martedì 16 aprile 2024

I CLISTERI DI CLYSTÈRE (3)

 Commenti umorali e scorretti, allo scopo non di criticare una serie a fumetti, ma di rappresentare il decadimento psico-fisico di un lettore, condotto all'esaurimento dalle avversità della vita



MM #395/396: Attenti alla Testa!/L'Altro Volto della Verità (Lotti&Mainardi/Sforza) 

Copertine nel più tradizionale stile della collana e risguardi tra i più guardabili realizzati da Velardi (ma ciò non toglie che queste pagine abbiano fatto il loro tempo): il quattrocentennale si avvicina, e occorre farsi trovare ben confezionati. Persino il fumetto, l'ennesima doppia che non è affatto una giacenza, è tra i meno catastrofici del tragico duo. Siamo dalle parti di Obiettivo: Apocalisse, uno dei peggiori albi del periodo d'oro, ma che, rapportato alla produzione di questi autori, equivale ad una promozione con tanto di encomio. Manicomio? Sì, è uguale. L'intera storia si basa su di una grossolana "topolinata", dato che ci vogliono almeno cento pagine per giungere al colpo di scena, ovvero la rivelazione dell'esistenza di due teste senzienti anziché una, evento che però era immediatamente ravvisabile dai dialoghi del prologo, se non altro ai lettori di età postpuberale; e quindi non è un errore, ma una scelta voluta e ponderata. Non mancano le superficialità, tipo il "Re" innominato che volle edificare la Torre di Babele, in un flashback che sembra proprio un fumetto dei Paperi di Michelini o Russo (dove c'è pure un tizio con un abito moderno, boh); non manca, ovviamente, la retcon del Classico amato dai lettori con Diploma Superiore di Secondo Grado (perché la base di Etemenanki fu così facilmente accessibile? Perché PaperMesopotamico fu indotto dalla testa malvagia a causare una esplosione semi-atomica togliendo il sigillo alla porticina); e non possono mancare, naturalmente, le situazioni "per famiglie" nei momenti meno opportuni, soprattutto nella sequenza della Meteora. Ah già, torniamo alle Meteore, in una strizzata d'occhio che non mancherà di commuovere i Lettori Laureandi, ma non nella stessa delle altre volte, in un'altra lì a fianco, e stavolta ci facciamo pure le foto turistiche. Se Mainardi è scuola Disney, Lotti è perito informatico, pertanto riecco il Martin "adottivo digitale", sagace utilizzatore di tecnologie d'ogni tipo a proprio uso e consumo. Gli servono documenti antichi? Si fa mandare le scan sullo smartphone. Deve produrre una opera alchemica al volo? Fornellino da campo, TAAC!, tel chì il Sesquiossido. Abbisogna di far passare il metal detector da polso alla dogana? Lo compra online e se lo fa mandare in Grecia. TAAC!. Ah, se solo fosse sempre così ingegnoso e "laterale". L'autore di La grande illusione si dimostra ancora una volta attento alla realtà, e nella sapida critica alle demenziali quest dei tiktokers, e nel disvelamento della duplice natura delle IA, che possono essere sia buone che malvagie, e scatenare guerre nucleari (il loro potere principale è quello "seduttivo della parola", però possono anche controllare tutto ciò che è elettronico), come nella sequenza moralesiana in cui topolinescamente i militari si fanno sfuggire i missili (un finale grottesco che è anche un omaggio all'albo che diede inizio a questo interminabile filone di proto-robot e proto-IA, Il giocatore di scacchi). Alla fine vince la testa buona, ma questa sceglie di non rivelare a Martin tutti i segreti di Atlantide, avvertendolo quasi testualmente che, se lo facesse, sarebbe finita la serie ("non avreste più nulla su cui indagare"; e che ci sarebbe di male?). E minacciando di ritornare nell'eventualità di una grande saga, a imitazione dell'Orfeo nel "Ciclo del Countdown". Ma perché avevamo parlato di fumetto meno tragico del consueto? Mah, forse per via di Bacone e dei suoi flashbacks, forse per via della costruzione "a puzzle" del mystero inventato, con riferimenti storici e geografici che appaiono verosimili e che denotano quantomeno una lettura documentativa di Wikipedia (ma va sempre ricordato il precedente del bus sovietico). L'arte inizia male, poi si ripiglia un po': c'è un certo lavoro sui protagonisti, gli sfondi appaiono accurati fino a prova contraria (ah no, la chiesa è piemontese, perché "fa più scena"), le scene d'azione sono invece rigide e mediocri; il prestigiatore è Anthony Hopkins di Magic, ma copiato dalla versione dylandoghiana di Dell'Uomo. Da segnalare una striscia dei Bonelli Kids copiata da DoppioTì e Zio Boris a Sanremo con Amadeus (sigh).



MM #397/398: Specchio, Specchio, delle mie brame!/La Regina Cattiva (Barzi/Mattone)

