mercoledì 17 aprile 2024

DAMPYR (6)

Dampyr #251: Stavkirke (Principato/Lozzi)

Lo possiamo dire? I riempitivi di Supernatural sono migliori di quelli di Dampyr. Ecco, ora prendeteci pure a schiaffi. Il nuovo sceneggiatore si integra immediatamente, comunque, anche nel suo rispondere piccato alle critiche del forum e nel cambiare discorso quando l'immancabile utente che ha l'amico coinvolto nei casi di cronaca nera norvegesi di trent'anni fa gli fa notare di saperne di più. Ignorando volutamente l'argomento alla base dell'albo (perché non ci piace, e Boselli aveva detto che non piaceva neanche a lui), ci accontentiamo di vedere un non-morto di Lodbrok, quello del cross-over con Dylan Dog, che peraltro sembrava più sveglio dei soliti non-morti, ma non al punto da sopravvivere alle sue 94 pagine di celebrità. L'artista è un grande talento, ma ogni tanto fa lo gnorri, ma è lui a rendere non insopportabile questa lettura usa-e-getta (metaforicamente: mai gettare albi per terra, inquinano gli sputi).

Dampyr #252: La regina di Babilonia (Boselli/Longo)

Seguito dell'albo più interessante tra i post#200, è un albo epocale; o, visto l'argomento trattato, eporcale. Salutiamo definitivamente (SPERIAMO) il Duca Nergal, il personaggio più desueto della serie, questo vecchio baffuto, copiato da un attore dimenticato, dai modi eleganti ma nazistamente psicopatici, sicuramente più somigliante al Conte Dracula di altri suoi colleghi Maestri. Qui lo ritroviamo in una versione Conte Ejacula, in pieno vigor mortis, ancora capace di alimentare la speme altrui. In particolare quella della moglie Ereshkigal, la puttana di Babilonia - non quella biblica, quell'altra -, una semplice non-morta che ci era stata presentata (#237) come Zora la Vampira, invece è solo Maghella. Tutto l'albo gioca sulla sua somiglianza con Lady Nahema, e viceversa, così il disegnatore può disegnarle uguali e confonderci di proposito, mentre ci distrae con i suoi giochi di chiaroscuro, i suoi capitelli decorati, i mantelli pieghettati e una splendida veduta di Babilonia del passato, per un'arte degna dei migliori Ediperiodici e che ci piacerebbe vedere su Martin Mystère (senza offesa per i porno). Per qualche istante temiamo - o vogliamo - che la soluzione da fumetto supereroistico del Nergal posseduto dal necroamante Abraham Stern possa divenire il nuovo status quo; invece no, c'è Lady Nahema, mentre Abigor non muore, essendo un personaggio molto interessante da cui si potrebbero trarre numerosi sviluppi - o almeno così deve aver ritenuto Boselli, mentre sceneggiava Tex con la destra. E il Dampyr noto come Harlan Draka? Sì, fa una particina pure lui, legge un libro nella libreria vuota (sempre lo stesso, visto che ogni volta lo interrompono), chiacchiera coi mostri infernali, deduce cose imbeccato dall'insegnante. Un vero eroe, in un albo in cui tutti scopano come criceti - anche i poveri - e dicono sozzerie gironzolando coi genitali di fuori (tranne Caleb che non li ha). Un velato messaggio di Boselli al pubblico del Trono di spade che ha scelto di inseguire? Plausibile, alla prossima gli consiglierà le poesie canterine. Meno plausibile è la presenza di un castello di Nergal nascosto a pochi passi dal Teatro fin da prima del #1. Come dice Kurjak alla pantera parlante con l'uniforme napoleonica: "Con tutto il dovuto rispetto, mi sembra incredibile". (Chissà cosa penserebbe di Martin Mystère, allora)

Dampyr #253: I figli di Pontemorto (Perniola/Raffaelli)

Albo celebrativo degli 80 anni della Casa Editrice, con medaglietta da applicare al proprio guinzaglio: per l'occasione, la copertina torna ad essere brutta e nella rubrica viene recensito un libro scritto da amici del curatore. Ma è al futuro che bisogna guardare, dunque, a partire da questo numero, il colophon e la pubblicità saranno a colori. "Per guardarle meglio", come si suol dire. Allegato in omaggio, un fumetto qualunque, sceneggiato dal primo che pass...pardon, "il seguito di un vecchio Classico realizzato da una "guest star"". Harlan, infatti, torna nella Bassa Ferrarese, per scoparsi la sua amica Bianca, che non vuole essere scopata, però se ne accorge solo quando è in mutande e ha la lingua in bocca, e a cui è morta la zia. Sequel dimesso del #66, per un po' l'albo regge discretamente grazie ai disegni e alle mysterate povere di cui gli appassionati del BVZM degli anni 1990 si beavano: il dialetto, i nomi buffi, il buon vino e il sole a picco. Dolcea, Onide, Luzio, Idoria, Solidea, Iseppe e Remes, disegnato come Gianfranco Manfredi: abitano tutti lì. Seguono Harlan Draka il Dampyr che fa cose e vede gente, un poltergeist infantile, il dottore sadico, una suora malvagia che non si capisce se sia una non-morta o una mostra generica, perché nelle zone d'ombra tutto è possibile. E basta, l'albo è finito e possiamo riportarlo al nostro padrone.

Dampyr #254: La maledizione di Whitby (Cajelli/Stassi)

Lo sappiamo bene: sono sempre i migliori, che se ne vanno; specialmente se conoscono Boselli. Nella rubrica, dunque, salutiamo l'ennesimo collaboratore morto prima del previsto (Principato). Nel resto dell'albo, invece, tornano tutti: lo sceneggiatore, il disegnatore, l'antagonista, i comprimari, la medaglietta da attaccare al collare dopo essere caduti dalla bici. Il fumetto comincia bene, con una bella panoramica e il titolo col font ricercato, ma a pagina 3 c'è già un copia-incolla ingrandito con lo zoom. Seguono classiche dampyrate molto realistiche, tipo la festa folkloristica in cui tutti sono cosplayer o il convegno sul vampirismo preso sul serio dalle autorità, quindi ecco le morti misteriose e gli aneddoti che non sapevamo di voler sapere, e forse c'era un motivo per questo. Lo sceneggiatore, in difficoltà economica, copia due pagine da Dracula di Bram Stoker, tanto quello era ricco, ma ci delude quando, dopo una googlata di trenta secondi, scopriamo che la storia della sedia di Mallory è inventata di sana pianta; eppure non può esserlo, perché ricordiamo di averne già sentito parlare in un'altra occasione, ma non ricordiamo quale; d'altro canto, altri secondi da dedicare all'argomento non ne abbiamo, perciò resteremo alla deriva nel mare nel Mistero (in fondo, è la morale della serie). Così, mentre l'artista fa di tutto per essere espressionista, abbondando di chine e grassetti e inquadrature storte, lo sceneggiatore, rinvigorito dall'assegno, introduce due personaggi passibili di ritorno (i soliti poliziotti dylandoghiani) e si diverte a disseminare numerosi indizi appena percettibili riguardo all'identità del villain, ad esempio la medaglietta della Temsek (raffinato gioco metanarrativo, visto l'allegato). E invece? Invece niente, è proprio Marsden, che ci fa l'onore di presenziare aleatoriamente in una vignetta, dopo che Dampyr Draka detto Harlan gli ha steso il non-morto. Oltre a questo, veniamo a sapere che la Temsek è l'evoluzione della South Sea Company settecentesca; invece nelle casse sbarcate non c'era Marsden al posto di Dracula, ma solo i poveri negri, a ricordarci che non dobbiamo essere cattivi. Siamo dunque pronti per la saga che seguirà i prossimi riempitivi.

Dampyr #255: Haiti! (Mignacco/Viotti)

Sorprendente riempitivo, con triplice colpo di scena. Dopo la bellezza di duecentocinquantacinque episodi (+ tot), scopriamo, grazie agli utenti del Dampyr Forum, come questo e tutti gli altri episodi con i Maestri non boselliani seguano lo stesso identico schema e siano costellati di ripetizioni e reiterazioni. C'è forse un disegno, dietro a tutto questo? Forse, una misteriosa entità segue le vicissitudini del protagonista fin dall'inizio, come in un romanzo a puntate? O qualcuno sta cercando di dirci che questi albi potrebbero anche essere più corti, tanto sono tutti uguali? Quel che è certo è che, se disegno c'è, stavolta è ad opera di un'artista tornato ai livelli sorprendenti del suo esordio, dopo l'involuzione di Cuba libre! (guarda caso, l'albo prequel di questo). E questo è il secondo colpo di scena. Ma non è finita: gli utenti di cui sopra - davvero, compiere 80 anni ringiovanisce - ci fanno notare le diverse incongruenze della conclusione dell'episodio. E se Huracàn non fosse davvero morto come un idiota? E se l'idiota fosse qualcun altro? Magari l'entità, atrofizzata da decenni di mignaccate al punto da non accorgersi di quando l'autore lo fa apposta? Se abbiamo contato bene, questo è il terzo colpo di scena, che ci ripaga dalla delusione di aver visto Haiti senza nemmeno un pesce (la palla sì).

Dampyr #256: Operazione Messiah (Boselli/Rosenzweig)

Speciale estivo di Harlin Dampère, inizia come un'avventura classica e si evolve (o involve) in una farsa umoristica, ma sempre rispettando e approfondendo i presupposti seri della serie (fra i quali, lo ricordiamo, ci sono le demonesse puttane, gli angeli spioni, gli animali parlanti).  Certo, i precedenti di Martan Mystaka non erano beneauguranti, visto come si è evoluta (involuta) quella (mi)serie, ma per Boselli è una prima volta, per un albo che comunque spicca tra la produzione recente per sfoggio di cultura, nozionismo e garbato divertimento (c'è sempre di mezzo il sesso, ma finalmente senza volgarità, a parte il cunnilingus di Batman a Catwoman, pardon, del tizio alla tizia). Non possiamo dire che la parodia del fanatismo contemporaneo non sia tranciante e caricaturale, ma in fondo è solo una delle tante cose che non possiamo dire in questi tempi dettatoriali. E per i nostalgici delle mitiche trame del SOE, quali noi fascisti comunisti siamo, è sufficiente questa parodia di Transylvanian Express per respirare qualche pagina di "Dampyr dei tempi d'oro"...ma pssst, non ditelo a nessuno, è segretissimo (nonché lialà). E sì, alla fine non succede niente, a parte l'entrata in gioco del demone Pruslas a fianco del Ball Scem e il ritorno dalla Quarta di Reggiseno Dimensione della prima Succuba (?), cioè Lilith, che solo casualmente è acerrima nemica di Nyarlathotep (così, metti che quello torna, Harlan ha un'alleata a disposizione). Ma, come direbbe un lettore qanonico, "e allora Haiti?". A corroborare un'esperienza di lettura finalmente non deficitante, o deficiente, un'artista il cui stile grottesco, seppur sorprendentemente moderato, risulta particolarmente adatto al tono pierinistico della storia (un po' come il primo Torti per MM).

