venerdì 4 aprile 2025

Cringe a Metopolis

Commenti molto personali e soggettivi riguardo a opere cinematografiche particolarmente erudite e di nicchia, scritti negli anni ma mai pubblicati prima. 


AAVV: Guerre Stellari

Ho rivisto I-II-III dopo un decennio e sono stupefatto, soprattutto da I e II (III che era bello si sapeva): in cosa sarebbero brutti, esattamente (e io me li ricordavo parecchio noiosi)? II, poi, è geniale per come riesce ad essere anche autoconclusivo. 

E l'intrigo politico è di una comprensibilità disarmante. Ed è molto realistico, ma realizzato (cinematograficamente) prima che divenisse una moda. Sono dinamiche che da noi si compiono quotidianamente.

Quanto alle bambinate (da JJ ai droidi alla love story di Moccia). Sarà che ho avuto la fortuna di guardare Episodio I a 11 anni (bambino), Episodio II a 14 (ragazzetto) e Episodio III a 18 (post adolescente), ho avuto modo di identificarmi nel percorso seguito dalla trilogia. 

Certo, alcune cose nella mia testa sono ormai in versione Ortolani, a partire da Palpatine (interpretazione mostruosa, peraltro) e dai Mercanti. E Padme, come sempre, mi fa soffrire troppo.


Ho rivisto IV-V-VI dopo sostanzialmente un ventennio e più e sono abbastanza stupefatto della freschezza di Episodio VI, decisamente il più vicino alla trilogia prequel (con tanto di Imperatore in comune). Episodio IV è ovviamente il più grezzo e Episodio V campa molto sulla Marcia Imperiale, che introduce e propone in loop quasi perpetuo dall'inizio alla fine. Mi rendo conto di come molte scene di culto siano contenute in Episodio V, ma devo dire che il mio affetto va più all'inizio di Episodio IV e a quasi tutto il VI. 


Cosa differenzia le due trilogie? Nella trilogia storica la trama è decisamente semplice, è una fiaba bella e buona. Nella trilogia prequel imho manca l'elemento sessuale: Leyla senza mutande o in abitini strizzati e Han che ci prova in continuazione, riuscendo poi a spupazzarsela; nella love story fra Anakin e Padme questo aspetto è molto abbozzato, un po' perché in fondo quando li vediamo sono ragazzini e un po' perché il perbenismo si sa com'è fatto (anche se per me è evidente che Anakin è più infoiato che innamorato). 

La trilogia "nuova" è anche più ricca sul piano musicale, anche se i pezzi storici appartengono a quella "vecchia".

Quale amo di più fra le due, non mi chiedete? Non ve lo dico subito: IV-V-VI appartiene alla sfera della mia infanzia più ancestrale, sinceramente è la prima cosa di cui ho ricordo, assieme a un paio di Topolini e a Quantum Leap (ma questo sicuramente l'ho visto dopo; di poco, ma dopo); I-II-III, come già detto, appartiene al mio periodo della crescita e della formazione, dalle medie alla maturità; questo significa che questa ultima è ancora abbastanza viva e scorre più forte dentro di me, mentre l'altra è di fatto il nucleo dei miei midichlorian. 

(2015)


Gareth Edwards: Rogue One. Una storia di Guerre Stellari

Episodio in live action della serie animata della quale non riesco a fottermi.
Filmucolo salvato dal finale fanservice in senso buono; dal voodoo cibernetico che resuscita gli attori morti o dona loro l'eterna giovinezza; dal faccino guanciottoso della tipa che fa l'eroa, deliziosamente stupidina in altri film.

(visione: 2017; commento: 2019)



Rian Johnson: Star Wars Episodio VIII. Gli ultimi Jedi

Una schifezza che ammazza la poesia, l'epica e il mito di SW.
Si salvano solo l'isola, perché è bellissima di suo, e le relative scene di Liuc che strizza le mammelle al mostro o pesca il pescione con la fiociona.

(visione: 2018; commento: 2019)


Ron Howard: Solo. Una storia di Guerre Stellari

Carino.
C'è un regista, ci sono degli attori, c'è uno sceneggiatore, e tutto ciò risalta.
Tutto sommato non è niente di che, però è ciò che ci aspetta: una fanfiction fatta bene.
E diciamolo, hanno azzeccato il recast di Han. Chi l'avrebbe mai detto.

(visione: 2018; commento: 2019)


J.J. Abrams: Star Wars Episodio IX. L'ascesa di Skywalker

Sono d'accordo con la recensione di Recchioni, e ho detto tutto. 
Tante splendide immagini. Su tutte, l'arrivo delle astronavi qualunque (copiata da Doctor Who) e il Falcon arenato sulla collina. Ma anche i marosi. 
Finalmente un po' di Avventura!
E tutto il film è in fondo una caccia al tesoro, alla ricerca del pianeta perduto coi fossili mistici.
Ce n'è voluto, eh, per capire quali sono le storie che funzionano. Adesso, mi raccomando, rifacciamo la parodia decostruzionista solo per sentirci dire che siamo "coraggiosi".
La trilogia in due parti soffre comunque degli ovvi problemi derivati dall'assenza del capitolo centrale, sostituito dalla parodia dello youtuber irriverente, un po' come guardare Episodi IV e VI senza il V, saltando dal party per la Morte Nera distrutta a Han dentro al monolite e a Leia in mutande con Jabba. 
Sia chiaro che sia Episodio VII che questo IX hanno dei dialoghi da strapparsi le orecchie ed è evidente che Palpatine sia stato buttato dentro all'ultimo momento (è sempre il migliore, però), e alla fine Finn non ha detto a Rey quello che non le voleva dire  in presenza di Poe (a meno che non volesse dirle che Poe era un contrabbandiere, ma non mi sembra che sarebbe stata una grande sorpresa), e quella roba del Sith definitivo, con dentro tutti i Sith, contro la Jedi definitiva, con dentro tutti gli Jedi, è roba da anime. Ma gli anime ci piacciono, quindi va bene.
E plauso, plauso, PLAUSO, al ritorno delle marionette. C'era stato Yoda nell'VIII, ma per un breve momento, perché il regista voleva farci vedere di detestare Star Wars solo al 95% e non al 100%. Ma qui è stato tutto più studiato, più armonico, più giocherellone.
VIVA LE MARIONETTE E GLI ANIMATRONI.
Non c'è poi molto da aggiungere, per una volta (e che non si ripeta mai più) Recchioni e Calcare hanno ragione: nonostante tutto, è un buon film di SW e tanto ci basti.

P.S.:
Divertente vedere Charlie mettersi in posa e Greg Grunberg ingrassare ad ogni inquadratura (ma è malato?). Abramsianamente soddisfacente scoprire il senso del titolo e rivedere le sue inquadrature-tormentoni, tipo Rey che guarda l'aereo lasciare l'isola o le rovine del Progetto Dharma (e c'è pure Ben che si redime). Molto kitsch il cadavere di Leia che diventa personaggio, in linea con la carriera della Fisher. 
Naturalmente tutti ci chiediamo il perché della seconda Morte Nera, ma per quarant'anni ci siamo chiesti pure come fosse stata distrutta la prima, e non mi pare che la cosa ci abbia danneggiati più di tanto. Mi perplime un pochino di più il florilegio di apparizioni fantasmatiche. 
Nota del curato: Cosa volesse dire Finn lo abbiamo scoperto dopo, ma se non lo scoprivamo era meglio.

(2019)


AAVV: Star Wars. The Mandalorian S1/S2

Tutto vero: hanno azzeccato il mood, il quid, lo sberequack. Non c'era bisogno delle sboronate (MegaJedi contro MegaSith, i cadaveri volanti, la derisione del Mito), bastava una cosa semplice semplice, tipo due che camminano. Come all'inizio della Nuova Speranza.
Eppure devo dire che questa "estrema semplicità", alla lunga, mi è parsa... fin troppo semplice.
Ho molto amato i primi 3 episodi della Stagione 1, e questa impostazione anime del "duo buffo che vive avventure di ogni tipo in luoghi differenti". Solo che le avventure si sono rivelate dello stesso tipo ogni volta, e i luoghi sono sempre stati quei 2-3. 
Tant'è che di questo proceduralume ho amato l'episodio soltanto del peschereccio, che almeno era nuovo. E che peraltro mi ha aperto tutto un mondo su Dallas Howard Buyers Club che non immaginavo. 
Ma se alla fine ho amato gli ultimi 3 episodi della Stagione 2, per una simmetria tutt'altro che casuale, è stato perché... bastavano quelli.
Sì, Ahsoka. Fighissima, uao. Rinascita della Dawson. Trucco della madonna. 
Puccettino e Valker coppia dell'anno. Chi lo nega. 
Orde di ultratrentenni che stravedono per un pupazzetto cucciolino. La vittoria della major.
Il tema indovinato in pieno (ma Williams? Non ti vergogni?).
Ma la ciccia? Non per fare l'antipatico social, ma tutto questo rinviare a cartoni animati e romanzetti non si discosta molto dallo strizzare l'occhio di abramsiana memoria. 
E' vero, questa FOOOORSE è la volta buona che mi convinco a sciropparmi i milioni di puntate del Filoniverse. Ma l'ho già detto altre volte e non ho mantenuto la promessa. 
E Padron Liuk? Perché, alla fine, SI RITORNA SEMPRE LI' (e sempre alla magia dell'eterna giovinezza)? In cuor mio ho una risposta che non mi piacerà: e se non ci fosse altro da aggiungere?
Ma vediamo se con Boba Fett compiono un'altra magia. In parte lo hanno fatto, con quel temino adorabile. 
p.s.: meno male che tolgono la Carano. Peraltro la ricordavo più fregna. 
p.p.s.: Ming-Na Wen c'ha quasi 60 anni. 

Nota del curandero: sì, è una serie tv. 

(2021)


AAVV: Star Wars. The Book of Boba Fett

Spin-off di Mandalorian. Il format è tra più idioti o tra i più geniali di sempre, diciamo che è tra i più assurdi. Quattro puntate secondo copione, una quinta presa di netto da Mandalorian, e due di cross-over. Quella che resta più impressa è la quinta, il ché è indicativo. Come è indicativo che, anche in questa occasione, finiamo di nuovo a PADRON LIUC. Alla fine, di Boba Fett e del suo cast da sit-com camorrista non ce ne fotte nulla, ed è un peccato, perché comunque i flashback indie in cui il glorioso cattivo dei gloriosi film diventa un bonario pacioccone sono simpatici, soprattutto per - di nuovo, ancora - il tema musicale (ormai sanno fare solo questo). Ma come può questo competere con Baby Yoda e Andrea Mete?  

(2022)


AAVV: Star Wars: The Mandalorian S3

Stagione da considerare a parte rispetto alle prime due. E già questa compartimentazione è fastidiosa. 
Ma paradossalmente il limite di questa terza miniserie è quella di essere fin troppo poco compartimentata, cioè l'essere tutta un rimando a cartoni animati e romanzi riservati a pochi iniziati. 
Di per sé, non è altro che una sequela di chiacchiere e di andirivieni negli stessi due-tre posti, tutte finalizzate al consueto scontro finale col villain tornato per morire (fino a che non si cambierà idea, i cloni servono a questo), con in mezzo una puntata-riempitivo folkloristica. Tutto sommato, il format delle stagioni precedenti. 
Ma decisamente qui è mancata la ciccia. Ci siamo sempre lamentati di come tutti i prodotti starwarsiani recenti siano finiti immancabilmente nella comfort zone di Padron Liuc e della sua misticanza, ed era una lamentela in prospettiva: cioè, temevamo che usciti da quel perimetro di sicurezza, non ci sarebbe stato qualcosa all'altezza a rimpiazzarlo. Tra Andor e questa reunion dei Mandaloriani, non ci sembra di avere avuto tanto torto.
Seppure non abbiamo avuto ancora l'ardire di seguirle, ci risulta che le serie animate non siano un mero collage di sparatorie e di chiacchiere militaresche: la mitologia filosofico-esoterica dovrebbe esservi sviscerata. E allora perché nel live action ancora si tituba, su questo aspetto? Si teme la deriva fantasy? Perché dovevano immaginarlo che, a noi pubblico generalista, di Bo-Katan e dei suoi compari ce ne sarebbe calato sino a un certo punto.
Comunque il meraviglioso temino della serie c'è (non quanto vorremmo, ma c'è), il rimpiazzo di Pascal (cioè Mete) e la marionetta sono ormai classici della serialità televisiva a cui vogliamo un mando di bene, i comprimari regular sono amichevoli, Jack Black e Christopher Lloyd li abbiamo avuti (Lizzo non sapevamo chi fosse, ma ha un bel faccino), scenari e regie sono state sempre di buon livello. Per cui il compitino merita l'ampia sufficienza.
Ma secondo noi è meglio chiuderla qui, con questo format.

(2023)



AAVV: Star Wars. Obi-Wan Kenobi

Serial che fa da trait d'union tra lo SW "originario" e quello adottato da Disney Senza Walt: è una specie di Rogue One, laddove però quello si connetteva esplicitamente al classicume solo alla fine, mentre qui è tutto apprecchiato fin dall'inizio. È un ulteriore step evolutivo, nonché, da un certo punto di vista, la prima vera manifestazione dell'universo espanso su celluloide digitale, con tanto di primo cast filmico che si presta a spinoffare di persona personalmente (e quindi Tarkin resuscitato non lo contiamo, ma nemmeno Boba Fett, che nei film era poco più di una comparsa). E, dunque, se Rogue One era una palla per due ore, ma si esaltava nei minuti conclusivi, qui le ore pesantucce sono quasi quattro, ma in compenso sono quasi due quelle buone. Solo che, come già accaduto per il Mandaloriano (dal quale è pure copiato lo schema della baby spalla), a salvarsi sono l'inizio e la fine, mentre di quel che dovrebbe costituire la polpa resta giusto un po' di succo con coloranti (le iscrizioni, le tombe dei Jedi), spremuto su azione insipida, andirivieni riempitivi e personaggi petulanti (non la bambina). [No, a nostro avviso in questo brand non ha senso criticare i buchi di sceneggiatura e le facilonate, altrimenti dopo Episodio IV avremmo dovuto buttare tutto nel cesso.] 
Nelle due ore buone c'è invece esattamente quel fanservice ruffiano che solo Disney sa curare così amorevolmente, con le interazioni del cast storico che volevamo e una seconda bambolina (dopo Yoda) da tenere sempre in braccio e a cui schiacciare il nasino tutto il giorno o sgridare quando fa la birbante. Ma, soprattutto, c'è un'ultima mezz'ora bellissima e coinvolgente, con lo scontro non finale e l'addio mondi: guarda caso, quella più prettamente starwarsiana e meno adottiva. Certo, tirando le somme, siamo ancora, inesorabilmente, inestricabilmente, impietosamente ed inevitabilmente fermi a Padron Liuc, a Tatooine e ai soliti punti fermi, e ora pure con Ward come nemesi di Prando (il doppiaggio definitivo, sebbene Ward con Vader c'azzecchi poco). Ma, insomma, se altre cose proprio non le si sanno fare, tanto vale rifare sempre le solite, se fatte bene. Ma solo se fatte bene. E viva la Holt.

(2022)



Shane Black: The Predator

Incipit in stile spielberghian-disneyano: un remake diverso dall'originale (comunque migliore).
Poi arrivano i matti, e Olivia Munn, che fa la troietta, e c'è una scena volgare totalmente fuori contesto; anche se, bisogna ammetterlo, "leccati la fica" è proprio una cosa che si potrebbe dire a Olivia Munn.
Il target a questo punto è cambiato, anche i ragazzini diventano stronzi (non cattivi alla Stephen King, che è diverso) e il film passa ad essere un action spaccone contemporaneo, che peraltro pian piano si annacqua in scene dalla regia confusa e già vista.
O almeno credo. Ad un certo punto ho perso interesse e mi sono ritrovato a pensare a ciò a cui la mia mente pensa quando si riposa, cioè alle cronologie Bonelli. 
Nell'ultima scena mi sono ridestato e mi sono chiesto: "ma Olivia Munn? Si è leccata la fica? Neanche ce l'ha fatta vedere, 'sta troietta". 

(2020)


Kristoffer Nyholm: The Vanishing - Il mistero del faro

Mah, speravo fosse come The lighthouse (che non ho visto), invece mi sono annoiato. 
Alla fine potevano andarsene quando volevano!

(2020)


Christian Rivers: Macchine mortali

Primi minuti notevolissimi, potenti. Tutta la prima metà del film è davvero figa, come Hera Hilmar. Non conoscevo minimamente questa ennesima saga iang edalt e questa idea delle città semoventi cannibali nel futuro prossimo mi ha travolto come un harakiri arabo (harabiri?).
La seconda metà del film è la solita saga iang edalt e ho cominciato a pensare ad altro.
Facendo la media, direi buono.

(2019)



Rob Letterman: Pokémon. Detective Pikachu

A parte i versi stranianti e il Gengar/Slimer (ma perché?), un ennesimo piccolo capolavoro di questo brand. Nella scena di Cubone e nell'arrivo in città c'è tutta la magia di questo mondo meraviglioso, la utopia più bella di tutte. Certo, la storia in sé non è nulla di nuovo, ed è piena di strizzate d'occhi, ma si gioca comunque delle carte intelligenti (il dare un senso al pokemon parlante), e, ad esempio, nella sequenza dei Torterroni, ti sbatte in faccia tutto il sense of wonder tipico degli oav. Chi scrive rimase sbalordito dal primo film d'animazione - visto al cinema per avere la carta omaggio - e tuttora rammenta quell'atmosfera allucinante della piattaforma sul mare in tempesta come una delle cose più lovecraftiane e avventurose di sempre. Qui siamo in città, tutto si svolge in ambienti più americani e vicini a casa, ma devo dire che un pizzico della magia provata vent'anni fa si è riverberata sui miei occhioni lucidi (e, comunque, il Ditto pazzo è orrorifico a dir poco). Mi duole sapere che sia stato un flop e che non sia diventata una nuova serie.

(2021)



Malcolm D. Lee: Space Jam. A new legend

Chiariamo una cosa. Peraltro lo lascia sottintendere La Tana del Sollazzo quando ci ricorda cos'erano i Looney Toones nei '90. Il primo film non era affatto brutto né stupido, anzi era uno zeitgeist bello pieno. Questo secondo film non lo è: è già roba vecchia, sorpassata... i videogiuochi demonizzati, sul serio? Nel 2021? Certo, io sono un vecchione, e francamente ho trovato questa partita davvero bruttina, così come il "serververso" abbastanza triste. Molto buona invece l'animazione a scritture miste e, essendo un vecchione, confesso che la scena di Michael Jordan - che bramavo da sempre, o almeno da quando è spuntato questo tizio - mi è sufficiente per farmi piacere il film. Ma certo i LT mi sembrano davvero andati, ormai.

(2021)


Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle (trailer)

Quando esce l'acscion figar di lei? 

Per il resto, passino Black e Rock; il resto sembra tutto sbagliato. 
Ma io posso vedere i rinoceronti al computer nel 2017?

(2017)

Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle

E invece non era tanto sbagliato, eccetto le terrificanti gag gender per neonati.
Quando la scatola decide di diventare videogiuoco è molto figo.

(2018)


J.A. Bayona: Jurassic World. Il regno distrutto

Qualche anno dopo, del primo film mi sono rimaste solo le palle che rotolano. In compenso, amo ancora di più la vecchia trilogia.

Ma questo secondo l'ho trovato simpaticamente caruccio, e i motivi sono scontatissimi:
- è letteralmente copiato dai primi due vecchi;
- finalmente porta il brand nell'unica direzione possibile, dove avrebbe dovuto andare già nel precedente.

Vediamo come sarà il terzo/sesto, ma spero sia l'ultimo.

Non ho capito perché il personaggio di Pratt è scazzatissimo.
Ah, e la bambina-clone. Di chi? Del dinosauro? Rettilian Park?
Della Chaplin non mi fotte nulla, poraccia.

(2019)


Colin Trevorrow: Jurassic World. Il Dominio

E finalmente ci siamo arrivati. Che fatica. Eppure era così ovvio, no?, che un nuovo film di questo brand, realizzato dopo il 2010, avrebbe dovuto mostrare i dinosauri liberi pel mondo, e il vecchio cast confrontarsi con questo scenario mutato. E invece no, prima bisognava fare il remake, poi il remake del seguito... e arrivare sfiancati alla svolta decisiva. 
Ma per fortuna adesso abbiamo questo capolavoro... giusto? Sbagliato. Abbiamo invece un film che per un'ora e passa ci mostra i soliti quattro dinosauri divenuti famosi nel '93, senza approfondire quasi nulla del nuovo ecosistema (c'è solo l'immancabile riassunto al telegiornale), e che, ad un certo punto, vira pure sull'action spionistico, costringendo Neill e Dern a girare per il laboratorio dello scienziato pazzo con gli scafandri (sigh). Il tutto condito con dialoghi che definirli tali è già fare loro un complimento (con un tripudio di "What?/Cosa?" smorfiosi che si presume dovrebbero farci ridere). Si potrebbe considerare positivo il non aver abbandonato la demenziale idea della piccola clone e averla, anzi, resa la vera protagonista del film... senonché l'idea continua ad apparirci abbastanza triste. 
Superata la metà, il film abbandona le velleità modernistiche e si rituffa nella fuga del gruppone dai dinosauri malvagi, e qui, finalmente, riesce a creare un minimo di coinvolgimento, dato che si prende anche il lusso di mostrare due dinosauri nuovi, il Quezzarcuato (sicuramente un omaggio allo scomparso Piero Angela) e quello piumato. C'è anche spazio per l'abbondante (dapprima gradito, poi ridondante) ritorno del dinosaurino che sbranò il ciccione del Capolavoro di Spielberg. Quel poco di empatia che si era creata viene però buttata nello sbrigativo finale, che di definitivo non ha nulla: ormai i dinosauri lì sono e lì restano. Certo, la vera minaccia del film non sono loro, ma le locuste ogm: però, francamente, dai... davvero ve ne fregava qualcosa delle locuste?
Gli attori, al netto dei risibili copioni che sono costretti a leggere, sono abbastanza in parte, anche se il personaggio di Pratt persiste ad avere le palle girate (forse per via delle altre volte); e, ovviamente, alle vecchie glorie hanno dovuto rovinare le vite per avere la scusa di ricongiungerli nuovamente. Scopriamo, anche, che la presenza dell'asiatico fin dal primo JW non era casuale, dato che qui colui che, di fatto, è il vero creatore del franchise, viene totalmente riabilitato e reso coprotagonista. 
Il film delude pure sul piano visivo, con una regia complessivamente piatta e televisiva, e con effetti speciali che a volte sono meno che normali: ad esempio, quando i Raptor "schizzano via" con l'avanti veloce. Boh. 
Quasi dieci anni fa (gulp!) ci eravamo approcciati tutt'altro che ostili al rilancio di un universo che avrebbe potuto avere qualcosa da dire, se sviscerato a dovere. Oggi, tuttavia, anche basta, grazie.    

(2023)



Gareth Edwards: Godzilla 

Piaciuto ma annoiato. Alcune belle inquadrature, vago rispetto per l'originale; ma gli attori famosi durano poco e tutto è terribilmente ovvio. Se chi lo ha scritto fosse stato un genio lo avrebbe ambientato tutto nel 1999 e lo avrebbe fuso con quello del 1998. Binoche e Reno in fondo si conoscono (Jet Leg è del 2002, ma ero convinto fosse del 1995 perché l'avevo confuso con French Kiss: ma il problema sarebbe stato facilmente risolvibile mettendo Kline al posto di Cranston). 

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 

Piaciuto e divertito. Varie belle inquadrature, vago rispetto per l'originale, gli attori famosi durano molto (adorabile l'inutilità di Hiddleston), tutto è terribilmente ovvio ma allo stesso tempo diverso. Il regista, vivaddio, ha lo stesso approccio di McFarlane nel Milione di modi per morire nel West (ma senza la merda): è un bambino che gioca con i suoi pupazzetti mettendoci tutto quello che gli piace. Tanta isola, tanta natura selvaggia, tanto giorno: c'ho visto molto Jurassic Park. E la furbata del vintage funziona.

