntale sulla cima di un albero di Natale. Quale? Ce ne sono sette, dislocati in luoghi diversi degli USA. Le smorfiette umoristiche di Tower scandiscono i vari fallimenti nella ricerca. La vicenda si conclude con Martin e Tower (ed Angie) INFILTRATI NELLA CASA BIANCA durante il party presidenziale. Siccome il Presidente è ancora Rimbambidet, NESSUNO RICONOSCE IL PRESENTATORE TELEVISIVO MARTIN MYSTÈRE, e, soprattutto, NESSUNO RICONOSCE IL COMANDANTE DELLA BASE GOVERNATIVA CHRIS TOWER, SCELTO PERSONALMENTE DA REAGAN. Addirittura, LE CREDENZIALI DI TOWER VENGONO RESPINTE. A questo punto, il complotto a danno nostro e delle nostre insulse fan fiction è evidente. Quale altro motivo potrebbe spingere degli sceneggiatori ad ideare tali assurdità e dei redattori ad approvarle? Deridere lo sfigato che ha cercato di "unire i puntini" e dare spessore a comprimari sviliti è l'unico pretesto che potrebbe spingere a proporre trovate come quelle sopra descritte. (E comunque Tower, a un certo punto, dice "non possediamo PURTROPPO armi stellari"). Come sapete, da dodici anni ci divertiamo a rendere meno insensata la celeberrima sequenza di Progetto Cyborg (MM #321), in cui nessuno, al Bilderberg, riconobbe Mystère coi capelli tinti e i baffi finti. Ma, dopo questa nuova perla, che altro possiamo fare, se non arrenderci? Siamo circondati! Alziamo le mani! Guardacaso, l'episodio si conclude con il conduttore televisivo e il direttore della base governativa nella prigione della Casa Bianca (?), intenti ad augurarci Buon Natale con Angie in mutande e Diana giunta a portare lo spumante e i calici. E la cometa? Pof, la matita era nel puntale di Angie ad Altrove, quindi Brody ha salvato il mondo da solo (scimmiottamento di La minaccia verde). Allora, perché ci siamo ostinati a non definire tutto ciò "topolinesco"? Beh, intanto non è che tutte le storie di Topolino siano sciocchezze. Ma il motivo precipuo è che Martin, per farsi bello, cita "una vecchia storia di Topolino" in cui si cercavano "macchine fotografiche", ovvero Outwits the Phantom Blot, un Classico... che, ovviamente, non abbiamo riconosciuto. Abbiamo dovuto chiedere a PaperSera. Capite che, dopo una tale figuraccia, è meglio che non ci azzardiamo a fare i saccenti. Arte che, ad un prima occhiata, pareva migliorata, almeno quella... ma no, è uguale alle altre volte, con Java e Angie pupazzetti e Tower con una faccia da matto. Da notare la tavola con il collage dei film di fantascienza famosi, realizzata a imitazione delle tavole di Dampyr con le visioni dei Maestri della Notte. Nell'editoriale, Recagno ricicla lo stesso titolo per la terza volta in, quanti?, sette mesi di attività. Proseguono le cineserie a fondo albo, mentre la quarta di copertina sfoggia rutilanti pubblicità alle ristampe di Dante e Docteur, ma non all'inedito crossover ancora in corso.