Dampyr Color #1: La biblioteca dell'orrore: Il disperso; Tsathoggua; Il castello negli Appennini; Danvers Manor; I sette volti di Milano; Prigioniero dei Sargassi; Epilogo (Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Colombo/Masellis; Giusfredi/De Stena/col. Vattani; Boselli/Al.Scibilia; Giusfredi/Cropera/col. Pastorello; Boselli/Baggi; Boselli/Genzianella/col. Pastorello)

Copertina di Matteo Vattani, con Harlan che si toglie la maschera da Kurjak. I soliti 80 anni di Bonelli (Editore) portano a una nuova infornata di albi estivi per le collane dal maggiore appeal. Ma quelli che per gli altri sono semplici BIS, in cui magari infilare qualche giacenza, per Dampyr corrisponde ad una occasione più unica che rara, quella di materializzare uno pseudolibro di cui, finora, solo le bambine mormoravano nei corridoi: il primo Color. Primo, perché l'intenzione è di farne degli altri, a patto che i lettori gradiscano questo; quindi, - per usare un'espressione da scrittori professionisti - se dice culo, ne vedremo solo un altro, e solo perché l'Editore sa che i capricci di Boselli ogni tanto vanno assecondati obtorto collo. Le prime leggende risalgono al Magazine del 2016; in quello del 2017 avremmo dovuto leggere le storie dedicate agli scrittori dell'orrore "pandampyriano"; invece nisba. Da allora, tanti rumors, soprattutto a casa mias, dinieghi ed insistenze, richieste e rimbrotti (in verità sempre da parte dello stesso utente che imperversa su tutti i forum). Alla fine, eccolo qua, per la gioia degli appassionati di Narcos. Lo volevamo? Da parte nostra, dobbiamo confessare una cosa: gli adattamenti/omaggi a fumetti di opere letterarie non ci fanno solo venire voglia di riscoprire gli originali, ma ci danno sempre l'impressione che gli originali siano meglio. Soprattutto se parliamo di questi autori. Lo possiamo dire? E diciamolo: a noi di Lovecraft (uno a caso), più che le invenzioni l'orrore cosmico e tutto il pesce, piace proprio la prosa, quel modo ansiogeno di descrivere le banalità. E di Buzzati? Idem. E di Poe? Id. E di Hodgson? Op.Cit. E così via. Il prodotto si presenta comunque come qualcosa di qualità superiore a ciò che l'Editore produce ormai abitualmente. Già nelle fazioni prepost abbiamo dei colpi di scena mica male: in un sol botto scopriamo su cosa si è laureato Boselli e veniamo a conoscenza di un suo libro pubblicato da una Università prestigiosa. Anni e anni a custodire dei segreti non sono stati sufficienti a mantere il riserbo. Ora sappiamo tutto. Il fumetto si basa sui presupposti della serie. Avevamo lasciato Ambrose Bierce parcheggiato al Teatro dei Passi Perduti, e qui lo ritroviamo, abbioccato su di un libro. Com'è noto, infatti, in questa serie i personaggi non possono leggere: quando ci provano, o vengono interrotti subito, o si appisolano di botto.  Ed ecco la novità di questo albo, che rompe finalmente questa tradizione ed è tutto una lettura di personaggi. Questo lo scopo del Prologo, che poteva pure essere disegnato da Dotti, o da Majo, non ci saremmo offesi, giuro. Come dicevamo, la differenza tra adattamento a fumetti e originale in prosa, se non è abissale, poco ci manca, e francamente, continuiamo a preferire sempre l'originale, specialmente se lo sceneggiatore non ha una prosa altrettanto robusta. Tra quelli proposti qui, solo Boselli ci si avvicina, o almeno ci prova. La prima storia è dedicata a Bierce e più o meno ne mantiene il mood, anche se ce lo ricordavamo un pelo più sarcastico. Fa il paio col primo Speciale Tex Willer: benché fosse dedicato ad altri autori, era pure quello ghost western e le atmosfere erano simili (e grosso modo, con l'orrore dell'ovest si finisce sempre lì, o coi mostri dei boschi). La seconda storia sconta l'essere il centomilionesimo fumetto dedicato ad HPL e l'essere sceneggiato da uno che non sceneggiava da anni. Divisa in modo quasi netto da una cesura interna, è sorretta perlopiù da un'arte sgradevolmente adeguata, ma per i nostri gusti, dopo un inizio interessante, la seconda metà sfocia eccessivamente nel caricaturale di mostriciattoli e dialoghi hollywoodiani. Della prosa stitico-torrenziale di HP non v'è traccia. La terza storia, l'unica coi personaggi della serie (Harlan e Draka) è praticamente uno di quegli episodi turistico-promozionali col solito finto spettro nella location italiana di turno. C'è Poe perché il mese dopo esce Zagor+ con l'Agente Raven (oppure perché Poe è come HPL: che fai, non ce ne metti un poe?). Resta un dubbio: quante se ne è scopate Draka? Forse "Roccabruna" non è un toponimo. La quarta storia è la più sorprendente, grazie all'arte "sandmaniana" del Scibilia superstite. Zeppa di vignette ariose e immersive, ci ha fatti entrare nel racconto, lasciandoci soddisfatti. Certo, la storia soffre di quel modernismo tipico di chi vuole fare giustizia sociale a secoli di distanza, e diciamo pure che Benson è certamente il meno famoso del gruppo, e diciamo pure che non è chiaro come ammazzi il non-morto omofobo (con la mazza? oh oh oh!). Ma per una volta possiamo soffiarci nei pugni, diciamo. Tocca poi a Buzzati, uno di quegli autori che amiamo soprattutto per come scrivono. Lo sceneggiatore si sforza persino di fare un racconto illustrato (dev'essere la moda del momento), con tutte le didascalie battute a macchina dal letterista, ma insomma, la differenza si vede, dai. La storia è buona, ma non ci ricordiamo da dove è copiata (nessuno è perfetto, si è capito), sicuramente l'abbiamo già letta da qualche parte. L'ultima, dedicata a Hodgson, che di nome faceva Hope, a dimostrazione che non sempre nomen omen, è complessivamente la migliore del volume, la più completa, come convergenza di testi, disegni, colori, omaggio all'autore e referenze storico-geografiche. Pure questa, in parte, l'avevamo già letta (il Mar dei Sargassi), essendo uno dei pallini di Boselli, che l'aveva già proposta su Zagor, ma il finale ci è parso felice quanto basta per farcela sembrare nuova e soddisfacente. Più deludente l'Epilogo, che si conclude come l'Almanacco del Mystero 2005 (che però finiva nella monnezza, prefigurativamente possiamo dire). Quali riferimenti compaiono nella doppia pagina tuffantesi nell'acqua (splash)? Al volo riconosciamo solo il bacarozzo e i gatti. Per concludere: è davvero questo che vogliamo da una serie un tempo capace di proporre Transylvanian Express e American Museum? Forse è ciò che la serie è capace di proporre, oggi. Se poi rivogliamo gli albi vecchi, essi sono sempre lì, nella nostra Biblioteca di Babbei. Salvo traslochi imprevisti.  

Dampyr #257/258: Messico & sangue/Dottor Dolore (Giusfredi/Dal Campo) 

Soddisfatte, con il Color, quelle quattro comari del pubblico dampyriano che ancora leggono i libri, è tempo di assecondare finalmente i desideri della maggioranza. Il co-curatore della serie è, al contempo, un vero fan della stessa, e ricorda benissimo episodi ancestrali quali il #4 e il #11, dei quali ci propone il seguito in rifacimento. Ecco, allora, la vera storia di Bobby Quintana, nel Messico tanto caro a Tex e a Boselli, con gli ammiccamenti alle serie tv più fighe... "Ricordate?", sembra ammonirci Giusfredi, "fin dai suoi esordi, Dampyr non era solo libri ingombranti e anziani bacucchi". Che, poi, diciamocelo, 'sti libri sono soltanto un impiccio tra un trasloco e l'altro... Per tacere di come Harlan li maneggi sempre senza lavarsi le mani. Ma dicevamo di Quintana: eccolo ritrovare il suo vecchio mentore, il poliziotto cattivo John Dern, ora non-morto boss del narcotraffico (#92) su libro paga della Temsek (#209), vampirizzato da Bugsy Siegel (#112), arruolato da Ixtlàn (#58/59), sorvegliato dai non-morti cowboys dei #28/29 (o loro amici), alleato suo malgrado di Nemech (#11), per conto di Marsden (#254), combattuto da Harlan Draka (#1), il dampyr (#2), figlio di Pdor della dinastia dei Kmer, con Jim Pajella (#231), che rischia di morire nuovamente (#200). Ma dove sono Ann Jurging, Tesla Dubcek ed Emil Kurjak? Purtroppo, come si suol dire, "questo deserto è troppo piccolo per tutti e duecento".   
L'intero primo albo è dedicato al passato tormentato di Quintana: d'altronde, Bierce, Lovecraft, Giovanni Papini, Amintore Cicibuozzi e tutta la cumpa di professoroni vanno bene una tantum, non si può sempre essere colti. Il vedere i luoghi tipici di Tex, ma ai giorni nostri, nello stesso degrado di duecento anni prima, corrobora la generale impressione di malinconia. Il secondo albo è a sorpresa: non solo esiste (non si sapeva che sarebbe stata una storia doppia), ma è pure in continuity. Tutto il cucuzzaro messo in piedi da Doctor Pain (ora non-morto), ha, infatti, un preciso scopo: riportare Marsden in piena forma, grazie ai bagni nel sangue di puttane mulatte (Sho-Huan era dandy, non poteva immaginare). Tutte quelle sedute di binge watching dei canali streaming sono servite a qualcosa, allora, e lo sceneggiatore riesce ad arrivare alla sequenza rivelatrice senza far sospettare nulla (giocando anche sull'"effetto filler", certo, conscio come il lettore scafato abbia da tempo rinunziato ad ogni forma di aspettativa da questo fumetto). Così, quando Marsden s'ingigantisce e mostra i pettorali, c'è persino un moto di interesse nel seguire le pagine. Naturalmente con due pallottole fugge via, ma insomma, adesso è davvero tornato ad essere un villain temibile. Tutto è dunque apparecchiato per lo scontro finale, che, forse, vedremo in occasione dell'uscita del terzo film (che nel BCU seguirà Little Ranger: The Invincible e Morgan Lost: Roseblonde and the Owl Fog). Il disegnatore, da par suo, dà sempre l'impressione di migliorare prova dopo prova, pur non notando cambiamenti significativi tra l'una e l'altra, se non per l'abietta consuetudine - suggerita dallo scrittore - di dare volti di attori famosi anche alle comparse. Il titolo della prima puntata ha la E commerciale soltanto nel fumetto, per non confonderci al momento dell'acquisto.

Dampyr #259: L'Occhio dell'Inferno (Boselli-Febbrari/Majo-Viotti)

Rubrica scorratamente politichetta, con un libro di un amico dedicato più ai donni che alle uomine, e la riabilitazione postuma del nazista Strobl in barba ad ogni cultura della cancellazione (per il comunista Murry, però, non c'è proprio speranza). Soggettone epico ancestrale, vertigine della lista di Maestri, ma di chi è? E' un vecchio appunto di Boselli, che non c'aveva più voglia o tempo di sceneggiare, preso com'è ad umiliare tutti parlando di indiani e cowboy, o è l'esordio di un tizio di cui, francamente, non ci ricordavamo più (è quello di Full Moon Project)? Proprio oggi ci siamo recati, dopo anni, sul nostro vecchio luogo di lavoro e abbiamo salutato un paio di ex colleghe: sulle prime si sono chieste chi fosse questo importuno salutatore, ma poi siamo stati riconosciuti (colpevoli, presumiamo, nonché) utili ad un breve cincischiamento riguardo al più e al meno. L'effetto, leggendo il fumetto, è grossomodo il medesimo: l'albo avrebbe un sacco di cose da dirci, ma proprio tante, e noi moriamo dalla voglia di sapere tutto della famiglia dei Maestri della Notte, da dove vengono, quando sono venuti e perché, quando tornano a casa loro, come campano, come stanno di salute, le opinioni politiche, eccetera; ma alla fine prevalgono imbarazzo e pudore, e le poche rivelazioni vengono distillate con parsimonia, dopo essere state cavate con fatica e insolente insistenza. La trama della Maestra che si traveste da vecchia e finge di cercare il McGuffin che già possiede, e muore dal desiderio... di raccontare la sua Storia e gloria, tradisce tutto questo. Che possiamo dire? Siamo di quelli che si imbarazzano dinanzi all'imbarazzo altrui, per cui basta dirci "Iram dalle mille colonne" che ci avete conquistati. Poi ci sono i Templari, l'oggetto che spia i multiversi che è praticamente l'Aleph (e che siamo, capricornuti?), le Maestre bambine che saltellano per i prati sotto lo sguardo di zio Draka e zio Vurdy che fumano le sighe (non si vede, ma c'è anche Marsden con la frangetta, all'angolino con lo sguardo rivolto a terra), il saggio Dagdampyrix e le sue mirabolanti invenzioni, Azara la zorella di Zio, mentre Vassago, vestito da Palpatine, tradisce tutta la stanchezza di un ciclo - quello con Racoszy, che qui non appare - che si protrae ormai da 4 storie su 270 (ma ci piace vedere il demone nei panni dell'inquisitore). E Harlan Draka e le altre comari? Beh, non sapendo che fare, dampyr si rifugia dalla zia, che in cambio ha subito un favore da chiedergli: come possiamo non riconoscervici? Mentre Kurjak, da buon lettore di Martin Mystère, ci ricorda quanto siano insostenibili due pagine di nozioni colte. Come se tutto questo non fosse già abbastanza, le prime 7 pagine sono firmate nientepoppedimeno che da Majo, giacenze di chissà quale avventura abortita, e non sono nemmeno le pagine migliori dell'artista, ma solo il vederle ci allieta. L'altro artista, invece, sembra aver abbandonato lo stickerismo per un ritorno al fotorealismo: se questo avvantaggia i primi piani, nei quali i personaggi appaiono davvero plausibili, dall'altro lato toglie dinamismo e fluidità alle scene d'azione, che tuttavia non ci sono, giacché dall'inizio alla fine è una chiacchiera continua. E per una volta Harlan non ha obbedito a Caleb, peraltro ignaro di Azara fino ad oggi: vediamo di non far fare a tutto questo la fine dei dampyr preTaliesin (abortiti come il soggetto originale). Ma adesso, sotto con un altro riempitivo sparatutto: di quelli non ne abbiamo mai abbastanza. 