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 2° versione

Con una certa sorpresa (tre cose odio nei film: gli escrementi, i mafiosi simpatici e i mostri in digitale che ruggiscono), confesso che mi è piaciuto. Gradevole intrattenimento estivo (perché è uscito in inverno? boh). 
Hiddleston non fa una mazza :D , Larson mostra le bocce (ma Karen Gillan di Jumanji 2 non si batte), Jackson è stereotipatissimo, Goodman inutile, gli altri boh, solo Reilly gigiona. Però (come nel nuovo Jumanji) sono tutti delle action figures già pronte. Venticinque anni fa avrei già trovato i pupazzi Mattel nei negozi. E' una cosa che valuto positivamente (mica faccio il critico).

Location selvagge dall'inizio alla fine, la collocazione vintage azzeccata, un po' di mystero, un sacco di avventura pura e un regista che gioca con i pupazzetti mischiando riferimenti pop per associazione d'idee (esattamente come facevo io) e spesso mette in piedi belle inquadrature che invogliano a giocare con lui.

Un film di King Kong che non solo non mi ha abbioccato, ma mi ha pure divertito. Me lo segno.

(2017)


Michael Dougherty: Godzilla II. King of the monsters 

Annoiato più del primo. Sì, è un film di mostri; sì, i mostri sono fatti al computer ma sembrano proprio animali preistorici; sì, i mostri se le danno di santa ragione, come doveva essere; sì, l'ultima scena è proprio quella che aspettavamo fin dal titolo. Sì, pure la mitologia ha un suo fascino, perché no.
Ma purtroppo gli umani sono terribili, i soliti standard characters americani, Vera Farmiga è nel ruolo peggiore della sua carriera (più della tossica metallara), la ragazzina è una cosa strana, insopportabile, il padre è un essere inutile, il giapponese muore pur di non prestarsi più a tutto questo, ed è sempre buio, così non si capisce niente.
King Kong è più volte menzionato, ma mai per nome, metti che il team-up non si fa più.

(2021)


Adam Wingard: Godzilla vs Kong

Lo volevamo? Eccolo. Ma forse lo volevamo di più dieci anni fa. Si è fatto attendere troppo. Lo si vede già dal cast: dove sono i grandi nomi di Skull Island? Vabbè, quello era un flashback, ma si è capito cosa intendiamo. E allora diciamo che le due, di numero, scazzottatone tra i due sono state anche abbastanza gradevoli; senza sorprese, ovviamente Gogira batte Chincon che batte, con l'aiuto del rivale, MeciaGozzilla. E diciamo che abbiamo apprezzato l'aver spostato l'asse più verso Kong che verso il rettile (questi il sicuel l'aveva già avuto), e quindi aver visto la Terra Cava con tutti i mostriciattoli annessi, e il gorillone buonone che parla a gesti come in Congo. Ma insomma, a parte questo poco altro. Una regia che prova pure ad avere qualche guizzo  anninovantesco, ma poi deve comunque sottostare alla legge della compiuter graffica e delle scene in notturna per coprire i bug (ma anche qui s'è visto di peggio, diamogliene atto). Fortunatamente, per compensare l'eccessiva lunghezza dei minutaggi, oggi i copioni prevedono per contratto vari momenti piatti in cui potersi appisolare. Qui l'ampio uso di personaggi umani stereotipati contribuisce al raggiungimento del risultato.

(2023)



Denis Villeneuve: Dune

Verstappen campione del mondo: in questo strambo 2021 (che per me è il 2022) doveva succedere anche questo. Finalmente Gilles imbrocca un film. Stappèm le campagne! Dopo l'anonimo Prisoners, il soporifero Sicario (capace di farmi dormire anche col suo prequel italiano), il mediocerrimo Arrival e l'inutile Coso 2049, nemmeno la Salernitana avrebbe potuto sbagliare anche questo, e infatti non l'ha sbagliato. O, almeno, così ci piace pensare, dato che il romanzo di Herbert non ci ha mai entusiasmato (per noi Herbert è quello che confondiamo sempre con Hubbard)... ma non solo: è proprio questo tipo di "fantasyenza" a non attrarci, con la sola eccezione di Guerre Stellari, che ne era quasi la parodia (e probabilmente per questo motivo). Eppure, nonostante questo film sia un inno a tagliuzzarsi col rasoio, e nonostante anche qui il sonno abbia avuto la meglio sul discernimento degli ultimi accadimenti, in certe sequenze (perlopiù panoramiche, ma non solo) abbiamo rintracciato la grandeur che avremmo voluto trovare, per un curioso paradosso nerdistico, nella terza trilogia guerrestellaresca, dove faceva capolino solo un paio di volte, di sfuggita. Ma perché da una parodia dovremmo pretendere l'epica di un polpettone prussiano? Ma che ne so, se si chiama "space opera" e non "space vaudeville" ci sarà un motivo. Dicevamo del romanzo (ignoriamo volutamente seguiti e Lynch): non lo abbiamo mai letto perché così è andata la vita, però ne conosciamo a grandi linee l'intreccio e i retroscena; andando a documentarci, abbiamo scoperto che anche questo film ha apportato modifiche a suo uso e consumo; parafrasando Socrate, se abbiamo detto che del romanzo non ci importava molto, non ci importerà molto nemmeno di questo. Il problema è che, ripensandoci a mente fredda, effettivamente, in queste interminabili due ore e mezza, per noi ridottesi a due ore causa abbiocco, stringi stringi, non sono accadute poi così tante cose, e alcune di queste sono accadute alquanto frettolosamente e disempaticamente (tutte le morti dei comprimari famosi, per capirci). Alla fine, cosa ci è restato di questi anni '80 ridisegnati? Belle fotografie; computer grafica fluida e amalgamata col live action (grande vittoria, questa, lo confessiamo); mezzi meccanici che sembrano veri; un vermone credibile (perché astutamente mostra solo la faccia); la fidanzata di Spiderman che si volta, come negli spot delle creme solari. Niente di imprescindibile, e, soprattutto, niente che Herbert avrebbe posto in primo piano. Comunque è un film in cui Javier Bardem fa un cameo di due minuti, quindi molto coraggioso. Ma manca qualcosa, e non è solo la seconda parte. Eppure, come direbbe Hamilton, "qualcosa è sempre meglio di niente".

(2022)


Martin Scorsese: Silence 

Sotto certi aspetti è un film d'altri tempi, da maestro: immagini bellissime e una cura per i dettagli che, da sola, sfiora il sense of wonder. Si vede il tocco del regista. Però è anche un film eccessivamente lento, con punte da palla colossale. Va bene sfidare l'ordine costituito (la moda dei film d'azione industriali), ma, se proprio devi votarti al martirio, almeno non farlo così lungo.

(2022)


David F. Sandberg: Shazam!

Ciacc Bartoschi nella sua grande occasione ci inebria di soddisfazione, senza un reale motivo, a dire il vero: non è solo lui, a rendere riuscito il suo telefilm. Una prova in palla, la sua, comunque: però sentirlo con un'altra voce ci ha un po' infastiditi. Ma il film ci è parso alquanto modesto e infantile, tant'è che, ad un certo punto, ci siamo distratti e non abbiamo più ripreso il filo, salvo ritrovarci ai titoli di coda copiati da Homecoming e ad un finto cameo postcredits che lasciava perplessi anche prima dei recenti avvenimenti. E, a parte l'anziano Honsou, abbiamo rimosso quasi tutto.

(visione: 2022; commento: 2023)


Jason Reitman: Ghostbusters: Legacy

Titolo poco convincente per un filmetto che intrattiene ruffianamente fino alla fine, con un piccolo calo nella parte-clou riproposta quasi para para dal primo film (ma anche le novità della trama erano scontate fin da subito: a me è andata bene perché ho saltato il prologo per cause di forza maggiore, ma chi lo ha visto poteva indovinare il finale dopo due minuti). Cast nuovo abbastanza in palla, mentre il confronto tra quello vecchio nella forma attuale e lo stesso nella forma dei tempi d'oro è relativamente impietoso: non perché i tre superstiti siano da buttare, ma perché i loro personaggi, da irriverenti e sbruffoni, sono divenuti anziani lamentosi. A questo punto, comunque, direi che è il caso di far morire il brand in pace, anziché tormentarne il fantasma.

(2022)


Justin Benson & Aaron Moorhead: Synchronic

Fantascienza "indie" una decina d'anni fa originale e capace di appassionarci enfaticamente. Arriva un po' in ritardo, quando il filone è stato svuotato dalle major e ci ha perso appeal, ma fa il suo, intrattenendo convintamente dall'inizio alla fine. A dire il vero, l'inizio è a forte rischio noia: ma forse levarsi subito di torno le psichedelie e la parte "urban drama" è stata la mossa giusta. La seconda metà è quella dei viaggi nel tempo: come si fa a trattare ancora questo tema facendolo sembrare nuovo? Beh, quella proposta è una soluzione. Tanti paletti, in modo da rendere i cronoviaggi delle vere esplorazioni, laddove per "vere" si intende "realistiche", cioè come le vivrebbe uno sfigato qualunque, per il quale anche svoltare l'angolo, in un'altra epoca, è avventurarsi nell'ignoto. Dieci anni fa Mackie non ci entusiasmava, ora ci piace, e quindi va bene: il finale poteva concedergli qualche minuto in più. 

(2022)


Robert Eggers: The lighthouse

Prima ora e dieci magistrale. Capolavoro, classico istantaneo. Due interpretazioni immediatamente iconiche, costumi set luci sfondi, utilizzo del b/n che dà lezioni anche a cineasti blasonati, tutto perfetto. Tecnicamente è un crescendo, ma per noi è un tempo sospeso che vorremmo non finisse. Ma appunto è un crescendo, e quindi esplode in una grottesca sequenza "porno", e da lì si discende veramente nel delirio. Una quarantina di minuti abbastanza cruda, o almeno ferale, e quindi di difficile revisione. Ma quell'ora e dieci... In fondo, molti Classici non lo sono letteralmente per intero. Sembra un film che può davvero entrare nell'elite dei sempre riguardabili.  

(2022)



Akiva Schaffer: Cip e Ciop Agenti Speciali

Il primo miracolo è che sia riuscito a vederlo. Il secondo è che è un film di produzione recente che ho già voglia di rivedere. Non c'è due senza tre: chissà. Eh sì, è Roger Rabbit 2.0, ed è complessivamente inferiore al capolavoro, eppure è un film bello e divertente. Divertimento millennial, certo, per bamboccioni, chi lo nega. Ma è divertente: il rap della balena l'ho già cultizzato. Tutto - lo sfondo "geopolitico", i camei, l'animazione - non ha la magia di Chi ha incastrato..., e quel che resta più impresso è Monty tossico. Ma è giusto così: decisamente gli anni '90 sono finiti negli anni '90. Bova&Morelli non irreprensibili, ma simpatici. Non mangio la balena, quindi per cena non darmi la balena.

(2022)


James Gunn: The Suicide Squad - Missione suicida

Sequel migliore dell'originale, ma stavolta ci voleva davvero poco. Tolto il paio di volgarità previste dai contratti, è un film abbastanza divertente pure per chi ha sempre trovato esagerata la grancassa sui Guardiani della Galassia: far ridere, oggi, è facile; è essere seri che è difficile. L'incipit prologico è studiato per catturare l'occhio, e ci riesce: sia con lo sterminio dei freaks del primo film, che, e soprattutto, col look stravagante di Rooker. I personaggi sono decisamente più azzeccati che nel film di Ayer, considerato pure che i due protagonisti di quello sono qui quasi stravolti: nel senso che questa Harley Robbie rinuncia del tutto al look che l'aveva resa iconica e segue l'andamento del canovaccio, adattandosi di volta in volta; mentre il personaggio di Elba non è quello di Smith, ma praticamente lo è, ed è più credibile qua. Ben costruiti anche i due comprimari ponzati per generare empatia, la topara narcolettica e l'uomo squalo ritardato, e guarda caso sono i due che sopravvivono. Peraltro, la delusione per la totale assenza di riferimenti a Stallone nell'edizione italiana è controbilanciata dall'irriconoscibilità della voce di Ward; ma va detto che non abbiamo riconosciuto nemmeno la Rossi, e sì che è almeno la terza volta che incontriamo il personaggio della Davis (sempre cazzutissima). Simpatico anche l'uomo a pois. Peacemaker, invece, ci è sembrato solo uno stronzo, ma lo spin-off lo hanno dato a lui. Vabbè. Nonostante la vena con pretese d'irriverenza, è comunque un film di supereroi, e dunque destinato al parziale oblio geriatrico (dai e dai, si assomigliano tutti). Ma, sul momento, le sequenze simpatiche e ben girate sono diverse: lo sterminio del campo dei rivoluzionari e l'evasione di Harley spiccano per durata e coreografia, ma ci è piaciuto anche il crearsi dell'alchimia nel gruppo, con le scenette dei topi e dello squalo. Alquanto manifesta la critica governativa, cosa che, volendo, potremmo considerare una piccola sorpresa (non che anche l'MCU non avesse dato, in questo senso, ma qui è più sbandierata). La parte finale, come l'iniziale, cerca nuovamente di catturare l'occhio, ma stavolta letteralmente, con l'introduzione di Starro. Scusateci, non potevamo non scrivere questa battuta. Scontro dall'esito scontato, anche coreograficamente, ma certo non insensato (grottesco sì). Forse facevamo il tifo per Starro. Insomma, film astutamente congegnato e che ha consegnato a Gunn le chiavi del potere: speriamo che almeno 'sta rivoluzione non diventi dittatura. 

(2023)


Lana Wachowski: Matrix Resurrections

Le recensioni dell'Anonima Cinefili e dei 400calci sono sufficientemente esaustive. Per noi il primo film è un cult per via del contesto, più che per l'opera in sé. Il secondo e il terzo ancora meno: li vedemmo addirittura al cinema, ma ce li ricordiamo più per Rat-Max. Questo quarto film ci ha procurato lo stesso identico status psicofisico degli altri tre: una cornice di gasamento, con all'interno un irresistibile abbiocco. E già questa è stata una sorpresa, ci eravamo rassegnati al solito requel piatto e triste. Invece ha sciorinato molti altri difetti, ma non quei due. Ci ha pure, qua e là, di soppiatto, infilato qualche pregio: ad esempio l'inserimento dei vecchi spezzoni lo abbiamo gradito, e pure tutta la lettura meta ci è parsa paciosamente bonelliana. Naturalmente non è mancato il repertorio delle Uacioschi donne, da Sense 8, tipo il cast di quel telefilm, i vestiti alla Malgioglio e Trinity più forte di Neo; roba che inevitabilmente non abbiamo gradito, ma che non ci ha colti impreparati. Cosa che invece ha fatto Pinketts Smith, improvvisamente decrepita. Insomma, questo film, che, nel complesso, ci è sembrato più "vero seguito del primo" rispetto ai secondo e terzo, è riuscito persino a spiegarci, dopo quasi venti anni, l'inintellegibile bambina indiana, rompicapo tormentone finalmente archiviabile.

(2022)


Matt Reeves: The Batman

Inizia maluccio, con un monologo soporifero e un'impressione generale di poverata. Pian piano, si riscatta e si arriva a comprendere l'intento degli autori, ovvero riprendere Detective Comics: una buona trovata, che differenzia questo dagli altri diecimila film sul personaggio. Non diventa mai un film particolarmente eccellente, con sequenze o battute memorabili, ma un intreccio giallo-noir-thriller (cioè mistery) è sempre la chiave giusta per tenere desta l'attenzione (lo diceva anche Sclavi: "dev'esserci sempre un mistero da risolvere"). Questo - possiamo dire: quasi a sorpresa - riesce finché... il mistero non viene svelato. A quel punto il film è finito, ma gli autori debbono per forza attribuire all'Enigmista un piano "alla Bane di Nolan". Risultato: un ulteriore mezz'oretta, o più, ridondante ed inutile, che conduce ad un finale capace di dare un senso etico a questo ennesimo Batman, ma comunque abbastanza piatto da vedere o ascoltare. Il cast è - sorprendentemente, lo ribadiamo - abbastanza azzeccato, compreso Gordonero, e pure Selina ha effettivamente un volto da micetta. Il protagonista, un'altra sorpresa, passa più tempo in costume che senza, al contrario dei suoi predecessori: forse perché, in borghese, non è ancora molto credibile; mascherato, però, risulta autorevole ed inquietante, come un Batman dovrebbe sempre essere. Sorprendente anche Crescentini, ormai prezzemolino, e con un timbro che teoricamente con Batman c'entra come i cavoli a merenda; e invece, vedi che la verdura fa bene? Pure la colonna sonora (o, se non altro, il tema di Giacchino), che all'inizio mette tristezza, arriva progressivamente ad avere un minimo di pathos. La chiave con cui è reinterpretato l'Enigmista non è la più originale possibile, ma anche qui, il "Fantomas" terrorista dalle mille identità è un Classico senza tempo, che mai stanca; ma assolutamente il suo "vero piano" non avrebbe dovuto essere rivelato; ora è il solito pirla. E Giocher? Diosanto, pure qua? Meno male che l'hanno tagliato. A Pinguino, invece, non avremmo abbinato Boccanera, tanto che sia Farrell non si capisce mica. Il maggiordomo, infine, è anonimo: possiamo dire "finalmente"?

(2022)


Keith Thomas: The Firestarter

Non amiamo molto la pirocinesi: quindi il romanzo di King è quello che ci interessa meno, e il film vecchio non l'abbiamo visto (ma ne amiamo moltissimo il titolo italiano). Qui il titolo è quello originale, metti che ci confondiamo, e possiamo dire di non aver visto nemmeno questo, avendone saltato dei pezzi. E allora perché ne scriviamo qui? Intanto perché c'è Zac Efron che si ostina ad avere un'età indefinita, che lo rende giovane e vecchio al contempo: è più vecchio di quando era giovane, appositamente per far sembrare vecchi anche noi; ma non è proprio vecchio, perché tutto sommato ha ancora quegli occhi glamour, però noi invece siamo indiscutibilmente vecchi, come è possibile? E questo è già un motivo. L'altro è che, nell'ultima parte, quando la pimpa si scatena, visivamente parlando il film si sforza tantissimo di non sembrare un film odierno, giocando di scuri e rossarancio, e soprattutto tenendo ininterrottamente un ipnotico temino in stile anni '80, che non sappiamo se sia lo stesso del film vecchio (non avendolo visto, vedi sopra). 

(2023)


Paolo Virzì: Siccità

Film italiano contemporaneo con un tocco di fantascienza sociale, che già da solo vale una visione. Il Tevere prosciugato fa il suo effetto (speciale), ed è bella la sequenza in cui si scopre che dall'alveo è emerso il Colosso romanico. Invece gli effetti del razionamento dell'acqua fanno più da sfondo sotteso, anche se le file alle cisterne e i bacarozzi li vediamo più volte, e non manca il tormentone dell'acqua della Valtellina, mentre la scena al supermercato è soltanto una e breve. Infatti, il film preferisce concentrarsi più sulle storie dei personaggi, ricordandoci che si tratta comunque di un film italiano contemporaneo. Ma, pur essendo contemporaneo, sembra rifarsi alla gloriosa "commedia all'italiana" degli anni 1970 (che non faceva ridere di gusto, ma empatizzare nel disgusto), pure nella sua coralità di caratteristi: i personaggi di Tortora, Orlando e Mastandrea, in particolare, sembrano provenire proprio da quel tipo di cinematografia. Poco sfruttato quello della Pandolfi, invece; fin troppo quelli della Fanelli e del bodyguard; poco incisivi lo scienziato vip e la diva.

(2023)


SKY Atlantic: 1992/1993/1994

Serial italiano all'americana, dai risultati migliori di quanto lascerebbe pensare un'occhiata superficiale. Certo, l'approccio è americano: quindi spettacolarizzazione degli eventi storici, nudità (ma è Miriam Leone, mica chiudiamo gli occhi), alcuni personaggi riadattati (Di Pietro fighissimo, non sembra tanto quello vero), altri erano già macchiette dal vivo (S.B. su tutti).  
La prima stagione è su Tangentopoli e la crisi delle ideologie, la seconda sulla nascita di FI, la terza si concentra sul primo governo B. La prima, tirando in ballo i partiti storici, è un pelo più assortita. I protagonisti - di fantasia - sono tre: Accorsi, Leone e Caprino; il primo ha una rilevanza lievemente maggiore; il nostro favorito è il terzo: abbiamo impiegato più di una stagione a renderci conto che si trattava del Commissario Manara, ma dopo averlo riconosciuto è stato una sorpresa continua. Il personaggio di Accorsi rappresenta quel tipo umano che detestiamo da quando portavamo i calzoni corti, il "rancoroso con la sinistra che va a destra per dispetto". Nel suo tratteggio, comunque, ci è parso verosimile. Leone fa la zoccola che diviene vip che si dà alla politica arrivista: un personaggio quasi assurdo, eppure ispirato ad alcuni realmente esistenti. Il leghista di Caprino si presenta fin da subito con qualche connotato un po' eccessivo, tipo che era un militare del Golfo, ha il padre ludopatico, poi si rigira tutti i Big del partito a suo piacimento (ed in questa semi-finzione è lui quello del cappio in Parlamento), e in generale, sia lui che Accorsi vanno in galera e commettono omicidio. Ma diciamo che le spettacolarizzazioni servono ad esemplificare alcuni concetti altrimenti difficili da rappresentare, su tutti le origini "oneste" ("disciamo", cit.) dei personaggi e della rabbia contro la partitocrazia. Col passare delle puntate, naturalmente, sul trio protagonista si intreccia tutta una telenovela nazional-popolare che giunge ad un suo compimento irreversibilmente novellistico. Ma ciò che a noialtri attrae l'occhio è l'inconsueto - per la produzione italiana - sciorinare di nomi ed eventi storici, con un parterre vastissimo di camei e partecipazioni (anche di attori celebri), ed è evidente come, oltre ai personaggi di fantasia, siano da considerare semi-protagonisti Di Pietro e S.B., il primo più nelle prime due stagioni, il secondo nelle ultime due (nella prima è solo una minaccia incombente). In particolare, un S.B. così, in una fiction italiana, non lo avevamo mai visto (e grazie tante, a parte Il caimano e Loro è stato sempre tutelato). E questo nonostante il cambio di attore tra seconda e terza stagione, che non ha tolto nulla ad una mimesi che ci è parsa sempre riuscita. Un certo ruolo è dato anche a Bossi e Maroni (bravi gli attori, soprattutto il secondo), mentre al D'Alema di Marchioni bastano le due sequenze in cui appare per rubare la scena (notevole il "caruccio"). Buffi i camei di Melandri Finocchiaro Prestigiacomo e Mussolini che fanno una legge social warrior insieme. La seconda cosa che colpisce, visto il Paese in cui viviamo, è che si parla proprio del centrodestra, sviscerato senza troppe censure (qualche ellissi c'è, tipo i Graviano e soprattutto la P2, ma non si poteva rischiare la cancellazione), tant'è che sostanzialmente l'impressione che se ne ricava è che siano tutti delle merde, il ché avvalora le tesi che teorizziamo da trent'anni, e quindi siamo in pieno romanzo popolare consolatorio ("Il superuomo di massa"). Il centrosinistra non manca, ma è considerato quasi irrilevante. Se ne parla più per i trascorsi di Accorsi/Notte, e quindi sul tema prevale il suo punto di vista astioso, ma quando è il PdS a comparire in scena questo non appare poi così terribile. L'ultimo episodio della serie è ambientato nel 2011, nei giorni della caduta del B. IV. Uno stacco un po' tranciante, ma soprattutto un po' iettatorio, dato che simbolicamente vorrebbe rappresentare la fine di questa interminabile parentesi berlusconiana, e invece nel 2023 guarda come stiamo. 