Nathan Never #403: Nathan Never & Martin Mystère: Multiversi (Barone/Giardo)
Una copertina finalmente più efficace apre il terzo capitolo del supermegaiperultracrossover sul quale la SBE punta molto, al punto da offuscarlo col team-up divulgativo e la ristampa del cross-over con gli americani. Come a dire: "questo è ciò che offre il nostro catalogo, oggi. Ehi, dove andate?". Al terzo episodio su quattro, finalmente succede qualcosa. In buona sostanza, una settantina di pagine circa concentra il focus su Dipartimento 51. Assistiamo alla disfatta delle famiglie Lahore e Taylor (le famiglie ottocentesco-steampunk che gestivano i varchi e combattevano il Manipolatore), non senza però aver prima appreso che i due capifamiglia erano omossessuali in incognito, e quindi vediamo un baffuto indiano e un inglese col codino darsi un bel bacio in punto di morte, proprio come fecero l'Uomo Quantico e il suo amante in una sequenza che non abbiamo mai dimenticato (d'altronde, il biondo si chiama David, per cui potrebbe essere il Maas di quell'universo). Fortunatamente, i due hanno anche il tempo di combinare i dati mcguffin in loro possesso e inviarli ai nostri eroi. Acquisisce, dunque, una inaspettata rilevanza il personaggio di Tyron, uno dei tanti tizi che Vietti introduceva per creare un po' di suspence. Costui ha il cuore di un cane shra, e pertanto percepisce cose multiversali. Egli raggiunge l'universo del Dipartimento proprio quando i doppi Nathan & Martin avevano appena appianato gli iniziali screzi con gli ingenui autoctoni. Avevamo visto il Nathan Never Zero rivelarsi un cinico guerriero programmato per difendersi (e in seguito apprendiamo che la sua tuta è fatta di cani shra), mentre i lettori più fedeli avevano potuto finalmente assistere all'abbraccio tra il Nathan del mensile e la ritrovata Nicole Bayeux, mettendo fine a una telenovela in sospeso da ben diciassette anni (da NN #196/197, per la precisione): ben tre vignette capaci di far digerire ai lettori di cui sopra qualunque altra cosa. Da qui la gestione diviene puramente corale, e tutta questa ammucchiata di personaggi disquisisce ad una tavola rotonda in merito "ai fatti che portarono alla redazione dei testi qui in esame" (e fateci citare noi stessi, per una volta): il rapporto affettuoso che legava Nathan e Nicole è subito messo da parte, forse perché Nicole è messa in soggezione e confusa da Zero (disegnato volutamente più alto e imperioso del Nathan solito); i Mystères, invece, si domandano cosa diavolo c'azzecchino loro con tutto questo. Non è una domanda posta a caso. Nel frattempo, Zero, dopo essere stato inizialmente additato come Manipolatore in incognito (accuse metanarrative che rispecchiano le ambiguità mostrate negli episodi precedenti), si impone come leader del gruppo e svela che il suo obiettivo era radunare "un esploratore (o uno studioso), un guerriero, un amico, un uomo fuori dal tempo e una madre", ma poi precisa che potrebbe aver capito male e i gender potrebbero essere invertiti. Pertanto, l'immediata equivalenza a cui tutti eravamo stati indotti a pensare (MM=esploratore, roboMM=fuori dal tempo, NN=guerriero) cade. Nel corso della vicenda, alcuni suggerimenti portano a pensare che l'"amico" sia Nathan, Nicole Bayeux sia quella "fuori dal tempo", mentre la "madre" parrebbe essere... la Shra che ha generato il cane Shra del Dipartimento, che aveva risparmiato i Lahore nel prologo e che, in seguito, appare provvidenzialmente per aiutare la ciurma. E Martin? Sì, forse lui è lo "studioso" (ma poi Zero invece parla di "esploratore" e non è detto che le due etichette coincidano), mentre il ruolo del roboMartin non è ancora chiaro (il "guerriero" si direbbe Zero, dato che, per stimolarci l'empatia, si insiste ripetutamente sulla sua triste condizione di combattente inarrestabile suo malgrado). Comunque, i dati mcguffin di Tyron non sono completi, ma per fortuna Zero sa come integrarli: la traccia residua del Manipolatore va cercata nell'Ust-Urt, i luoghi di MM #248/249 e MM #417 da cui tutto è iniziato (le sabbie dell'Asia centrale, Babilonia, quella roba là; "tutto torna", dice Martin 1; ma incredibilmente, molti lettori non se l'aspettavano). Un momento! Nelle trame originarie di Vietti, ai Lahore e ai Taylor si accompagnava la famiglia Bayeux (da cui Nicole discende), che pareva essere la più rilevante. Beh, evidentemente non lo era. Passiamo alla quota action dell'albo: mentre tutti sparano ai mostri, i due Martin devono decifrare la tavoletta in