Albi e fumetto bipolari, tanto che una striscia dei Kids verte su questo tema. Una copertina normale e una imposta dall'Editore, per appiccicarvi le piastrine da indossare in Ucraina; due titoli coerenti con la storia, ma uno è una citazione errata; una "Macchina per Leggere" che termina in sospeso, e un'altra che ospita la lettera dell'Editore, ma con un commento sconsolato. Fumetto altrettanto dicotomico: eccentrico come le storie dei coniugi Bagnoli, con personaggi balzani e riempitivi istrionici (l'appello dei tedeschi famosi); pedante come i dopolavori di Morales, con citazioni petulanti ed "emozionanti" copincollate di netto, fino all'apoteosi mistico-piangina del finale; colto, con numerosi riferimenti dotti per secchioni, una gita turistica in stile anni 1990 e un mystero costruito forzatamente, ma con una certa logica a incastro; goffo e puerile, con vari momenti inutili, dialoghi piatti e artefatti e un mystero costruito con una certa logica a incastro, ma forzatamente. Il cliffhanger di mezzo è identico a quello a metà della storia immediatamente precedente: sono due Meduse, non una. Per visualizzare la cultura di Martin, l'autore gli mette in bocca lunghi brani virgolettati presi da libri secondari di Nietzche; poi, per non dare l'impressione che sia un infallibile alieno radiocomandato, gli fa ricordare soltanto otto dei dieci nomi famosi che aveva visto in forma di statua a casa del nazista. Evabbè. Le Gorgoni, da quel che sapevamo, erano creazioni di Oduarpa. Invece no: erano creature autonome e semidivine, come riporta correttamente la mitologia (e noi che credevamo che i fumetti fossero più attendibili). Giustamente, le Gorgoni erano tre: scopriamo che la testa di Medusa era sepolta a Lipsia, mentre Steno era letteralmente la statua di Uta di Ballenstedt ed Euriale la deus ex machinae dietro le quinte, con tanto di figlio/astro. La vicenda di quest'ultimo, con tutte le sue giravolte (non è nazista, è il figlio, no è l'altro figlio) è la strambata in stile Pfeffer: non è la cosa più stupida che abbiamo letto su questa testata, ma non è certamente tra le più necessarie. Dialoghi a parte, sembra comunque un passo avanti rispetto alle precedenti prove dello sceneggiatore. L'arte, di scuola moralesiana, come appare ormai inevitabile, si muove tra tutti questi cambi di registro: un po' pulp, un po' fotorealistica, un po' cartoonesca, un po' accettabile un po' discutibile. Non resta particolarmente impressa. E quindi pure i fratelli Grimm sono sopravvissuti al loro tempo, o qualcosa del genere. Evabbè.



MM #399: Il Segreto della Superba (Barbieri L./Foderà)

Mystero Italiano turistico-promozionale previsto dal Contratto Contenutistico di Narrazione Laterale. Stavolta tocca ai dintorni di Genova: l'autore, un autoctono, è anche uno dei Redattori di maggior rilievo nelle gerarchie della Casa Editrice, e ci tiene a dare una buona immagine di sé e delle proprie origini. Ormai è inevitabile inserire ogni episodio nel contesto di totale sfacelo in cui la serie è precipitata da un tempo che continua impietosamente ad aumentare. Forse non è il modo corretto di analizzare queste storie, ma l'istinto ci conduce a questo. Dopo tutto, è soltanto in questo modo che possiamo considerare la prima metà dell'albo una sorpresa, da intendersi in positivo. La quantità di nozionismo e trivia che l'entusiasta e "superbo" autore propone - per i motivi di cui sopra - spiazza e travolge l'insonnolito già rassegnato alla consueta dose di tablet e mostriciattoli, tant'è che il tizio mette becco pure nella rubrica in prosa. Siamo nel più classico dei Mysteri Italiani, tant'è che si comincia con gli operai che fanno le scoperte nelle fogne. In realtà, si comincia con l'elogio della città di Genova, e quindi si passa agli operai che ne sventrano il sottosuolo, ma soprassediamo. Ecco, dunque, l'inarrestabile filotto di eventi storici di cui eravamo del tutto ignoranti: esistevano due Colombo, e quello famoso non era il genovese, ma l'altro, il nativo di Cogoleto (Ge); ma una leggenda di Arenzano (Ge) dice, invece, che la sorella gemella di Cris era del posto, e quindi anche il fratello gemello. E ancora: a Genova è realmente conservato il Sacro Catino luccicante di verde, quindi perché non anche una Pietra "estirpata da un demone" durante le Crociate da San Giorgio, che uccise il Drago con la sua Spada? Una mitragliata di strizzate d'occhio che ci manda knock-out, complice il crollo delle certezze che ci avevano guidati nelle nostre numerose visite al capoluogo (a Genova c'è la metropolitana, ma noi siamo riusciti a non vederla mai; la diroccata casa di Colombo che visitammo, in una giornata torrida come le odierne, non è quella vera: che cacchio visitammo, dunque? Nuove porte si spalancano sul Mystero). Orgogliosamente sadico, l'autore ci espone tutto questo tramite i più classici "cliscè" (cit. Agarthi) e muovendo i personaggi con gli adeguati atteggiamenti "radical chic" (possiamo chiamarli "eccentrici"?) che gli sono propri: Diana, ad esempio, che si annoia alla conferenza sui Colomboes (e anche Martin sembra discretamente tentato dal sopore), e appena va in spiaggia si espone in mutande (e Java la imita) davanti al prof. attaccabottoni appena conosciuto, che li ha accompagnati fin lì, in giacca e cravatta e scarpe di pelle come Martin. Purtroppo, il curatore di Dragonero, da buon esperto di fantasy, non ha la più pallida idea di come utilizzare tutto questo appetibile materiale, e sceglie la via più semplice. La "spada di San Giorgio" è dunque la solita spada laser di Atlantide (con tanto di stemma ergonomico), e quindi anche gli eventualmente accettabili echi di Lazarus Ledd si spengono in un soffio, e l'energumeno saraceno risvegliatosi dai flashback (in cui agivano gli immancabili UiN dell'epoca) ai giorni nostri è, naturalmente, un ennesimo androide di Mu (da buon "superbo", si vanta di essere l'unico, e Martin, per farselo amico, non s'azzarda a contraddirlo). Tutto qua, alla fine non succede nulla: la famiglia che ha custodito l'arma per secoli prosegue la sua vita come se nulla fosse, il Catino e la genealogia di Colombo non c'entravano nulla, l'androide - che ha ucciso gli operai e distrutto la spada, ma non è cattivo - si disattiva volontariamente con la citazione del famoso film con gli androidi, rimirando le poetiche immagini dei luoghi cari all'autore, in una conclusione che evidenzia una volta di più i danni portati dall'"erede di Castelli" e dai suoi "capolavori emozionanti". L'artista ricorda vagamente i primissimi Esposito: si vedano i Java e Diana quasi esili quando vestiti e semiculturisti quando denudati. Anche le morfologie dei primi piani suggerisce questa ipotesi. Le ambientazioni appaiono curate il giusto, copiate da fotografie. Il dinamismo è più efficace che in altri artisti. Curiosamente, la copertina della "prima edizione di 'Atlas of the Unknown'" ospita una illustrazione moderna (non è la prima edizione italiana: il titolo è in lingua originale). Dopo la breve parentesi, ritorna lo Zio Boris politicizzato, ma stavolta non capiamo bene la frecciatina, non è che sta offendendo la nostra parte politica? Sembra ke la skritto Bidet!!