(2023)


Andy Muschietti: The Flash

La combo "offerta a metà prezzo"/"cinema a 200 mt da casa" non solo ci ha riportati al cine, ma addirittura a vedere un film il giorno della sua uscita ufficiale nelle sale. Ora. Sapevamo bene che questo Flash hipster del cocainomane Miller fosse la macchietta della Giastis Lìg, se non altro perché così era stato presentato nelle sue precedenti apparizioni nello Snyderverse. Ma scoprire che almeno metà del kolossal ad egli dedicato sarebbe stato ai livelli di Strafumati ha interdetto perfino gente abituata a sciropparsi obtorto collo l'intera filmografia di Boldi e affini. Fortunatamente, avendo raggiunto da tempo l'apache dei sensi (siamo costantemente sul sentiero di guerra, nonostante la lotta impari), e soverchiati da una quantità multiversale di soprusi ed umiliazioni, vedere un supereroe fare il clown e dire battutacce adolescenziali dinanzi alle star di hollywood a fine carriera, non solo non ci disgusta più, ma sembra quasi sollecitare i nostri intinti più grassi (=solleticare, istinti, bassi). In fondo, è ciò che l'EmmeCiU fa da diverso tempo. Peraltro, abituati alle farse della serie tv, che però si prendeva sul serio (l'Arrowverse, fascinoso nel suo complesso, ma alla lunga insostenibile in termini procedurali), non possiamo certo definirci inorriditi dall'aver visto scenette demenziali come i balletti dei neonati e dei cani precipitanti o dal Barry-2 strafatto (in tutto il resto del film). Addirittura, in poche, certosine occasioni, ne abbiamo sorriso sotto i baffi. In fondo, se ai tempi di American Pie potevamo ancora credere che il livello intellettuale degli statunitensi non fosse effettivamente quello, oggi la fede incerta si è incarnata in dato di fatto. Gli americani sono questi: stiamoci. Almeno per loro il caimano è ancora un puttaniere. 
Miller, facendo leva sulle sue esperienze, giostra alla grande le due versioni (entrambe asperger) di sé stesso, soprattutto quella più sboccata, che con evidenza gli è più naturale. Ma quando c'è da recitare la parte del serio e compito giovanotto, non si tira indietro (forse presagendo che non avrà altre occasioni). Il resto del cast del personaggio-mondo è ridotto ai minimi termini: il padre che è un altro attore, ma non per colpa del multiverso; la madre, ispanica senza un motivo, Maribel Verdu senza un motivo, una Verdu anoressica e rugosa senza un motivo; Iris West, che per differenziarsi dal telefilm è di un colore meno carico. Tutto il resto è metacinema. Si comincia, ovviamente, con lo Snyderverse (Jeremy Irons con Ben Affleck che, in pochi minuti, riesce a fare sia il mentore che il Batman, dato che addirittura lo vediamo in azione; e poi Gadot e Momoa, quest'ultimo dopo i crediti perché inseguito da Vin Diesel). Si passa, dunque, ad un altro universo, quello di Eric Stoltz e di Temuera Morrison sposato con la moglie di Andy Capp. Che però è l'universo del Batman di Tim Burton: e quindi vai di set Lego (villa, caverna, soundtrack). Decisamente la parte migliore, quella in cui personaggi di un film si muovono negli ambienti di un altro film. Le ripetute e ossessive citazioni di Ritorno al Futuro non appaiono casuali: sembra proprio di rivederci, infanti, giuocare alle contaminazioni metanarrative, come ai gloriosi tempi in cui ci sparafleshavamo quella trilogia in loop e ne ideavamo improbabili e disinibiti remake con i pupazzetti e i fumetti. Keaton, nonostante la cialtronesca (ri)entrée, si riappropria rapidamente del ruolo, e lo tiene saldamente fino alla fine. Anche quando è costretto ad uscire dalla comfort zone e ad addentrarsi in questioni che poca attinenza hanno coi suoi trascorsi (Supergirl e il polo, Zod e la battagliona in cgi). La stessa Supergirl, pur meno graziosetta pucci pucci della Benoist, ha delle curve che attirano l'occhio (è il suo scopo, infatti fa poco altro). La battagliona, coerentemente con i precedenti storici, non è affatto interessante, e infatti il fulcro del film è un altro. No, non "Flashpoint": è una bella storia, ma l'abbiamo già vista tante volte. No, ovviamente ci riferiamo ai multiversi che si incontrano, e forse fondono (Muschietti ha detto che i mischietti sono voluti): ecco Superman di Donner e Reeve, e la Supergirl di Slater; ecco Superman di Nicolas Cage, leggenda urbana che prende finalmente vita; ecco Superman degli anni 1950, Batman di West, e un Flash in stile anni 1940 che ci dicono essere quello che faceva il pazzone nel telefilm di cui sopra (mah). Purtroppo, il tutto è in una computer grafica scadentuccia, da videogiuoco datato. Il parterro di re è pure incompleto: dove sono Val Kilmer, le varie gattine, Lynda Carter, i tizi dell'Arrowverse, i cartoni animati, il Flash degli anni 1990, Superman Dylan Dog e Ryan Reynolds? E Nolan? "Immagina, puoi", diceva il protagonista dell'ultimo, gustoso cameo, nel simpatico e posticcio finale. Che è come dire "Se puoi sognarlo, puoi farlo" (il motto della concorrenza). Ma forse la storia di "Flashpoint" ci insegna proprio il contrario. 

(2023)


Riccardo Chemello: Dampyr

Chiediamo scusa. Per il ritardo: quei tre giorni lì, quand'era al cine, avevamo l'agendina piena; poi, ne abbiamo subìte di tutti i colori; alla fine non ce la siamo sentita di farci vivi con tutto quel ritardo accumulato. Per gli errori: noi davvero eravamo convinti che il film fosse l'adattamento della miniserie Le Origini (#266/269); invece no, adatta proprio i #1/2, anzi, il #1 e il finale del #2 (tutta la gita a Sarajevo è saltata di netto). Peccato, ci tenevamo tanto a vedere la donna vestita da uomo. (Ok, a Tesla è stato tolto il seno, ma non è la stessa cosa). Per la prima volta, dunque, abbiamo seguito un "cinecomic" conoscendo veramente tutta la trama, seguita pedissequamente, quasi a ricalco delle vignette. Un'esperienza sostanzialmente unica, per quanto ci riguarda, dunque difficile da inquadrare razionalmente: il fascino perverso di aver visto un film tratto da un fumetto Bonelli supera largamente i numerosi difetti. Del resto, è tutto un inestricabile pastiche di ottimo e pessimo. Il cast è bellissimo, nonostante siano tutti tizi qualunque truccati da pupazzi; gli effetti speciali sono bruttini, ma lo sono anche quelli dei kolossal americani, e comunque solo all'inizio e alla fine lasciano perplessi; le scene d'azione sono incredibilmente fumettose e gradevoli, e la furbata di sfruttare per ogni sequenza la musichetta ad hoc denota sagacia. (Non è bello ciò che piace, ma chemello, chemello, chemello.) Non mancano gli inevitabili tradimenti, su tutti Gorka che diventa Voldemort/Darth Sidious/Alberto Sordi col cappuccio e impone le mano, ma dai, alla fine è simpatico pure lui (con l'aggiunta metanarrativa: siccome è Pino Insegno, è SBE vs TeleMeloni). Ciò che ci ha più colpiti e straniti è la durata delle sequenze: tutte molto brevi, praticamente il film è un collage di stacchi. Una scelta opinabile o la più giusta visto il budget limitato? Francamente, ogni tanto ci è parso che mancasse qualche battuta tra uno scazzo e l'altro dei protagonisti (tagliuzzi nel montaggio?). Ah, peraltro per un'ora abbondante il film poggia su Kurjak, con la sua capigliatura disegnata e questo attore indovinatissimo che si è studiato le pose di Majo a memorja: complimentj. E' lui il vero eroe: quando sposta la sedia alzandola e non trascinandola, abbiamo emesso un gridolino. E la voce di Pucci? Ce la siamo sempre sognata diversa (sbagliando, evidentemente). Azzeccato anche il look di Tesla (sebbene nel fumetto appaia inizialmente nuda, qui ha il top), mentre il poveraccio costretto a fare Harlan deve farsi tutto il film coi ciuffi negli occhi; ma cosa gli possiamo dire? Noi lo abbiamo sempre infantilmente associato a Ralph Fiennes e a Pedicini, invece qui è un emo con la voce di Dean Winchester, un po' sfigato, ci mette un pochino ma diventa simpatico. E Yuri, Laszlo e il tricheco? Sono uguali al fumetto (forse il legionario è diverso). E Draka e le zie? C'è anche la loro partecipazione, sì. Esilarante la scena post credit. E ancora: il simbolo di Atlantide a Sarajevo (ma perché? Boh, perché no?), il libro coi disegni che sembrano di Dotti o Andreucci (ma è Nergal l'ultimo? E' diverso). Insomma, se vivessimo in un posto normale avremmo la voglia di rivederci subito daccapo questa roba kitsch e naif e radical e chic, pur sapendo... anzi, proprio sapendo che non avrà mai un seguito, e resterà un improbabile ed irripetibile unicum. "Mauro Boselli e Regione Lazio presentano". Ma quando ci ricapita. 

(2024)



James Mangold: Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Film non necessario, ma quale lo è? Almeno, se Il Regno del Teschio di Cristallo uscì in un momento in cui a nessuno poteva calare di un brand così vetusto e vintage - non quando si veniva da originali trilogie nuove fiammanti e si ammirava l'alba della saga del secolo - , quest'altro esce in piena era di bulimia da sequel e remake, in cui non avere uno straccio di idea è motivo di vanto e spremere i primi nerd è l'unica soluzione escogitata dal capitalismo cinefilo. E allora, cosa c'è di meglio, nel '23, di un film in cui Indy è vecchio e stanco e vuole morire in santa pace con i suoi interessi di nicchia? Diamine, siamo noi. Sì, un tempo avremmo detto che a rappresentare lo spettatore è il personaggio della Phoebe-eccetera, Vombato aka zia Sfrizza, ma guardiamoci in faccia: noi oggi siamo l'anziano malaticcio e svogliato, non la tipa sbarazzina che vuole ancora divertirsi. Si dice che questo sarà l'ultimo film con Indiana Jones: lo speriamo ardentemente, sebbene siamo consci che non sarà così. 
Eppure, dopo aver ammirato estasiati quella mezz'ora di flashback degli anni '30, ci chiediamo per quale motivo non insistere ancora di più con questa tecnologia del ringiovanimento, e fare un film intero in questo modo? Assomiglierebbe a un videogiuoco? Beh, ma i videogiuochi di IJ sono costruiti come dei veri film, e non sfigurano più di tanto dinanzi ai loro compari cinematografici. Ricordiamoci di Cushing. In fondo, il passaggio di consegne dai creatori della serie lo avevamo avuto con i suddetti videogiuochi, adesso è proprio ufficiale: la regia di Mangold sembra quasi realizzata sotto dettatura del buon Steve, non c'è proprio nulla di differente dagli episodi più gloriosi del brand. Si è pure ridotta, di molto, l'unica grave pecca del Teschio: il minutaggio del più becero green screen, abnorme in quel film (a quei tempi si pensava che lo stile di Capitan Cielo e il Mondo di Domani fosse una genialata), qui impiegato solo in un paio di panoramiche scadenti, ma riempitive. Il treno elegante, il magazzino, la parata, persino la Sicilia macchiettistica (con tanto di Margiotta senza Olcese) e le assurdità sotto la grotta sono momenti di genuino IJ (come ai tempi lo furono il frigo, il balletto sulle jeep e gli alieni non alieni). Lo stesso dicasi dei personaggi: di come sono costruiti e vestiti, di come parlano e di come interagiscono. E quindi pure gli sceneggiatori, volendo, si possono trovare. Ma avrebbe senso proseguire oltre? In fondo, l'unico grande mistero rimasto irrisolto è: cosa vuole la gente? Ora lo sappiamo: quello che vuole Indy. L'amore? No, la morte. Non siamo del tutto convinti che il lieto fine fosse necessario, ma d'altro canto non avrebbe avuto senso scegliere proprio quel momento storico e quel luogo geografico per far crepare un personaggio così potente. A nostro parere sarebbe stato più divertente che la breccia conducesse ai giorni nostri, e che Indy vedesse il suo futuro, cioè il nostro schifo di presente. Magari con Evans a salutarlo. Che brividi. ... Paura, eh? Stavamo scherzando, giù i randelli. Alziamo gli occhi, sbuffiamo e prepariamoci allo spin-off con Aunt Wombat/Zanardi, sperando che non finisca come lo spin-off di National Treasure. E speriamo che a Harry diano il fottuto Oscar alla Carriera prima che muoia.

(2024)


Denis Villeneuve: Dune. Parte Due

La parte dune di Due! Non potevamo non scriverlo. Abbiamo già detto che il romanzo, pur rispettandone il successo, non è tra i nostri favoriti. E abbiamo già detto che Cittànuova non è il nostro regista preferito, e che pensiamo sia pure sopravvalutato. Ma abbiamo già detto anche che, tutto sommato, Duno Parte Une non era obiettivamente brutto, nonostante i suoi limiti. Ecco, abbiamo già detto tutto, e per questa seconda puntata non c'è altro da aggiungere. I 400 Calci hanno abbondantemente spiegato la situazione. Cosa ci ha spinto a tornare a guardare un film dopo quasi un anno? Ci si era rotto il cellulare. E cosa ci ha spinto a scegliere proprio questo? Non abbiamo scelto noi. Ciò nonostante, abbiamo apprezzato l'ampliamento di quei cameini di Bardem e Zendaya, qui praticamente co-protagonisti, nonché l'utilizzo non proprio sbagliato di questo kast da colossal, tutto tempeshtato di vip. Peraltro, la fida di Spidey ha finalmente trovato un ruolo impegnativo. E che lavorone, Pedicini! Quasi irriconoscibile. Più sfigati gli altri, a parte il protagonista, azzeccato. Quanto alla questione mediorientale, che definire "allegorica" è un eufemismo, in piccola parte ne abbiamo subito il fascino, anche se i tempi in cui ci entusiasmava sono ben lontani, tant'è che dopo un po' di ripetizioni ci siamo lasciati cullare dall'abbiocco, sognando Topolino e il vento dell'Azalai. Ma se negli anni 2000 uscì Le crociate di Scott, in questi 2020 possiamo farci bastare quest'altro. Con buona guerra per i decontrattori e cattiva pace per noi pacitonti.

(2025)

lunedì 10 marzo 2025

DAMPYR (6)

Dampyr #251: Stavkirke (Principato/Lozzi)

Lo possiamo dire? I riempitivi di Supernatural sono migliori di quelli di Dampyr. Ecco, ora prendeteci pure a schiaffi. Il nuovo sceneggiatore si integra immediatamente, comunque, anche nel suo rispondere piccato alle critiche del forum e nel cambiare discorso quando l'immancabile utente che ha l'amico coinvolto nei casi di cronaca nera norvegesi di trent'anni fa gli fa notare di saperne di più. Ignorando volutamente l'argomento alla base dell'albo (perché non ci piace, e Boselli aveva detto che non piaceva neanche a lui), ci accontentiamo di vedere un non-morto di Lodbrok, quello del cross-over con Dylan Dog, che peraltro sembrava più sveglio dei soliti non-morti, ma non al punto da sopravvivere alle sue 94 pagine di celebrità. L'artista è un grande talento, ma ogni tanto fa lo gnorri, ma è lui a rendere non insopportabile questa lettura usa-e-getta (metaforicamente: mai gettare albi per terra, inquinano gli sputi).

Dampyr #252: La regina di Babilonia (Boselli/Longo)

Seguito dell'albo più interessante tra i post#200, è un albo epocale; o, visto l'argomento trattato, eporcale. Salutiamo definitivamente (SPERIAMO) il Duca Nergal, il personaggio più desueto della serie, questo vecchio baffuto, copiato da un attore dimenticato, dai modi eleganti ma nazistamente psicopatici, sicuramente più somigliante al Conte Dracula di altri suoi colleghi Maestri. Qui lo ritroviamo in una versione Conte Ejacula, in pieno vigor mortis, ancora capace di alimentare la speme altrui. In particolare quella della moglie Ereshkigal, la puttana di Babilonia - non quella biblica, quell'altra -, una semplice non-morta che ci era stata presentata (#237) come Zora la Vampira, invece è solo Maghella. Tutto l'albo gioca sulla sua somiglianza con Lady Nahema, e viceversa, così il disegnatore può disegnarle uguali e confonderci di proposito, mentre ci distrae con i suoi giochi di chiaroscuro, i suoi capitelli decorati, i mantelli pieghettati e una splendida veduta di Babilonia del passato, per un'arte degna dei migliori Ediperiodici e che ci piacerebbe vedere su Martin Mystère (senza offesa per i porno). Per qualche istante temiamo - o vogliamo - che la soluzione da fumetto supereroistico del Nergal posseduto dal necroamante Abraham Stern possa divenire il nuovo status quo; invece no, c'è Lady Nahema, mentre Abigor non muore, essendo un personaggio molto interessante da cui si potrebbero trarre numerosi sviluppi - o almeno così deve aver ritenuto Boselli, mentre sceneggiava Tex con la destra. E il Dampyr noto come Harlan Draka? Sì, fa una particina pure lui, legge un libro nella libreria vuota (sempre lo stesso, visto che ogni volta lo interrompono), chiacchiera coi mostri infernali, deduce cose imbeccato dall'insegnante. Un vero eroe, in un albo in cui tutti scopano come criceti - anche i poveri - e dicono sozzerie gironzolando coi genitali di fuori (tranne Caleb che non li ha). Un velato messaggio di Boselli al pubblico del Trono di spade che ha scelto di inseguire? Plausibile, alla prossima gli consiglierà le poesie canterine. Meno plausibile è la presenza di un castello di Nergal nascosto a pochi passi dal Teatro fin da prima del #1. Come dice Kurjak alla pantera parlante con l'uniforme napoleonica: "Con tutto il dovuto rispetto, mi sembra incredibile". (Chissà cosa penserebbe di Martin Mystère, allora)

Dampyr #253: I figli di Pontemorto (Perniola/Raffaelli)

Albo celebrativo degli 80 anni della Casa Editrice, con medaglietta da applicare al proprio guinzaglio: per l'occasione, la copertina torna ad essere brutta e nella rubrica viene recensito un libro scritto da amici del curatore. Ma è al futuro che bisogna guardare, dunque, a partire da questo numero, il colophon e la pubblicità saranno a colori. "Per guardarle meglio", come si suol dire. Allegato in omaggio, un fumetto qualunque, sceneggiato dal primo che pass...pardon, "il seguito di un vecchio Classico realizzato da una "guest star"". Harlan, infatti, torna nella Bassa Ferrarese, per scoparsi la sua amica Bianca, che non vuole essere scopata, però se ne accorge solo quando è in mutande e ha la lingua in bocca, e a cui è morta la zia. Sequel dimesso del #66, per un po' l'albo regge discretamente grazie ai disegni e alle mysterate povere di cui gli appassionati del BVZM degli anni 1990 si beavano: il dialetto, i nomi buffi, il buon vino e il sole a picco. Dolcea, Onide, Luzio, Idoria, Solidea, Iseppe e Remes, disegnato come Gianfranco Manfredi: abitano tutti lì. Seguono Harlan Draka il Dampyr che fa cose e vede gente, un poltergeist infantile, il dottore sadico, una suora malvagia che non si capisce se sia una non-morta o una mostra generica, perché nelle zone d'ombra tutto è possibile. E basta, l'albo è finito e possiamo riportarlo al nostro padrone.

Dampyr #254: La maledizione di Whitby (Cajelli/Stassi)

Lo sappiamo bene: sono sempre i migliori, che se ne vanno; specialmente se conoscono Boselli. Nella rubrica, dunque, salutiamo l'ennesimo collaboratore morto prima del previsto (Principato). Nel resto dell'albo, invece, tornano tutti: lo sceneggiatore, il disegnatore, l'antagonista, i comprimari, la medaglietta da attaccare al collare dopo essere caduti dalla bici. Il fumetto comincia bene, con una bella panoramica e il titolo col font ricercato, ma a pagina 3 c'è già un copia-incolla ingrandito con lo zoom. Seguono classiche dampyrate molto realistiche, tipo la festa folkloristica in cui tutti sono cosplayer o il convegno sul vampirismo preso sul serio dalle autorità, quindi ecco le morti misteriose e gli aneddoti che non sapevamo di voler sapere, e forse c'era un motivo per questo. Lo sceneggiatore, in difficoltà economica, copia due pagine da Dracula di Bram Stoker, tanto quello era ricco, ma ci delude quando, dopo una googlata di trenta secondi, scopriamo che la storia della sedia di Mallory è inventata di sana pianta; eppure non può esserlo, perché ricordiamo di averne già sentito parlare in un'altra occasione, ma non ricordiamo quale; d'altro canto, altri secondi da dedicare all'argomento non ne abbiamo, perciò resteremo alla deriva nel mare nel Mistero (in fondo, è la morale della serie). Così, mentre l'artista fa di tutto per essere espressionista, abbondando di chine e grassetti e inquadrature storte, lo sceneggiatore, rinvigorito dall'assegno, introduce due personaggi passibili di ritorno (i soliti poliziotti dylandoghiani) e si diverte a disseminare numerosi indizi appena percettibili riguardo all'identità del villain, ad esempio la medaglietta della Temsek (raffinato gioco metanarrativo, visto l'allegato). E invece? Invece niente, è proprio Marsden, che ci fa l'onore di presenziare aleatoriamente in una vignetta, dopo che Dampyr Draka detto Harlan gli ha steso il non-morto. Oltre a questo, veniamo a sapere che la Temsek è l'evoluzione della South Sea Company settecentesca; invece nelle casse sbarcate non c'era Marsden al posto di Dracula, ma solo i poveri negri, a ricordarci che non dobbiamo essere cattivi. Siamo dunque pronti per la saga che seguirà i prossimi riempitivi.

Dampyr #255: Haiti! (Mignacco/Viotti)

Sorprendente riempitivo, con triplice colpo di scena. Dopo la bellezza di duecentocinquantacinque episodi (+ tot), scopriamo, grazie agli utenti del Dampyr Forum, come questo e tutti gli altri episodi con i Maestri non boselliani seguano lo stesso identico schema e siano costellati di ripetizioni e reiterazioni. C'è forse un disegno, dietro a tutto questo? Forse, una misteriosa entità segue le vicissitudini del protagonista fin dall'inizio, come in un romanzo a puntate? O qualcuno sta cercando di dirci che questi albi potrebbero anche essere più corti, tanto sono tutti uguali? Quel che è certo è che, se disegno c'è, stavolta è ad opera di un'artista tornato ai livelli sorprendenti del suo esordio, dopo l'involuzione di Cuba libre! (guarda caso, l'albo prequel di questo). E questo è il secondo colpo di scena. Ma non è finita: gli utenti di cui sopra - davvero, compiere 80 anni ringiovanisce - ci fanno notare le diverse incongruenze della conclusione dell'episodio. E se Huracàn non fosse davvero morto come un idiota? E se l'idiota fosse qualcun altro? Magari l'entità, atrofizzata da decenni di mignaccate al punto da non accorgersi di quando l'autore lo fa apposta? Se abbiamo contato bene, questo è il terzo colpo di scena, che ci ripaga dalla delusione di aver visto Haiti senza nemmeno un pesce (la palla sì).

Dampyr #256: Operazione Messiah (Boselli/Rosenzweig)

Speciale estivo di Harlin Dampère, inizia come un'avventura classica e si evolve (o involve) in una farsa umoristica, ma sempre rispettando e approfondendo i presupposti seri della serie (fra i quali, lo ricordiamo, ci sono le demonesse puttane, gli angeli spioni, gli animali parlanti).  Certo, i precedenti di Martan Mystaka non erano beneauguranti, visto come si è evoluta (involuta) quella (mi)serie, ma per Boselli è una prima volta, per un albo che comunque spicca tra la produzione recente per sfoggio di cultura, nozionismo e garbato divertimento (c'è sempre di mezzo il sesso, ma finalmente senza volgarità, a parte il cunnilingus di Batman a Catwoman, pardon, del tizio alla tizia). Non possiamo dire che la parodia del fanatismo contemporaneo non sia tranciante e caricaturale, ma in fondo è solo una delle tante cose che non possiamo dire in questi tempi dettatoriali. E per i nostalgici delle mitiche trame del SOE, quali noi fascisti comunisti siamo, è sufficiente questa parodia di Transylvanian Express per respirare qualche pagina di "Dampyr dei tempi d'oro"...ma pssst, non ditelo a nessuno, è segretissimo (nonché lialà). E sì, alla fine non succede niente, a parte l'entrata in gioco del demone Pruslas a fianco del Ball Scem e il ritorno dalla Quarta di Reggiseno Dimensione della prima Succuba (?), cioè Lilith, che solo casualmente è acerrima nemica di Nyarlathotep (così, metti che quello torna, Harlan ha un'alleata a disposizione). Ma, come direbbe un lettore qanonico, "e allora Haiti?". A corroborare un'esperienza di lettura finalmente non deficitante, o deficiente, un'artista il cui stile grottesco, seppur sorprendentemente moderato, risulta particolarmente adatto al tono pierinistico della storia (un po' come il primo Torti per MM).