Dampyr Special #17: Il Codice Ferrucci (Burattini/F.Russo)

Seconda incursione dell'ex-socio del Bos, anche questa - dopo quella sciocchezza di Dante - ispirata da Guido Martina, i cui paperi, una volta, hanno citato la cosa di "Maramaldo! Tu uccidi un uomo morto!"; siamo già in attesa della storia su Rodomonte e Lucrezia Borgia (maschio). I tantissimi lettori speciali di Zagor sanno bene come l'autore del detective dell'impossibile ottocentesco, Campione Terrestre dalla cultura sterminata che si muove quotidianamente fra Atlantidi e basi governative strampalate, sia un dotto professore dal forbito eloquio e dall'arguzia ardita e iconoclasta. Così Boselli ci presenta il suo amico, il biprof. tridott. che ha il nome storpiato nel fumetto, come Peter Quarky; mentre Burattini, quello che li ha fatti incontrare, indovina tutte le risposte dei quiz alla tv. Il lettore occasionale (dell'autore in questione) è giustamente sedotto dalle malìe dei modismi burattiniani, tra copincolla di enciclopedie online e cineserie mysteriane, quest'ultime capaci di sobillare il lecito rancore verso il Martin Mystère duemillenaresco, che fa i refusi anche copiando. Il lettore che di Burattini ha invece letto e digerito (più o meno) più di cento storie suda freddo quando si appresta alla lettura (si fa per dire, naturalmente: è lo stesso lettore che ha letto tutti gli albi di Falco e Cajelli), e nemmeno la sbarazzina introduzione con la poesia riesce a stemperare l'inquietudine, pur intenerendo quanto basta. E invece l'albo riesce a tenere abbastanza, sbracando soltanto nell'inserimento dell'inutile mostro ringhiante, loffio rimando all'unico elemento secondario di Transylvanian Express (la cineseria mysteriana, appunto). I disegni da Martin Mystère dei tempi bronzei aiutano a tenersi svegli. Eppure, ad albo chiuso, nonostante Draka finto cospiratore, i flashback storico-romanzeschi, il collegamento sagace tra toscani e turchi, l'analisi politologica del centrodestra (la fronda estremista della fronda secessionista dei Lupi Azzurri), divagazioni nozionistiche come non ci fosse un domani, rimane un senso di freddezza, come di un personaggio che deve farci sapere in più occasioni che quelli di fronte a lui sono sotterranei di un castello. Il poeta Joe Gould avrebbe detto: "certi personaggi dovrebbero essere investiti da un camion".

Dampyr #260: La storia di Jack Lantern (Venanzetti/Cropera)

Halloween! Ma è già passato! Vabbè, tanto il film non è pronto. Ecco allora il riempitivo dedicato al simbolo della festa. In questa reinterpretazione, che ci sembra di avere già visto in un qualche telefilm americano (o forse è l'albo che ci sembra la puntata di un telefilm americano), egli è un prestigiatore ottocentesco, di quelli che facevano i trucchi con le lanterne, indebitato con una demonessa che lo trasforma in una zucca vuota, dunque davvero difficile da combattere. Il tutto sullo sfondo dell'Irlanda, con tutti gli ingredienti cotti a puntino: la nebbia, il mare in tempesta, i chiaroscuri, i graffiti, le anticaglie, il museo, Myers, Velluto Blu, Moonlight Shadow, the trees that whisper in the evening, carried away by eccetera. E non manca lo scherzetto: la demonessa è infatti una druida negromante, e quindi l'albo è il seguito del #213, e di questi tizi potrebbero essercene altri, così anche gli anni prossimi sono coperti. Eppure qualcosa non funziona: di dolci non abbiamo voglia, lo scherzo non ci fa sobbalzare. Che succede? Siamo appagati, siamo molli? E se fossimo noi, i morti? Gli autori non sembrano avere colpa di questo, peeròò, chissà, magari con un albo più originale... Certo, il disegnatore non riesce più a disegnare un albo di Boselli, e questo ci dispiace. Ah già, dimenticavamo: e Harlan? Beh, "he was caught in the middle of a desperate fight", mentre la vecchiaccia "couldn't find how to push through" e "all she saw was a silhouette of a gun"...

Dampyr #261: Opera mortale (Boselli-Falco/Delladio)

Per chiudere in bellezza l'annata, non c'è nulla di meglio di un albo dedicato a una delle tante cose che non sopportiamo: la lirica. Come direbbero a Roma: "meno male che se n'è annata". Certo, amiamo molto capolavori indiscussi quali Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina, Paper-Damès e Celest'Aida, Paperin Caramba y Carmen Olè, Paperina Butterfly, Papero Meo e Gioietta Paperina (ma che c'entra questa? Semmai Pamino Paperino), e ci fa sempre molto ridere "Fierundfierziste Strasse" di Castelli e Alessandrini; ma ecco, oltre a questo non possiamo (né vogliamo) andare. Ma Boselli ce l'aveva detto, nel #54, che la cosa non sarebbe finita lì, salvo poi lasciarci crogiolare per 207 numeri nella speranza di una precoce rimbambìa. Che sciocchi: Boselli certe cose se le lega al dito, come ben sa chi vi interloquisce nei forums. E così ecco il secondo albo melomane, e meno male che ha le mele in mano e non ha tempo di sceneggiarlo, così lo appioppa allo stagista regolarizzato. Astuto, costui lo spaccia per un episodio del filone praghese, e ne fa il seguito del #191, riproponendo Rubicante, quel tipo che a parer nostro avrebbe potuto sostituire Nikolaus a suo tempo - col senno di poi, una volta tanto siamo lieti di aver avuto torto - ma tirando in ballo Von Henzig, per rimescolare le carte: come non manca di sottolineare Pippo Kurjak, quando è presente il Maestro cinefilo, i ruoli tradizionali sono invertiti; e, se per Natalina Tesla ciò non rappresenta un problema eccessivo, Don Harlaneo soffre sempre un poco nel dover aiutare i suoi cento milioni di amici, magari collaborando con persone per bene. L'episodio è volutamente molto leggero, le Operette parodiate sono quelle 4 famose anticipate dalla rubrica, e tutta la sarabanda di comparse (l'irreprensibile antinazista Nikolaus, poi Savnok, Ljuba, Nicholas, Bierce, Saugrènes, Casanova, i due vecchi spok, Bozena, persino il barista, e c'è pure un certo Jorge che NESSUNO ricorda chi cazzo sia) ha il solo scopo di aumentare la dodecanonica cacofonia, per un albo che si rivela essere più comico che orrorifico: le scenette con i non-morti imparruccati sterminati a pacchi, e subito rimpiazzati a cottimo nella sceneggiata successiva, appaiono decisamente umoristiche, e più che un fumetto colto sembra di leggere una barzelletta (ci sono un egiziano tedesco, uno spagnolo francese e un irlandese ceco). Meglio questo o i riempitivi sparatutto depressoni? Per rispondere dovremmo riaccendere il cervello, troppo sbatti. C'è da dire che la scoperta conclusiva - non è che i piani di Von Henzig falliscono sempre e lui viene sempre ferito gravemente perché è debole, è che lui si diverte così - getta una luce depressona anche su questo personaggio (e già il fatto che abbia lasciato il cinema per la lirica doveva suggerirci qualcosa). L'artista ha il cognome che sembra una bestemmia, poraccio, ma la sua arte è in linea con la storia, nel bene (inizio) come nel male (fine).

Dampyr #262: Schiavi del Krokodil (Barzi/Ambu)

Fumetto tradizional-riempitivo, che alla sinossi di internet e preview varie aggiunge soltanto dei disegni godibili e gradevolmente nevosi, in cui l'artista rubacchia trucchi del mestiere a vari colleghi (Giardo e Luca Rossi i più evidenti). Il trucco del mestiere più efficace, però, è quello del curatore della serie, che nel primo albo inutile dell'anno piazza una pagina della "posta" vecchio stile, in cui recensisce libri di amici, ringrazia lettere sbrodolanti, sciorina chicche letterarie e manifesta tutto il suo entusiasmo per tutto ciò che non concerne Dampyr. E magari non l'ha scritta manco lui, ma il suo vice! La lettura di questa paginetta ci ha bendisposti al punto da considerare un pregio, e non un difetto, l'aggancio del fumetto con i #123/124, che ad ogni menzione rimuoviamo sempre più dalla mente: il Maestro Qeratu non ce lo ricordavamo proprio, ma ciò non ci è apparso affatto un problema, dato che, a questo punto, di quegli albi abbiamo scordato tutto lo scordabile ("peggio di così c'è solo la morte"). E diamo atto a Barzi ("grande autore" di raffinati giochi letterari, mica di tisane al frassino) d'essersi documentato sugli ingredienti tipici della serie: i fratellini suicidi, i nomi strani di Paesi tristi, l'attualità (l'oleodotto), gli amici pronti all'uso ("Arno, che ci fai qui?"), i buoni alleati con i criminali contro i buoni incattiviti dai supercattivi già morti. E il krokodil come fa? Non c'è nessuno che lo sa, la spiegazione è molto stringata. Ma da schiavi del FrankoVil non possiamo certo lamentarci. Ah, l'intero episodio - non solo il prologo - è ambientato prima del novembre 2020, perché poi la guerra azera è finita, accidenti. 

Dampyr #263: La collana di Bhangarh (Piani/Delladio)

A soli due mesi di distanza, torna l'artista, e ci sembra già migliorato: tratto pulito, solido, begli sfondi. Ma magari questo lo ha disegnato prima del precedente. A un solo mese di distanza, invece, torna il riempitivo. Le anteprime per il 2022 ce lo avevano preannunciato: questa sarà un'annata di cultura e sconvolgimenti; solo che, in Bonelli, le annate iniziano a metà anno. Inoltre il "caso Krokovil" ha creato un epocale precedente: e se le giacenze invecchiano troppo? Meglio smaltirle il prima possibile, dunque. Dei mercenari guerrafondai non ci si può fidare. Il fumetto vuole essere memorabile: per la prima volta, conduce Harlan (e solo lui, i voli costano) in India, come suggerisce, appena percettibilmente, la bella copertina. Casus belli è Maud Nightndale, o come si chiama, invitata ad un convegno sulla medianicità tra i danzatori nel fango. Nel mondo verosimile di Dampyr, infatti, queste attività sono ampiamente riconosciute, alla faccia del Csicop. D'altronde, come si dice, "se pago le tasse, posso fare quello che voglio". Ne è passata di acqua sotto i ponti, dai sorprendenti esordi dei cacciatori di fantasmi nei #35 e #55, e l'autore esperto sa che uno non può sorprendersi tutte le volte, ecco perché le indagini dei ghost hunters, successivamente, si sono fatte sempre più piatte e grossolane. Piani è certamente un autore esperto. Il fumetto turistico-promozionale è uno dei filoni più amati della serie, e Piani è bravo ad evitarci stereotipi quali i balletti e le gag sulle mucche (inoltre, pur trovandoci a Calcutta, nessuno menziona Madre Teresa). Tuttavia, gli imprevisti sono considerati tali in quanto imprevedibili. Succede, allora, che a noi, tutto questo, non interessa nel modo più assoluto. E che ad ogni singola pagina, in ogni singola vignetta, la nostra mente, posseduta dallo spettro della noia, si ritrova ad esclamare: "Ma a me cosa importa di questa cosa?". Dopo molto molto molto molto, molto tempo, ci ritroviamo, così, a leggere un albo con l'"avanti veloce", cercando di concluderlo prima che la voglia di lasciarlo incompleto prenda il sopravvento. Ma neppure in questa occasione siamo riusciti a fare gli indiani: quando, alla fine, la collana mcguffin ha "liberato i fantasmi", il ricordo di Supernatural si è automaticamente ridestato. Perché in quella serie, la struttura fisico-sociale del soprannaturale era ben chiara, il funzionamento dell'essere fantasma aveva delle precise connotazioni; qui, invece, i fantasmi vengono "liberati" e non si sa dove finiscano (e non è una prima volta; era già accaduto nel #213). Insomma, ogni tanto sonnecchia anche il buon Omero; noi, che non siamo nemmeno Nobel, ci siamo fatti proprio una bella ronfata. 