MM #400: I Colori Impossibili (Recagno/Alessandrini,Grimaldi,Orlandi,Torti/col. Rudoni,Sguanci)

Incredibile, giunse infine il quadricentenario. Per noi un traguardo molto sentito, in quanto abbiamo da tempo adottato il #300 come virtuale albo conclusivo della serie. All'epoca ci entusiasmò, e fummo gli unici a cui sortì un tale effetto: pensare che da allora, da quell'apoteosi del recagnismo - che però sancì, col sennò di poi, la sconfitta dello stesso e del castellismo, crollati impietosamente dinanzi alle lagne rincitrullenti dei lettori speciali - siano trascorsi circa quindici anni, ci etichetta ineluttabilmente come ruderi anacronistici, fossili di un'era remota e perduta per sempre, che solo per motivi ignoti ancora circolano su di un pianeta di cui detestano pressoché tutto. Questo è lo spirito con cui accogliamo l'ennesima autocelebrazione mysteriana, la quinta negli ultimi due anni: senza alcuna aspettativa, senza la forza né la volontà di opporsi ad eventuali delusioni. Fortunatamente, il tono dell'albo è quello della cena conviviale tra individui che un tempo hanno condiviso molto, ma che cogli anni hanno preso strade un po' differenti, e che si ritrovano senza avere realmente qualcosa da dirsi, non tanto per motivi di astio o di eccessive divergenze, quanto perché tutti accomunati dall'essere "troppo vecchi per questo genere di cose" (cit.?), relitti di una gloria passata, di un orizzonte abbandonato più che perduto. Se i risguardi appaiono soltanto banali, la copertina è già esemplare di questo stato di cose: attira l'occhio, presenta un effetto inedito per la Casa Editrice (e dunque porta avanti una tradizione ultradecennale che vuole Castelli aprire, nel suo piccolo, nuove soluzioni), è disegnata dallo storico copertinista (il terzo, dopo Ferri e Galep, a raggiungere il traguardo, ma Galep lì si è fermato), ma il disegno in sé non è proprio il massimo che si poteva auspicare. Tutta l'arte di Alessandrini, anche nel fumetto, per quanto sempre ad alto grado di chiarezza e leggibilità, non sembra essersi sforzata molto. Non siamo ancora del tutto convinti che lo status dell'artista, oggi, sebbene invecchiato e spremuto soprattutto in termini di regia da più di quattrocento copertine, sia questo. La trama congegnata dal nuovamente sostituto Recagno per tenere in piedi la celebrazione, pure, non è certo la più originale che si potesse concepire: la sinossi alternativa che Castelli non ha potuto utilizzare (e temiamo che l'occasione non potrà mai presentarsi, a rinvigorire la nostra malinconia) ci è parsa, pur nella sua reiterazione di modismi, un pelo più inusuale: sì, noi volevamo vedere Martin operato alla cataratta! Non foss'altro perché è una delle paure ancestrali di chi, come noi, ha gli occhi deboli e sofferenti. Ora, per quanto possiamo amare il #300, ammettiamo che, anche in quel caso, la cornice narrativa non fosse certo la cosa migliore dell'albo. Albo da cui l'autore riprende il concetto per cui l'"universo di Martin Mystère" sia più importante di Martin Mystère stesso. Il contrario di quanto qualcun altro ha ritenuto di proporre nelle sue produzioni, insomma. Ma, se nel #300 la glorificazione dell'universo mysteriano si traduceva, appunto, nella dimostrazione di come ogni filone narrativo e ambientale potesse ancora dire la propria, oggi "universo di MM" significa semplicemente la parata dei suoi amici più ricorrenti. Il numero delle pagine tragicamente inferiore, rispetto a quelle a disposizione un centenario fa, certamente incide, ma insomma. Ritrovare Spektor fa sicuramente piacere, scoprirne il legame con Altrove e Aldous non disturba ma nemmeno entusiasma, e vederlo mettere in riga un Tower scorbutico & infastidito (una strizzata d'occhio a chi sta leggendo?) e tutta la combriccola smemorata annessa, restituisce quell'idea di farsa di fine carriera che fa sorridere con una punta di amarezza. C'è da dire che l'idea del teatrino sembra una di quelle che avrebbe potuto partorire il Castelli più recente, dunque Recagno ancora una volta ha dimostrato di esserne il vero "erede". Grimaldi, con i suoi personaggi "smorfiosi", e i cui sfondi vuoti sono riempiti dal colore, appare indicato ad illustrare un raccontino in cui Martin è costretto dalle circostanze a prodursi in numerose espressioni a metà tra l'attonito e il perplesso. Apprezzabile il tono perentorio, tipico del complottista, con cui viene ribadita l'inesistenza dei colori, concetto che tuttavia avrebbe potuto condurre a tematiche ancora più estreme di quelle proposte. Ma forse il tema dell'universo simulato non è più adatto al pubblico dei "moderati" che si cerca invano di inseguire, o forse non ci si voleva sovrapporre ai lavori nathanneveriani di Bepi Vigna (il quale, però, utilizza le invenzioni mysteriane quando e come gli torna utile). L'idea del View-Master capace di mostrare i desideri inconsci delle persone, dopo che Martin ha battuto la testa facendo la doccia, è di nuovo di quelle che "piacciono all'ultimo Castelli", e dunque poco passabili di obiezione. Che possiamo dire? Il tema vintage, Diana che cucina, il sarcasmo sui vicini di casa, il cinismo della politica: sembra tutto accomodato per noi vetusti barbogi, gozzoviglianti alla rimpatriata. Stona soltanto il cameo di Safarà, che crea involontariamente un legame, di cui si poteva fare a meno, con la storia pubblicata il mese dopo, del tutto estranea a questi temi. Il secondo racconto è al contempo il segmento migliore dell'albo e quello nel quale il cortocircuito della retroconnessione narrativa si manifesta con maggiore rilievo. Che vuol dire? Semplicemente che l'"universo mysteriano" di cui sopra si è rimpicciolito al punto da divenire uno di quei micromondi semiumoristici in cui si incontrano tutti. Certo, tutti coloro che sono in vita in un determinato momento storico si trovano contemporaneamente su questa valle di lacrime in quel dato momento (è il "Principio di LaPalisse" rapportato alla Storia), ma, diciamocelo, ritrovare, letteralmente nella stessa stanzetta, durante un incontro segreto tra tizi che agiscono