Dampyr Color #1: La biblioteca dell'orrore: Il disperso; Tsathoggua; Il castello negli Appennini; Danvers Manor; I sette volti di Milano; Prigioniero dei Sargassi; Epilogo (Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Colombo/Masellis; Giusfredi/De Stena/col. Vattani; Boselli/Al.Scibilia; Giusfredi/Cropera/col. Pastorello; Boselli/Baggi; Boselli/Genzianella/col. Pastorello)

Copertina di Matteo Vattani, con Harlan che si toglie la maschera da Kurjak. I soliti 80 anni di Bonelli (Editore) portano a una nuova infornata di albi estivi per le collane dal maggiore appeal. Ma quelli che per gli altri sono semplici BIS, in cui magari infilare qualche giacenza, per Dampyr corrisponde ad una occasione più unica che rara, quella di materializzare uno pseudolibro di cui, finora, solo le bambine mormoravano nei corridoi: il primo Color. Primo, perché l'intenzione è di farne degli altri, a patto che i lettori gradiscano questo; quindi, - per usare un'espressione da scrittori professionisti - se dice culo, ne vedremo solo un altro, e solo perché l'Editore sa che i capricci di Boselli ogni tanto vanno assecondati obtorto collo. Le prime leggende risalgono al Magazine del 2016; in quello del 2017 avremmo dovuto leggere le storie dedicate agli scrittori dell'orrore "pandampyriano"; invece nisba. Da allora, tanti rumors, soprattutto a casa mias, dinieghi ed insistenze, richieste e rimbrotti (in verità sempre da parte dello stesso utente che imperversa su tutti i forum). Alla fine, eccolo qua, per la gioia degli appassionati di Narcos. Lo volevamo? Da parte nostra, dobbiamo confessare una cosa: gli adattamenti/omaggi a fumetti di opere letterarie non ci fanno solo venire voglia di riscoprire gli originali, ma ci danno sempre l'impressione che gli originali siano meglio. Soprattutto se parliamo di questi autori. Lo possiamo dire? E diciamolo: a noi di Lovecraft (uno a caso), più che le invenzioni l'orrore cosmico e tutto il pesce, piace proprio la prosa, quel modo ansiogeno di descrivere le banalità. E di Buzzati? Idem. E di Poe? Id. E di Hodgson? Op.Cit. E così via. Il prodotto si presenta comunque come qualcosa di qualità superiore a ciò che l'Editore produce ormai abitualmente. Già nelle fazioni prepost abbiamo dei colpi di scena mica male: in un sol botto scopriamo su cosa si è laureato Boselli e veniamo a conoscenza di un suo libro pubblicato da una Università prestigiosa. Anni e anni a custodire dei segreti non sono stati sufficienti a mantere il riserbo. Ora sappiamo tutto. Il fumetto si basa sui presupposti della serie. Avevamo lasciato Ambrose Bierce parcheggiato al Teatro dei Passi Perduti, e qui lo ritroviamo, abbioccato su di un libro. Com'è noto, infatti, in questa serie i personaggi non possono leggere: quando ci provano, o vengono interrotti subito, o si appisolano di botto.  Ed ecco la novità di questo albo, che rompe finalmente questa tradizione ed è tutto una lettura di personaggi. Questo lo scopo del Prologo, che poteva pure essere disegnato da Dotti, o da Majo, non ci saremmo offesi, giuro. Come dicevamo, la differenza tra adattamento a fumetti e originale in prosa, se non è abissale, poco ci manca, e francamente, continuiamo a preferire sempre l'originale, specialmente se lo sceneggiatore non ha una prosa altrettanto robusta. Tra quelli proposti qui, solo Boselli ci si avvicina, o almeno ci prova. La prima storia è dedicata a Bierce e più o meno ne mantiene il mood, anche se ce lo ricordavamo un pelo più sarcastico. Fa il paio col primo Speciale Tex Willer: benché fosse dedicato ad altri autori, era pure quello ghost western e le atmosfere erano simili (e grosso modo, con l'orrore dell'ovest si finisce sempre lì, o coi mostri dei boschi). La seconda storia sconta l'essere il centomilionesimo fumetto dedicato ad HPL e l'essere sceneggiato da uno che non sceneggiava da anni. Divisa in modo quasi netto da una cesura interna, è sorretta perlopiù da un'arte sgradevolmente adeguata, ma per i nostri gusti, dopo un inizio interessante, la seconda metà sfocia eccessivamente nel caricaturale di mostriciattoli e dialoghi hollywoodiani. Della prosa stitico-torrenziale di HP non v'è traccia. La terza storia, l'unica coi personaggi della serie (Harlan e Draka) è praticamente uno di quegli episodi turistico-promozionali col solito finto spettro nella location italiana di turno. C'è Poe perché il mese dopo esce Zagor+ con l'Agente Raven (oppure perché Poe è come HPL: che fai, non ce ne metti un poe?). Resta un dubbio: quante se ne è scopate Draka? Forse "Roccabruna" non è un toponimo. La quarta storia è la più sorprendente, grazie all'arte "sandmaniana" del Scibilia superstite. Zeppa di vignette ariose e immersive, ci ha fatti entrare nel racconto, lasciandoci soddisfatti. Certo, la storia soffre di quel modernismo tipico di chi vuole fare giustizia sociale a secoli di distanza, e diciamo pure che Benson è certamente il meno famoso del gruppo, e diciamo pure che non è chiaro come ammazzi il non-morto omofobo (con la mazza? oh oh oh!). Ma per una volta possiamo soffiarci nei pugni, diciamo. Tocca poi a Buzzati, uno di quegli autori che amiamo soprattutto per come scrivono. Lo sceneggiatore si sforza persino di fare un racconto illustrato (dev'essere la moda del momento), con tutte le didascalie battute a macchina dal letterista, ma insomma, la differenza si vede, dai. La storia è buona, ma non ci ricordiamo da dove è copiata (nessuno è perfetto, si è capito), sicuramente l'abbiamo già letta da qualche parte. L'ultima, dedicata a Hodgson, che di nome faceva Hope, a dimostrazione che non sempre nomen omen, è complessivamente la migliore del volume, la più completa, come convergenza di testi, disegni, colori, omaggio all'autore e referenze storico-geografiche. Pure questa, in parte, l'avevamo già letta (il Mar dei Sargassi), essendo uno dei pallini di Boselli, che l'aveva già proposta su Zagor, ma il finale ci è parso felice quanto basta per farcela sembrare nuova e soddisfacente. Più deludente l'Epilogo, che si conclude come l'Almanacco del Mystero 2005 (che però finiva nella monnezza, prefigurativamente possiamo dire). Quali riferimenti compaiono nella doppia pagina tuffantesi nell'acqua (splash)? Al volo riconosciamo solo il bacarozzo e i gatti. Per concludere: è davvero questo che vogliamo da una serie un tempo capace di proporre Transylvanian Express e American Museum? Forse è ciò che la serie è capace di proporre, oggi. Se poi rivogliamo gli albi vecchi, essi sono sempre lì, nella nostra Biblioteca di Babbei. Salvo traslochi imprevisti.  

Dampyr #257/258: Messico & sangue/Dottor Dolore (Giusfredi/Dal Campo) 

Soddisfatte, con il Color, quelle quattro comari del pubblico dampyriano che ancora leggono i libri, è tempo di assecondare finalmente i desideri della maggioranza. Il co-curatore della serie è, al contempo, un vero fan della stessa, e ricorda benissimo episodi ancestrali quali il #4 e il #11, dei quali ci propone il seguito in rifacimento. Ecco, allora, la vera storia di Bobby Quintana, nel Messico tanto caro a Tex e a Boselli, con gli ammiccamenti alle serie tv più fighe... "Ricordate?", sembra ammonirci Giusfredi, "fin dai suoi esordi, Dampyr non era solo libri ingombranti e anziani bacucchi". Che, poi, diciamocelo, 'sti libri sono soltanto un impiccio tra un trasloco e l'altro... Per tacere di come Harlan li maneggi sempre senza lavarsi le mani. Ma dicevamo di Quintana: eccolo ritrovare il suo vecchio mentore, il poliziotto cattivo John Dern, ora non-morto boss del narcotraffico (#92) su libro paga della Temsek (#209), vampirizzato da Bugsy Siegel (#112), arruolato da Ixtlàn (#58/59), sorvegliato dai non-morti cowboys dei #28/29 (o loro amici), alleato suo malgrado di Nemech (#11), per conto di Marsden (#254), combattuto da Harlan Draka (#1), il dampyr (#2), figlio di Pdor della dinastia dei Kmer, con Jim Pajella (#231), che rischia di morire nuovamente (#200). Ma dove sono Ann Jurging, Tesla Dubcek ed Emil Kurjak? Purtroppo, come si suol dire, "questo deserto è troppo piccolo per tutti e duecento".   
L'intero primo albo è dedicato al passato tormentato di Quintana: d'altronde, Bierce, Lovecraft, Giovanni Papini, Amintore Cicibuozzi e tutta la cumpa di professoroni vanno bene una tantum, non si può sempre essere colti. Il vedere i luoghi tipici di Tex, ma ai giorni nostri, nello stesso degrado di duecento anni prima, corrobora la generale impressione di malinconia. Il secondo albo è a sorpresa: non solo esiste (non si sapeva che sarebbe stata una storia doppia), ma è pure in continuity. Tutto il cucuzzaro messo in piedi da Doctor Pain (ora non-morto), ha, infatti, un preciso scopo: riportare Marsden in piena forma, grazie ai bagni nel sangue di puttane mulatte (Sho-Huan era dandy, non poteva immaginare). Tutte quelle sedute di binge watching dei canali streaming sono servite a qualcosa, allora, e lo sceneggiatore riesce ad arrivare alla sequenza rivelatrice senza far sospettare nulla (giocando anche sull'"effetto filler", certo, conscio come il lettore scafato abbia da tempo rinunziato ad ogni forma di aspettativa da questo fumetto). Così, quando Marsden s'ingigantisce e mostra i pettorali, c'è persino un moto di interesse nel seguire le pagine. Naturalmente con due pallottole fugge via, ma insomma, adesso è davvero tornato ad essere un villain temibile. Tutto è dunque apparecchiato per lo scontro finale, che, forse, vedremo in occasione dell'uscita del terzo film (che nel BCU seguirà Little Ranger: The Invincible e Morgan Lost: Roseblonde and the Owl Fog). Il disegnatore, da par suo, dà sempre l'impressione di migliorare prova dopo prova, pur non notando cambiamenti significativi tra l'una e l'altra, se non per l'abietta consuetudine - suggerita dallo scrittore - di dare volti di attori famosi anche alle comparse. Il titolo della prima puntata ha la E commerciale soltanto nel fumetto, per non confonderci al momento dell'acquisto.

Dampyr #259: L'Occhio dell'Inferno (Boselli-Febbrari/Majo-Viotti)

Rubrica scorratamente politichetta, con un libro di un amico dedicato più ai donni che alle uomine, e la riabilitazione postuma del nazista Strobl in barba ad ogni cultura della cancellazione (per il comunista Murry, però, non c'è proprio speranza). Soggettone epico ancestrale, vertigine della lista di Maestri, ma di chi è? E' un vecchio appunto di Boselli, che non c'aveva più voglia o tempo di sceneggiare, preso com'è ad umiliare tutti parlando di indiani e cowboy, o è l'esordio di un tizio di cui, francamente, non ci ricordavamo più (è quello di Full Moon Project)? Proprio oggi ci siamo recati, dopo anni, sul nostro vecchio luogo di lavoro e abbiamo salutato un paio di ex colleghe: sulle prime si sono chieste chi fosse questo importuno salutatore, ma poi siamo stati riconosciuti (colpevoli, presumiamo, nonché) utili ad un breve cincischiamento riguardo al più e al meno. L'effetto, leggendo il fumetto, è grossomodo il medesimo: l'albo avrebbe un sacco di cose da dirci, ma proprio tante, e noi moriamo dalla voglia di sapere tutto della famiglia dei Maestri della Notte, da dove vengono, quando sono venuti e perché, quando tornano a casa loro, come campano, come stanno di salute, le opinioni politiche, eccetera; ma alla fine prevalgono imbarazzo e pudore, e le poche rivelazioni vengono distillate con parsimonia, dopo essere state cavate con fatica e insolente insistenza. La trama della Maestra che si traveste da vecchia e finge di cercare il McGuffin che già possiede, e muore dal desiderio... di raccontare la sua Storia e gloria, tradisce tutto questo. Che possiamo dire? Siamo di quelli che si imbarazzano dinanzi all'imbarazzo altrui, per cui basta dirci "Iram dalle mille colonne" che ci avete conquistati. Poi ci sono i Templari, l'oggetto che spia i multiversi che è praticamente l'Aleph (e che siamo, capricornuti?), le Maestre bambine che saltellano per i prati sotto lo sguardo di zio Draka e zio Vurdy che fumano le sighe (non si vede, ma c'è anche Marsden con la frangetta, all'angolino con lo sguardo rivolto a terra), il saggio Dagdampyrix e le sue mirabolanti invenzioni, Azara la zorella di Zio, mentre Vassago, vestito da Palpatine, tradisce tutta la stanchezza di un ciclo - quello con Racoszy, che qui non appare - che si protrae ormai da 4 storie su 270 (ma ci piace vedere il demone nei panni dell'inquisitore). E Harlan Draka e le altre comari? Beh, non sapendo che fare, dampyr si rifugia dalla zia, che in cambio ha subito un favore da chiedergli: come possiamo non riconoscervici? Mentre Kurjak, da buon lettore di Martin Mystère, ci ricorda quanto siano insostenibili due pagine di nozioni colte. Come se tutto questo non fosse già abbastanza, le prime 7 pagine sono firmate nientepoppedimeno che da Majo, giacenze di chissà quale avventura abortita, e non sono nemmeno le pagine migliori dell'artista, ma solo il vederle ci allieta. L'altro artista, invece, sembra aver abbandonato lo stickerismo per un ritorno al fotorealismo: se questo avvantaggia i primi piani, nei quali i personaggi appaiono davvero plausibili, dall'altro lato toglie dinamismo e fluidità alle scene d'azione, che tuttavia non ci sono, giacché dall'inizio alla fine è una chiacchiera continua. E per una volta Harlan non ha obbedito a Caleb, peraltro ignaro di Azara fino ad oggi: vediamo di non far fare a tutto questo la fine dei dampyr preTaliesin (abortiti come il soggetto originale). Ma adesso, sotto con un altro riempitivo sparatutto: di quelli non ne abbiamo mai abbastanza. 

Dampyr Special #17: Il Codice Ferrucci (Burattini/F.Russo)

Seconda incursione dell'ex-socio del Bos, anche questa - dopo quella sciocchezza di Dante - ispirata da Guido Martina, i cui paperi, una volta, hanno citato la cosa di "Maramaldo! Tu uccidi un uomo morto!"; siamo già in attesa della storia su Rodomonte e Lucrezia Borgia (maschio). I tantissimi lettori speciali di Zagor sanno bene come l'autore del detective dell'impossibile ottocentesco, Campione Terrestre dalla cultura sterminata che si muove quotidianamente fra Atlantidi e basi governative strampalate, sia un dotto professore dal forbito eloquio e dall'arguzia ardita e iconoclasta. Così Boselli ci presenta il suo amico, il biprof. tridott. che ha il nome storpiato nel fumetto, come Peter Quarky; mentre Burattini, quello che li ha fatti incontrare, indovina tutte le risposte dei quiz alla tv. Il lettore occasionale (dell'autore in questione) è giustamente sedotto dalle malìe dei modismi burattiniani, tra copincolla di enciclopedie online e cineserie mysteriane, quest'ultime capaci di sobillare il lecito rancore verso il Martin Mystère duemillenaresco, che fa i refusi anche copiando. Il lettore che di Burattini ha invece letto e digerito (più o meno) più di cento storie suda freddo quando si appresta alla lettura (si fa per dire, naturalmente: è lo stesso lettore che ha letto tutti gli albi di Falco e Cajelli), e nemmeno la sbarazzina introduzione con la poesia riesce a stemperare l'inquietudine, pur intenerendo quanto basta. E invece l'albo riesce a tenere abbastanza, sbracando soltanto nell'inserimento dell'inutile mostro ringhiante, loffio rimando all'unico elemento secondario di Transylvanian Express (la cineseria mysteriana, appunto). I disegni da Martin Mystère dei tempi bronzei aiutano a tenersi svegli. Eppure, ad albo chiuso, nonostante Draka finto cospiratore, i flashback storico-romanzeschi, il collegamento sagace tra toscani e turchi, l'analisi politologica del centrodestra (la fronda estremista della fronda secessionista dei Lupi Azzurri), divagazioni nozionistiche come non ci fosse un domani, rimane un senso di freddezza, come di un personaggio che deve farci sapere in più occasioni che quelli di fronte a lui sono sotterranei di un castello. Il poeta Joe Gould avrebbe detto: "certi personaggi dovrebbero essere investiti da un camion".

Dampyr #260: La storia di Jack Lantern (Venanzetti/Cropera)

Halloween! Ma è già passato! Vabbè, tanto il film non è pronto. Ecco allora il riempitivo dedicato al simbolo della festa. In questa reinterpretazione, che ci sembra di avere già visto in un qualche telefilm americano (o forse è l'albo che ci sembra la puntata di un telefilm americano), egli è un prestigiatore ottocentesco, di quelli che facevano i trucchi con le lanterne, indebitato con una demonessa che lo trasforma in una zucca vuota, dunque davvero difficile da combattere. Il tutto sullo sfondo dell'Irlanda, con tutti gli ingredienti cotti a puntino: la nebbia, il mare in tempesta, i chiaroscuri, i graffiti, le anticaglie, il museo, Myers, Velluto Blu, Moonlight Shadow, the trees that whisper in the evening, carried away by eccetera. E non manca lo scherzetto: la demonessa è infatti una druida negromante, e quindi l'albo è il seguito del #213, e di questi tizi potrebbero essercene altri, così anche gli anni prossimi sono coperti. Eppure qualcosa non funziona: di dolci non abbiamo voglia, lo scherzo non ci fa sobbalzare. Che succede? Siamo appagati, siamo molli? E se fossimo noi, i morti? Gli autori non sembrano avere colpa di questo, peeròò, chissà, magari con un albo più originale... Certo, il disegnatore non riesce più a disegnare un albo di Boselli, e questo ci dispiace. Ah già, dimenticavamo: e Harlan? Beh, "he was caught in the middle of a desperate fight", mentre la vecchiaccia "couldn't find how to push through" e "all she saw was a silhouette of a gun"...

Dampyr #261: Opera mortale (Boselli-Falco/Delladio)

Per chiudere in bellezza l'annata, non c'è nulla di meglio di un albo dedicato a una delle tante cose che non sopportiamo: la lirica. Come direbbero a Roma: "meno male che se n'è annata". Certo, amiamo molto capolavori indiscussi quali Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina, Paper-Damès e Celest'Aida, Paperin Caramba y Carmen Olè, Paperina Butterfly, Papero Meo e Gioietta Paperina (ma che c'entra questa? Semmai Pamino Paperino), e ci fa sempre molto ridere "Fierundfierziste Strasse" di Castelli e Alessandrini; ma ecco, oltre a questo non possiamo (né vogliamo) andare. Ma Boselli ce l'aveva detto, nel #54, che la cosa non sarebbe finita lì, salvo poi lasciarci crogiolare per 207 numeri nella speranza di una precoce rimbambìa. Che sciocchi: Boselli certe cose se le lega al dito, come ben sa chi vi interloquisce nei forums. E così ecco il secondo albo melomane, e meno male che ha le mele in mano e non ha tempo di sceneggiarlo, così lo appioppa allo stagista regolarizzato. Astuto, costui lo spaccia per un episodio del filone praghese, e ne fa il seguito del #191, riproponendo Rubicante, quel tipo che a parer nostro avrebbe potuto sostituire Nikolaus a suo tempo - col senno di poi, una volta tanto siamo lieti di aver avuto torto - ma tirando in ballo Von Henzig, per rimescolare le carte: come non manca di sottolineare Pippo Kurjak, quando è presente il Maestro cinefilo, i ruoli tradizionali sono invertiti; e, se per Natalina Tesla ciò non rappresenta un problema eccessivo, Don Harlaneo soffre sempre un poco nel dover aiutare i suoi cento milioni di amici, magari collaborando con persone per bene. L'episodio è volutamente molto leggero, le Operette parodiate sono quelle 4 famose anticipate dalla rubrica, e tutta la sarabanda di comparse (l'irreprensibile antinazista Nikolaus, poi Savnok, Ljuba, Nicholas, Bierce, Saugrènes, Casanova, i due vecchi spok, Bozena, persino il barista, e c'è pure un certo Jorge che NESSUNO ricorda chi cazzo sia) ha il solo scopo di aumentare la dodecanonica cacofonia, per un albo che si rivela essere più comico che orrorifico: le scenette con i non-morti imparruccati sterminati a pacchi, e subito rimpiazzati a cottimo nella sceneggiata successiva, appaiono decisamente umoristiche, e più che un fumetto colto sembra di leggere una barzelletta (ci sono un egiziano tedesco, uno spagnolo francese e un irlandese ceco). Meglio questo o i riempitivi sparatutto depressoni? Per rispondere dovremmo riaccendere il cervello, troppo sbatti. C'è da dire che la scoperta conclusiva - non è che i piani di Von Henzig falliscono sempre e lui viene sempre ferito gravemente perché è debole, è che lui si diverte così - getta una luce depressona anche su questo personaggio (e già il fatto che abbia lasciato il cinema per la lirica doveva suggerirci qualcosa). L'artista ha il cognome che sembra una bestemmia, poraccio, ma la sua arte è in linea con la storia, nel bene (inizio) come nel male (fine).

Dampyr #262: Schiavi del Krokodil (Barzi/Ambu)

Fumetto tradizional-riempitivo, che alla sinossi di internet e preview varie aggiunge soltanto dei disegni godibili e gradevolmente nevosi, in cui l'artista rubacchia trucchi del mestiere a vari colleghi (Giardo e Luca Rossi i più evidenti). Il trucco del mestiere più efficace, però, è quello del curatore della serie, che nel primo albo inutile dell'anno piazza una pagina della "posta" vecchio stile, in cui recensisce libri di amici, ringrazia lettere sbrodolanti, sciorina chicche letterarie e manifesta tutto il suo entusiasmo per tutto ciò che non concerne Dampyr. E magari non l'ha scritta manco lui, ma il suo vice! La lettura di questa paginetta ci ha bendisposti al punto da considerare un pregio, e non un difetto, l'aggancio del fumetto con i #123/124, che ad ogni menzione rimuoviamo sempre più dalla mente: il Maestro Qeratu non ce lo ricordavamo proprio, ma ciò non ci è apparso affatto un problema, dato che, a questo punto, di quegli albi abbiamo scordato tutto lo scordabile ("peggio di così c'è solo la morte"). E diamo atto a Barzi ("grande autore" di raffinati giochi letterari, mica di tisane al frassino) d'essersi documentato sugli ingredienti tipici della serie: i fratellini suicidi, i nomi strani di Paesi tristi, l'attualità (l'oleodotto), gli amici pronti all'uso ("Arno, che ci fai qui?"), i buoni alleati con i criminali contro i buoni incattiviti dai supercattivi già morti. E il krokodil come fa? Non c'è nessuno che lo sa, la spiegazione è molto stringata. Ma da schiavi del FrankoVil non possiamo certo lamentarci. Ah, l'intero episodio - non solo il prologo - è ambientato prima del novembre 2020, perché poi la guerra azera è finita, accidenti. 