Dampyr #264: Cuori di tenebra (Mignacco/Lozzi)

Essendo esaurite le idee originali, da qualche tempo diversi Maestri defunti sono tornati in flashback, col dichiarato proposito di acchiappare i gonzi di "mipiace". Stavolta tocca a Omulù, morto nel #7, ventidue anni fa, ai tempi del simpatico Putin, ritirare la pensione. Lo ritroviamo in una generica giungla in una generica metà Ottocento: la caratteristica che lo contraddistingueva dai colleghi, il nomadismo, è solo accennata; in compenso, possiamo saggiarne il deciso e risoluto anti-razzismo e il radicale anti-schiavismo. Senza indulgere più di venti pagine, mostrandoci la cruda realtà delle lotte fratricide africane, Mignacco riesce a rendere al meglio le analogie con i nostri tempi; anzi, a prevederli, dato che la sceneggiatura non dovrebbe essere stata stesa in presa diretta. Zelensky, telefona a Mignacco. Le restanti ottanta pagine non possono fare altro che tirare in ballo i protagonisti della serie, come richiesto dal contratto. Ecco, allora, che nella generica giungla si cela un generico giacimento di generiche risorse, di cui un generico finto buono vuole impadronirsi, con l'ausilio di generici soldati africani. Ed ecco che i non-morti di Omulù, divenuti stanziali, si rivelano essere solo in apparenza i nemici da abbattere; contro ogni aspettativa (quella in cui si è messo il lettore positivo), sono invece loro i provvidenziali alleati di Arlan Tezla e Curgiac, una volta tanto felici di dover lasciare in vita un malvagio redento. Trattando di guerra, la figura di Aemjl Curgiac deve necessariamente risaltare più delle altre: assolutamente fondamentale è la lunga sequenza in cui il Nostro picchia il soldato per restituire il pallone al piccino povero. Sarà proprio la consapevolezza di dover preservare lo status quo del bimbo e del suo villaggio di straccioni, consci che sono i mostri a proteggerli, a condurre Arlan Draca alla scelta più giusta. Lo stile di Lozzi, è risaputo, ci piace molto; è altrettanto notorio, tuttavia, il suo altalenarsi tra alta precisione e fisionomie discutibili. E quindi, se già lo sapete, non lo scriviamo. Il saggio capo dei non-morti ha il volto di Morgan Freeman: un ulteriore tocco di realismo e verosimiglianza, in un fumetto dai dialoghi secchi e documentaristici, che ne fanno un vero e proprio riportaggio. Conrad ne sarebbe fiero. Conrad, pure.

Dampyr #265: Anime di cera (Contro/Avogadro)

Onde evitare di passare immediatamente da un riempitivo squallido alla saga-evento e causare sbalzi ormonali imprevisti ai morti non-lettori, i russi (i lettori assopiti dagli ultimi albi) hackerano la curatela della testata e vi infilano il curatore de Le Storie, che si appropria anche della rubrica. Ne viene fuori un riempitivo leggermente più leggibile del solito, non tanto nel soggetto - che mantiene una buona dose di dozzinalità, come spiega lo stesso autore - quanto nell'esposizione e nel montaggio, decisamente privi di tempi morti (tant'è che i personaggi vi scherzano sopra, in una delle rare chiacchierate attorno al tavolo). E' una conferma delle doti dello sceneggiatore, già manifeste nei suoi tre episodi realizzati per Le Storie, ma è una conferma anche di una certa scarsità di fantasia. Eppure il primo albo che realizzò fu proprio un horror gotico, che nella nostra testa fu registrato come "molto riuscito"; ma può darsi che il T9 mise lo zampino nella registrazione. Sul momento, l'albo si legge fluentemente, tenuto in piedi da un vago interesse per l'apparente ritorno alle origini: nei primi albi, infatti, non tutti i casi soprannaturali avevano necessariamente un'origine vampiresca, e così pareva essere - finalmente - anche in questo caso. E invece no: proprio alla fine, veniamo a sapere che dietro a Zumbo c'era Racoszy. Con tutte le perplessità che ciò mena seco: se nel teschio c'era il fluido del Maestro, perché Dampyr non lo ha avvertito (come ha tenuto ad evidenziare a più riprese)? E perché alla fine lo avverte? Se invece non c'era nulla, e Racoszy era solo un mandante morale, perché alla fine lo avverte? La sensazione è che, proprio sul più bello, il curatore effettivo della serie abbia ripreso il Contro(llo) e ridimensionato l'intruso. Quanto a Sanna, lo troviamo a Firenze: per fare un dispetto a Sophie, volata a Sidney non si sa a fare cosa, ha scambiato la sua casa in Sardegna con un collega e ne ha approfittato per presentare alla cittadinanza (tra cui Boz, che pur di non curare Dampyr fa il globetrotter) il suo libro dedicato alla necrofilia, sua grande passione al punto da spaventarsi per ogni cosa durante l'avventura che consegue alla coincidenza. Le sue fisime continuano a farci sorridere, ma ormai sembra essersi rassegnato all'esistenza di Harlan e alle sue sciocchezze per disoccupati. L'artista, probabilmente l'unico a piacerci pur non piacendoci, ha fatto di meglio nelle diecimila testate su cui ha lavorato. Probabilmente, vinto dall'emozione dell'esordio, e interpretando alla lettera una sceneggiatura basata su aberrazioni grottesche, ha conferito a tutti anatomie bomarziane. La qual cosa, se il fumetto fosse un film, ci divertirebbe pure; ma diciamocelo, è più probabile lo scoppio della WWIII che l'uscita di un film su Dampyr. Vogliamo comunque esprimere la nostra simpatia per il libro di testo letto da Harlan in aereo (tipica produzione da area free tax) e per il condominio degli autori di Lazarus Ledd, poi divenuti tutti dampyriani. E per le due pagine a tinte forti (nel senso di "in ombra"), mentre altri effetti truculenti sono stati un po' smorzati dal perenne bianco-grigetto.

Dampyr #266: Nel nome del figlio (Boselli/L.Rossi,Andreucci) [Le Origini 1di4]

Alleluja! Campane a festa pasqualine! Rullano i 'mbuti! Finalmente il film di Dampyr non è uscito! Ma non è che possiamo aspettarlo in eterno, Boselli ha quasi 70 anni... E allora ecco la famigerata e pluriannunciata miniserie che doveva accompagnarlo, anzitempo e piuttostocheno! Lo diciamo subito, onde evitare di essere considerati putiniani: qualunque cosa diversa dalla solita minestra riempitiva è ben accetta. E così, anche un riassunto per il pubblico del cinematografo, rimasto estasiato dal film, è grasso che cola, e noi nel lardo intingiamo il pane e facciamo anche la scarpetta. Ma c'è un pri qua pro: che film ha visto, questa gente? Forse Dottor Mystère nel multiverso dell'apatia. E quindi, cosa capisce, di questa prima puntata? Certo, uno spettatore di Mystère è abituato a non capire. Quello dampyriano, invece, si ricorda tutte le storie, e qui ne ritrova parecchie, tutte ripercorse con dovizia di particolari. Si parte dal #241, si passa per una carrellata veloce sui #52/53, #93/94 e tutte quelle drakesche, si sfiora sfuggevolmente i #21/22 e si giunge inopinatamente al #51. Tutte belle storie che è bello veder menzionate, così da non doverle rileggerle per intero. Ma al lettore affezionato la vicenda era stata venduta come inedito dietro le quinte, e qui siamo solo alle prime. Insomma, per quale motivo Draka ha scelto proprio Fortunata e Velma? Boh, così. Si è innamorato di quelle pecorine e non di altre (d'altronde, perché Heidi ha scelto proprio Bianchina? - Non citiamo Heidi a caso, nell'albo compare un Petar). Cosa ha spinto Draka a voler concepire un figlio? Boh, curiosità. Poi ha cambiato idea. Poi l'ha cambiata ancora. Poi si è pentito. Poi si è pentito del pentimento. Come un padre qualunque. Com'è nato Harlan Draka? Scopando, che domande. Sua madre era una figura positiva e mistica, quasi mariana, come è stato suggerito fino ad oggi? No, era una sgualdrina zotica, con tendenze ninfomani. Il concepimento è stato un evento cosmico, legato ad archetipi della mitologia e a particolari simmetrie narrative e panteiste, rivestite di carica prefigurativa in relazione ad eventi futuri ma già noti al lettore, oppure, chissà, ancora da scoprire? No, hanno provato tutte le posizioni per mesi e mesi, e alla fine è capitato. Per quale motivo Zie Moire hanno rapito il piccolo Harlan? Forse per i motivi esposti nel #51 e in un paio di altri? Sì, proprio per quelli. Che fine hanno fatto i non-morti di Roccabruna? Sono rimasti a Roccabruna, poi sono morti. Che ruolo ha svolto Draka ai tempi della WWII? Stava coi buoni. Che fine ha fatto il padre di Velma? Morto sparato. E il fratello? ...e con questo retroscena inedito, non possiamo che aspettarci grandi cose dal prosieguo. Anche dalla cornice narrativa, che di certo non può esaurirsi con tre amici al bar che volevano cambiare il mondo (non il loro, naturalmente). E che c'azzecca il fotografo? Ma ribadiamo la nostra stima per il simpatico, sagace, brillante, romantico, generoso, socievole, leale, stiloso, anarchico, amabile, colto, raffinato, galante, indomabile, premuroso, ricco, astuto, potente e fondamentale Nikolaus (cioè Nicola, cioè Babbo Natale), vero eroe della serie, che potrebbe concluderla in qualunque momento schioccando le dita. Arte di punta, ove la parte del leone la fa il ritornante Andreucci, ancora in piena sintonia con i personaggi e le atmosfere della serie, e quindi da non tenere in squadra assolutamente. Mentre Rossi, non a suo agio con cavalli e cowboys, dobbiamo tenercelo per forza, costretti a godere dei suoi disegni sempre efficaci e intriganti.