in incognito, Cavour, sua cugina, il padre de f.lli Holmes, gli Uomini in Nero, con l'aggiunta di una rocambolesca irruzione del Docteur Mystère e di Cigale, è una di quelle trovate difficilmente classificabili come "incredibili coincidenze". Viene più semplice chiamarle "soluzioni di comodo". Non è nemmeno l'unica: anche il Magenta, come l'Indaco del #300, si rivela essere un "colore venuto dallo Spazio". A compensare la pigrizia del riciclo, va detto che il 2023 è stato decretato "l'anno del Magenta" (in realtà, di una sua variante), pertanto appariva opportuno dedicarvi uno dei mini episodi, in un albo che sembrava cadere proprio a fagiuolo. E ancora: come giustamente afferma il Castelli, Recagno ha sceneggiato il fumetto con il suo stile, ma lo stile di questo Recagno sembra ripiombato nei modismi tipici di una certa serie televisiva, da cui, ad esempio nel #390, sembrava essersi finalmente smarcato. E invece ecco "Nap" e altre battute moderniste. Di contro, fatichiamo a non apprezzare il discreto brio del racconto, e il tentativo di far tornare tutte le (posticce) fila del discorso, cercando una convergenza sincretistica fra eventi e personaggi tra i più disparati. L'arte, come già detto quando fu impegnata in uno Storie da Altrove, non è la più adatta ai flashback storici, per la sua tendenza a renderli troppo moderni, come accade in certi film americani. Trattandosi di un diario del Doc, sarebbe stato più logico affidarsi nuovamente al suo creatore grafico. Da segnalare come il tizio dipinto di magenta, nella prima vignetta in cui appare, sembri quasi un pupazzetto. Prosegue, infine, l'opinabile tendenza a produrre "edizioni ancora più definitive delle precedenti" di un dato personaggio (in questo caso il Docteur Mystère) pubblicizzandole con episodi inediti che non andranno a confluire nelle suddette edizioni. Il terzo episodio è immancabilmente dedicato allo "Speciale" trio ADK. Giustamente, è Torti a farsi carico delle illustrazioni. Probabilmente, anche in questo caso il colore colma diverse lacune, rendendo più armonioso e gradevole l'impatto visivo "a prima vista". Confessiamo che reincontrare ancora questo stile, di tanto in tanto, regala un piccolo sorriso di invalidante nostalgia. Tra le tre brevi trame, quest'ultima è decisamente la più frivola e la più tendente al fantasy. I colori chimerici, di fatto, non si vedono, e a Rudoni e Sguanci non è nemmeno chiesto di abbozzarne una figurazione. Resta la chimica tra i tre protagonisti, che soltanto Castelli e Recagno sanno rendere con simpatia nonostante gli ormai triti tormentoni. Più soggettiva la rivelazione dell'identità dell'universo in cui sono precipitati (con un omaggio non necessario a Generazioni): quello delle NAAC. Un universo di cui, decisamente, si può fare a meno. Ma, col senno di poi, era impensabile non ritrovarselo in qualche modo in un albo che tratta di colori. Il Mandala, dopotutto, era un indizio abbastanza palese (era protagonista di uno degli episodi del reboot). Una prece per "Teresa Travis", personaggio che non rammentiamo di aver visto agire nelle Nuove Avventure (ma potremmo sbagliarci), mentre "Georgecaro" ci ricorda qualcuno. La conclusione della storia è una vorticosa miscela di recagneserie: laddove, nel solito #300, lo sceneggiatore riprendeva perlopiù classici di Castelli, qui si concentra sulla propria produzione, quasi a voler "marcare il territorio". "Questa tipologia di MM, anacronistica e destinata all'oblio, è roba mia", sembra dirci. Quanto vorremmo che fosse, invece, di tutti. Riecco, allora, le tecnologie olografiche degli Special #32 e #34; il paradosso della predestinazione (Generazioni, lo Special #31 e altri ancora); e, soprattutto, il SuperSpettro del #315 e dello Special #26 (ma è più vicino alla connotazione nel bimestrale, da cui riprende anche gli esseri visibili "con la coda dell'occhio"), di cui Spektor sembra offrire una definizione... definitiva (con tanto di citazione pop indovinata). Non c'è spazio per molto altro: la "scomparsa di Martin Mystère", cancellato dall'esistenza e dimenticato dai suoi amici, non ha il tempo di svilupparsi adeguatamente e non lascia traccia al termine della lettura. Peraltro, sembra contraddire gli eventi del citato Special #26, nel quale era stata Angie a perdersi nel SuperSpettro, con effetti diversi da quelli che vediamo proposti in questa occasione. Non convince nemmeno la tavola in cui Martin sembra parlare con l'anomalia spazio-temporale come se stesse parlando a sé stesso: l'anomalia sarebbe senziente? Prendendo per buona la definizione di "luogo della mente" data da Spektor (che peraltro non la differenzia granché dai vari Mondi dei Sogni visti nella serie), viene da chiedersi se non sarebbe stato più logico che fosse lo stesso Martin ad aver, in qualche modo, ideato tutto questo. Ma che motivi avrebbe potuto avere Martin per voler essere cancellato dalla realtà e dimenticato da tutti? Il soggetto, a questo punto, avrebbe potuto prendere le pieghe più disparate. Un'altra ipotesi è che Spektor stia imbrogliando tutti, ma il movente, in questo caso, si potrebbe cogliere soltanto tirando a indovinare. L'impressione è quella di aver assistito ad un'altra trovata "alla Doctor Who" da accettare senza porre obiezioni, lasciandosi trascinare dal trip. I coniugi Rudoni & Sguanci fanno un ottimo lavoro. Con l'unico appunto di quel "verde rossastro e rosso verdastro" del racconto di Grimaldi, la cui resa non corrisponde proprio alla descrizione che ne fa Mystère. La rubrica "Fantasmagoria" è decisamente la più appassionante e riuscita tra quelle proposte a partire dal #375. Non manca neppure un cenno, davvero tempistico, all'"affaire armocromista", ripreso, per par condicio in termini derisori, anche dalla tavola di Zio Boris. Ma la vera chiusura dell'albo è la striscia dei Bonelli Kids, involontariamente portatrice di quel mix di vivido affetto e malinconia iettatoria con cui avevamo aperto il commento. "Il viaggio è solo all'inizio", di solito, è qualcosa che si afferma quando si assiste ad un passaggio di consegne.