Dampyr #263: La collana di Bhangarh (Piani/Delladio)

A soli due mesi di distanza, torna l'artista, e ci sembra già migliorato: tratto pulito, solido, begli sfondi. Ma magari questo lo ha disegnato prima del precedente. A un solo mese di distanza, invece, torna il riempitivo. Le anteprime per il 2022 ce lo avevano preannunciato: questa sarà un'annata di cultura e sconvolgimenti; solo che, in Bonelli, le annate iniziano a metà anno. Inoltre il "caso Krokovil" ha creato un epocale precedente: e se le giacenze invecchiano troppo? Meglio smaltirle il prima possibile, dunque. Dei mercenari guerrafondai non ci si può fidare. Il fumetto vuole essere memorabile: per la prima volta, conduce Harlan (e solo lui, i voli costano) in India, come suggerisce, appena percettibilmente, la bella copertina. Casus belli è Maud Nightndale, o come si chiama, invitata ad un convegno sulla medianicità tra i danzatori nel fango. Nel mondo verosimile di Dampyr, infatti, queste attività sono ampiamente riconosciute, alla faccia del Csicop. D'altronde, come si dice, "se pago le tasse, posso fare quello che voglio". Ne è passata di acqua sotto i ponti, dai sorprendenti esordi dei cacciatori di fantasmi nei #35 e #55, e l'autore esperto sa che uno non può sorprendersi tutte le volte, ecco perché le indagini dei ghost hunters, successivamente, si sono fatte sempre più piatte e grossolane. Piani è certamente un autore esperto. Il fumetto turistico-promozionale è uno dei filoni più amati della serie, e Piani è bravo ad evitarci stereotipi quali i balletti e le gag sulle mucche (inoltre, pur trovandoci a Calcutta, nessuno menziona Madre Teresa). Tuttavia, gli imprevisti sono considerati tali in quanto imprevedibili. Succede, allora, che a noi, tutto questo, non interessa nel modo più assoluto. E che ad ogni singola pagina, in ogni singola vignetta, la nostra mente, posseduta dallo spettro della noia, si ritrova ad esclamare: "Ma a me cosa importa di questa cosa?". Dopo molto molto molto molto, molto tempo, ci ritroviamo, così, a leggere un albo con l'"avanti veloce", cercando di concluderlo prima che la voglia di lasciarlo incompleto prenda il sopravvento. Ma neppure in questa occasione siamo riusciti a fare gli indiani: quando, alla fine, la collana mcguffin ha "liberato i fantasmi", il ricordo di Supernatural si è automaticamente ridestato. Perché in quella serie, la struttura fisico-sociale del soprannaturale era ben chiara, il funzionamento dell'essere fantasma aveva delle precise connotazioni; qui, invece, i fantasmi vengono "liberati" e non si sa dove finiscano (e non è una prima volta; era già accaduto nel #213). Insomma, ogni tanto sonnecchia anche il buon Omero; noi, che non siamo nemmeno Nobel, ci siamo fatti proprio una bella ronfata. 

Dampyr #264: Cuori di tenebra (Mignacco/Lozzi)

Essendo esaurite le idee originali, da qualche tempo diversi Maestri defunti sono tornati in flashback, col dichiarato proposito di acchiappare i gonzi di "mipiace". Stavolta tocca a Omulù, morto nel #7, ventidue anni fa, ai tempi del simpatico Putin, ritirare la pensione. Lo ritroviamo in una generica giungla in una generica metà Ottocento: la caratteristica che lo contraddistingueva dai colleghi, il nomadismo, è solo accennata; in compenso, possiamo saggiarne il deciso e risoluto anti-razzismo e il radicale anti-schiavismo. Senza indulgere più di venti pagine, mostrandoci la cruda realtà delle lotte fratricide africane, Mignacco riesce a rendere al meglio le analogie con i nostri tempi; anzi, a prevederli, dato che la sceneggiatura non dovrebbe essere stata stesa in presa diretta. Zelensky, telefona a Mignacco. Le restanti ottanta pagine non possono fare altro che tirare in ballo i protagonisti della serie, come richiesto dal contratto. Ecco, allora, che nella generica giungla si cela un generico giacimento di generiche risorse, di cui un generico finto buono vuole impadronirsi, con l'ausilio di generici soldati africani. Ed ecco che i non-morti di Omulù, divenuti stanziali, si rivelano essere solo in apparenza i nemici da abbattere; contro ogni aspettativa (quella in cui si è messo il lettore positivo), sono invece loro i provvidenziali alleati di Arlan Tezla e Curgiac, una volta tanto felici di dover lasciare in vita un malvagio redento. Trattando di guerra, la figura di Aemjl Curgiac deve necessariamente risaltare più delle altre: assolutamente fondamentale è la lunga sequenza in cui il Nostro picchia il soldato per restituire il pallone al piccino povero. Sarà proprio la consapevolezza di dover preservare lo status quo del bimbo e del suo villaggio di straccioni, consci che sono i mostri a proteggerli, a condurre Arlan Draca alla scelta più giusta. Lo stile di Lozzi, è risaputo, ci piace molto; è altrettanto notorio, tuttavia, il suo altalenarsi tra alta precisione e fisionomie discutibili. E quindi, se già lo sapete, non lo scriviamo. Il saggio capo dei non-morti ha il volto di Morgan Freeman: un ulteriore tocco di realismo e verosimiglianza, in un fumetto dai dialoghi secchi e documentaristici, che ne fanno un vero e proprio riportaggio. Conrad ne sarebbe fiero. Conrad, pure.

Dampyr #265: Anime di cera (Contro/Avogadro)

Onde evitare di passare immediatamente da un riempitivo squallido alla saga-evento e causare sbalzi ormonali imprevisti ai morti non-lettori, i russi (i lettori assopiti dagli ultimi albi) hackerano la curatela della testata e vi infilano il curatore de Le Storie, che si appropria anche della rubrica. Ne viene fuori un riempitivo leggermente più leggibile del solito, non tanto nel soggetto - che mantiene una buona dose di dozzinalità, come spiega lo stesso autore - quanto nell'esposizione e nel montaggio, decisamente privi di tempi morti (tant'è che i personaggi vi scherzano sopra, in una delle rare chiacchierate attorno al tavolo). E' una conferma delle doti dello sceneggiatore, già manifeste nei suoi tre episodi realizzati per Le Storie, ma è una conferma anche di una certa scarsità di fantasia. Eppure il primo albo che realizzò fu proprio un horror gotico, che nella nostra testa fu registrato come "molto riuscito"; ma può darsi che il T9 mise lo zampino nella registrazione. Sul momento, l'albo si legge fluentemente, tenuto in piedi da un vago interesse per l'apparente ritorno alle origini: nei primi albi, infatti, non tutti i casi soprannaturali avevano necessariamente un'origine vampiresca, e così pareva essere - finalmente - anche in questo caso. E invece no: proprio alla fine, veniamo a sapere che dietro a Zumbo c'era Racoszy. Con tutte le perplessità che ciò mena seco: se nel teschio c'era il fluido del Maestro, perché Dampyr non lo ha avvertito (come ha tenuto ad evidenziare a più riprese)? E perché alla fine lo avverte? Se invece non c'era nulla, e Racoszy era solo un mandante morale, perché alla fine lo avverte? La sensazione è che, proprio sul più bello, il curatore effettivo della serie abbia ripreso il Contro(llo) e ridimensionato l'intruso. Quanto a Sanna, lo troviamo a Firenze: per fare un dispetto a Sophie, volata a Sidney non si sa a fare cosa, ha scambiato la sua casa in Sardegna con un collega e ne ha approfittato per presentare alla cittadinanza (tra cui Boz, che pur di non curare Dampyr fa il globetrotter) il suo libro dedicato alla necrofilia, sua grande passione al punto da spaventarsi per ogni cosa durante l'avventura che consegue alla coincidenza. Le sue fisime continuano a farci sorridere, ma ormai sembra essersi rassegnato all'esistenza di Harlan e alle sue sciocchezze per disoccupati. L'artista, probabilmente l'unico a piacerci pur non piacendoci, ha fatto di meglio nelle diecimila testate su cui ha lavorato. Probabilmente, vinto dall'emozione dell'esordio, e interpretando alla lettera una sceneggiatura basata su aberrazioni grottesche, ha conferito a tutti anatomie bomarziane. La qual cosa, se il fumetto fosse un film, ci divertirebbe pure; ma diciamocelo, è più probabile lo scoppio della WWIII che l'uscita di un film su Dampyr. Vogliamo comunque esprimere la nostra simpatia per il libro di testo letto da Harlan in aereo (tipica produzione da area free tax) e per il condominio degli autori di Lazarus Ledd, poi divenuti tutti dampyriani. E per le due pagine a tinte forti (nel senso di "in ombra"), mentre altri effetti truculenti sono stati un po' smorzati dal perenne bianco-grigetto.

Dampyr #266: Nel nome del figlio (Boselli/L.Rossi,Andreucci) [Le Origini 1di4]

Alleluja! Campane a festa pasqualine! Rullano i 'mbuti! Finalmente il film di Dampyr non è uscito! Ma non è che possiamo aspettarlo in eterno, Boselli ha quasi 70 anni... E allora ecco la famigerata e pluriannunciata miniserie che doveva accompagnarlo, anzitempo e piuttostocheno! Lo diciamo subito, onde evitare di essere considerati putiniani: qualunque cosa diversa dalla solita minestra riempitiva è ben accetta. E così, anche un riassunto per il pubblico del cinematografo, rimasto estasiato dal film, è grasso che cola, e noi nel lardo intingiamo il pane e facciamo anche la scarpetta. Ma c'è un pri qua pro: che film ha visto, questa gente? Forse Dottor Mystère nel multiverso dell'apatia. E quindi, cosa capisce, di questa prima puntata? Certo, uno spettatore di Mystère è abituato a non capire. Quello dampyriano, invece, si ricorda tutte le storie, e qui ne ritrova parecchie, tutte ripercorse con dovizia di particolari. Si parte dal #241, si passa per una carrellata veloce sui #52/53, #93/94 e tutte quelle drakesche, si sfiora sfuggevolmente i #21/22 e si giunge inopinatamente al #51. Tutte belle storie che è bello veder menzionate, così da non doverle rileggerle per intero. Ma al lettore affezionato la vicenda era stata venduta come inedito dietro le quinte, e qui siamo solo alle prime. Insomma, per quale motivo Draka ha scelto proprio Fortunata e Velma? Boh, così. Si è innamorato di quelle pecorine e non di altre (d'altronde, perché Heidi ha scelto proprio Bianchina? - Non citiamo Heidi a caso, nell'albo compare un Petar). Cosa ha spinto Draka a voler concepire un figlio? Boh, curiosità. Poi ha cambiato idea. Poi l'ha cambiata ancora. Poi si è pentito. Poi si è pentito del pentimento. Come un padre qualunque. Com'è nato Harlan Draka? Scopando, che domande. Sua madre era una figura positiva e mistica, quasi mariana, come è stato suggerito fino ad oggi? No, era una sgualdrina zotica, con tendenze ninfomani. Il concepimento è stato un evento cosmico, legato ad archetipi della mitologia e a particolari simmetrie narrative e panteiste, rivestite di carica prefigurativa in relazione ad eventi futuri ma già noti al lettore, oppure, chissà, ancora da scoprire? No, hanno provato tutte le posizioni per mesi e mesi, e alla fine è capitato. Per quale motivo Zie Moire hanno rapito il piccolo Harlan? Forse per i motivi esposti nel #51 e in un paio di altri? Sì, proprio per quelli. Che fine hanno fatto i non-morti di Roccabruna? Sono rimasti a Roccabruna, poi sono morti. Che ruolo ha svolto Draka ai tempi della WWII? Stava coi buoni. Che fine ha fatto il padre di Velma? Morto sparato. E il fratello? ...e con questo retroscena inedito, non possiamo che aspettarci grandi cose dal prosieguo. Anche dalla cornice narrativa, che di certo non può esaurirsi con tre amici al bar che volevano cambiare il mondo (non il loro, naturalmente). E che c'azzecca il fotografo? Ma ribadiamo la nostra stima per il simpatico, sagace, brillante, romantico, generoso, socievole, leale, stiloso, anarchico, amabile, colto, raffinato, galante, indomabile, premuroso, ricco, astuto, potente e fondamentale Nikolaus (cioè Nicola, cioè Babbo Natale), vero eroe della serie, che potrebbe concluderla in qualunque momento schioccando le dita. Arte di punta, ove la parte del leone la fa il ritornante Andreucci, ancora in piena sintonia con i personaggi e le atmosfere della serie, e quindi da non tenere in squadra assolutamente. Mentre Rossi, non a suo agio con cavalli e cowboys, dobbiamo tenercelo per forza, costretti a godere dei suoi disegni sempre efficaci e intriganti.

Dampyr #267: Ritorno a Yorvolak (Boselli/L.Rossi,Majo,Dotti) [Le Origini 2di4]

Continua la rinarrazione della Life & Times of Harlan McDuck, ripartendo da dove eravamo rifiniti nella puntata precedente. E così capiamo il motivo dell'utilizzo randomico dei disegnatori. Conclusi gli eventi del #51, il giovane Harlan, come sappiamo dal #45, decise di andarsene a Londra a fare quel che fanno tutti gli stranieri in visita in quella città; no, non bere il té e guardare le partite di calcio. Scopriamo che il giovane Angus Og, detto Marsden per i lettori più disattenti, sentì puzza di dampyr, ma non riuscì a rintracciare il nostro in quanto turlupinato dal rivale (ma allora non nemico giurato), il giovane Draka, che gli fece credere di stare cercando il dampyr mentre in realtà se ne stava in panciolle. Se lo sapesse Brunetta. Buggerato, Marsden, per i lettori distratti Lord Marsden, fece indigestione di bombette e minacciò di vendicarsi, ma questa è un'altra storia. La parentesi londinese si rivela essere relativamente breve e spicca prevalentemente per l'immagine sporcacciona di Harlan, tutto canne e naturismo e capelli lunghi. La sceneggiata della fidanzatina fu una recita indotta dal babbo retrogrado dello scapestrato, ma questa non è una rivelazione così eclatante, in fondo, sebbene Elton John sia venuto apposta a Milano per poterla leggere. Né appare degno di nota il fatto che, nella sequenza originale del #45 qui ripresa, la tipa avesse un abito diverso o che dampyr non avesse gironzolato pene all'aria. Colpisce di più sapere che Harlan, a questo punto, girò il mondo, sulla spalla il sacchetto legato al legnetto e in tasca pochi Pences (o Corone, o centesimi americani, non importa, è un fumetto). Il nostro afferma di aver voluto "tornare in Nepal", come se ci fosse già stato prima, e poi di essere stato "dal Messico all'Austria", forse per inseguire il tesoro tanto caro a Boselli (già fatto trovare sia a Zagor che a Tex); a meno che non fossero fanfaronate tipo "dal Manzanarre al Reno". Siccome la miniserie si occupa del passato del protagonista, e questi viaggi non ci sono mai stati raccontati, per quale motivo dobbiamo aspettare di vederli approfonditi proprio ora? Torniamo, invece, a Yorvolak, ché la guerra - ormai lo sappiamo - non aspetta i comodi nostri, accidenti a lei. L'editoriale aveva messo le mani avanti, spiegandoci come tutto questo non sia affatto da intendersi come un reboot, quanto piuttosto come una riscrittura di eventi già noti. La differenza è che, mentre un reboot rebootta, una riscrittura non bootta via noolla. Così, tutti gli eventi a cui assistiamo sono gli stessi già visti nello Speciale #5 (il primo non-morto ucciso consapevolmente dall'eroe) e nel leggendario #1 della serie, il primo incontro con Kurjak e Tesla, fino all'avvento di Gorka, usato come cliffhanger. Di nuovo l'editoriale, però, ci aveva spiegato che, in questa riscrittura che non riscrive nulla, i nomi delle comparse slave sarebbero stati riscritti, e ci anticipa che nel prossimo episodio la città senza nome, in cui figure si aggiravano nella notte, sarà jevo. Per nostra fortuna, la nostra ignoranza, ancora una volta, ci è venuta in soccorso, salvandoci dalle prepotenze dei colti: in fondo, per noi, gli slavi sono tutti uguali e le città pure. Anche dopo vent'anni. Dopotutto, Kurjak si chiama ancora Kurjak, Tesla si chiama ancora Tesla, e Harlan Malovic si chiama Harlan Draka. Che altro dobbiamo sapere? Mica siamo Nikolaus, che ad ogni stacco dà del demente al protagonista, nel frattempo unitosi agli amici al bar. Sul fronte grafico, il curatore cala il tris d'assi. Ma le partite si vincono con quattro carte, ci sembra. L'impressione è che tutti e tre abbiano fatto di meglio, in passato. Ma proprio questa saga ci insegna che dei passati non possiamo sempre fidarci, per cui. Quel che è certo che, nel breve termine, non vedremo storie dedicate alla guerra in Ucraina, in quanto poi, tra vent'anni, dovrebbero essere aggiornate coi nomi veri. Quanto alla Siria, lo Yemen e il Tigrai, vabbè, adesso non mettiamo troppi paletti. La copertina, apparentemente bella, a distanza ravvicinata non è poi granché, e non si capisce perché la giacca di Harlan non proietti l'ombra come quella di Kurjak.    

Dampyr #268: Zona di guerra (Boselli/Dotti,L.Rossi,Genzianella) [Le Origini 3di4]

Titolo di attualità per un albo però concepito qualche anno fa: com'è possibile? Prefigurazione o portasfiga? Perché il Governo dei Minchioni tace? Forse perché acconsente? Ai superstiti l'ardua sentenza (ma siamo in Italia, che ci importa delle sentenze). Lo sceneggiatore ce lo aveva detto, che in questa miniserie avremmo scoperto retroscena inediti di eventi già accaduti. Nelle prime cinquanta pagine, dunque, rileggiamo gli eventi conclusivi del #1, con dialoghi del tutto differenti e con un'abbondanza di particolari che gettano nuova luce su angoli oscuri di quell'albo ingiallito e grossolano: ad esempio, finora sapevamo che Yuri era ricomparso, così, de botto, dinanzi al dampyr, vampirizzato, per poi essere sballottato da Gorka e infine ucciso da Harlan; ma come era giunto fin lì e come aveva potuto Gorka vampirizzarlo, se Yuri era fuori scena? Una ellisse narrativa fondamentale, che, diciamocelo, rovinava la lettura di un albo altrimenti forse anche godibile, sebbene non all'altezza dei capolavori odierni. Ora, finalmente, sappiamo che Yuri era andato sulla jeep coi miliziani coglioni e, unico superstite del massacro, era stato cooptato da Gorka; sappiamo anche, adesso, che non è stato esattamente "sballottato" (che razza di termine) prima di essere ucciso da Harlan. Aah, meglio della conclusione di un puzzle c'è solo l'incorniciare quel puzzle al muro. Questo volevamo, mica rivelazioni da feuilleton e l'apertura di nuove trame, magari - tsé - per rilanciare la testata.  Certo, qualcuno - non noi - potrebbe chiedersi come possa Harlan ricordare eventi a cui non era presente. Lo spiega lo stesso Harlan, ignorando le perculate di Nikolaus nell'unica paginetta-cornice di Rossi: lui ora ricorda eventi che prima non ricordava, e altri che ricordava li ha dimenticati. Martin Mystère, lo sappiamo, ha solo la seconda facoltà. Dylan Dog, invece, solo la prima. Nathan Never, dal canto suo, ricorda anche eventi mai accaduti, oltre a dimenticare gli accaduti, e spesso confonde realtà e fantasia. E se Morgan Lost ricorda molto Brendon, perché è scritto allo stesso modo, e Mister No ricorda solo le storie di Mignacco, Zagor, che non ha fatto neanche le elementari, ricorda ogni dettaglio degli ultimi sessant'anni, come Funès. Ecco allora che il nuovo potere di Harlan Draka appare come un coerente complemento dei recenti sviluppi bonelliani. A questo punto, però dovrebbe spiegarci come mai non ricordava nulla del primo dampyr, se già ne era stato informato. Ma insomma, tutto questo passa comunque in secondo piano nella seconda metà dell'albo, ove assistiamo alla seconda avventura del trio. E il secondo albo, il #2? No, quello Harlan non lo ricorda molto bene (dice pure che la città ha un nome), e glissa su tutte le dinamiche che lo hanno condotto a mozzicare Gorka. D'altronde, non è che adesso proprio tutte le ellissi debbano essere colmate. E poi, sennò doveva ricordarsi della biblioteca del padre, dei libri, e quindi di Amber e la continuità, eccetera. Ce la ricordiamo, no? Molto meglio l'avventura inedita di Genzianella, in cui i nostri salvano la vecchina e il marmocchio dai serbi cattivi (ma chi lo dice che sono serbi? In effetti nessuno, eppure siamo tutti atlantisti, qui). Un'avventura che il nostro potere di inventare i ricordi ci porta a considerare quella del film promozionato dalla miniserie.

Dampyr #269: Sangue stregato (Boselli/Genzianella,L.Rossi,Fortunato,Cropera) [Le Origini 4di4]

Si conclude la miniserie che non ha accompagnato l'uscita del film di Dampyr. Il cinema, come spiega anche il Color #2, è il fratello maggiore del fumetto, e quindi è troppo stanco per uscire, mentre il fumetto a casa si annoia, o comunque è infastidito dalla cagnara. Non è un problema: la prima metà dell'albo ci anticipa candidamente la trama del film, arricchendola di particolari che non avevamo notato, non avendo visto il film, non essendo uscito (tutto fila). Ad esempio, sembrava che il leader della resistenza fosse un transessuale, inserito per strizzare l'occhio alla minoranza del pubblico: e invece è una tobelija, una donna che si finge uomo, una usanza locale, che solo un bifolco oserebbe prendere in giro. Non solo: il titolo del film, "Dampyr", dava l'impressione che il dampyr ne fosse il protagonista; e invece questi è Tesla, la femminista e comunista Tesla, che agisce, impartisce ordini con cinica protervia, inganna il nemico e insulta gli amici a fini di sprone (caratteristiche, qui da noi, riconducibili a Calenda, ma si sa che l'Italia è strana). D'altronde, Harlan trascorre le cinquanta pagine a chiedere per cortesia di non uccidere i nemici che non è giusto perbacco, mentre Kurjak è già diventato il bonario bonaccione a cui è impossibile non voler bene (c'è il primo "fratellino", a toccarci il cuore). Con gran scherno di Hanrico Draketta, i buoni vincono e i cattivi sono divisi tra morti ed esiliati. Le numerose scene di nudo e violenza, invece, vengono riproposte pare pare, così come le perverse allusioni omo-e non solo-sessuali, per la gioia di chi non ha visto il film. Ma, in fondo, se Boselli fosse solo questo sarebbe Burattini, e invece è lui che manovra i fili. E così, dopo aver accontentato il pubblico generalista, a sorpresa tocca anche a quello che ha letto tutta la serie: la seconda metà dell'episodio, infatti, è tutta continuità e riflessioni oziose ed autoreferenziali su di essa, la gioia di qualunque lettore asociale. Si parte dalla conclusione del #2, con il recupero dei libri di Sarajevo (che vediamo in diretta) e si sorvolano i #3 e #5 (e di sfuggita il #4), con Amber e "io sono suo padre" e la letterina dell'angioletto etc., per ricomporre finalmente il percorso che portò alle origini della storia. E quindi il proposito con cui la miniserie ci era stata venduta si concretizza finalmente qui, nelle ultime cinquanta pagine della stessa. Da Harlan che si lamenta (ancora) di come, vent'anni prima, fosse stato usato a mo' di arma dal padre, e forse inizia a farsene una ragione, a Draka che spiega la differenza tra fare un figlio ed essere padre, passando per Caleb e Nikolaus che rievocano i bei tempi dello Speciale #4 e di Madame de Thèbe. Con le aggiunte di Arach adolescente nel mondo di Hyanis e dell'ancestrale incontro tra Camael e Angus Og, più la nota puntigliosa del numero di Maestri uccisi tra aprile 2000 e agosto 2022. Non è che avessimo chiesto molto a queste Origini, diciamocelo: ci bastavano queste piccole cose, e ci sono state date. Con trecentocinquantapagine di ritardo, ma ci sono state date. Persino il finale abborracciato è molto praghese, e l'arte è finalmente di livello alto e costante in tutti e quatto i segmenti. Accontentare tutti per educarne qualcuno, come diceva Mio Mao, o qualcosa del genere: il programma dell'"agenda Draka" è molto chiaro. Ma forse sarebbe meglio seguirne solo una parte. 