accadico ritrovata all'uopo, che cela le coordinate multiversali ove trovare il Manipolatore. La sequenza d'azione è caratterizzata da una scena in rallenty (Zero ferma il tempo per permettere ai suoi di fuggire) che occupa ben quattro tavole a tutta pagina, seguita dalla tavola-collage con i volti di tutto il cast. Se non è supereroismo, questo. Come già detto nei commenti dei precedenti episodi, per qualche insondabile ragione Barone ha a cuore i personaggi di Dipartimento 51 e trova sempre due-tre vignette in cui giustificare la loro presenza (Helios è cinico, Ray è guerriero come Zero). Per la gioia dei fans, che davvero non se lo aspettavano, è Ray a perdere il distintivo del Dipartimento a Babilonia: esatto, quello che fu/sarà trovato da May in Agenzia Alfa #21; che sorpresa inaspettata. A questo punto, finalmente ci si tuffa a casa del Manipolatore, tant'è che rivediamo fluttuare le "balene quantiche" che Vietti si divertiva a mostrarci nei suoi albi. E quindi dovremmo essere nel "subspazio". Vabbè, sono solo nomi. Ciò che conta è che in quel "non luogo" fluttuano anche altre creature: i Nephidim di Dampyr (chiamati Veglianti); gli Iniziati/Illuminati, le anime trascese menzionate di sfuggita nell'Almanacco del Mystero 2002; il Burattinaio, colui che provò a fare danni prima del Manipolatore (una new entry dell'autore; ci diverte notare la somiglianza con il cognome di un celebre autore SBE); la Res Bina, detto Due-In-Uno, una specie di Tao personificato, ovvero l'evoluzione futura del Re Probabilistico incontrato nel #402 (il tempo scorre in modo non lineare). Il Martin originale riesce a sostenere la vista di tutto ciò senza impazzire, pertanto Zero ne deduce che è uno degli Eroi, punti fermi del multiverso. Nel non-luogo è presente una quinta creatura, di cui nessuno si accorge, e che sembrerebbe aiutare i nostri: apprendiamo soltanto che indossa le All Star Converse. Visto dove si andrà a parare, abbiamo una mezza idea di chi possa trattarsi. Nella conclusione, il Manipolatore monologa esteriormente, e ci fa sapere che John Ghost e la cometa visti nella famosa run del Dylan Dog di Recchioni erano suoi emissari; non è però chiaro quale sia il ruolo dell'"indagatore" (come lo chiama lui) nelle gerarchie meta-multi-celesti, né perché fosse un nemico da abbattere. In queste poche pagine nelle quali finalmente agisce in prima persona, il Manipolatore non fa una bella figura: oltre a lamentarsi di non essere riuscito a fermare nessuno, più volte ribadisce di voler impedire ai nostri di avvicinarsi a lui... mentre le immagini mostrano questi che gli entrano in casa e lo picchiano. Tale goffaggine è propedeutica alla rivelazione dell'ultima pagina, in cui vediamo finalmente il suo volto, dopo che Zero gli ha fracassato l'elmo? Se ricordiamo le sue ultime apparizioni fumettistiche, forse sì. Come prendere tale colpo di scena? Beh, diciamo che su Get a Life! - il fumetto che tutti leggono di nascosto e derubano mentre lo schifano in pubblico - la sua evoluzione aveva un senso, essendo maturata seguendo le direttrici impostate nelle sue prime apparizioni. Qui, per ora, è una cosa buttata là nel mucchio. Se non altro, è ora più chiaro cosa ci facciano i Martin in mezzo a questa gente. Col senno di poi, considerati gli universi narrativi di partenza, la sua identità era una ipotesi da prendere in considerazione (non sono molti i nemici in comune alle due testate). Comunque, in cuor nostro abbiamo sempre saputo che le innovazioni di Recagno e di GaL! sarebbero state travis-ate. Arte a suo agio, sempre spettacolare. Bello il Martin di Giardo (che progressi dagli esordi).
Nathan Never #404: Nathan Never & Martin Mystère: Il Guerriero e l'Esploratore (Barone/Giardo,Foderà)
Copertina di nuovo rovinata dal colore. Mah. Si conclude finalmente il crossover che ha turbato i nostri incubi in questo inverno '24-'25, maledetto a chi lo ha creato e a chi lo ha approvato (il crossover, non l'inverno). Ulteriore conferma che Castelli ormai da tempo non seguiva più nulla e approvava qualunque idiozia gli si parasse davanti, giusto per riempire degli albi e non farsi chiudere la serie. Deficienti che siamo! Perché non gli abbiamo mai presentato nulla? PERCHÉ? Quanti errori abbiamo commesso in questa nostra vita sbagliata. Siamo noi, l'anomalia fuori dal tempo, non Martin Mystère robotico! Ma ricomponiamoci. Dopo il colpo di scena che chiudeva la puntata precedente, si torna indietro (più di così?, direbbe un detrattore). Scopriamo che, poco dopo