Dampyr #267: Ritorno a Yorvolak (Boselli/L.Rossi,Majo,Dotti) [Le Origini 2di4]

Continua la rinarrazione della Life & Times of Harlan McDuck, ripartendo da dove eravamo rifiniti nella puntata precedente. E così capiamo il motivo dell'utilizzo randomico dei disegnatori. Conclusi gli eventi del #51, il giovane Harlan, come sappiamo dal #45, decise di andarsene a Londra a fare quel che fanno tutti gli stranieri in visita in quella città; no, non bere il té e guardare le partite di calcio. Scopriamo che il giovane Angus Og, detto Marsden per i lettori più disattenti, sentì puzza di dampyr, ma non riuscì a rintracciare il nostro in quanto turlupinato dal rivale (ma allora non nemico giurato), il giovane Draka, che gli fece credere di stare cercando il dampyr mentre in realtà se ne stava in panciolle. Se lo sapesse Brunetta. Buggerato, Marsden, per i lettori distratti Lord Marsden, fece indigestione di bombette e minacciò di vendicarsi, ma questa è un'altra storia. La parentesi londinese si rivela essere relativamente breve e spicca prevalentemente per l'immagine sporcacciona di Harlan, tutto canne e naturismo e capelli lunghi. La sceneggiata della fidanzatina fu una recita indotta dal babbo retrogrado dello scapestrato, ma questa non è una rivelazione così eclatante, in fondo, sebbene Elton John sia venuto apposta a Milano per poterla leggere. Né appare degno di nota il fatto che, nella sequenza originale del #45 qui ripresa, la tipa avesse un abito diverso o che dampyr non avesse gironzolato pene all'aria. Colpisce di più sapere che Harlan, a questo punto, girò il mondo, sulla spalla il sacchetto legato al legnetto e in tasca pochi Pences (o Corone, o centesimi americani, non importa, è un fumetto). Il nostro afferma di aver voluto "tornare in Nepal", come se ci fosse già stato prima, e poi di essere stato "dal Messico all'Austria", forse per inseguire il tesoro tanto caro a Boselli (già fatto trovare sia a Zagor che a Tex); a meno che non fossero fanfaronate tipo "dal Manzanarre al Reno". Siccome la miniserie si occupa del passato del protagonista, e questi viaggi non ci sono mai stati raccontati, per quale motivo dobbiamo aspettare di vederli approfonditi proprio ora? Torniamo, invece, a Yorvolak, ché la guerra - ormai lo sappiamo - non aspetta i comodi nostri, accidenti a lei. L'editoriale aveva messo le mani avanti, spiegandoci come tutto questo non sia affatto da intendersi come un reboot, quanto piuttosto come una riscrittura di eventi già noti. La differenza è che, mentre un reboot rebootta, una riscrittura non bootta via noolla. Così, tutti gli eventi a cui assistiamo sono gli stessi già visti nello Speciale #5 (il primo non-morto ucciso consapevolmente dall'eroe) e nel leggendario #1 della serie, il primo incontro con Kurjak e Tesla, fino all'avvento di Gorka, usato come cliffhanger. Di nuovo l'editoriale, però, ci aveva spiegato che, in questa riscrittura che non riscrive nulla, i nomi delle comparse slave sarebbero stati riscritti, e ci anticipa che nel prossimo episodio la città senza nome, in cui figure si aggiravano nella notte, sarà jevo. Per nostra fortuna, la nostra ignoranza, ancora una volta, ci è venuta in soccorso, salvandoci dalle prepotenze dei colti: in fondo, per noi, gli slavi sono tutti uguali e le città pure. Anche dopo vent'anni. Dopotutto, Kurjak si chiama ancora Kurjak, Tesla si chiama ancora Tesla, e Harlan Malovic si chiama Harlan Draka. Che altro dobbiamo sapere? Mica siamo Nikolaus, che ad ogni stacco dà del demente al protagonista, nel frattempo unitosi agli amici al bar. Sul fronte grafico, il curatore cala il tris d'assi. Ma le partite si vincono con quattro carte, ci sembra. L'impressione è che tutti e tre abbiano fatto di meglio, in passato. Ma proprio questa saga ci insegna che dei passati non possiamo sempre fidarci, per cui. Quel che è certo che, nel breve termine, non vedremo storie dedicate alla guerra in Ucraina, in quanto poi, tra vent'anni, dovrebbero essere aggiornate coi nomi veri. Quanto alla Siria, lo Yemen e il Tigrai, vabbè, adesso non mettiamo troppi paletti. La copertina, apparentemente bella, a distanza ravvicinata non è poi granché, e non si capisce perché la giacca di Harlan non proietti l'ombra come quella di Kurjak.    

Dampyr #268: Zona di guerra (Boselli/Dotti,L.Rossi,Genzianella) [Le Origini 3di4]

Titolo di attualità per un albo però concepito qualche anno fa: com'è possibile? Prefigurazione o portasfiga? Perché il Governo dei Minchioni tace? Forse perché acconsente? Ai superstiti l'ardua sentenza (ma siamo in Italia, che ci importa delle sentenze). Lo sceneggiatore ce lo aveva detto, che in questa miniserie avremmo scoperto retroscena inediti di eventi già accaduti. Nelle prime cinquanta pagine, dunque, rileggiamo gli eventi conclusivi del #1, con dialoghi del tutto differenti e con un'abbondanza di particolari che gettano nuova luce su angoli oscuri di quell'albo ingiallito e grossolano: ad esempio, finora sapevamo che Yuri era ricomparso, così, de botto, dinanzi al dampyr, vampirizzato, per poi essere sballottato da Gorka e infine ucciso da Harlan; ma come era giunto fin lì e come aveva potuto Gorka vampirizzarlo, se Yuri era fuori scena? Una ellisse narrativa fondamentale, che, diciamocelo, rovinava la lettura di un albo altrimenti forse anche godibile, sebbene non all'altezza dei capolavori odierni. Ora, finalmente, sappiamo che Yuri era andato sulla jeep coi miliziani coglioni e, unico superstite del massacro, era stato cooptato da Gorka; sappiamo anche, adesso, che non è stato esattamente "sballottato" (che razza di termine) prima di essere ucciso da Harlan. Aah, meglio della conclusione di un puzzle c'è solo l'incorniciare quel puzzle al muro. Questo volevamo, mica rivelazioni da feuilleton e l'apertura di nuove trame, magari - tsé - per rilanciare la testata.  Certo, qualcuno - non noi - potrebbe chiedersi come possa Harlan ricordare eventi a cui non era presente. Lo spiega lo stesso Harlan, ignorando le perculate di Nikolaus nell'unica paginetta-cornice di Rossi: lui ora ricorda eventi che prima non ricordava, e altri che ricordava li ha dimenticati. Martin Mystère, lo sappiamo, ha solo la seconda facoltà. Dylan Dog, invece, solo la prima. Nathan Never, dal canto suo, ricorda anche eventi mai accaduti, oltre a dimenticare gli accaduti, e spesso confonde realtà e fantasia. E se Morgan Lost ricorda molto Brendon, perché è scritto allo stesso modo, e Mister No ricorda solo le storie di Mignacco, Zagor, che non ha fatto neanche le elementari, ricorda ogni dettaglio degli ultimi sessant'anni, come Funès. Ecco allora che il nuovo potere di Harlan Draka appare come un coerente complemento dei recenti sviluppi bonelliani. A questo punto, però dovrebbe spiegarci come mai non ricordava nulla del primo dampyr, se già ne era stato informato. Ma insomma, tutto questo passa comunque in secondo piano nella seconda metà dell'albo, ove assistiamo alla seconda avventura del trio. E il secondo albo, il #2? No, quello Harlan non lo ricorda molto bene (dice pure che la città ha un nome), e glissa su tutte le dinamiche che lo hanno condotto a mozzicare Gorka. D'altronde, non è che adesso proprio tutte le ellissi debbano essere colmate. E poi, sennò doveva ricordarsi della biblioteca del padre, dei libri, e quindi di Amber e la continuità, eccetera. Ce la ricordiamo, no? Molto meglio l'avventura inedita di Genzianella, in cui i nostri salvano la vecchina e il marmocchio dai serbi cattivi (ma chi lo dice che sono serbi? In effetti nessuno, eppure siamo tutti atlantisti, qui). Un'avventura che il nostro potere di inventare i ricordi ci porta a considerare quella del film promozionato dalla miniserie.

Dampyr #269: Sangue stregato (Boselli/Genzianella,L.Rossi,Fortunato,Cropera) [Le Origini 4di4]

Si conclude la miniserie che non ha accompagnato l'uscita del film di Dampyr. Il cinema, come spiega anche il Color #2, è il fratello maggiore del fumetto, e quindi è troppo stanco per uscire, mentre il fumetto a casa si annoia, o comunque è infastidito dalla cagnara. Non è un problema: la prima metà dell'albo ci anticipa candidamente la trama del film, arricchendola di particolari che non avevamo notato, non avendo visto il film, non essendo uscito (tutto fila). Ad esempio, sembrava che il leader della resistenza fosse un transessuale, inserito per strizzare l'occhio alla minoranza del pubblico: e invece è una tobelija, una donna che si finge uomo, una usanza locale, che solo un bifolco oserebbe prendere in giro. Non solo: il titolo del film, "Dampyr", dava l'impressione che il dampyr ne fosse il protagonista; e invece questi è Tesla, la femminista e comunista Tesla, che agisce, impartisce ordini con cinica protervia, inganna il nemico e insulta gli amici a fini di sprone (caratteristiche, qui da noi, riconducibili a Calenda, ma si sa che l'Italia è strana). D'altronde, Harlan trascorre le cinquanta pagine a chiedere per cortesia di non uccidere i nemici che non è giusto perbacco, mentre Kurjak è già diventato il bonario bonaccione a cui è impossibile non voler bene (c'è il primo "fratellino", a toccarci il cuore). Con gran scherno di Hanrico Draketta, i buoni vincono e i cattivi sono divisi tra morti ed esiliati. Le numerose scene di nudo e violenza, invece, vengono riproposte pare pare, così come le perverse allusioni omo-e non solo-sessuali, per la gioia di chi non ha visto il film. Ma, in fondo, se Boselli fosse solo questo sarebbe Burattini, e invece è lui che manovra i fili. E così, dopo aver accontentato il pubblico generalista, a sorpresa tocca anche a quello che ha letto tutta la serie: la seconda metà dell'episodio, infatti, è tutta continuità e riflessioni oziose ed autoreferenziali su di essa, la gioia di qualunque lettore asociale. Si parte dalla conclusione del #2, con il recupero dei libri di Sarajevo (che vediamo in diretta) e si sorvolano i #3 e #5 (e di sfuggita il #4), con Amber e "io sono suo padre" e la letterina dell'angioletto etc., per ricomporre finalmente il percorso che portò alle origini della storia. E quindi il proposito con cui la miniserie ci era stata venduta si concretizza finalmente qui, nelle ultime cinquanta pagine della stessa. Da Harlan che si lamenta (ancora) di come, vent'anni prima, fosse stato usato a mo' di arma dal padre, e forse inizia a farsene una ragione, a Draka che spiega la differenza tra fare un figlio ed essere padre, passando per Caleb e Nikolaus che rievocano i bei tempi dello Speciale #4 e di Madame de Thèbe. Con le aggiunte di Arach adolescente nel mondo di Hyanis e dell'ancestrale incontro tra Camael e Angus Og, più la nota puntigliosa del numero di Maestri uccisi tra aprile 2000 e agosto 2022. Non è che avessimo chiesto molto a queste Origini, diciamocelo: ci bastavano queste piccole cose, e ci sono state date. Con trecentocinquantapagine di ritardo, ma ci sono state date. Persino il finale abborracciato è molto praghese, e l'arte è finalmente di livello alto e costante in tutti e quatto i segmenti. Accontentare tutti per educarne qualcuno, come diceva Mio Mao, o qualcosa del genere: il programma dell'"agenda Draka" è molto chiaro. Ma forse sarebbe meglio seguirne solo una parte. 

Dampyr Color #2: La Cineteca del Mistero: Prologo; Caduto dalla Luna; Doppelgänger; Dark Pinocchio; Incubo di Natale; Vampira; Epilogo (Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Boselli/P.Barbieri/col. P.Barbieri; Boselli/Longo/col. Pastorello; Giusfredi/Dal Lago-Delladio/col. Dal Lago-Pastorello; Giusfredi/Cropera/col. Pastorello; Boselli/Fortunato/col. Fortunato; Boselli/L.Rossi/col. Pastorello)  
 