Martin Mystère #387//400: Martin Mystère: Zona Y

è il romanzo in dodici puntate di Andrea Carlo Cappi, pubblicato nel corso dell'anno maggio 2022/giugno 2023. Rispetto al precedente, che spaziava di capitolo in capitolo in tempi e ambienti diversi, qui tutta la storia è ambientata nell'estate 2000, immediatamente al termine degli eventi dei #219/220 (che diventano scenografia in uno degli scenari virtuali vissuti da Martin). Fanno eccezione il primo e l'ultimo capitolo, collocati nel tempo di uscita. Dando così l'impressione del solito Martin Mystère smemorato in modo patologico, capace di dimenticare eventi che segnerebbero chiunque per sempre (tanto poi i mysteri si risolvono da soli anche a venti e passa anni di distanza). Il Potere del Falco aveva dalla sua il background più amato dai veri mysteriani, quello storico-esoterico-avventuroso (la classica Cerca dell'Oggetto Leggendario), e partiva bene concedendosi anche divagazioni metaeditoriali che non appesantivano la lettura, ma la arricchivano. Col passare dei capitoli, però, la storia finiva per incanalarsi sui classici binari del romanzo-medio di matrice americana, con una maggiore attenzione data agli elementi cari ai lettori di Segretissimo. In Zona Y avviene l'inverso: la storia si presenta fin da subito come un lungo ed estenuante esercizio di stile, e davvero occorre una certa pazienza per autoinvogliarsi, mentre i mesi passano e i capelli inbiancano, a vedere Martin interpretare ruoli che non gli sono congegnali (il pistolero del Far West, l'investigatore hard boiled, eccetera), mentre i dati mysteriosi forniti restano gli stessi dal secondo capitolo e per gli otto-nove successivi, senza che la storia faccia un passo avanti. Stavolta sono gli ultimi capitoli, specialmente il terz'ultimo, a sobillare gli istinti del lettore speciale, andando a ricollegarsi direttamente alla saga dei muviani dell'[i]Ultima Legione[/i] (che la redazione avrà cura di riproporre all'uopo un mese dopo), rendendo questa opera perfettamente integrata nel filone dei Romanzi pubblicati a sé stanti dal 2017 al 2022. Per quanto ci riguarda, se questa storia ha un pregio, è quello di aver saputo ricreare quell'atmosfera "ufologico-millenarista" tipica del tardo X-Files (e delle varie riviste affini), per la quale coviamo un pizzico di nostalgia (al pari di tutto ciò che ci ricorda qualcosa di diverso dall'attualità).



Nathan Never Magazine 2023: Uniti per il Pianeta, Miniere e lattine, Cielo di piombo, Programma Life, Per un futuro migliore (AAVV)

Mystère compare anche nella copertina di Bonazzi dell'albo che ristampa, comodamente brossurato, il fumetto cross-over con Nathan Never e Mister No. Mysterianamente parlando, il volume contiene anche i due racconti a sfondo ecologista e una sequenza di Nostra Terra dei Mysteri. Come contorno, oltre a dei servizi che nessuno leggerà mai, una breve sequenza da NN #250, un racconto breve sempre di NN e uno molto raro di MN, nel quale ci viene spiegato che certi disboscamenti sono necessari per rinverdire i boschi, e che la "carta non inquina" (cit.), il ché appare coerente con l'universo in cui il cross-over di cui sopra non è mai avvenuto e nel quale questo albo non è mai uscito.   



MM Speciale #40: La Storia Misteriosa Del Mondo. Parte 1 (Dante/AAVV)

Edizione ridotta del volume pubblicato qualche anno fa, a sua volta remake di quello famoso della Hazard del 2000. Come da titolo, tavole scelte dagli albi di MM accompagnano i testi nozionistici che ribadiscono i trivia già noti ai lettori più affezionati. Ma il prodotto è evidentemente inteso come la "Bibbia del Nuovo MM", quello frutto delle recenti riscritture. Niente fumetto, nemmeno nella parte "flip", dove ancora Dante intervista Castelli sulla continuità, ottenendo risposte un po' vaghe. Il glorioso Special è ridotto a questo.



MM #401/402: L'esperimento del Dottor Mesmer/La Sequenza dell'Immortalità (Lotti&Mainardi/Grimaldi)