i NN #194/196, quelli del varco verso gli anni 1950 alternativi, Darver aveva convocato Mister Jinx (proprio così), il quale aveva già rintracciato l'anomalia per conto proprio (con l'ausilio di Hart Attack, il protagonista dell'unica storia neveriana "normale" scritta da Barone; l'autore lo infila in una vignetta per confermarci che è proprio lui). Jinx, infatti, durante uno dei viaggi nell'aldilà (cfr. Almanacco del Mystero 2002), era stato attraversato da una delle anime "illuminate" ascese/oltremondane e, passata quella manciata di secoli (e le decine di corpi che Jinx ha cambiato) in cui i nuovi poteri erano rimasti opportunamente dormienti (così da non turbare la continuità di MM), era divenuto in grado di percepire le anomalie spazio-temporali (tra cui l'Uomo Quantico). Veniamo a sapere, dunque, che Darver aveva proposto al cattivo un accordo (e qui l'autore non risparmia le strizzate d'occhi rivolte ai lettori neveriani che ben conoscono i trascorsi ambigui del personaggio): l'Agenzia Alfa avrebbe ignorato i traffici di Jinx (di natura puramente venale) e, in cambio, Jinx avrebbe segnalato altre anomalie spazio-temporali a Darver. Detto fatto: con un veloce stacco, scopriamo che la missione di Agenzia Alfa #21 (quella che si ricollegava a MM #248/249) fu dovuta ad una imbeccata di Jinx. Non solo: il professor Shinberg, quel tizio secondario comparso in una storia di Agenzia Alfa #36 (quella che chiudeva la minisaga di May Frayn a Laputa, peraltro neanche scritta da Vietti), e che sembrava tanto una brava persona, era invece una spia di Jinx. Parte integrante dell'affresco mentale creatosi nella testa dello sceneggiatore, questa rivelazione non poteva certo esserci risparmiata. No, perché poi il tizio muore subito, certo, però è in quest'occasione che Jinx si fece possedere dal simbionte Shra (o quello che è), ottenuto da un Darver alternativo e pazzoide sbucato dal wormhole di Babilonia (perché proprio un Darver? E perché no?). Tutto chiaro? Proprio in questi giorni stiamo coercitivamente riguardando Stargate SG1, e, come sapete, secondo noi le coincidenze sono soltanto manipolazioni akaschike. Bene. A questo punto non ci resta che tornare a dove eravamo rimasti, ma prima seguiamo una breve carrellata dei personaggi eterogenei che parlano fra di loro dicendosi banalità: in particolare, Nathan conversa con Nicole e poi con Martin, Zero con Ray ed Emma, e c'è pure roboMartin che confessa ad Helios che si è già pentito di aver tentato il suicidio all'inizio del crossover, e che neanche lui sa perché voleva farlo. Diavolo d'un Barone! Infilare scene ruffiane solo per farci abboccare! Genio! (Poi in realtà capiamo che era sotto l'influsso dell'ex diavolo tecnologico ora mago esper Jinx.) Arriviamo quindi alla battaglia col villain, ben trenta pagine circa di chiacchiere e raggi laser. Se il Mister Jinx "evoluto" di Get a Life! è stato giustamente bocciato dal pubblico per la sua inverosimiglianza (tipo che sfruttava l'attualità per i suoi fini, mah), qui ne viene proposta una versione volante, con i tentacoli e i raggi sparati dalle mani e dagli occhi, decisamente più affine al Jinx che abbiamo sempre amato. Quante differenze tra una fan fiction e un fumetto vero! Nel corso della scazzottatona quantica, accadono diversi fatti degni di menzione (se non altro per poterli ritrovare qui, senza dover rileggere l'albo). L'autore, grande fan dell'operato del suo mentore, Stefano Vietti, valorizza fino all'ultima goccia le ideazioni di chi purtroppo gli ha insegnato il mestiere: ed ecco che la profezia che riguardava Nicole Bayeux e un eventuale incontro con la sua antenata Bernadette, secondo la quale ciò sarebbe bastato ad eliminare il Manipolatore, viene prima azzerata fuori scena (Jinx ha ucciso Bernadette nel passato) e poi riscritta una seconda volta (Bernadette non è mai esistita, era un costrutto quantobubbolo di Zero, inserito per depistare Jinx). Basta? No: Shadow, il cane-Shra di Johnny, viene assorbito da Johnny. L'autore lo aveva promesso: avrebbe solamente "giocato" con i personaggi di Vietti, ma poi li avrebbe rimessi al loro posto esattamente come li aveva trovati, senza modificarne lo status quo (e allora perché usarli?). Basta? No: Martin Mystère robotico, dato che Beretta e Recagno non erano stati sufficienti, accetta finalmente il suo destino di anomalia fuori dal tempo. Allora era lui "l'uomo fuori dal tempo" della profezia nuova! Chi l'avrebbe detto. E Nicole è "la madre"? No, è "la donna fuori dal