Dampyr Color #2: La Cineteca del Mistero: Prologo; Caduto dalla Luna; Doppelgänger; Dark Pinocchio; Incubo di Natale; Vampira; Epilogo (Boselli/L.Rossi/col. Pastorello; Boselli/P.Barbieri/col. P.Barbieri; Boselli/Longo/col. Pastorello; Giusfredi/Dal Lago-Delladio/col. Dal Lago-Pastorello; Giusfredi/Cropera/col. Pastorello; Boselli/Fortunato/col. Fortunato; Boselli/L.Rossi/col. Pastorello)  
 
Pubblicato prima del #269, ma da leggere dopo per non spezzare Le Origini, ma noi lo abbiamo letto prima, e quindi il premier si è offeso e dimesso. Maxi Dampyr #12 nella sua nuova veste editoriale mini e colorata. Dopo la letteratura, ecco il secondo filone dampyriano per antonomasia, la cimenatrogafia; se il terzo numero non sarà un excursus su tutte le guerre del mondo, ci offenderemo anche noi (anche se saremo già gravemente offesi dal nuovo governo). Ljuba, lo sapevamo, è ora una studentessa di Cinema, nonché percettrice del RDC, dato che non la vediamo mai studiare con profitto. Facciamo, dunque, la conoscenza del suo prof., Nomek Cognomek: da buon intellettuale praghese, il suo ruolo è quello del trasecolante scetticone, sballottato da buoni e cattivi da una perplessità all'altra. D'altronde, quando mai si è sentito che a Praga accadono eventi insoliti e bizzarri o omicidi insoluti? Noi, che intellettuali non siamo, trasecoliamo a nostra volta dinanzi alla clamorosa rivelazione che, dopo anni, ci lascia senza parole: Graf Von Henzig non è il nome, Graf vuol dire Conte (!1!). Sturm und Dragh! Noi pikkoli italianen ignoranten, noi solo mancia. E quindi come si chiama questo tizio? Non ce lo dikono. Giuseppi Henzig, comunque, ci mostra la sua cineteca mysteriosa: non poteva essere dell'orrore, quello lo dà il concetto di lettura; né dell'incubo, in quanto già prenotato; il mistero, invece, è un concetto mai usato dai fumetti bonelliani e possiamo usarlo senza problemi di opportunità. Il Prologo è questo qui, disegnato  con cenni di frettolosità oppure con uno stile che mal si adatta ad essere colorato (eppure su House of Mystery - ridagli - non era così). Caduto dalla Luna è il primo capolavoro di Musuraka che Henzig ci propone: c'è il solito Meliès che vive la favoletta onirica, con la guida di Araxe de Kercadiochegnocca e gli inevitabili rimandi al #221. Nulla di particolarmente elaborato, soprattutto per chi ha già visto il film recente che lo ha ispirato, cui è aggiunta solo la nota cartoonesca del Selenita fuggiasco, cui alla fine viene strappato il perizoma; è l'arte della guest prestigiosa ad elevare la lettura. Esilarante la gag in cui viene scovato il Selenita nascosto. Doppelgänger è la storia migliore del lotto, nonché l'unica dignitosamente dampyriana e coerente con il pregresso della testata: e comunque Nikolaus ci aveva accennato da tempo (forse dal #217, da cui proviene Yossele) al suo incontro con Wegener, il regista di Der Golem; e d'altronde non c'è nulla di più boselliano di un personaggio mezzo nazista mezzo anti. Dalla solita menata alla pedata nel cu: Dark Pinocchio è palesemente uno scarto del primo Color, essendo dedicato ad un personaggio di origine letteraria e non avendo nemmeno una implicazione con il mondo del Cinema. La riprova è che la rubrica di approfondimento non se ne vuole occupare. Si tratta, comunque, di una storiella dignitosa, tenuta in piedi da un'arte inusuale e curata e dalla presenza forzata del Tamagotchi, che ci ha divertito ed evocato buffi ricordi. Il finale è eccessivamente zuccheroso. Incubo di Natale è natalizia solo nel titolo e nella vaghissima evocazione dei soliti fantasmi dickensiani, in realtà Henzig (che si traveste pure da Musuraka) e scagnozzi, decisi a portare Ed Wood tra le loro fila. A differenza di Meliès, stavolta non abbiamo visto il biopic propedeutico, e le bizzarrie di Wood hanno avuto un sapore di relativa novità al nostro palato. Le nostre nozioni erano impa(l)late al Mister No scritto da Colombo che parodiava il gruppo di lavoro di Wood: Lugosi, Vampira, Tor Johnson, ecc. (come "chi è Colombo?"; arrivateci da soli, il colpevole lo sapete). Da un travestito all'altro, la carrellata si chiude con Vampira, dedicato alla prima "vamp" del Cinema, con la collaborazione delle sue colleghe travestite (appunto) e lesbiche. Il fumetto si apre con Henzig vestito da Fantomas, senza nessuna ragione: negli anni '20 ci si divertiva con poco, non come oggi. Più che la tizia, il protagonista è proprio Conte di Henzig (improvvisamente lo chiamano tutti così), che scopriamo avere avuto un lato sentimentale e sciupafemmine. Episodio non esattamente brillante, ma perlomeno interessante, almeno così ci piace pensare. La colorazione è opera dello stesso artista e dunque più integrata col disegno rispetto alle altre. Se non mastichiamo molto bene il tedesco, non vuol dire che col francese vada meglio, e così rimaniamo perplessi dinanzi all'accostamento tra lo "Chat Huant" e la civetta (o il gufo, boh, pure in ornitologia ci applichiamo tanto ma siamo stupidi). Il vero film girato da Henzig (ma non erano tutti di Musuraka?, decisamente siamo da rimandare a settembre) con la "vamp" sfora nell'Epilogo, in cui l'arcivampiro si mostra di persona personalmente a Harlanek e Mario Gerosek e sfila la pistola alla sua nemesi con una facilità imbarazzante, ma non lo uccide per non concludere la serie anzitempo, e quindi li spedisce nelle allucinazioni dei "cannibal movies" e del primo film coi fantasmi giapponesi, e poi racconta l'aneddoto dell'incontro tra Tod Browning e Musuraka, e uff quante pagine mancano?, vabbè, Beranek non uccide Dampyrek e crolla tutto e puff tutto svanisce e i nostri vanno tranquilli a farsi una birra. Oltre a Rossi, anche lo sceneggiatore deve aver lavorato con entusiasmo a questa cornice narrativa. Il tie-in tematico alla minisaga che fa da pubblicità al film di Dampyr si conclude così, con tanti elementi apparecchiati per un ulteriore esercizio di stile, da proporre tra un anno. Speriamo che Ljuba non passi l'esame.

Dampyr #270: Killer Hospital (Cavaletto/Ambu)

Riempitivo nell'accezione più pura del termine (c'è da far passare un mese tra un'infornata di Boselli e l'altra). Giacenza nell'accezione più pura del termine: fumetto "ambientato" nel 2017, ma "probabilmente" risalente a quel periodo; dopo il #262, è un altro episodio invecchiato precocemente a causa dei recenti mutamenti politici. Maledizione, pare che lo facciano apposta! Stavolta è il turno dei dannati russi, romperci le uova nel paniere dei prezzi abbattendo l'ospedale abbandonato di Hovrino nel 2018: avvertirci quattro anni fa, no eh? Questo Medvedev è davvero una peste. Peccato, perché lo sceneggiatore aveva previsto tutto il resto: d'altronde, che altro possono fare, i nostri eroi, quando un odioso mercenario del Donbass chiede aiuto, se non precipitarsi a dargli armi e uomini? Inizia, così, il solito film action horror contemporaneo, lo sparatutto coi mostri e i mafiosi e i casi umani, nell'edificio derelitto. Ma proprio il mercenario, il tizio del #206 che non ricorderemmo nemmeno se lo ricordassimo, conferisce alla storia una chiave di lettura secondaria, quando si scopre che la vittima corrotta era la sua figlioccia... questo conduce allo struggente finale - biaccato dei ruderi per essere ambientato al tempo corrente -... yawn... e questo è quanto. I cattivi, ovviamente, non sono non-morti - che banalità - bensì un Grande Antico vero e proprio e i suoi sgherri, che naturalmente non possono aver letto gli albi successivi, essendo il passato... confusi, amici lettori? *blink* Oppure questo è lo scemo del villaggio dei Grandi Antichi, dato che per annientarlo basta un pazzoide coi superpoteri innestati dalla Temsek nel 2009 (quali superpoteri? Non è importante, siamo liberisti). Arte adeguata alle circostanze. Più divertente del fumetto è la rubrica, che ospita - colpo di scena! - la lettera di una lettrice: costei domanda quale sia il vero castello di Roccabruna, tra i due realmente esistenti; colpo di scena!, non è nessuno dei due, ma un terzo con un nome differente.

Dampyr Special #18: Il giovane Dampyr (Boselli/Viotti)

Governo di destra e film di Dampyr! Il proibito diventa realtà. Al pubblico generalista che affollerà i cinematografi è deputata la riedizione dei fumetti d'esordio della serie, ma, metti che dovessero loro piacere, è necessario che pure il fumetto nuovo si presti alla ripresentazione di quello che la testata può offrire in questo momento. Ma la miniserie Le origini e il riempitivo sfigato sono usciti proprio nei mesi scorsi, dannazione. Graziaddio, dieci anni fa - alla morte dell'Editore - lo sceneggiatore si era preparato degli escamotage per i momenti di crisi: ecco, dunque, il provvidenziale ritorno di Charles Moore, il terzo Dampyr, che non vedevamo dai #177/178. Il piccino è ora un ometto, e vive ancora nella "casa sull'orlo dei mondi" con la madre Joan, le Zie Moire, e Liam Cunningham. Scopriamo che la famigliuola allargata ora paga le tasse - perché sicuramente le paga, sarebbe diseducativo, altrimenti - in Ostcelia, un ambiente che ricorda molto i Western tanto cari all'autore. Charles si è fatto l'amichetta, un'aborigenina tutto pepe e lamentele coi poteri da Dreamwalker, o qualcosa del genere: come la sua omologa di Supernatural, non è proprio bellissima, e pertanto per Charles è solo un'amica a cui dare ordini. Dopo anni di quiete, proprio in questo momento pare essersi svegliato un vampiro in quelle lande desolate, ma non è per questo motivo che Harlan Draka (il secondo Dampyr), Caleb Lost (secondo i più, un Amesha) ed Emil Kurjak (un secondo, che arriva) vengono scomodati: è che anche Lady Nahema ha atteso l'uscita del film per sferrare l'attacco al Dampyrino, forse sperando che il capolavoro li tenesse distratti per quelle due orette. Dopo averci riepilogato i precedenti incontri, Nahema si gioca la sua carta: Vassago, il Demone delle Cose Perdute, fra le quali c'è l'informazione di cui abbisognano per sapere dove si trova Moore (ovvero dove si trova). Per fortuna, Vassago può contare sul suo superpotere, ipnotizzare le persone quando lo dice lui solo quando lo dice lui, e, ancor più fortunatamente, a casa Divadlo abita ancora Ljuba, la studentessa di Cinematografia (che circolarità!) perennemente spaparanzata sul divadlo. Ljuba, ormai, è cresciuta, e ha quasi l'età di Lisa, il ché è sufficiente a turbare il Dampyr, che dunque coglie la prima occasione per andarsene agli antipodi. Sulla giovane restano a vegliare Kurjak e gli spok di Nikolaus, per cui Vassago ha gioco facile. La storia vera e propria ha il via quando il focus narrativo si sposta a Uluru e finalmente le piste di Harlan e Vassago cominciano ad interagire, e le loro vicende ad intersecarsi con le disneyane avventure dei ragazzini ribelli e dei loro vegliardi protettori (con le ambiguità del caso, come il Vassago pedofilo suo malgrado). Come in un film (aridagli) d'animazione, è la mitologia aborigena a conferire un tono più adulto alla storia, e finalmente troviamo su questa serie concetti come il Tempo del Sogno, le Vie dei Canti, Eccetera... alla prossima, cosa: la ricerca dei Graal? A parziale complemento de Le Origini, scopriamo che Harlan era già stato ad Uluru, ma lo aveva rimosso: omaggio a Lazarus Ledd? Per forza, altri fumetti con argomenti esoterici non ne conosciamo. Oppure quel graffito che Harlan non comprende è proprio quello di Don Rosa. L'autore riesce a rendere credibile il disvelamento del colpo di scena e la sua natura, lo scemo del villaggio dei Maestri della Notte, l'unico serpente cosmico capace di rimanere incastrato nelle fessure spaziotemporali: ricorderemo come il #270 presentasse lo scemo del villaggio dei Grandi Antichi, il ché non fa ben sperare per i Demoni Neri dei #271/272. Nonostante questo, la grottesca storia di Wunggurr appare pietosamente comprensibile. A questo punto, la conclusione non può che vedere la battaglia tra le Moire che sparano raggi dalle mani e i Nephidim Vulcaniani teletrasportati dall'astronave e armati di pistoloni laser, come nell'indimenticabile #148, mentre Harlan può beffare il cattivo pazzo cavillando. Naturalmente, a Nahema è sufficiente una stretta di mano per ottenere ciò che Nergal aveva fallito per un centinaio di albi, e così lei e Vassago possono mantenere intatti i propri status di "cattivi ragionevoli", mentre Charles ora sragiona, prediligendo la stangona guercia e caucasica alla negretta petulante e ancora non formatasi. Un'ombra oscura sul lieto fine, dunque, ma le Zie provvedono immediatamente a chiudere la sottotrama, avvertendoci che non si faranno vedere almeno fino al prossimo film. Harlan, comunque, non sembra esserne turbato, forse perché lo Speciale #11 era un "what if". Per competere con Frida Gustavsson, Wade Biggs e l'altro tizio, oltre che per nascondere lo scorcio di 32 tavole, un albo del genere non poteva essere mandato in edicola, così, alla bisogna, ma necessitava di un'arte curata, espressiva, rifinita, ariosa, magari rilanciando un'artista talentuoso ma persosi col tempo; e, perché no, di un copertinista nuovo e dallo stile impressionista, con cui cogliere al balzo il restyling imposto dall'Editore; ha avuto entrambi. 

Dampyr #271/272: Gli spettri di Youghal/Orrore a Hyde Court (Boselli/Genzianella,Rubini)

E film fu! Uscito in occasione di Halloween, e da esso beffato, dato che non è durato un mese come auspicato, e pertanto è stato necessario ritirarlo dalle sale dopo tre giorni, il primo episodio del BCU (Boh Casi Umani) ha conquistato le platee dei due cinema che lo hanno trasmesso, di cui uno aggratis a Lucca Fumetti E Giochi, e il pubblico dei quattro gatti che lo hanno visto: a Silvestro e Tom è piaciuto molto, mentre Mio Mao ha criticato alcune cose, ma nel complesso lo ha gradito; solo Malachia è rimasto deluso, ma si sa che è un tipo dispettoso; quel che importa è che 3 su 4, la maggioranza, ha apprezzato l'opera! Per festeggiare l'evento, i due albi da cui è tratto il capolavoro sono riproposti in 616 e 52 versioni. Non solo: anche la collana mensile si presenta con una storia in due puntate, per l'occasione dedicata a ripresentare le caratteristiche salienti e pepate alla base della serie. E si parte subito forte, con un inedito carro di buoi direttamente in copertina, per poi passare ad una vicenda a base di bambini cannibali istigati a mordere tette, bambini sgozzati, disabili sventrati, handicappati divorati da mostri tentacolari, occhi cavati con le dita, donne nude bianche e nerissime. Il tutto condito da regia americana e spettacolare, tipo quando il protagonista sfonda il muro con la volante e schiaccia il poliziotto corrotto, o quando propone un patto verbale al cattivo, che lo accetta (non in quel senso, nell'altro), o quando la zitellona romantica sfodera una grinta mai vista e spara al malvagio, o ancora quando e infine quando. Il lettore fedele può divertirsi a notare (oppure può solo notarlo) come la prima puntata sia una classica storia dampyriana in cui lo sceneggiatore si vanta delle sue mete vacanziere, mentre la seconda prenda una più spavalda piega cinematografica, comunque non inedita, in quanto l'autore finisce per riproporre la "battaglia tra etichette orrorifiche" già vista ai tempi del ciclo mestrualovecraftiano: e infatti qui ritornano dei mostri "tipo Ciulu", stavolta contrapposti ai fantasmi (buoni) e alla cacciatrice (pacifista) dei medesimi, con in mezzo i seguaci di Thorke. Questi arrivano a farci credere che quel vecchio nemico possa essere resuscitato, e che la rivoluzione dei #182/183 possa essere restaurata, non tanto perché l'autore è più bravo del solito a seminare il sospetto, ma perché il serial ha superato da tempo il punto di non ritorno della credibilità, e infatti i film sono meglio delle serie tv. Invece niente, la Tempolizia e l'esercito Infernale irrompono nello stanzino dove ci sono altre dieci persone, e, zampe in alto!, dopo una breve guerricciola arrestano i malmorenti e li giustiziano (ma prima li arrestano, a norma di chi legge). Finisce che Ryakar e l'altra demonessa buona (Eishet?) restano nell'irridente località a curare gli autoctoni traumatizzati, mentre Maud decide di adottare la down e la comatosa e forse anche Freed allungamani Richards. A Stuart Martin non resta che chiedere com'è andata la vacanza, e a Briggs rispondere con una battuta. L'arte non delude né eccelle, anche perché il flashback spiegone riassunto della Dimensione Nera dal #157 a oggi lo fa Rubini. Insomma, Mio Mao aveva ragione: una lettura modesta, ma tutto sommato divertente, forse la migliore dell'anno. Peccato per quei ragazzini che disturbavano sempre. "La realtà, a volte, supera la fantasia": sì, ma a noi quando capita?

Dampyr #273: La Scuola tra i Fiordi (Boselli/L.Rossi)

Autori di prestigio per un riempitivo pseudonatalizio. Una lettura agevole e (quasi) vecchio stile, anche se l'albo a cui finisce per assomigliare - anche in virtù del medesimo tandem creativo - è il #116: questa scuola, però, è infestata da fantasmi e da criminali comuni. Oh, e finalmente alla galleria dei delinquenti riabilitati si aggiunge il buon pedofilo. Per tacere del concetto di scuola che tiene le pesti pure durante le ferie. Awww. Dicevamo "(quasi) vecchio stile", perché comunque finisce con la strega Gudrun che impone il bastone alle rune e con l'ex bambina, ora adulta, che picchia il fantasma molestatore, in mutande (davanti ai ragazzini, i quali se la volevano fare per tutto l'albo, ma quando si spoglia non la degnano di uno sguardo). Ma sappiamo che non si tratta di una scelta da manuale cencellj: è che lo stile di Boselli ormai è questo, e così ce lo dobbiamo tenere. Dopotutto, è una storia che, nella golden age della serie, avrebbe figurato tra le minori, ma oggi che l'age è bronzed risulta la migliore dell'annata. Ci sono comunque cose poco chiare, tipo lo status di Gryla e del perché questi fantasmi spuntino come funghi dappertutto, e francamente ci siamo persi anche il momento in cui il vecchio entra in scena. Ma vabbè, il Natale quando arriva, arriva. Arte di alto e abitudinario livello, in cui i volti di Gudrun e Freya si confondono. Poveraccio, il maestrino. 

Dampyr #274: La Progenie di Rothgar (Falco/Del Campo)

Nuovo anno, vecchio seguito. Si ritorna nei territori del #67, con la Malena di quell'albo e tanti saluti al fu Faggella. Coincidenza, proprio pochi mesi fa è morta l'ultima "Abuela". E dire che Falco fa il medico. Siamo nella classica Buenos Aires tutta banditi e perdigiorno, sulle tracce del non-morto postfascista del Condor, che poi troviamo con l'aiuto degli sbirri buoni, un nuovo gruppetto di amici per i fratellini (in vista del seguito del seguito). Ma dietro le quinte c'è un nuovo Maestro, Rothgar dal volto di Mads Mikkelsen (?), uno che faceva il Mengele coi nazi, e lo fa ancora oggi: il suo scopo è creare una nuova razza di ibridi umano-Maestri. Harlan non se lo chiede, ma noi sì: come Draka ai tempi di Varney? Più o meno. Però questo è malvagio. Non è solo teoria folle: un ibrido esiste davvero. Però è buono. Dampyr fa in tempo ad incontrarlo solo nelle ultime paginette, sufficienti però per empatizzarvi subito con tutto il suo cuore di eroe. Purtroppo, anche in un albo dal canovaccio tradizionale come questo, Kurjak fa il "tipo dell'HBO", quindi prima dice "teste di cazzo" davanti a tutti, e alla fine spara a vista su questo povero cristo, non lasciando il tempo a Dampyr di allearvicisi. A quel punto l'albo è finito, per cui anche Harlan non è che ci stia a piangere sopra, pazienza è andata così, la vita va avanti come ci insegna il Papa argentino che ha sepolto il tedesco. E Rothgar? Ah sì, c'è pure quello: no, niente, Harlan lo vede solo nei flash, ma non lo incontra, perché è già scappato nel sequel.
     
Dampyr #275: Il Giustiziere di New York (Zamberletti/Vercelli)

Riempitivo metropolitano: poliziotto buono poliziotto cattivo, fratellini. No, non il dampyr e quell'altro, quelli sono rassegnati. Sono due tizi mai visti prima, l'eroico papino dal volto di Josh Brolin (o almeno così ci pare, non è che l'arte sia davvero tale) e il cinico "zietto". Non-morti di Ixtlàn, che rivediamo nell'immancabile flosciobecco. Muoiono tutti tranne i protagonisti. Questo è quanto. In questo universo, Nick Raider non esiste, dato che il "miglior sbirro della NYPD" è un altro. Mystère, invece, chi lo sa, è come il prezzemolo. Certo, anche se esistesse, meglio stargli alla larga.

Dampyr #276: Il Crepuscolo degli Dei (Venanzetti/Lozzi)

Seguito del #203, un riempitivo che, in modo arcano ed inesplicabile, avevamo gradito. Ma erano altri tempi, si arrivava dalla lunga saga del bicentenario e dal Magazine, eravamo giovani e ricolmi di speranze, potevamo sognare che un'epidemia planetaria avrebbe risolto tutti i problemi. Oggi, avevamo accolto con placida rassegnazione la sinossi dell'albo, che ci prospettava una sfida a colpi di bikers coi superpoteri. E invece. Come si dice? "Quel che non ci uccide ci reinvia a processo". La prima metà dell'episodio ripropone le atmosfere sospese e la tangibile evocatività degli ambienti che ci avevano intortati nel prequel. Sarà vera la storia di Starkad, che ci ripete più volte che lui ha i ricordi dei tempi di Egil-una-mano?, ci chiediamo. Cosa ci celerà realmente dietro a queste vicende, che sembrano presagire oscuri connessioni tra i nazi e le dimensioni spaziotemporali?, ci domandiamo. Stanti le visioni degli eventi passati che appaiono in forma ectoplasmatica, e il cameo di Maud (cui giustamente telefonano per saperne di più, e giustamente, da buona professionista, lei ci insegna cose che già avevamo intuito), e considerato che diversi albi recenti hanno interessato i fantasmi, è possibile che stiamo assistendo al dipanarsi di una nuova sottotrama che ci accompagnerà per almeno cento episodi?, supponiamo. Tanta roba, insomma, e i bikers fanno solo una comparsata. Poteva durare? Ovviamente no. A metà albo, la svolta: non c'è nessun mistero, i ricordi sono fasulli, e dobbiamo solo liberare il fratello. E quindi via di quaranta pagine di asettico laboratorio scientifico, e di arte impacciata, e gente che cammina durante la nevicata nella neve alta coi giubbetti di pelle, e brat brat brat, e zuooomm fuaaaa, e scienziata pazza che muore, e cattivo-buono che si suicida (anche se immortale) distruggendo tutto, e posa degli eroi. Più che il crepuscolo, è notte fonda.     