Chi l'avrebbe mai detto? Inizia il quinto centinaio della serie. Lo fa con una ennesima giacenza: avremmo preferito non dirlo. La tradizione di cominciare il centinaio con un episodio opinabile (Gioconda,Hampton,Tramonto) è rispettata. (A proposito, Augé ci ha lasciati da poco). Si riparte da Grimaldi: il segmento di sua competenza del #400 conteneva un omaggio dylandoghiano, ed eccolo subito alle prese con una variante della famosa storia del mesmerismo. Ovviamente, è solo un caso. (A proposito, Montanari ci ha lasciati da poco). I due scrittori danno l'impressione di aver sceneggiato le due puntate a compartimenti stagni, oppure di essere caduti nel più classico errore che può commettere un inesperto autore mysteriano: dannarsi l'animo per conferire un contesto storico-geografico credibile al proprio soggetto, anche forzando le situazioni (ad esempio inventandole di sana pianta) e poi perdersi le fila degli avvenimenti ai giorni nostri, finendo per contraddirsi e cadere in situazioni poco plausibili, dopo essere partiti da associazioni mentali discutibili (la Zia May dei film Marvel recenti è una milf ancora appetibile, quindi "Zia May rallenta l'invecchiamento"). Lo diciamo perché ci siamo caduti anche noi. Ora, i flashback appaiono curati, nei limiti della fiction tipica di questa testata, sebbene il "mystero" sia svelato praticamente a metà del primo albo. Il flusso al tempo corrente, invece, è una costellazione di forzature. La "nipote" di Aaron, dopo le prime scenette, cade nel dimenticatoio; la si rivede di sfuggita verso la fine. "Zia May" e la sua tisana non presentano nulla di mysterioso. Il nipote della zia, poi, si rivela essere un coglione. D'improvviso, nella seconda puntata, Mystère ha l'intuizione giusta. E svolge (con l'immancabile aiuto off screen di Travis) tutta una "vera indagine da detective", vantandosene, che ci riassume a posteriori; è quella solita di Highlander, dove studiando i documenti anagrafici e catastali, le calligrafie e le coincidenze, si scopre che il dato personaggio è pluricentenario; nel film del 1986 era una trovata appassionante, ma il lettore di questo fumetto era già stato edotto nella prima puntata. E quindi i fili si riannodano, compresi i ripetuti stacchi sulle chiacchiere complottiste degli Uomini in Nero (che per un momento diventano improvvisamente Industre Farmaceutiche rivali, ah no, sono infiltrati). Gli UiN irrompono e mitragliano Java, che muore, ma la povera mesmerizzata si immola per resuscitarlo e trovare la pace, con l'ausilio di Martin che si fa restituire il favore da Aaron imponendo un grottesco collegamento in diretta televisiva (gli eventi di Sansone non gli sono bastati). La casa esplode, gli UiN e Aaron coprono tutto, tutto rientra nei ranghi. Ma almeno due cose non tornano. Tutto il casino è nato perché Rachel non ha trovato le pagine del libro di Mesmer strappate dal nipote sfaccendato e strafottente (una gag disneyana instant cult che aveva visto Martin portarsi le dita agli occhi e lanciare insulti plateali), ma Martin avrebbe dovuto ricordarsi che le pagine erano state strappate per essere scansionate (così gli dice il minchione), e quindi tutta la trovata conclusiva avrebbe potuto essere evitata semplicemente usando le scan. Sarcasmo metanarrativo? E ancora: l'elemento magitecnico è davvero improvvisato. I simboli (la cui origine è ignota) causano effetti diversi a seconda della sequenza con cui sono disposti, ma per attrarre il flusso magnetico dalle persone (quest'ultimo un altro aspetto trascurato) occorre che il pubblico sia il più ampio possibile, ma è necessario anche che il mesmerizzatore faccia dei gesti, ma poi - questo è l'elemento rivelatore - pure la natura fisica dei simboli (concavità/convessità) è fondamentale. Va da sé che, in assenza delle pagine, Martin trova la combinazione giusta tirando a indovinare, e fuori scena. Castelli, poco interessato a tutto ciò, propone due "Fantasmagorie" strettamente connesse: la prima puntata è dedicata a Mesmer, e ci delude scoprire che l'episodio del Dr.Flambeau è inventato; la seconda è dedicata al mesmerismo, ma solo nella prima pagina, poi ci parla dell'Abate Faria e, soprattutto, di Dracula: le origini storiche e letterarie, i trascorsi di Castelli col personaggio. Da decifrare anche i risguardi del #402, con dei mostri il cui significato ci sfugge. Quel che non sfugge affatto, per fortuna, è l'assenza dei Bonelli Kids. Continuità: il Poe che compare nel prologo non sembra affatto un agente di Altrove, mentre Martin paragona una mesmerizzata, in bilico tra vita e morte da un secolo e mezzo, a un androide muviano (il Signor Max del #355, che "resuscitava" in quanto robot). E l'Orizzonte degli Eventi? Il che? (A proposito, vorremmo andarci non poco).



MM #403/404/405: Di padre in figlio/L'uomo che voleva troppo/Prigionieri dell'Alterjinga (Dante/Giordano-Cuffari)

Prima storia in tre puntate dopo quasi diciotto anni, è l'opera prima del tizio dei trailer, in seguito divenuto factotum redazionale a cottimo, e ora, si mormora, nuovo erede designato di Castelli. La nuova storia miliare che vorrebbe cambiare la serie, ma intanto esce tra due riempitivi di Lotti, e pure in ritardo. Immaginatevi De Vita che, con il suo accento milanese vecchio stile, dà della "furbacchiona" a Elisa Penna (che si accreditava ideazioni non sue). Ecco: è una storia "furbacchiona" che prende, senza dirlo, diverse idee da Get a Life! e cerca un modo di trasporle con uno stile meno di nicchia e più "spendibbile" (cit.) alla massa. Non è ciò che auspicavamo da tantissimo tempo? Beh..ecco..sì. Ma non proprio così, ecco. Cominciamo dal nipote. Non abbiamo forse fantasticato per decenni sul come dare un erede a Martin? Sì, ma non pensavamo che la rivelazione di un tradimento di Mark avrebbe portato Martin a dire solamente "allora sono davvero il Buon Vecchio Zio". Non vogliamo dire che doveva strapparsi il ciuffo - e d'altronde la garantista Diana gli ricorda che "nessuno può giudicare, nemmeno tu", e lui ormai è succube della moglie - però nel #325 Martin sembrava emotivamente legato al babbo. Non possiamo nemmeno ricordare che quell'albo risale a dieci anni fa, quando la lucidità era maggiore e gli esagoni giravano di meno, giacché - ecco la vera, grande innovazione di questi albi - nella strampalata cronologia proposta da Dante gli eventi dei #35/36 non sono accaduti nel 1985 ma molto dopo, e pertanto oggi Martin è più giovane di ieri. Ora. Il povero collezionista castelliano (non meno di 70€ all'anno in volumi su/di/con/per Castelli) sa bene come i volumi lussuosissimi e costosissimi de Gli Aristocratici propongano la versione aggiornata agli anni 1990, e dalla cronologia completamente rivista, degli episodi di quella serie. Pertanto questa scelta di aggiornare l'universo mysteriano, sganciandolo dalla datazione storica verso una impostazione più generica, appare persino coerente con i trascorsi del creatore della collana. Ma, nel caso di MM, la scelta appare davvero invalexdante, dato l'abbondare di date, guerre, Yalta, Vietnam, Sovietici, Reagan e Clinton e compagni, anche nei capolavori del Maestro Morales. Per fortuna Sangiuliano non legge, e la ramanzina dovremmo evitarla. Non solo: verso la conclusione della vicenda, un colpo di scena vuole dare l'impressione che i guardiani pseudoKundingas del Dataesaginga possano essere umani evoluti ("siamo voi", dicono). In ciò somigliano sinistramente (anche somaticamente) ai tizi introdotti dal solito Vigna nelle sue recenti retcon di NN, che, guarda caso, hanno a che fare con riscritture di universi. Vabbè. Però l'anno prossimo c'è MM&NN 3... Ma torniamo a noi. L'erede no, la vecchiaia no, ma capperi, almeno l'Alterjinga, il Databank, gli Esagoni erano cose che volevamo un albo sì e l'altro pure! Beh, sì, almeno finché non abbiamo letto Le dieci tribù... Inoltre, Get a Life! ha provveduto ad edurci e a saziarci abbondantemente su questi temi, con competenza ed originalità. Questo remix - nel quale ravvisiamo anche strizzate d'occhi a nostre personali creazioni forumistiche - arriva tardi, ed eccede nell'accumulo e nella concentrazione di riscritture. Noi dobbiamo ancora digerire la fusione di Kundingas e De Danann; quanto può appassionarci veder spuntare dal nulla un altro Cumbo/Jaspar/MM hipster, per tacere dello UiN e dell'Altroviana geni autistici, mentre personaggi che abbiamo sempre conosciuto come maturi ora sono ritratti industrialmente come giovani gagliardi e si occupano, come se fosse la prima volta o quasi, di tematiche un tempo differenti ma che ora sono frullate in un unicum superficiale? Se non altro, appare ancora più evidente come il Capo del Direttivo possa essere solo uno tra Mark e Tower. Da segnalare i risguardi della terza puntata, con la metà colorata in stile aborigeno ma totalmente sconnessa dall'altra metà, e la 'Fantasmagoria' della seconda puntata, dedicata alle scimmie che scrivono a caso (la terza è il bigino dell'Almanacco 1996). La seconda copertina è un omaggio texiano simpatico, ma per nulla inerente ai temi della storia. Zio Boris del #404 è tematicamente connesso alla rubrica dello stesso albo, mentre il #405 è metafumetto puro, ormai l'unico divertimento di Castelli. 