Pubblicato prima del #269, ma da leggere dopo per non spezzare Le Origini, ma noi lo abbiamo letto prima, e quindi il premier si è offeso e dimesso. Maxi Dampyr #12 nella sua nuova veste editoriale mini e colorata. Dopo la letteratura, ecco il secondo filone dampyriano per antonomasia, la cimenatrogafia; se il terzo numero non sarà un excursus su tutte le guerre del mondo, ci offenderemo anche noi (anche se saremo già gravemente offesi dal nuovo governo). Ljuba, lo sapevamo, è ora una studentessa di Cinema, nonché percettrice del RDC, dato che non la vediamo mai studiare con profitto. Facciamo, dunque, la conoscenza del suo prof., Nomek Cognomek: da buon intellettuale praghese, il suo ruolo è quello del trasecolante scetticone, sballottato da buoni e cattivi da una perplessità all'altra. D'altronde, quando mai si è sentito che a Praga accadono eventi insoliti e bizzarri o omicidi insoluti? Noi, che intellettuali non siamo, trasecoliamo a nostra volta dinanzi alla clamorosa rivelazione che, dopo anni, ci lascia senza parole: Graf Von Henzig non è il nome, Graf vuol dire Conte (!1!). Sturm und Dragh! Noi pikkoli italianen ignoranten, noi solo mancia. E quindi come si chiama questo tizio? Non ce lo dikono. Giuseppi Henzig, comunque, ci mostra la sua cineteca mysteriosa: non poteva essere dell'orrore, quello lo dà il concetto di lettura; né dell'incubo, in quanto già prenotato; il mistero, invece, è un concetto mai usato dai fumetti bonelliani e possiamo usarlo senza problemi di opportunità. Il Prologo è questo qui, disegnato  con cenni di frettolosità oppure con uno stile che mal si adatta ad essere colorato (eppure su House of Mystery - ridagli - non era così). Caduto dalla Luna è il primo capolavoro di Musuraka che Henzig ci propone: c'è il solito Meliès che vive la favoletta onirica, con la guida di Araxe de Kercadiochegnocca e gli inevitabili rimandi al #221. Nulla di particolarmente elaborato, soprattutto per chi ha già visto il film recente che lo ha ispirato, cui è aggiunta solo la nota cartoonesca del Selenita fuggiasco, cui alla fine viene strappato il perizoma; è l'arte della guest prestigiosa ad elevare la lettura. Esilarante la gag in cui viene scovato il Selenita nascosto. Doppelgänger è la storia migliore del lotto, nonché l'unica dignitosamente dampyriana e coerente con il pregresso della testata: e comunque Nikolaus ci aveva accennato da tempo (forse dal #217, da cui proviene Yossele) al suo incontro con Wegener, il regista di Der Golem; e d'altronde non c'è nulla di più boselliano di un personaggio mezzo nazista mezzo anti. Dalla solita menata alla pedata nel cu: Dark Pinocchio è palesemente uno scarto del primo Color, essendo dedicato ad un personaggio di origine letteraria e non avendo nemmeno una implicazione con il mondo del Cinema. La riprova è che la rubrica di approfondimento non se ne vuole occupare. Si tratta, comunque, di una storiella dignitosa, tenuta in piedi da un'arte inusuale e curata e dalla presenza forzata del Tamagotchi, che ci ha divertito ed evocato buffi ricordi. Il finale è eccessivamente zuccheroso. Incubo di Natale è natalizia solo nel titolo e nella vaghissima evocazione dei soliti fantasmi dickensiani, in realtà Henzig (che si traveste pure da Musuraka) e scagnozzi, decisi a portare Ed Wood tra le loro fila. A differenza di Meliès, stavolta non abbiamo visto il biopic propedeutico, e le bizzarrie di Wood hanno avuto un sapore di relativa novità al nostro palato. Le nostre nozioni erano impa(l)late al Mister No scritto da Colombo che parodiava il gruppo di lavoro di Wood: Lugosi, Vampira, Tor Johnson, ecc. (come "chi è Colombo?"; arrivateci da soli, il colpevole lo sapete). Da un travestito all'altro, la carrellata si chiude con Vampira, dedicato alla prima "vamp" del Cinema, con la collaborazione delle sue colleghe travestite (appunto) e lesbiche. Il fumetto si apre con Henzig vestito da Fantomas, senza nessuna ragione: negli anni '20 ci si divertiva con poco, non come oggi. Più che la tizia, il protagonista è proprio Conte di Henzig (improvvisamente lo chiamano tutti così), che scopriamo avere avuto un lato sentimentale e sciupafemmine. Episodio non esattamente brillante, ma perlomeno interessante, almeno così ci piace pensare. La colorazione è opera dello stesso artista e dunque più integrata col disegno rispetto alle altre. Se non mastichiamo molto bene il tedesco, non vuol dire che col francese vada meglio, e così rimaniamo perplessi dinanzi all'accostamento tra lo "Chat Huant" e la civetta (o il gufo, boh, pure in ornitologia ci applichiamo tanto ma siamo stupidi). Il vero film girato da Henzig (ma non erano tutti di Musuraka?, decisamente siamo da rimandare a settembre) con la "vamp" sfora nell'Epilogo, in cui l'arcivampiro si mostra di persona personalmente a Harlanek e Mario Gerosek e sfila la pistola alla sua nemesi con una facilità imbarazzante, ma non lo uccide per non concludere la serie anzitempo, e quindi li spedisce nelle allucinazioni dei "cannibal movies" e del primo film coi fantasmi giapponesi, e poi racconta l'aneddoto dell'incontro tra Tod Browning e Musuraka, e uff quante pagine mancano?, vabbè, Beranek non uccide Dampyrek e crolla tutto e puff tutto svanisce e i nostri vanno tranquilli a farsi una birra. Oltre a Rossi, anche lo sceneggiatore deve aver lavorato con entusiasmo a questa cornice narrativa. Il tie-in tematico alla minisaga che fa da pubblicità al film di Dampyr si conclude così, con tanti elementi apparecchiati per un ulteriore esercizio di stile, da proporre tra un anno. Speriamo che Ljuba non passi l'esame.

Dampyr #270: Killer Hospital (Cavaletto/Ambu)

Riempitivo nell'accezione più pura del termine (c'è da far passare un mese tra un'infornata di Boselli e l'altra). Giacenza nell'accezione più pura del termine: fumetto "ambientato" nel 2017, ma "probabilmente" risalente a quel periodo; dopo il #262, è un altro episodio invecchiato precocemente a causa dei recenti mutamenti politici. Maledizione, pare che lo facciano apposta! Stavolta è il turno dei dannati russi, romperci le uova nel paniere dei prezzi abbattendo l'ospedale abbandonato di Hovrino nel 2018: avvertirci quattro anni fa, no eh? Questo Medvedev è davvero una peste. Peccato, perché lo sceneggiatore aveva previsto tutto il resto: d'altronde, che altro possono fare, i nostri eroi, quando un odioso mercenario del Donbass chiede aiuto, se non precipitarsi a dargli armi e uomini? Inizia, così, il solito film action horror contemporaneo, lo sparatutto coi mostri e i mafiosi e i casi umani, nell'edificio derelitto. Ma proprio il mercenario, il tizio del #206 che non ricorderemmo nemmeno se lo ricordassimo, conferisce alla storia una chiave di lettura secondaria, quando si scopre che la vittima corrotta era la sua figlioccia... questo conduce allo struggente finale - biaccato dei ruderi per essere ambientato al tempo corrente -... yawn... e questo è quanto. I cattivi, ovviamente, non sono non-morti - che banalità - bensì un Grande Antico vero e proprio e i suoi sgherri, che naturalmente non possono aver letto gli albi successivi, essendo il passato... confusi, amici lettori? *blink* Oppure questo è lo scemo del villaggio dei Grandi Antichi, dato che per annientarlo basta un pazzoide coi superpoteri innestati dalla Temsek nel 2009 (quali superpoteri? Non è importante, siamo liberisti). Arte adeguata alle circostanze. Più divertente del fumetto è la rubrica, che ospita - colpo di scena! - la lettera di una lettrice: costei domanda quale sia il vero castello di Roccabruna, tra i due realmente esistenti; colpo di scena!, non è nessuno dei due, ma un terzo con un nome differente.

Dampyr Special #18: Il giovane Dampyr (Boselli/Viotti)

Governo di destra e film di Dampyr! Il proibito diventa realtà. Al pubblico generalista che affollerà i cinematografi è deputata la riedizione dei fumetti d'esordio della serie, ma, metti che dovessero loro piacere, è necessario che pure il fumetto nuovo si presti alla ripresentazione di quello che la testata può offrire in questo momento. Ma la miniserie Le origini e il riempitivo sfigato sono usciti proprio nei mesi scorsi, dannazione. Graziaddio, dieci anni fa - alla morte dell'Editore - lo sceneggiatore si era preparato degli escamotage per i momenti di crisi: ecco, dunque, il provvidenziale ritorno di Charles Moore, il terzo Dampyr, che non vedevamo dai #177/178. Il piccino è ora un ometto, e vive ancora nella "casa sull'orlo dei mondi" con la madre Joan, le Zie Moire, e Liam Cunningham. Scopriamo che la famigliuola allargata ora paga le tasse - perché sicuramente le paga, sarebbe diseducativo, altrimenti - in Ostcelia, un ambiente che ricorda molto i Western tanto cari all'autore. Charles si è fatto l'amichetta, un'aborigenina tutto pepe e lamentele coi poteri da Dreamwalker, o qualcosa del genere: come la sua omologa di Supernatural, non è proprio bellissima, e pertanto per Charles è solo un'amica a cui dare ordini. Dopo anni di quiete, proprio in questo momento pare essersi svegliato un vampiro in quelle lande desolate, ma non è per questo motivo che Harlan Draka (il secondo Dampyr), Caleb Lost (secondo i più, un Amesha) ed Emil Kurjak (un secondo, che arriva) vengono scomodati: è che anche Lady Nahema ha atteso l'uscita del film per sferrare l'attacco al Dampyrino, forse sperando che il capolavoro li tenesse distratti per quelle due orette. Dopo averci riepilogato i precedenti incontri, Nahema si gioca la sua carta: Vassago, il Demone delle Cose Perdute, fra le quali c'è l'informazione di cui abbisognano per sapere dove si trova Moore (ovvero dove si trova). Per fortuna, Vassago può contare sul suo superpotere, ipnotizzare le persone quando lo dice lui solo quando lo dice lui, e, ancor più fortunatamente, a casa Divadlo abita ancora Ljuba, la studentessa di Cinematografia (che circolarità!) perennemente spaparanzata sul divadlo. Ljuba, ormai, è cresciuta, e ha quasi l'età di Lisa, il ché è sufficiente a turbare il Dampyr, che dunque coglie la prima occasione per andarsene agli antipodi. Sulla giovane restano a vegliare Kurjak e gli spok di Nikolaus, per cui Vassago ha gioco facile. La storia vera e propria ha il via quando il focus narrativo si sposta a Uluru e finalmente le piste di Harlan e Vassago cominciano ad interagire, e le loro vicende ad intersecarsi con le disneyane avventure dei ragazzini ribelli e dei loro vegliardi protettori (con le ambiguità del caso, come il Vassago pedofilo suo malgrado). Come in un film (aridagli) d'animazione, è la mitologia aborigena a conferire un tono più adulto alla storia, e finalmente troviamo su questa serie concetti come il Tempo del Sogno, le Vie dei Canti, Eccetera... alla prossima, cosa: la ricerca dei Graal? A parziale complemento de Le Origini, scopriamo che Harlan era già stato ad Uluru, ma lo aveva rimosso: omaggio a Lazarus Ledd? Per forza, altri fumetti con argomenti esoterici non ne conosciamo. Oppure quel graffito che Harlan non comprende è proprio quello di Don Rosa. L'autore riesce a rendere credibile il disvelamento del colpo di scena e la sua natura, lo scemo del villaggio dei Maestri della Notte, l'unico serpente cosmico capace di rimanere incastrato nelle fessure spaziotemporali: ricorderemo come il #270 presentasse lo scemo del villaggio dei Grandi Antichi, il ché non fa ben sperare per i Demoni Neri dei #271/272. Nonostante questo, la grottesca storia di Wunggurr appare pietosamente comprensibile. A questo punto, la conclusione non può che vedere la battaglia tra le Moire che sparano raggi dalle mani e i Nephidim Vulcaniani teletrasportati dall'astronave e armati di pistoloni laser, come nell'indimenticabile #148, mentre Harlan può beffare il cattivo pazzo cavillando. Naturalmente, a Nahema è sufficiente una stretta di mano per ottenere ciò che Nergal aveva fallito per un centinaio di albi, e così lei e Vassago possono mantenere intatti i propri status di "cattivi ragionevoli", mentre Charles ora sragiona, prediligendo la stangona guercia e caucasica alla negretta petulante e ancora non formatasi. Un'ombra oscura sul lieto fine, dunque, ma le Zie provvedono immediatamente a chiudere la sottotrama, avvertendoci che non si faranno vedere almeno fino al prossimo film. Harlan, comunque, non sembra esserne turbato, forse perché lo Speciale #11 era un "what if". Per competere con Frida Gustavsson, Wade Biggs e l'altro tizio, oltre che per nascondere lo scorcio di 32 tavole, un albo del genere non poteva essere mandato in edicola, così, alla bisogna, ma necessitava di un'arte curata, espressiva, rifinita, ariosa, magari rilanciando un'artista talentuoso ma persosi col tempo; e, perché no, di un copertinista nuovo e dallo stile impressionista, con cui cogliere al balzo il restyling imposto dall'Editore; ha avuto entrambi. 