Dampyr #277: Radio Vampira (Giusfredi/Bartolini,Majo)

Esiste davvero una emittente radiofonica locale che ha ospitato gli autori di Dampyr: per lo sceneggiatore hipster è uno spunto irresistibile da tradurre in riempitivo folkloristico. Ma fortunatamente questo tizio è anche il pupillo di Boz, e può bearsi di un potere decisionale lievemente maggiore di quello concesso ai meri factotum. Così, di botto, nella desolazione generale, ecco un riempitivo che è anche qualcosa di più, un'appendice di continuità, ruffiana e complice, che si innesta confortevolmente nella mitologia della serie. Agnese degli Ubaldi, la non-morta tardomedioevale che si presenta ai giorni d'oggi alla radio e racconta la sua storia nella Storia, non è solo la solita squinzia usa-e-getta, come lasciava tristemente presagire la sinossi: è la non-morta di Krygar, il Maestro dei #17 e #153 e #165, ma che nelle sue vicissitudini ha incrociato pure Giovanni (come "quale Giovanni?" Drogo, naturalmente. Gli amici del bar del Giambellino lo chiamavan Draka). Non è tanto questo a rendere rilevante l'episodio, quanto una narrazione che, una volta tanto, mantiene un certo decoro tra formalismo e pietismo, riuscendo ad essere erotica (ormai requisito indiscutibile per essere pubblicati) senza essere volgare o becera, e sfruttando la carrellata storica (tardo medioevo, Guerra dei Trent'Anni, moti ottocenteschi, l'immancabile guerra mondiale) per incuriosire quel tanto che basta per non annoiarsi (Dampyr arriva a metà albo, e fino ad allora è tutto un racconto di Agnese allo speaker). Dicevamo, però, che lo sceneggiatore è anche il viceBoz: ed ecco che, mentre effettivamente l'alone fascinoso costruito intorno ad Agnese evapora, e le motivazioni della tizia diventano incomprensibili e contraddittorie, l'autore si gioca la carta dell'innesto narrativo, introducendo il fratello di Krygar, Ryoh, il Maestro della Notte adolescente, tenuto in vita artificialmente dall'alba dei tempi da Dagda e risvegliatosi solo nel #165. Sacrificando Agnese - che, come detto, improvvisamente comincia a comportarsi in modo irrazionale -, l'autore presenta il nuovo personaggio con una certa efficacia, facendo in modo che il dampyr non capisca bene cosa stia accadendo (Agnese a momenti lo sgozza!) e tirando in ballo tutta la mitologia possibile, da Dagda a Taliesin, quest'ultimo protagonista dell'epilogo in flashback. Praticamente tutti sapevano di questo Maestrino dormiente nei dintorni di Pisa, ma nessuno ha mai pensato di avvertire chicchessia. L'impressione di stare leggendo qualcosa che si riverbererà in albi più importanti si manifesta anche nel grottesco confronto tra Ryoh che ribadisce seraficamente di non volere la guerra e Harlan che lo minaccia perentoriamente di morte alzando la voce e agitando il dito. La confusione del finale - una confusione che, tuttavia, visti i tempi, appare come una salvifica rimescolata alla minestra - è avvalorata dalla straniante presenza di 7 tavole di Majo non consecutive, forse giacenze riadattate all'uopo. Ma forse, alla fine della fiera non vogliamo ammettere che ad averci realmente conquistati è stata l'arte ariosa e davvero gradevole di Bartolini, che solamente negli scorci medioevali cerca di suicidarsi con ingombranti retini.

Dampyr #278: La Foresta dei Suicidi (Venanzetti/Gualandris)

Arte ispida e industriale, ma sqillino le trome: finalmente ecco l'Aokigahara, uno dei pochi luoghi di questo mondo piatto e conformista capace di suggestionarci. Dampyr arriva tardi, stavolta: Nathan Never vi era già stato, e pure la cinematografia americana; il ritardo si riverbera nel fumetto, dove Harlan arriva dopo molte pagine, comparendo dal nulla già in loco, e fa quasi più paura dei mostri. Il luogo suggestivo è sfruttato solo a mo' di sfondo, comunque, e l'episodio è l'ennesimo episodio coi fantasmi. A dire il vero, la cattiva sembra più un dèmone, visto che le tirano i capelli, come a quella tizia famosa dei film con le vhs. Ma boh, vai a sapere. I personaggi non si pongono molti dubbi a proposito, forse perché Kenshin e il comprimario occasionale sono distratti dai propri istinti suicidi - come non comprenderli? -, mentre Harlan ormai lo conosciamo, tutto bene grazie. Scopriamo che Kenshin aveva un amico mafioso a cui voleva molto bene, e che si era suicidato nella foresta (cioè nel lago: c'è un po' di tutto, in questo ecosistema; come nei boschi italiani, solo con puttane e immondizia in vece di laghi e vulcani): alla fine trova pace, e Kenshin pure; quell'altro invece è malato terminale e tanto deve morire lo stesso, quindi tutto finisce bene. Il mese prossimo, una nuova storia di spettri: non è affatto un indizio di trame future. 

Dampyr #279: Le Vendicatrici (Andreozzi-Falco/Del Campo)

Nel mese di giugno 2023, Boselli tocca la quota di 50000 pagine pubblicate: è la Storia del Fumetto Italiano che ci passa davanti, per farci "marameo". Soprattutto a noi dampyriani, giacché il record è deputato a Tex, mentre ai poveracci rifila 'sta sbobba. Ricordiamo Wyatt e Rufus, gli sbirri dei mitici #15/16? No, però rieccoli: hanno cambiato città, perché, nonostante tutto l'epos e la morte dei malvagi di quel Classico della serie, alla fine quel posto era rimasto razzista. A poche decine di km di distanza, invece... niente, sono razzisti anche qui. Però almeno qui c'è una negra che uccide i razzisti. Il modus operandi, la pagina della rubrica, la ripetizione nozionistica anche nel fumetto; tutto porta a pensare che si tratti di una Boo Hag, una via di mezzo tra i non-morti e le succubi; solo quel limitato di Kurjak insiste a dire che si tratti di semplici non-morti, "senza dubbio". Ma sentilo, il signorino! Beh, a metà albo si scopre che ha ragione: è proprio una non-morta, che vive con altri non-morti nella villa abbandonata nella foresta paludosa rigogliosa, alla faccia delle speculazioni edilizie. Ora: saranno pure nient'altro che le solite non-morte, seppure tutte donne e tutte negre, ma chissà chi sarà il loro Maestro. La location, la presenza dei comprimari degli albi di cui sopra, il colore della pelle (gulp!); tutto porta a pensare che si tratti delle non-morte del defunto Legba. E invece... Invece cosa, è proprio così. Gli autori (Falco aggiusta(?) il soggetto di un tizio), consapevoli di non brillare d'originalità nei colpi di scena, provano a compensare rimescolando il canovaccio, anzi no, tanto a che serve. Per mantenere il grado di realismo necessario ad una serie etnografica come questa, e per giustificare il prologo, la cui datazione precisa è sospetto di una ispirazione ad eventi reali, non tutti i razzisti vengono eliminati, a parte tutti quelli che compaiono nell'albo. In fondo, anche punire gli stronzi - così li chiamano ripetutamente i buoni della storia - è giusto. Arte perfettamente adeguata a tutto questo. 

Dampyr #280: Il mistero dell'Isola di Jersey (Piani/Belardo)

Per una volta, le sensazioni suggerite dalle anticipazioni sono confermate: riempitivo inusuale e gustosamente scenografico (non è che l'ha suggerito Argento?). E' la manifestazione diretta del tormentone delle sinossi con i comprimari che sovrastano il protagonista (il famoso "e con la partecipazione di Harlan Draka") e confessiamo di non averlo affatto disprezzato. Delle 94 tavole, infatti, almeno una sessantina sono dedicate ai flashback della famiglia Hugo nella metà del secolo decimonono, nella cornice semi-inedita di un'isoletta francese (non i soliti anglofoni), con l'autore che sembra essersi documentato parecchio e che ci offre la presa diretta romanzata di eventi realmente accaduti (le sedute spiritiche di Victor Hugo in esilio, l'origine delle turbe della figlia Adèle e di Jules Allix). Praticamente l'intreccio nasce e si sviluppa nei flashback, e potrebbe pure morirvi, se non fosse che il contratto prevede, appunto, "la partecipazione di H.D." larocraft. E quindi c'è questo contorno ai giorni nostri, con la solita Maud che non sa risolvere niente da sola, e deve sempre chiamare il suo amico dai viaggi spesati. Fortunatamente, questa volta le pagine a loro disposizione sono poche, e fanno in tempo a tergiversare solo in un paio di occasioni (due tavole di occhiate all'appartamento e salite di scale), ma poi debbono per forza darsi una mossa. Ed è un peccato, perché il finale frettoloso e di routine (mostri, versi, spari) ci riporta drasticamente nell'alveo dampyriano. A favore dell'autore gioca invece lo sforzo di aver creato un contesto diverso dalla solita minestra: stavolta, infatti, non combattiamo i soliti "fantasmi", ma ci addentriamo in concetti più specifici (eggregore, arconti), con i sottotesti che ne conseguono. Ma... allora... si... può... fare!! Certo, uichipedya dice che le eggregore si sconfiggono con meditazioni e fioriterapie, mentre qui ci vuole la pistolettata al cuore tipo western, ma non possiamo certo pretendere di più, d'altronde non ci aspettavamo neanche che mezza storia fosse gradevole e interessante. Arte documentata, ma dalle anatomie non sempre convincenti. Fastidiosa la presenza di John Cleese (che c'azzecca?), più simpatica quella dell'attore che fa la prima Morte in Supernatural.

Dampyr #281: Gomorya (Boselli/Delladio)

Madonna santa. Episodio poco affine ai riempitivi che ormai costituiscono l'ossatura della testata. Eppure, a sua volta, riempitivo, ma in modo colto e inusuale. Si parte con un melodramma tardo ottocentesco, in napoletano stretto, che parla di puttane raffinate e camorristi dandy. Subito pensiamo alle grosse risate che ci faremo nelle chat con gli altri critici della serie. Un nuovo, epocale albo-meme tutto da deridere? In realtà, emerge fin da subito l'ammirazione per come l'autore, un bauscia milanese con la 'r' moscia, si sia preso la briga di studiarsi un dialetto così lontano dal proprio (per quel che ne sappiamo, ci è parso abbastanza documentato, non è Boldi che imita Totò, il livello è alto; certo, non è iperspecialistico e incomprensibile stile rapper camorrista, ma è comunque un napoletano ostico per un forestiero). Questa sorta di fascinazione intellettuale prosegue e si fa più pervasiva quando ci rendiamo conto che l'episodio è una specie di divagazione manieristico-culturale, in cui lo sceneggiatore sciorina la sua traboccante conoscenza del periodo storico raccontato e dei personaggi storici messi in scena, oltre che delle ispirazioni letterarie dell'ormai inintellegibile cast dampyriano (nota di merito all'editoriale, finalmente utile, che ci ricorda da dove viene, realmente, Gomorya). Ricordiamo? Avevamo iniziato a leggere Dampyr in quanto seguaci dell'approccio woldnewtoniano di Alfredo Castelli e del suo Martin Mystère, un serial capace di farci interessare a cose di cui, inizialmente, non ce ne poteva importare di meno (il fumetto ottocentesco, per rimanere in tema). Una magia che diversi episodi di Dampyr erano riusciti a replicare. Questo si innesta in quel filone che pareva ormai esaurito: un minestrone con le architetture inesistenti di Lamont Young, o' Munaciello (#52/53, è morta la vecchietta, come Castelli, e tutti la archiviano subito, come Castelli), romanzi popolari misconosciuti, le rovine perdute degli Yazidi, e, soprattutto, ciò che più ci ha entusiasmati, la doppia indagine in località diverse (Gradisca, Venezia, Napoli) seguendo la mappa e luoghi realmente esistenti. Non solo: il cast torna a muoversi secondo dinamiche più logiche e meno macchiettistiche (tipo Caleb che manda in giro più incaricati in più luoghi contemporaneamente), si cerca di dare un filo conduttore alla trama delle Chiavi dell'Inferno (il Salterio del #107, il Sistro del #205, il Flauto di Pan perduto, manco fosse su Marte, e qui letteralmente un cadavere impolverato), Harlan incontra finalmente l'amico Racoszy. Giusto un paio di perplessità nella litigata tra il fratellino che non fuma e quello che aveva smesso ma ha ricominciato (che trasgressivo!) e sull'interpretazione romantica di Gomorya, che nella precedente apparizione era una totale ninfomane. Giusto l'indispensabile per ricordarci che, tutto sommato, se c'è un plausibile "erede di Castelli", è l'autore di questa roba. Anche se stavolta è mancato il pecoreccio (giusto la bernanda in copertina). Arte di buon livello. E' il miglior albo almeno da Roccabruna (facciamo Robert Howard)? Ci sembra proprio di sì.    

Dampyr #282: La Strega Bambina (Piani&Russo F.)

Sedetevi, stringete i pugni e sforzatevi come se steste evacuando; ora immaginate la cosa più woke-socialwarrior-eccetera che la mente può immaginare. Fatto? Non ce n'era bisogno: avevamo già qui la bambina africana esper. Ventre gonfio e fronte piatta, la piccina vanta pure un amichetto che si è zoppato da solo e che alla fine viene sparato brutalmente in pieno petto. Niente paura: aveva l'argenteria rubata sotto la canottiera. La Temsek, infatti, non è stata smantellata nel #209, come anche Kurjak credeva: facendo spallucce, Harlan ci spiega che evidentemente non lo è stata, visto che in Africa è ancora operativa, e ci mostra i bonifici che lo provano (come a dire: non è colpa sua). La missione è reclutare gli esper, come ai tempi di Zarema e affini. L'occasione è allora ghiotta: Africa, guerra, lotta di classe, giustizia sociale, femminismo, infantilismo, ambientalismo non tanto ma diciamo che è sotteso, lotta alle multinazionali, disabilità, dramma degli orfani, gap generazionale, traffico di vite umane... porca miseria, è la vertigine della lista. Se ci pensiamo un attimo, le troviamo tutte. Tant'è che l'editoriale - geniale - la prende alla larga parlandoci di Rosso Malpelo e Pel di carota (i rossi erano discriminati, quindi anche gli africani). Per contrappasso, l'autore ripropone gli stilemi di inizio serie, con i battibecchi sarcastici e Tesla che fa le moine a Kurjak, e concede al trio quel pizzico di cattiveria ultimamente un po' ingessata (pensate: Harlan spara in testa a un negro davanti alla cinepresa), soprattutto a Tesla, come anticipato dall'accorta sinossi ("Tesla non sopporta che nessuno pensi ai bambini!"). Alla fine mamma e piccini ottengono una nuova vita tutta spesata nel Paese di Trump, lasciando macerare noi occidentali povery nell'invidia. Arte complessivamente passabile, ma anche svogliata o in declino; Russo ci aveva abituati a ben altro. 

Dampyr #283/284: Il Ritorno di Taliesin/Il Calderone di Dagda (Boselli/Laurenti,Viotti,Genzianella)

Come da titoli, improvviso ritorno della contignuti più sfrenata. Non solo viene ufficializzato lo status di "trama più importante" al filone della ricerca dei pezzi di Calderone (alla faccia dei fantasmi), ma viene pure proseguita, come se non fossero affatto trascorsi otto anni (di cui tre di covid), la Storia & Gloria della Dinastia Tremayne, o Tremaynesty, o Afaggdallas, come si chiama. Ricordiamo? Mica tanto. Fatto sta che eravamo rimasti al #199, con Taliesin prigioniero di Kostantin, alleato di Angus Og. Da bravi fans sappiamo già che Kostantin diventerà Kostacki, e sarà uno dei primi a morire nella serie ("sfigato!", direbbe Mettiu Scedi), mentre l'altro è quel Marsden che da una decina d'anni fa il nemico dietro le quinte e si rigenera per il graffietto subìto da Erlik Khan (si cura in Italia?). Taliesin doveva dunque essere liberato, e in questa lunga avventura assistiamo al come. Non è una trama, di per sé, particolarmente ambiziosa: ma per comprenderla appieno è indispensabile quantomeno sfogliare gli episodi precedenti (sarebbe meglio rileggerli del tutto, ma non ci è consentito, a momenti non ci facevano leggere nemmeno questi); in questo modo, è possibile rimanere affascinati dall'interminabile minestrone cavalleresco, una vera saga nella saga, con personaggi a secchiate e delle genealogie che Don Rosa al confronto è un dilettante, forse la roba con più personaggi di sempre del Boselliverso. Se il segmento di intreccio, dicevamo, non è nulla di contorto (Taliesin è libero, ritrova la figlia Isotta - muore Tristano -, riparano tutti ad Avalon tranne l'eroe che va a sfidare il nemico), è innegabile come l'autore si sforzi di dare un respiro a tante sequenze. La più rappresentativa di tutte, forse, è il duello tra Taliesin e Kostacki in forma di drago: probabilmente la lotta contro un Maestro su cui ci si è soffermati di più in tutta la serie. Più di contorno, si direbbe, l'ampia parentesi dedicata a Draco e al suo arruolamento del mercenario sarmate. O è un'annotazione in prospettiva futura? Con questo sceneggiatore non si può mai sapere. Insomma, è un bel fumetto d'avventure arturiane - tipologia di storia che ci aggrada sempre - di cui siamo riusciti a capire quasi tutto, persino il suggerimento del possibile intervento di Artos negli eventi futuri (e quindi il castello di Araxe sarebbe Avalon). Quasi, in quanto l'avventura si chiude con una nota simil-castelliana, nella quale veniamo a sapere dell'alleanza tra Myrddin e Severa, evento di cui non c'è traccia nei vecchi albi, e che pure i protagonisti ignorano (ce lo dice la nuova supernonpropriocattiva Azara). "La fortuna di essere lettori di vampiri anziché cacciatori di vampiri" (cit.). Fumetto comunque soddisfacente, e tanto basti. Tutto questo è affidato a Laurenti, ma per un qualche motivo la collaborazione s'interrompe di botto (è noto il suo recente calo qualitativo su Zagor e Tex), ed è meglio così giacché gli subentra Viotti, che in cose celtiche sguazza come un topo nel formaggio. Genzianella illustra, invece, le sequenze ai giorni nostri, nelle quali - finalmente - è Dolly McLaine a raccontare la storia ad Harlan e ai congiunti Shady (la compagna è quella che ama vivere nel Sudan, sì, quella che si era prostituita quand'era sbiancata). Il fatto è che Dolly ha un frammento di Calderone negli occhiali, o meglio aveva, alla fine degli albi lo prende Azara. Chi ha gli altri? Occorre rintracciare i discendenti di tutti i protagonisti della telenovela mitologica. Praticamente è Alla Ricerca della Pietra Zodiacale! Già questo è sufficiente ad entusiasmare; poi c'è la casa unifamigliare di Dolly, nel paesino verdeggiante e tranquillo... che ve lo diciamo a fare. (Sospiro) L'unica nota stonata è la demenziale sequenza in cui Harlan si monta la testa, dice di chiamare i "professionisti di Praga" (sarebbero i due casi umani che lo seguono dal 2000), poi spiega che Azara gli sta tendendo una trappola, vuole farlo uscire allo scoperto, e quindi esce allo scoperto e cade nella trappola, facendo ammazzare il comprimario Murphy (le leggi non decadono, però). Vabbè. Fess quondam fesse futurus. La prima copertina omaggia Tex, un onore da far tremare i polsi, e si vede.

Dampyr Special #19: Ghost Watch (Boselli/Longo)

Buongiorno a tutti. La sera del 26 settembre 1999 fu trasmesso, in prima serata televisiva, uno show decisamente anomalo. Il noto presentatore Corrado Mantoni, in arte Corrado, si ritrovò coinvolto, suo malgrado, in una vicenda dai toni misteriosi, tra i quali nientemeno che un omicidio, decisamente estranei ai suoi consueti programmi per famiglie, e che andavano ad alterare il normale e pacato equilibrio delle sue conduzioni. Un giovane telespettatore, di anni 12 quasi compiuti, ne risultò turbato, al punto da cambiare canale prima della conclusione della vicenda. Per quale motivo - si chiese - l'anziano e rispettabile divo del teleschermo era stato catapultato in un simile inghippo? A corroborare l'intrico, v'era il fatto che Corrado era morto pochi mesi prima della messa in onda. Improvvisamente, quei distorti ragionamenti che, anni prima, da piccolo infante, lo avevano portato a sospettare della compresenza di Lino Banfi in due vecchi film trasmessi simultaneamente da emittenti differenti, non gli parevano più così assurdi. In quel giovane, di lì a poco, avrebbe cominciato a germinare qualcosa di oscuro, che lo avrebbe condotto ad un futuro funesto. Come avrete facilmente inteso, il giovane in questione era l'umile estensore di queste righe. Ebbene, a 25 anni di distanza, possiamo festeggiare la risoluzione di un piccolo trauma. Siamo venuti infatti a conoscenza di quanto accaduto sette anni prima degli eventi sopra descritti, allorché, la notte di Halloween del 1992, l'emittente inglese BBC pensò bene di inscenare uno spettacolo orrorifico, mascherandolo da inappuntabile - "british" - reportage. Per l'occasione scritturò Michael Parkinson, in arte Parkinson, l'equivalente britannico di Corrado, accompagnato da Sarah Greene, conduttrice di un noto programma per bambini dell'epoca, in pratica l'equivalente di Elisabetta Ferracini o di una delle tizie di Bim Bum Bam. Lo show fu strutturato come una credibile indagine paranormale su di una casa infestata, e si concluse con l'efferato rapimento della Greene da parte di una entità malefica, la quale andò poi a "possedere" Parkinson. Immaginate: è come se la Ferracini di Solletico fosse stata portata via in diretta sulla tv nazionale, mentre Corrado (o Baudo, se proprio preferite) proferiva frasi dannate ciondolando in uno studio televisivo improvvisamente buio. In Italia, il pubblico non se ne sarebbe accorto, intento a ridere degli scherzi ai vip sulle emittenti concorrenti, ma comunque i media avrebbero massacrato la trasmissione. Nella GB, invece, tali eventi scatenarono ondate di panico, e addirittura stimolarono un caso di suicidio. Su questi due eventi storici - il programma tv e il suicidio che ne conseguì - è basato il fumetto di Boselli, il quale ha potuto così coronare uno dei suoi sogni, ovvero imbastire, e gestire tecnicamente, un mockumentary con tutti i crismi. Ghost Watch, infatti, non è solo il nome dello show della BBC e dell'albo a fumetti che lo omaggia, ma anche del remake del programma che Boselli ha immaginato prodotto ai giorni nostri. Abbiamo potuto, dunque, assistere ad uno dei momenti in cui l'universo dampyriano si è più allontanato dal nostro, dato che la vera BBC attuale non produrrebbe mai il remake di materiale così poco adatto ad un pubblico di tutte le età. Per conto nostro, una volta scoperta l'esistenza di questo ben di dio, abbiamo deciso di riconoscervi il rispetto che merita, e per quasi un anno abbiamo atteso la giusta concordanza di fattori, di modo da gustare spettacolo televisivo e albo nei migliori dei modi. Ebbene, dopo dieci mesi di inana attesa ci siamo arresi, e ci siamo rassegnati alla consueta lettura a scartamento ridotto, accompagnata da una rapida occhiata al film con l'"avanti veloce". Anche in queste condizioni, tuttavia, l'albo ha funzionato: dopo una introduzione abbastanza prolungata (volta anche a ripresentare tutto, ma proprio tutto, il cast britannico della serie, forse in vista della saga di Dagda), quando la storia è entrata nel vivo, ci siamo ritrovati avvinghiati alla narrazione. La regia da manuale dello sceneggiatore nel corso della "diretta" è riuscita persino, per qualche pagina, a darci l'impressione di stare assistendo ad un horror avvincente, con un Harlan finalmente convincente, e protagonista nella giusta dose (cioè non eccessiva, ma nemmeno limitata a pistolettare il mostro). L'arte, non perfetta ma molto adeguata al clima della storia, ha dato il suo contributo alla riuscita dell'esperienza. Sul lato trama, comunque, lo sceneggiatore non ha voluto eccedere: molto prevedibile è risultata la connessione tra gli eventi moderni e quelli passati, e ancor più prevedibile la presenza a mo' di deus ex machinae del solito Marsden olografico (che personaggio codardo), per nulla sorprendente in quanto annunciata più volte dagli stessi protagonisti; una inutile complicazione, infine, è parsa la fusione dei concetti di fantasma e strega, anche perché non è risultato chiaro quali fossero esattamente gli aspetti stregoneschi cui prestare attenzione (le allucinazioni erano tutte opera di Marsden). Dicevamo che forse il cast londinese della serie è stato ripresentato per una qualche finalità legata alla saga prossima ventura, giacché in cuor nostro desideriamo che qualcuno di questa ammucchiata di casi umani ci lasci le penne; il sadico e telepate Boselli ha però anticipato le nostre mosse, e ci ha raggirati inscenando subito diverse di queste morti, tra le quali quella dell'odiosa Samantha... ma niente, era solo un bluff. L'unico che davvero ci ha salutati è il cagnolone Thor, poraccio. Non vivendo in condominio, non era lobotomizzato. Giustamente, nella conclusione frettolosa prevista nel contratto con la SBE, costui viene immediatamente dimenticato. Beh, almeno non è stato abbandonato. Marsden, intendiamo: Harlan, infatti, ora giura che alla prossima, porca l'oca, gli spacca la faccia una volta per tutte. Volesse il cielo. Prima di segnalare la presenza di Keanu Reeves in copertina, vogliamo sgridare Boselli per non aver ricordato Parkinson, deceduto nell'agosto 2023, pochi mesi prima della pubblicazione del volume, in una sinistra analogia con il Corrado del 1999. Coincidenza? Certo. Guarda caso, fu proprio nel 1992 che Twin Peaks (altro famoso show in cui la quotidianità cela qualcosa di oscuro) rilasciò la sua celebre profezia sui "25 anni" da attendere per la risoluzione del mistero; ma, come detto, noi abbiamo un gap di 7+1 anni da riscattare, e quindi partiamo dal 1999, dal quale sono trascorsi, toh, proprio 25 anni. Fee-fi-fo-fum (etti).     