MM/ASI: L'enigma del satellite (Recagno/Orlandi/col. Rudoni+Sguanci)

Volume promozional-didattico per il circuito librario, la nuova frontiera bonelliana. Copertina di Filippucci e redazionali assortiti racchiudono un inedito fumetto di 68 tavole che riporta Martin nel ruolo di testimonial educativo che lo ha reso celebre tra i dotti. Dopo decenni in cui il personaggio ha inseguito i gongoli ed i brontoli, questo gravoso compito gli è ancora congegnale? A quanto pare, sì. La ghiotta occasione per ripulirsi un po' l'immagine è da non farsi scappare, pertanto l'episodio è affidato a Recagno. La foliazione scarna impone all'autore una imitazione dello stile "accelerato" del Dottor Who di qualche anno fa, quello che correva sempre: lo sceneggiatore, ancora una volta, si immola per la causa. Va detto che, per l'occasione, i rimandi whoviani appaiono meno fuori luogo del solito, anche perché gran parte della storia si svolge a Londra. Pure, la trama è quella delle grandi occasioni: scopriamo nientepoppedimeno che un altro dei sette Graal, e non un Graal a caso, ma proprio quello del ciclo cavalleresco, di Parsifal, Galahad, il Re Pescatore. Certo, le linee guida editoriali, che pretendono quanta più genericità possibile, portano i testi a descrivere questo Graal come quello primigenio - l'Esagono, per capirci -, un po' come ai tempi, ancora acerbi, di San Nicola. Non solo: addirittura, in una rivelazione un po' grottesca ma al contempo affascinante (d'altronde è ispirata ai lavori di Get a Life!), assistiamo alla nascita di un nuovo Graal, nato da un frammento di questo, e che poi va chissà dove fra le stelle (con la forma di calice). Le tempistiche, però, non mentono: se si trattasse del Calderone originario, andrebbe a ramengo tutta la mitologia della suddivisione in sette, con tutto quel che ne consegue. Nonostante ciò, nonostante il ritmo sempre alto e vivace, il fumetto si prende tutti i tempi che vuole, tra flashback, depistaggi, il nozionismo previsto dal contratto (stavolta letteralmente) e quello non previsto, e persino una conclusione epico-romantica (molto whoviana) dagli inattesi risvolti personali. Il tutto porta a pensare che Recagno avesse in mente questa storia da svariato tempo, e che aspettasse solo l'occasione giusta per proporla. E insomma, chi ha vissuto tutto il viaggio - la Cerca? - dal Cavaliere Verde a questo "Cavaliere Rosso", non può non sentirsi appagato. Tutto questo meritava una edizione degna di questo nome e la giusta visibilità: e allora Castelli presenta Recagno come uno stalker maschilista (avevamo notato che non indossa più gli occhiali), e in contemporanea manda in edicola gli albi mensili che riducono Esagoni e Sogni a una retcon superficiale, mentre l'editore gli controprogramma addirittura un albo ideato da Parmitano. Altro che Fazio. Di Orlandi, immutabile dagli anni 1990, non possiamo che ripetere le solite cose: il mondo contemporaneo gli è molto congegnale, quello passato un po' meno, per un lavoro comunque dignitoso. L'archeologo di stanza a Londra è Bob Hoskins in Super Mario, così è sia italiano che inglese. Alla fin della fiera, la cosa dell'archeologia satellitare è solo un pretesto, e la presenza di Matera giusto una casualità. 