Dampyr #271/272: Gli spettri di Youghal/Orrore a Hyde Court (Boselli/Genzianella,Rubini)

E film fu! Uscito in occasione di Halloween, e da esso beffato, dato che non è durato un mese come auspicato, e pertanto è stato necessario ritirarlo dalle sale dopo tre giorni, il primo episodio del BCU (Boh Casi Umani) ha conquistato le platee dei due cinema che lo hanno trasmesso, di cui uno aggratis a Lucca Fumetti E Giochi, e il pubblico dei quattro gatti che lo hanno visto: a Silvestro e Tom è piaciuto molto, mentre Mio Mao ha criticato alcune cose, ma nel complesso lo ha gradito; solo Malachia è rimasto deluso, ma si sa che è un tipo dispettoso; quel che importa è che 3 su 4, la maggioranza, ha apprezzato l'opera! Per festeggiare l'evento, i due albi da cui è tratto il capolavoro sono riproposti in 616 e 52 versioni. Non solo: anche la collana mensile si presenta con una storia in due puntate, per l'occasione dedicata a ripresentare le caratteristiche salienti e pepate alla base della serie. E si parte subito forte, con un inedito carro di buoi direttamente in copertina, per poi passare ad una vicenda a base di bambini cannibali istigati a mordere tette, bambini sgozzati, disabili sventrati, handicappati divorati da mostri tentacolari, occhi cavati con le dita, donne nude bianche e nerissime. Il tutto condito da regia americana e spettacolare, tipo quando il protagonista sfonda il muro con la volante e schiaccia il poliziotto corrotto, o quando propone un patto verbale al cattivo, che lo accetta (non in quel senso, nell'altro), o quando la zitellona romantica sfodera una grinta mai vista e spara al malvagio, o ancora quando e infine quando. Il lettore fedele può divertirsi a notare (oppure può solo notarlo) come la prima puntata sia una classica storia dampyriana in cui lo sceneggiatore si vanta delle sue mete vacanziere, mentre la seconda prenda una più spavalda piega cinematografica, comunque non inedita, in quanto l'autore finisce per riproporre la "battaglia tra etichette orrorifiche" già vista ai tempi del ciclo mestrualovecraftiano: e infatti qui ritornano dei mostri "tipo Ciulu", stavolta contrapposti ai fantasmi (buoni) e alla cacciatrice (pacifista) dei medesimi, con in mezzo i seguaci di Thorke. Questi arrivano a farci credere che quel vecchio nemico possa essere resuscitato, e che la rivoluzione dei #182/183 possa essere restaurata, non tanto perché l'autore è più bravo del solito a seminare il sospetto, ma perché il serial ha superato da tempo il punto di non ritorno della credibilità, e infatti i film sono meglio delle serie tv. Invece niente, la Tempolizia e l'esercito Infernale irrompono nello stanzino dove ci sono altre dieci persone, e, zampe in alto!, dopo una breve guerricciola arrestano i malmorenti e li giustiziano (ma prima li arrestano, a norma di chi legge). Finisce che Ryakar e l'altra demonessa buona (Eishet?) restano nell'irridente località a curare gli autoctoni traumatizzati, mentre Maud decide di adottare la down e la comatosa e forse anche Freed allungamani Richards. A Stuart Martin non resta che chiedere com'è andata la vacanza, e a Briggs rispondere con una battuta. L'arte non delude né eccelle, anche perché il flashback spiegone riassunto della Dimensione Nera dal #157 a oggi lo fa Rubini. Insomma, Mio Mao aveva ragione: una lettura modesta, ma tutto sommato divertente, forse la migliore dell'anno. Peccato per quei ragazzini che disturbavano sempre. "La realtà, a volte, supera la fantasia": sì, ma a noi quando capita?

Dampyr #273: La Scuola tra i Fiordi (Boselli/L.Rossi)

Autori di prestigio per un riempitivo pseudonatalizio. Una lettura agevole e (quasi) vecchio stile, anche se l'albo a cui finisce per assomigliare - anche in virtù del medesimo tandem creativo - è il #116: questa scuola, però, è infestata da fantasmi e da criminali comuni. Oh, e finalmente alla galleria dei delinquenti riabilitati si aggiunge il buon pedofilo. Per tacere del concetto di scuola che tiene le pesti pure durante le ferie. Awww. Dicevamo "(quasi) vecchio stile", perché comunque finisce con la strega Gudrun che impone il bastone alle rune e con l'ex bambina, ora adulta, che picchia il fantasma molestatore, in mutande (davanti ai ragazzini, i quali se la volevano fare per tutto l'albo, ma quando si spoglia non la degnano di uno sguardo). Ma sappiamo che non si tratta di una scelta da manuale cencellj: è che lo stile di Boselli ormai è questo, e così ce lo dobbiamo tenere. Dopotutto, è una storia che, nella golden age della serie, avrebbe figurato tra le minori, ma oggi che l'age è bronzed risulta la migliore dell'annata. Ci sono comunque cose poco chiare, tipo lo status di Gryla e del perché questi fantasmi spuntino come funghi dappertutto, e francamente ci siamo persi anche il momento in cui il vecchio entra in scena. Ma vabbè, il Natale quando arriva, arriva. Arte di alto e abitudinario livello, in cui i volti di Gudrun e Freya si confondono. Poveraccio, il maestrino. 

Dampyr #274: La Progenie di Rothgar (Falco/Del Campo)

Nuovo anno, vecchio seguito. Si ritorna nei territori del #67, con la Malena di quell'albo e tanti saluti al fu Faggella. Coincidenza, proprio pochi mesi fa è morta l'ultima "Abuela". E dire che Falco fa il medico. Siamo nella classica Buenos Aires tutta banditi e perdigiorno, sulle tracce del non-morto postfascista del Condor, che poi troviamo con l'aiuto degli sbirri buoni, un nuovo gruppetto di amici per i fratellini (in vista del seguito del seguito). Ma dietro le quinte c'è un nuovo Maestro, Rothgar dal volto di Mads Mikkelsen (?), uno che faceva il Mengele coi nazi, e lo fa ancora oggi: il suo scopo è creare una nuova razza di ibridi umano-Maestri. Harlan non se lo chiede, ma noi sì: come Draka ai tempi di Varney? Più o meno. Però questo è malvagio. Non è solo teoria folle: un ibrido esiste davvero. Però è buono. Dampyr fa in tempo ad incontrarlo solo nelle ultime paginette, sufficienti però per empatizzarvi subito con tutto il suo cuore di eroe. Purtroppo, anche in un albo dal canovaccio tradizionale come questo, Kurjak fa il "tipo dell'HBO", quindi prima dice "teste di cazzo" davanti a tutti, e alla fine spara a vista su questo povero cristo, non lasciando il tempo a Dampyr di allearvicisi. A quel punto l'albo è finito, per cui anche Harlan non è che ci stia a piangere sopra, pazienza è andata così, la vita va avanti come ci insegna il Papa argentino che ha sepolto il tedesco. E Rothgar? Ah sì, c'è pure quello: no, niente, Harlan lo vede solo nei flash, ma non lo incontra, perché è già scappato nel sequel.
     
Dampyr #275: Il Giustiziere di New York (Zamberletti/Vercelli)

Riempitivo metropolitano: poliziotto buono poliziotto cattivo, fratellini. No, non il dampyr e quell'altro, quelli sono rassegnati. Sono due tizi mai visti prima, l'eroico papino dal volto di Josh Brolin (o almeno così ci pare, non è che l'arte sia davvero tale) e il cinico "zietto". Non-morti di Ixtlàn, che rivediamo nell'immancabile flosciobecco. Muoiono tutti tranne i protagonisti. Questo è quanto. In questo universo, Nick Raider non esiste, dato che il "miglior sbirro della NYPD" è un altro. Mystère, invece, chi lo sa, è come il prezzemolo. Certo, anche se esistesse, meglio stargli alla larga.

Dampyr #276: Il Crepuscolo degli Dei (Venanzetti/Lozzi)

Seguito del #203, un riempitivo che, in modo arcano ed inesplicabile, avevamo gradito. Ma erano altri tempi, si arrivava dalla lunga saga del bicentenario e dal Magazine, eravamo giovani e ricolmi di speranze, potevamo sognare che un'epidemia planetaria avrebbe risolto tutti i problemi. Oggi, avevamo accolto con placida rassegnazione la sinossi dell'albo, che ci prospettava una sfida a colpi di bikers coi superpoteri. E invece. Come si dice? "Quel che non ci uccide ci reinvia a processo". La prima metà dell'episodio ripropone le atmosfere sospese e la tangibile evocatività degli ambienti che ci avevano intortati nel prequel. Sarà vera la storia di Starkad, che ci ripete più volte che lui ha i ricordi dei tempi di Egil-una-mano?, ci chiediamo. Cosa ci celerà realmente dietro a queste vicende, che sembrano presagire oscuri connessioni tra i nazi e le dimensioni spaziotemporali?, ci domandiamo. Stanti le visioni degli eventi passati che appaiono in forma ectoplasmatica, e il cameo di Maud (cui giustamente telefonano per saperne di più, e giustamente, da buona professionista, lei ci insegna cose che già avevamo intuito), e considerato che diversi albi recenti hanno interessato i fantasmi, è possibile che stiamo assistendo al dipanarsi di una nuova sottotrama che ci accompagnerà per almeno cento episodi?, supponiamo. Tanta roba, insomma, e i bikers fanno solo una comparsata. Poteva durare? Ovviamente no. A metà albo, la svolta: non c'è nessun mistero, i ricordi sono fasulli, e dobbiamo solo liberare il fratello. E quindi via di quaranta pagine di asettico laboratorio scientifico, e di arte impacciata, e gente che cammina durante la nevicata nella neve alta coi giubbetti di pelle, e brat brat brat, e zuooomm fuaaaa, e scienziata pazza che muore, e cattivo-buono che si suicida (anche se immortale) distruggendo tutto, e posa degli eroi. Più che il crepuscolo, è notte fonda.     

Dampyr #277: Radio Vampira (Giusfredi/Bartolini,Majo)

Esiste davvero una emittente radiofonica locale che ha ospitato gli autori di Dampyr: per lo sceneggiatore hipster è uno spunto irresistibile da tradurre in riempitivo folkloristico. Ma fortunatamente questo tizio è anche il pupillo di Boz, e può bearsi di un potere decisionale lievemente maggiore di quello concesso ai meri factotum. Così, di botto, nella desolazione generale, ecco un riempitivo che è anche qualcosa di più, un'appendice di continuità, ruffiana e complice, che si innesta confortevolmente nella mitologia della serie. Agnese degli Ubaldi, la non-morta tardomedioevale che si presenta ai giorni d'oggi alla radio e racconta la sua storia nella Storia, non è solo la solita squinzia usa-e-getta, come lasciava tristemente presagire la sinossi: è la non-morta di Krygar, il Maestro dei #17 e #153 e #165, ma che nelle sue vicissitudini ha incrociato pure Giovanni (come "quale Giovanni?" Drogo, naturalmente. Gli amici del bar del Giambellino lo chiamavan Draka). Non è tanto questo a rendere rilevante l'episodio, quanto una narrazione che, una volta tanto, mantiene un certo decoro tra formalismo e pietismo, riuscendo ad essere erotica (ormai requisito indiscutibile per essere pubblicati) senza essere volgare o becera, e sfruttando la carrellata storica (tardo medioevo, Guerra dei Trent'Anni, moti ottocenteschi, l'immancabile guerra mondiale) per incuriosire quel tanto che basta per non annoiarsi (Dampyr arriva a metà albo, e fino ad allora è tutto un racconto di Agnese allo speaker). Dicevamo, però, che lo sceneggiatore è anche il viceBoz: ed ecco che, mentre effettivamente l'alone fascinoso costruito intorno ad Agnese evapora, e le motivazioni della tizia diventano incomprensibili e contraddittorie, l'autore si gioca la carta dell'innesto narrativo, introducendo il fratello di Krygar, Ryoh, il Maestro della Notte adolescente, tenuto in vita artificialmente dall'alba dei tempi da Dagda e risvegliatosi solo nel #165. Sacrificando Agnese - che, come detto, improvvisamente comincia a comportarsi in modo irrazionale -, l'autore presenta il nuovo personaggio con una certa efficacia, facendo in modo che il dampyr non capisca bene cosa stia accadendo (Agnese a momenti lo sgozza!) e tirando in ballo tutta la mitologia possibile, da Dagda a Taliesin, quest'ultimo protagonista dell'epilogo in flashback. Praticamente tutti sapevano di questo Maestrino dormiente nei dintorni di Pisa, ma nessuno ha mai pensato di avvertire chicchessia. L'impressione di stare leggendo qualcosa che si riverbererà in albi più importanti si manifesta anche nel grottesco confronto tra Ryoh che ribadisce seraficamente di non volere la guerra e Harlan che lo minaccia perentoriamente di morte alzando la voce e agitando il dito. La confusione del finale - una confusione che, tuttavia, visti i tempi, appare come una salvifica rimescolata alla minestra - è avvalorata dalla straniante presenza di 7 tavole di Majo non consecutive, forse giacenze riadattate all'uopo. Ma forse, alla fine della fiera non vogliamo ammettere che ad averci realmente conquistati è stata l'arte ariosa e davvero gradevole di Bartolini, che solamente negli scorci medioevali cerca di suicidarsi con ingombranti retini.