tempo", no? Ma poi, che importa? Basta sapere che il "Guerriero" è Nathan Never Zero (chi altri, sennò). Altro non occorre. Nel frattempo, Jinx ci aveva fatto sapere che il suo vero obbiettivo era non dover più morire e cambiare corpi (l'attuale è un biodroide), ma solo ora capiamo come l'idea della morte definitiva lo terrorizzi letteralmente (e almeno questo è vagamente coerente con lo yuppismo del personaggio). Così, quando finalmente Zero lo accoltella con la mano-spada, possiamo provare qualcosa. Ad esempio, a voltare pagina. Basta? No: c'era stato anche un cameo dei Venerabili, sbucati a comando, quasi delizioso nella sua totale inutilità (sempre per quella questione del rispetto verso Vietti). A seguire, ben quattro pagine sono dedicate al Martin Mystère originale, che saluta tutti personalmente, uno per uno, e torna finalmente nella sua serie, dimentico di tutto. Ricordiamo il cupo prologo di MM #417 in cui, invece, lasciava intendere di ricordare tutto? Poraccio. Il lettore speciale può comunque bearsi dell'abbraccio tra i due Martin, col vero che chiama "fratello" il finto, mentre il lettore normale si domanda se non sia un triste ammiccamento a Brian. Saluta tutti anche Nathan, e naturalmente Nicole Bayeux non lo segue, altrimenti Vigna chi lo sente. Ed ecco la strombazzata (nelle anteprime) scelta del Mystère robotico: non torna nella serie di NN (un disperato tentativo di legarsi all'universo di Vigna? no, perché poi si è saputo che c'era anche lì, anche se non si vedeva più), ma resta col Dipartimento 51. I lettori speciali e al contempo neveriani, infatti, avevano sempre pensato che quello spin-off di Vietti avesse delle affinità con MM (del resto, a sentire loro, MM avrebbe delle affinità con chiunque capiti a tiro). Questa sequenza, nelle intenzioni dell'autore, sarebbe da considerarsi "mysteriana", e dunque è affidata a Foderà, con un stacco grafico da Giardo che è come un pugno nell'occhio. Naturalmente, nonostante tutto quello che abbiamo letto, Nicole ha subito trovato il modo di assumere un nuovo elemento, dopo opportune selezioni: toh, guarda, è proprio Diana Lombard di questo universo, quando si dice il caso. Seguono *blink* *blink* citazioni di Conquistadores di Zagor, e *blink* *blink* il Dipartimento 51 decide di stabilirsi ad Altrove. Ma davvero il roboMartin è uscito dalle serie e non lo rivedremo più ovvero potremo rivederlo soltanto tirandoci dietro tutti 'sti profughi viettiani? Mah. Se lo dite voi. E ancora: Altrove del 26° secolo non riesce a rintracciare il Nathan Never barbuto che combattè gli zombi a inizio saga (e ci dicono solo ora che potrebbe essere quello di NN Speciale #21, terzo racconto): dov'è finito? Ovvio, in un altro universo ancora, in cui Mystère è Reiser, è il Capo degli UiN, e lo arruola per catturare Dragonero malvagio. Nell'epilogo, nuovamente disegnato da Giardo (meno male), il Guerriero Nathan Zero incontra finalmente l'Esploratore ribelle, che ovviamente è l'archetipo di Martin (che sorpresa), e che ovviamente si atteggia a Dottor Vù (viaggia tra i mondi, è libero, porta il trench), e ovviamente è lui il tizio che indossa le All Star e che di nascosto ha aiutato gli eroi uno o due albi fa (dovevamo arrivarci da soli: MM è laureato, quindi è Dottore, quindi indossa calzature stravaganti). Non solo: a dimostrazione che del terzo DD&MM e degli Zagor di Boselli l'autore non ha capito nulla, ecco l'archetipo del Guerriero che precedette NN Zero, e che ora è il Pacificatore: esatto, è proprio Pahana, lo Spirito con la Scure (Zero). E il limbo in cui tutti fluttuano è una "fabbrica dei sogni". Ora. Confessiamo che, dalle preview, ci eravamo immaginati una metanarrativa più spinta, tipo che tutti finivano proprio a via Buonarroti e incontravano gli autori. In quest'ottica, il tizio con le All Star ce lo immaginavamo come una figura metaeditoriale archetipa, tipo il Lettore o l'Autore (peraltro c'è almeno una riflessione di Zero che va in questa direzione). Sarebbe stato sicuramente banale. Ma anche la soluzione scelta non è che ci abbia proprio fatto sospirare (no, nemmeno la dedica a Bonelli e a Castelli). L'unico sospiro lo abbiamo esalato nell'ultima, posticcia, tavola muta, in cui Nathan Never originale torna a casa sua e si prepara a ricominciare le sue vicende abitudinarie. Insomma, "nell'oscurità di un futuro passato, il mago desidera vedere. Un uomo canta una canzone da questo mondo a un altro". Come finiva?
(2023-2025)
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