MM #406: La rivolta degli Abeti di Natale (Lotti&Mainardi/W.Venturi)

E va bene, lo confessiamo: in una vita precedente abbiamo commesso le più atroci efferatezze. Pensate a qualcosa di particolarmente ripugnante: certamente può essere riportato sulla nostra fedina penale. Solamente così si può spiegare la sciagura punitiva che ogni anno si scatena sulle nostre povere anime: l'albo natalizio di MM. Non bastavano le mestizie che ci ricorda pure Zio Boris (come se le avessimo dimenticate), l'estinto filone "leggero" estivo doveva esserci propinato a Dicembre, e pure affidato a M&L (purtroppo non sta per Mailing List). Detto ciò, al terzo tentativo potremmo parlare di "qualità crescente", se non fosse sarcasmo. Il #382 era veramente agghiacciante; il #394 si sforzava, se non altro, di darsi un canovaccio. Questa volta si azzarda un "messaggio" ecologista: in un momento in cui ad avere a cuore certi temi si viene sputati in faccia, è già meglio che niente. Ma com'è questo approccio dagli intenti positivi? Cerebralmente romantico come Nostra Terra dei Mysteri? No, affatto. Allora è puntigliosamente folkloristico, tipo L'Oceano dei veleni? No, perché? No, c'è il meteorite precipitato con le spore aliene in questa specifica foresta del Minnesota, i cui alberi sono divenuti senzienti; anche quando, sradicati e trapiantati altrove, questi si trovano ormai a enorme distanza dagli altri, riescono comunque a comunicare telepaticamente con gli animali e ad aizzarli contro l'umanità malvagia. Ah, è Topolino di Muci. Esatto! L'Ispettore Travetta chiede aiuto a Martinino e Javippo, che indagano. Il primo rimugina, aiuta il barbùn che tutti credono pazzo, da buon amico delle guardie fa scarcerare sia lui che Angiebella (per la gioia di Dianinni). Il secondo, solo apparentemente strano, possiede in realtà facoltà che lo connettono alla Natura. E quindi il malvagio imprenditore boscaiolo del Minnesota viene fermato, grazie alle intercettazioni che gli alberi dettano ai nostri eroi (introdottisi illegalmente nella proprietà del cattivo; oppure no, perché quella sarebbe una riserva protetta, però nessun ranger si è accorto dei reticolati). Non ricorda le storie coi Pikoletos? Non rispondete, eh? Fortunatamente, tutto è bene quel che finisce bene, tranne per l'albero di NY, che muore, e viene rimpiazzato da uno artificiale donato dagli ambientalisti. La Magia del Natale fornisce sufficienti spiegazioni in merito alle spore infestanti, ed è rimarchevole la dolce fermezza con la quale Mystère elogia, dinanzi all'albero arrabbiato, la necessità di non impedire queste festività. Allo zagoriano artista sono adeguatamente regalati due brevi flashback nelle ambientazioni tipiche di quella serie. Ma lui non ricambia, e persiste a non indovinare i protagonisti di quest'altra testata: la sua Angie gommosa e il suo Martin caricaturale sono davvero fastidiosi a vedersi. Di Boris antigovernativo abbiamo detto, mentre 'Fantasmagoria' propone due pagine di "GianBurrasca" e dimentica L'Albero Filosofico nell'elenco degli albi alberosi (ma Morales c'è, tranquilli).


 

MM #407/408: I Misteri di Villa Winchester/Dalle viscere dell'Ipercubo (Eccher/Forlini+Avogadro)

Fumetto funebre e mortuario, durante il quale è morto Castelli. E' la fine di Martin Mystère. Già nella seconda puntata i redazionali sono rimaneggiati (da Contro, Gualdoni e altri tizi, tutti tranne Recagno), mentre nella prima l'Ancora Vivo Zio Alfy rivela di aver preso il covid proprio quando lo avevamo preso anche noi. I bivi della Storia, come in quella roba di Spennacchiotti: a lui è andata male, a noi peggio. Ma soprattutto è il fumetto stesso a rappresentare la morte di Martin Mystère, e non può essere casuale l'essercelo ritrovato davanti agli occhi subito dopo una di quelle botte di nostalgia con le quali andiamo a riguardarci i vecchi episodi della serie: è un soggetto che di mysteriano non ha proprio nulla, come lo erano i soggetti di Chiaverotti - per dirne uno -, solo che quelli facevano ridere, per l'epoca un paio erano anche originali. Questo è, per l'ennesima volta, "la saga del multiverso" - ancora, di nuovo - "e della necrofilia" aggiungiamo, con questo insistere sul riprendere la solita minestra e mescolarla in senso antiorario anziché orario per farla sembrare diversa. Eccher ci aveva già proposto il suo "seguito" di Slumberland, ma ancora sente il bisogno di tirare in ballo "il mondo dietro le quinte", l'aldilà, i mostri, e per fare che? Per citare Insidious e La Vedova Winchester. Almeno Baraldi su DD cita i filmacci anni 1980. E quindi c'è l'universo "alla Escher" dove dimorano i fantasmi, e Martin ricorda Escher ma non l'Orizzonte degli Eventi, e alla fine dice pure "ma chissenefrega?". Sì, abbiamo visto a più riprese come il Castelli degli ultimi tempi avesse perso molta della sua cura per i dettagli, e infatti l'abbiamo a più riprese criticato. Questo però non può essere il pretesto per produrre storie completamente riempitive: cosa c'è di interessante in questi due albi? Per quanto ci riguarda, solo Cappi, che almeno ci costringe a leggere un po' di prosa. Per il resto, c'è Martin Mystère che parla e si muove, fa cose e vede gente, ci spiega che "quid pro quo" è sbagliato, incontra l'ennesimo vecchio amico di università imborghesito, si fa aiutare dagli onnipotenti Tower e Travis, ma insomma, è Martin Mystère, non Martin Mystère. Non mancano, ovviamente, i flashback storici dove tutti sembrano moderni, e il cattivo che diventa macchietta. Neanche un mese dopo, AMyS ristampa Orrore nello Spazio, nella quale Martin transita davanti a Villa Winchester e le dedica lo spazio che merita: tre vignette. ("AH! Allora "chissenefrega" lo diceva anche ai tempi d'oro!"). D'altronde, lo stesso Castelli ebbe a dire che "i libri sulle case stregate sono i più noiosi, sono tutti uguali". Vabbè, ormai non è più un suo problema. Due artisti al prezzo di uno: si distinguono poco, solo la caricatura di Java sembra una chiara indicazione. Ciao Alfredo, siamo forse gli unici che non ti hanno dedicato uno scritto struggente: non ce la facciamo, tutta la situazione ci fa soffrire troppo. In passato ci salvasti la vita, adesso non puoi più farlo e ci sentiamo condannati.


(2023-2024)



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