Dampyr #278: La Foresta dei Suicidi (Venanzetti/Gualandris)

Arte ispida e industriale, ma sqillino le trome: finalmente ecco l'Aokigahara, uno dei pochi luoghi di questo mondo piatto e conformista capace di suggestionarci. Dampyr arriva tardi, stavolta: Nathan Never vi era già stato, e pure la cinematografia americana; il ritardo si riverbera nel fumetto, dove Harlan arriva dopo molte pagine, comparendo dal nulla già in loco, e fa quasi più paura dei mostri. Il luogo suggestivo è sfruttato solo a mo' di sfondo, comunque, e l'episodio è l'ennesimo episodio coi fantasmi. A dire il vero, la cattiva sembra più un dèmone, visto che le tirano i capelli, come a quella tizia famosa dei film con le vhs. Ma boh, vai a sapere. I personaggi non si pongono molti dubbi a proposito, forse perché Kenshin e il comprimario occasionale sono distratti dai propri istinti suicidi - come non comprenderli? -, mentre Harlan ormai lo conosciamo, tutto bene grazie. Scopriamo che Kenshin aveva un amico mafioso a cui voleva molto bene, e che si era suicidato nella foresta (cioè nel lago: c'è un po' di tutto, in questo ecosistema; come nei boschi italiani, solo con puttane e immondizia in vece di laghi e vulcani): alla fine trova pace, e Kenshin pure; quell'altro invece è malato terminale e tanto deve morire lo stesso, quindi tutto finisce bene. Il mese prossimo, una nuova storia di spettri: non è affatto un indizio di trame future. 

Dampyr #279: Le Vendicatrici (Andreozzi-Falco/Del Campo)

Nel mese di giugno 2023, Boselli tocca la quota di 50000 pagine pubblicate: è la Storia del Fumetto Italiano che ci passa davanti, per farci "marameo". Soprattutto a noi dampyriani, giacché il record è deputato a Tex, mentre ai poveracci rifila 'sta sbobba. Ricordiamo Wyatt e Rufus, gli sbirri dei mitici #15/16? No, però rieccoli: hanno cambiato città, perché, nonostante tutto l'epos e la morte dei malvagi di quel Classico della serie, alla fine quel posto era rimasto razzista. A poche decine di km di distanza, invece... niente, sono razzisti anche qui. Però almeno qui c'è una negra che uccide i razzisti. Il modus operandi, la pagina della rubrica, la ripetizione nozionistica anche nel fumetto; tutto porta a pensare che si tratti di una Boo Hag, una via di mezzo tra i non-morti e le succubi; solo quel limitato di Kurjak insiste a dire che si tratti di semplici non-morti, "senza dubbio". Ma sentilo, il signorino! Beh, a metà albo si scopre che ha ragione: è proprio una non-morta, che vive con altri non-morti nella villa abbandonata nella foresta paludosa rigogliosa, alla faccia delle speculazioni edilizie. Ora: saranno pure nient'altro che le solite non-morte, seppure tutte donne e tutte negre, ma chissà chi sarà il loro Maestro. La location, la presenza dei comprimari degli albi di cui sopra, il colore della pelle (gulp!); tutto porta a pensare che si tratti delle non-morte del defunto Legba. E invece... Invece cosa, è proprio così. Gli autori (Falco aggiusta(?) il soggetto di un tizio), consapevoli di non brillare d'originalità nei colpi di scena, provano a compensare rimescolando il canovaccio, anzi no, tanto a che serve. Per mantenere il grado di realismo necessario ad una serie etnografica come questa, e per giustificare il prologo, la cui datazione precisa è sospetto di una ispirazione ad eventi reali, non tutti i razzisti vengono eliminati, a parte tutti quelli che compaiono nell'albo. In fondo, anche punire gli stronzi - così li chiamano ripetutamente i buoni della storia - è giusto. Arte perfettamente adeguata a tutto questo. 

Dampyr #280: Il mistero dell'Isola di Jersey (Piani/Belardo)

Per una volta, le sensazioni suggerite dalle anticipazioni sono confermate: riempitivo inusuale e gustosamente scenografico (non è che l'ha suggerito Argento?). E' la manifestazione diretta del tormentone delle sinossi con i comprimari che sovrastano il protagonista (il famoso "e con la partecipazione di Harlan Draka") e confessiamo di non averlo affatto disprezzato. Delle 94 tavole, infatti, almeno una sessantina sono dedicate ai flashback della famiglia Hugo nella metà del secolo decimonono, nella cornice semi-inedita di un'isoletta francese (non i soliti anglofoni), con l'autore che sembra essersi documentato parecchio e che ci offre la presa diretta romanzata di eventi realmente accaduti (le sedute spiritiche di Victor Hugo in esilio, l'origine delle turbe della figlia Adèle e di Jules Allix). Praticamente l'intreccio nasce e si sviluppa nei flashback, e potrebbe pure morirvi, se non fosse che il contratto prevede, appunto, "la partecipazione di H.D." larocraft. E quindi c'è questo contorno ai giorni nostri, con la solita Maud che non sa risolvere niente da sola, e deve sempre chiamare il suo amico dai viaggi spesati. Fortunatamente, questa volta le pagine a loro disposizione sono poche, e fanno in tempo a tergiversare solo in un paio di occasioni (due tavole di occhiate all'appartamento e salite di scale), ma poi debbono per forza darsi una mossa. Ed è un peccato, perché il finale frettoloso e di routine (mostri, versi, spari) ci riporta drasticamente nell'alveo dampyriano. A favore dell'autore gioca invece lo sforzo di aver creato un contesto diverso dalla solita minestra: stavolta, infatti, non combattiamo i soliti "fantasmi", ma ci addentriamo in concetti più specifici (eggregore, arconti), con i sottotesti che ne conseguono. Ma... allora... si... può... fare!! Certo, uichipedya dice che le eggregore si sconfiggono con meditazioni e fioriterapie, mentre qui ci vuole la pistolettata al cuore tipo western, ma non possiamo certo pretendere di più, d'altronde non ci aspettavamo neanche che mezza storia fosse gradevole e interessante. Arte documentata, ma dalle anatomie non sempre convincenti. Fastidiosa la presenza di John Cleese (che c'azzecca?), più simpatica quella dell'attore che fa la prima Morte in Supernatural.

Dampyr #281: Gomorya (Boselli/Delladio)

Madonna santa. Episodio poco affine ai riempitivi che ormai costituiscono l'ossatura della testata. Eppure, a sua volta, riempitivo, ma in modo colto e inusuale. Si parte con un melodramma tardo ottocentesco, in napoletano stretto, che parla di puttane raffinate e camorristi dandy. Subito pensiamo alle grosse risate che ci faremo nelle chat con gli altri critici della serie. Un nuovo, epocale albo-meme tutto da deridere? In realtà, emerge fin da subito l'ammirazione per come l'autore, un bauscia milanese con la 'r' moscia, si sia preso la briga di studiarsi un dialetto così lontano dal proprio (per quel che ne sappiamo, ci è parso abbastanza documentato, non è Boldi che imita Totò, il livello è alto; certo, non è iperspecialistico e incomprensibile stile rapper camorrista, ma è comunque un napoletano ostico per un forestiero). Questa sorta di fascinazione intellettuale prosegue e si fa più pervasiva quando ci rendiamo conto che l'episodio è una specie di divagazione manieristico-culturale, in cui lo sceneggiatore sciorina la sua traboccante conoscenza del periodo storico raccontato e dei personaggi storici messi in scena, oltre che delle ispirazioni letterarie dell'ormai inintellegibile cast dampyriano (nota di merito all'editoriale, finalmente utile, che ci ricorda da dove viene, realmente, Gomorya). Ricordiamo? Avevamo iniziato a leggere Dampyr in quanto seguaci dell'approccio woldnewtoniano di Alfredo Castelli e del suo Martin Mystère, un serial capace di farci interessare a cose di cui, inizialmente, non ce ne poteva importare di meno (il fumetto ottocentesco, per rimanere in tema). Una magia che diversi episodi di Dampyr erano riusciti a replicare. Questo si innesta in quel filone che pareva ormai esaurito: un minestrone con le architetture inesistenti di Lamont Young, o' Munaciello (#52/53, è morta la vecchietta, come Castelli, e tutti la archiviano subito, come Castelli), romanzi popolari misconosciuti, le rovine perdute degli Yazidi, e, soprattutto, ciò che più ci ha entusiasmati, la doppia indagine in località diverse (Gradisca, Venezia, Napoli) seguendo la mappa e luoghi realmente esistenti. Non solo: il cast torna a muoversi secondo dinamiche più logiche e meno macchiettistiche (tipo Caleb che manda in giro più incaricati in più luoghi contemporaneamente), si cerca di dare un filo conduttore alla trama delle Chiavi dell'Inferno (il Salterio del #107, il Sistro del #205, il Flauto di Pan perduto, manco fosse su Marte, e qui letteralmente un cadavere impolverato), Harlan incontra finalmente l'amico Racoszy. Giusto un paio di perplessità nella litigata tra il fratellino che non fuma e quello che aveva smesso ma ha ricominciato (che trasgressivo!) e sull'interpretazione romantica di Gomorya, che nella precedente apparizione era una totale ninfomane. Giusto l'indispensabile per ricordarci che, tutto sommato, se c'è un plausibile "erede di Castelli", è l'autore di questa roba. Anche se stavolta è mancato il pecoreccio (giusto la bernanda in copertina). Arte di buon livello. E' il miglior albo almeno da Roccabruna (facciamo Robert Howard)? Ci sembra proprio di sì.    

Dampyr #282: La Strega Bambina (Piani&Russo F.)

Sedetevi, stringete i pugni e sforzatevi come se steste evacuando; ora immaginate la cosa più woke-socialwarrior-eccetera che la mente può immaginare. Fatto? Non ce n'era bisogno: avevamo già qui la bambina africana esper. Ventre gonfio e fronte piatta, la piccina vanta pure un amichetto che si è zoppato da solo e che alla fine viene sparato brutalmente in pieno petto. Niente paura: aveva l'argenteria rubata sotto la canottiera. La Temsek, infatti, non è stata smantellata nel #209, come anche Kurjak credeva: facendo spallucce, Harlan ci spiega che evidentemente non lo è stata, visto che in Africa è ancora operativa, e ci mostra i bonifici che lo provano (come a dire: non è colpa sua). La missione è reclutare gli esper, come ai tempi di Zarema e affini. L'occasione è allora ghiotta: Africa, guerra, lotta di classe, giustizia sociale, femminismo, infantilismo, ambientalismo non tanto ma diciamo che è sotteso, lotta alle multinazionali, disabilità, dramma degli orfani, gap generazionale, traffico di vite umane... porca miseria, è la vertigine della lista. Se ci pensiamo un attimo, le troviamo tutte. Tant'è che l'editoriale - geniale - la prende alla larga parlandoci di Rosso Malpelo e Pel di carota (i rossi erano discriminati, quindi anche gli africani). Per contrappasso, l'autore ripropone gli stilemi di inizio serie, con i battibecchi sarcastici e Tesla che fa le moine a Kurjak, e concede al trio quel pizzico di cattiveria ultimamente un po' ingessata (pensate: Harlan spara in testa a un negro davanti alla cinepresa), soprattutto a Tesla, come anticipato dall'accorta sinossi ("Tesla non sopporta che nessuno pensi ai bambini!"). Alla fine mamma e piccini ottengono una nuova vita tutta spesata nel Paese di Trump, lasciando macerare noi occidentali povery nell'invidia. Arte complessivamente passabile, ma anche svogliata o in declino; Russo ci aveva abituati a ben altro. 

(2021-2024)

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