Dampyr #285: Diva mortale (Falco/Del Campo)

Come sappiamo per diretta esperienza, concepire soggetti originali è ormai praticamente impossibile, specialmente se il curatore è sinceramente convinto della grossolanità dei lettori, che a suo dire vogliono sempre la stessa minestra. Falco, comunque, riesce a tirare la carretta per un altro mese, utilizzando abilmente un ennesimo trucchetto del mestiere. Nella prima metà dell'albo fa di tutto per convincerci di stare leggendo un episodio del filone cinefilo della serie, quello che fa capo a Von Henzig. Tutto è apparecchiato all'uopo, a partire dal redazionale, nel quale ci vengono presentate le quattro dive del cinema nazi: le due antifa, quella nazi però indiscutibilmente brava e infine l'irrecuperabile sfigatella; la volontà dell'albo, ci viene detto, è quella di presentare una versione romanzata della quarta... e quindi, in realtà, troveremo un miscuglio di tutte e quattro. Vabbè. Insomma, la tizia del titolo è una ex diva del cinema nazi, oggi seducente non-morta di stanza a Baden Baden. In questa città dal nome astruso gli eventi degli ultimi ventiquattro anni non sono mai accaduti, e dunque la non-morta non può sapere che pel globo s'aggira un "dampyr", qualunque cosa esso sia, né che vi sono altre tizie nella sua condizione di vampiri di secondo grado. Fin qui tutto chiaro. Senonché noi lettori dovremmo aver capito che quando Harlan passa dal dire "si tratta certamente di Von Henzig" al chiedersi più volte "ma siamo sicuri che sia Von Henzig?", le cose probabilmente non andranno come ce le aspettiamo (cioè, il contrario). Ecco, allora, che poco dopo la sua metà, l'albo prende una piega del tutto differente, ritirando in ballo il Rothgar del #274 (l'albo di gennaio, quindi il 2023 si chiude circolarmente) e da questo momento concentrandosi su questo personaggio ("l'avevo detto che non era Von Henzig", ammicca l'eroe). Falco dota Rothgar di una particolarità che, a suo dire, lo distinguerebbe dagli altri Maestri: durante lo scontro tra il suo ibrido e Harlan dell'albo precedente, ha potuto accedere alla memoria del dampyr, venendo così a conoscenza di tutti gli eventi accaduti nella serie sin qui. A questo punto, considerato il suo passato da pseudoMengele, la sua volontà non può essere certo quella di eliminare i suoi pericolosissimi nemici una volta per tutte: molto meglio irretirli o legarli con delle strette catene, torturandoli per studiarne le caratteristiche che li rendono così dotati. Purtroppo, qui un errore inficia tutta la storia: se davvero Rothgar ha letto tutti gli episodi precedenti, dovrebbe aver visto quanti suoi colleghi sono stati sconfitti all'ultimo istante con delle piroette coreografiche. E invece niente, pure lui ci casca come un fesso. Dev'essere questo il superpotere dei nostri eroi. Ehi, e la diva del cinema? Ma chissenefrega di quella, era già morta. L'artista è tra i migliori fra quelli industriali, sebbene l'ultima vignetta di pag.95 sia incomprensibile: cosa diavolo colpisce il boccale di sangue? Curiosamente, la locandina del finto film "La segretaria e il direttore" di Riboldi è totalmente diversa da quella di Del Campo. Prima di morire, Rothgar fa in tempo ad elencarci le sue apparizioni nella Baden delle varie epoche, metti che più avanti serviranno sull'unghia due-tre albi in più.  

Dampyr #286: Il sopravvissuto di High Moon (Cajelli/F.Russo)

Panico generale! All'alba del 2024, la redazione dampyriana affronta la sua più grande crisi dall'inizio della serie: a corto di sceneggiature inedite e/o decenti, è costretta a rimestare negli archivi delle giacenze. Per permettere a Boselli di portare a compimento la saga portante, la prima metà dell'anno sarà interamente occupata da storie vecchie ripescate o da riempitivi realizzati all'uopo. Si comincia con una storia realizzata per la collana Maxi Dampyr, a questo punto defunta da svariati anni. Lo sceneggiatore - come noto, ritiratosi da tempo per cause di forza maggiore - sfrutta come punto di partenza il #56, un albo sceneggiato da Mignacco; e come per incanto, il redazionale è tutto teso a pubblicizzare il nuovo romanzo vergato dallo stesso. In quell'albo, i nostri eroi sterminarono un covo di non-morti di Ixtlàn. Cajelli immagina, invece, che uno di essi fosse sopravvissuto (da qui il titolo) all'ecatombe. Riconosciamo all'autore la volontà di ingegnarsi un minimo per giustificare l'ennesimo avanzo di non-morto di Maestri defunti: questo tizio, infatti, non è finito abbrustolito dal sangue di dampyr grazie ad un provvidenziale crollo, che gli ha amputato le gambe appena incendiatesi. Abbiamo quindi il non-morto freak, e, guarda caso, ecco spuntare la ex barbona a cui "piacciono tanto i freaks", e che lo se prende a carico. Il canovaccio vede dunque questa coppia di psicopatici vivere una sorta di liaison da pulp movie, con lei che rapisce i clochard e li offre in pasto all'amato e disabile vampiro. Su questa si innestrano altre due sottotrame: una è quella con i soliti Harlan Draka e congiunti che indagano e seguono piste; l'altra è legata proprio al sottobosco degli homeless, in especial modo al gruppo di essi che sfrutta i treni per i propri spostamenti. Molto spazio è concesso ad uno di questi trainhoppers, un tizio che, ironicamente, ad un certo punto è identificato con delle reali fotografie di Cajelli. Il figlio del tizio è sulle tracce del padre. Le tre sottotrame si alternano, tra momenti grotteschi (il non-morto è razzista e preferisce i negri, la fanatica è goffa nello sgozzare i rapiti) e altri più piatti (quelli con i protagonisti, anche quando si fanno crescere le barbe per mimetizzarsi), ma nel complesso fa il suo dovere di intrattenere nei dieci minuti necessari per la lettura. Tutto sommato, le atmosfere di totale squallore e degrado emanate sia dai personaggi negativi e da quelli di contorno (i barboni), che dagli ambienti visitati (alla fine finiamo a San Francisco), restano un pochino impresse. In fondo, noi lo diciamo sempre che il mondo fa schifo. Naturalmente, nelle ultime pagine i tre filoni convogliano e si intrecciano e tutte le anomalie vengono ripristinate. Arte passabile, ma anche molto decadente, davvero i tempi d'oro di Russo sembrano remoti. Dopo ventiquattro anni, dalla copertina apprendiamo che il sangue dei non-morti è verde.

Dampyr #287: I reietti dei Pirenei (Di Gregorio/Stassi)

Seconda giacenza di magazzino riesumata per dare a Boz il tempo di stupirci con effetti speciali nel prossimo futuro. Ricordiamo? I due autori, residenti in Catalogna, anni fa realizzarono due albi dedicati agli orrori della Spagna: #175 e #195. Nella rubrica di quest'ultimo fu annunciato un terzo episodio: eccolo; possiamo dunque datarlo con facilità. Per quale motivo fu messo da parte, all'epoca? Ci siamo fatti un'idea, ma ve la diciamo dopo, così tiriamo avanti qualche riga (abbiamo imparato dai migliori maestri). L'episodio in questione si presenta fin da subito nello stile tipico delle prime annate della serie, con la classica gita turistica e gli eroi che combattono il folklore locale. L'ambientazione non è di quelle usuali (Pirenei Baschi) e l'angolo di Storia trattato è di quelli di nicchia, non molto noti a noi masse ignoranti (gli Agotak perseguitati senza motivo fino a fine Ottocento), dunque la lettura è abbastanza agevole per diverse pagine. Circa a metà albo, lo sceneggiatore butta lì qualche "tigre di martini" folkloristica, ma anche in questo caso parliamo di creature non fra le più note e inflazionate: il Gaueko, il Tartalo e le Sorginak. Il secondo è quello che preferiamo, e infatti si vede poco. Harlan, invece, pistoletta le terze, etichettandole come "demoni di secondo livello" con il tono di chi dice "puah". Il primo viene invece affrontato nel finale semivisionario, nel quale i nostri entrano in un dipinto (pardon, affresco), cosa che purtroppo ci ricorda il primo numero delle MMNAAC. Il vero villain della situazione, comunque, è il demone del #175, che utilizza la "tecnica Marsden", cioè si limita ad apparire a distanza e la sfanga pure stavolta. Gli autori, però, avevano ribadito più volte che questi tre albi iberici non sarebbero stati collegati fra loro. Vabbè, sono passati otto anni, c'è la prescrizione. E allora perché l'albo fu archiviato? Un timido accenno letto anni fa chissà dove sembrava dare la colpa ai disegni. Visionandoli durante la lettura, beh, dobbiamo ammettere che, effettivamente, a volte appaiono grezzi e non rifiniti. La rubrica ci diverte con il minuzioso elenco delle vacanze iberiche di Boselli. E anche febbraio è andato. Teniamo duro.

Dampyr #288: Aswang! (Di Gregorio/Statella-Delvecchio B.)

Terzo albo consecutivo ripescato dai cassetti. Come il precedente, la mancata pubblicazione originaria è da attribuirsi ai disegni, e in particolare alle matite di Statella, infatti poi escluso dallo staff. Sono molte, infatti, le imprecisioni, cui il chinatore cerca di mettere delle pezze, non sempre riuscendoci. Tutto sommato, però, sotto questo aspetto ci sembra di aver visto anche albi, se non peggiori, almeno al livello di questo, tra i duecentottantaerotti letti fin qui (lo stesso Statella ne illustrò alcuni). Comunque non ci struggeremo dal dolore. Anche lo sceneggiatore si tira indietro - cioè, si è già tirato indietro, è una giacenza - e saluta la serie con un altro dei suoi albi "pasionari" etnico-politici. Stavolta tocca alle Filippine (nello specifico, la zona sud di Mindanao) mostrarci la tristezza e le nefandezze della propria quotidianità. Si tratta, comunque, di un episodio leggermente diverso dai precedenti dell'autore, molto più spinto e osé, con un sacco di sesso e splatter; il ché fa ridere, considerando che questi avrebbero dovuto essere due elementi tipici della serie, che invece è stata molto più contenuta e puritana (fatte salve alcune sbroccate di Boz). Mah, forse è il caldo a far scopare gli asiatici ripetutamente. Anche perché, poi, su un'isola, che altro c'è da fare? Quanto allo splatter, in parte è necessario, dato che l'Aswang si elimina solo mozzandole la testa, però a un certo punto ci è parso che ci fosse la precisa volontà di soffermarsi più del necessario nel mostrarci l'agire erotico/disgustoso del mostro del mese, a partire dalla copertina da Edifumetto (oppure siamo tra quelli a cui il clima pecoreccio degli ultimi anni ha mozzato il testosterone). Al contrario, il sottotesto politichese rimane, appunto, "sotto" (non si va oltre la militarizzazione di ribelli ed esercito regolare, cose che sapevamo persino noi), mentre l'aspetto sociale è ridotto al rapporto fraternastro tra la "bella del mese" e il capo ribelle, dalla mesta (e ovvia) conclusione. Il redattore della rubrica cerca di accalappiare la nostra complicità rievocando in modo senile il ricordo del Manuale del Vampirologo, la storica rubrica aggiuntiva delle prime annate della testata, ove l'Aswang fu menzionato. Siamo andati a controllare, e in quelle pagine non lo abbiamo trovato. Lo abbiamo invece rintracciato nella precedente versione del Manuale, quello dell'Almanacco della Paura 1993. E abbiamo un ricordo vivido di una sua menzione in una rubrica di MM (ma vai a sapere quale e in quale numero).

Dampyr #289/290: Cacciatori e prede/Gli estranei (Falco/Cropera)

A metà del "semestre in bianco", alle giacenze succedono i riempitivi su commissione. A Falco viene richiesto di sbarazzarsi dei Cacciatori del #187. Seguendo le linee-guida delle recenti bosellate, nelle quali i filoni della serie vengono ibridati, Falco nasconde la presenza dei Cacciatori in una storia-tipo di quelle coi fantasmi. "Nasconde" per modo dire, visti il titolo e la presenza di Simon Fane. Ma, stando a certi commenti, c'è riuscito. In questa prima puntata, la narrazione è quella classica delle storie di questo tipo, priva ovviamente della brillantezza di Boselli, ma diciamo che la classica ambientazione "villico-brits" è sufficiente a far digerire il plot da riempitivo dylandoghiano (il freak corpulento e demente, i capoccia del paese ex stupratori, il povero ubriacone). Per differenziarci proprio da un DD - ma neanche tanto, visto che Gualdoni lì ha fatto pure questo -, alla fine, puff!, saltiamo sull'astronave degli alieni. Come già capitato negli albi recenti, Harlan ha capito tutto fin dall'inizio, o comunque non molto dopo, ma fino all'ultimo istante evita di farcelo sapere. In questo caso, solo quando si apprestano ad entrarvi, rende edotti i suoi amici dell'identità della casa, e pur riconoscendo come sia in apparenza completamente diversa da quella che incontrarono una volta anni fa (e quindi come lo sa che è la stessa?). Comunque, lo scopo recondito di tutto ciò è fare in modo che Harlan e Kurjak finiscano, di nuovo, dispersi pel multiverso, mentre Fane finisce, di nuovo, per macerarsi nei sensi di colpa, e i Cacciatori vengono disintegrati dalla bomba a mano. In un voluto colpo di scena, non si sa bene quanto riuscito, la storia si rivela essere in due puntate, sulla falsariga di quel paio di precedenti del Boz. La richiesta, infatti, è di preparare il lettore al prossimo ritorno di questo filone, e quale modo è migliore del rifare pedissequamente le precedenti storie appartenenti al medesimo? Falco, dunque, conduce gli smemorati Harlan e Kurjak in una ennesima dimensione fantasy-desertico-medioevale, immancabilmente dominata da una tirannia, alla quale si oppone l'inevitabile covo di ribelli in incognito. Per movimentare un po' la situazione, i due fratellini vengono catapultati sui fronti apparentemente opposti, ma solo apparentemente, sennò ci voleva pure la terza puntata. E Dio ce ne ha scampato: così, dopo le solite peripezie (Kurjak non poteva certo non essere violentato dalla tipa conosciuta poco prima, Harlan non poteva non essere accolto che dalla fidanzata del figlio buono del cattivo) e l'immediato arrivo dei frammentari ricordi, la storia ci conduce là dove eravamo giunti prima, entro le frontiere del già visto. La rubrica ci aveva presentato questa svolta SF tirando in ballo nomi come Brown, Farmer e Moorcock, ma prima della chiusura aveva già ripiegato su Van Vogt, Jones e Anderson. Ok, sì, c'è la dittatura che inscena tutto, cos'è vero e cos'è reale, tipo Ukbar, il rimando all'attualità, l'oligarchia sostituita dalla casta, costruire il nemico e altri scritti occasionali, il finale di quelli che piacevano a Sclavi... sono topoi classici... e allora perché ci siamo annoiati, al punto che dopo pagina cinquanta abbiamo accarezzato l'idea di accelerare artatamente la lettura? Speriamo che il gruppo FB "Romanzi di fantascienza" non lo venga a sapere. Detto ciò, Falco dimostra di avere appreso alla lettera la lezione del suo editor, e sbriga tutto il resto in pochissime tavole: all'inizio vediamo Fane al Divadlo con Tesla e Caleb; alla fine, puff, ecco Tesla a cavallo di Draka con le solite swastiche; in UNA tavola, l'ultimissima, si conclude goffamente la trama rimasta aperta dall'albo prima (le spie di Nikolaus e Caleb spiano gli alieni, i Cacciatori erano dei disagiati, i loro amici si scusano), e i nostri possono ridere spensieratamente. In fondo, che minaccia può mai essere perdersi negli infiniti universi? Chiunque potrebbe cavarsela, con questi trucchi del mestiere. Che babbei, quelli di Sliders. La battuta conclusiva sembra suggerire che stavolta Kurjak non abbia ingravidato la rana antropomorfa; incrociamo le dita. Arte di buon livello, ma si percepisce platealmente il tour de force a cui è stata sottoposta. Oltre alla svista di pag.17 del primo albo (nelle prime due vignette manca la pioggia), l'uso massiccio di innesti fotografici alla lunga infastidisce, e qualche ulteriore vignetta avrebbe meritato una minima revisione. La rubrica del #289 è il coccodrillo di Boselli dedicato a Castelli. Ci commuove ad ogni rilettura. Va' che la storia sull'Icosameron la vogliamo sul serio, neh? Fa' mia il ciula, Boz. La rubrica del #290 ritiene invece che il telefilm Quantum Leap sia una espressione concettuale e visiva del multiverso, sebbene in quella serie non si generino affatto "doppi" alternativi (anzi, la sua specificità è proprio il contrario!) e la linea temporale resti sempre la stessa. "Gli estranei", appunto.

Dampyr #291: L'antro della Sibilla (Venanzetti/Gualandris)

Ci siamo! Il semestre dell'orrore sta per concludersi. Ultimo riempitivo prima dell'abbuffata di bosellate. Stavolta tocca ricordare al lettore dell'esistenza del filone di Nahema e dell'Altra Parte. In più, si avvicina l'estate e occorre consigliare delle mete vacanziere ai lettori. Dall'urna con le leggende locali viene estratto il bossolotto della Sibilla marchigiana. Si parte! Copertina erotico-splatter, fatto. Redazionale nozionistico che ci fa sentire ignoranti elencando cose che non compariranno nel fumetto, fatto. Prologo con gli escursionisti sbranati da avvenenti seminude che in realtà sono mostri ringhiosi, fatto. Rapida riunione con Caleb al Teatro, fatto. Seguitissima e applaudita conferenza sul folklore esoterico nel borgo italiano, cui assiste il professore Harlan Draka, fatto. Scaramucce paesane, dialoghi copiati da vecchie fiction, fatto. Tipo silenzioso che in realtà è un poveraccio al soldo delle mostresse, fatto. L'amata del tipo è una vecchia paraplegica autistica, fatto. Passeggiata in luoghi apparentemente reali ma disegnati in modo da sembrare paradisi esotici, fatto. Scontro con le mostresse, alleanza con un cacciatore che passava di lì, fatto. Metà albo: il prete non è davvero un prete, ma un demone, fatto. La Sibilla è una ex concubina ribelle di Iblis, fatto. Elhaz (la "Sibilla") spia gli eroi tramite gli animali, fatto. Discesa nel ventre della montagna, fatto. Frattanto, il tipo succube si pente, fatto. Brevi flashback storico-panoramici con castelli lugubri, fatto. Indizio depistante infilato nei dialoghi ("c'è un terzo inseguitore"), fatto. Primo colpo di scena, è Lady Nahema coi Nephidim, fatto. Secondo colpo di scena, il demone/prete è un traditore, fatto. Elhaz scopa dampyr mentre gli altri aspettano fuori, fatto. Dampyr è succube, fatto. Dampyr stava fingendo, fatto. Demone/prete cade nella voragine, fatto. Nahema elimina Elhaz, fatto. Il tipo pentito paga per i suoi crimini e in cambio l'autistica si sveglia, fatto. Harlan e Nahema flirtano battibeccandosi, fatto. Arte che profonde impegno negli sfondi, ma le anatomie sono legnose e il volto di Nahema è sbagliato, fatto. Pensiero di doversi informare un poco sul Guerin Meschino, fatto. Contropensiero di non averne tanta voglia, fatto. Pensierino su Paperin Meschino, fatto. Sollievo per l'imminente ritorno di Boselli, fatto.

Dampyr #292: La casa della paura (Boselli/Fortunato)

Dopo sette mesi di riempitivi, si torna a fare sul serio. Ma, a dispetto del cognome dell'artista, qualcosa va storto. Col senno di poi, un indizio era celato nel titolo: com'è noto, l'unica vera "casa della paura" è la nostra, tutte le altre sono bazzeccole. Irritandoci, abbiamo dovuto sospendere la lettura e riprenderla il giorno successivo. Ma non c'è solo questo. Eppure l'episodio inizia in modo sfolgorante, mostrandoci quelle che forse sono le pagine più genuinamente agghiaccianti di tutta la serie: per gente alla quale già il brucomela provocava brividi adrenalinici, assistere alle montagne russe di legno (!), col frenatore manuale (!), è stata un'esperienza traumatica indimenticabile. Questa capatina nell'horror più puro (basato su realtà storiche) ci ha ben disposti, e con piacere ci siamo immersi nella lettura. Con l'inevitabile cortocircuito di chi si è lamentato per sette mesi dei riempitivi, e poi se ne ritrova un altro, ma interessante e fatto bene. Viene soddisfatta pure l'assiduità dell'essere un lettore MBE (Mauro Boselli Editor), dato che, con tutta evidenza, questo soggetto è basato sullo stesso cumulo di documentazione storica dal quale l'autore ha tratto le recenti storie "circensi" per Tex (vecchio e giovane) e compagnia, dato che si va a parare sugli snuff movies di inizio novecento, con la partecipazione di freaks mostruoso-sotterranei venuti da chissà dove (se non altro, è un soggetto curioso). Non mancano scenette spiritose, volute (Tesla che vince il pupazzo di Ciulu) o meno (Kurjak che fa i capricci prima di partire, e si convince soltanto dopo una pignolissima conta, di quattro pagine, di tutte le vittime del killer; e quindi scopriamo che Caleb non dà ordini, ma chiede per favore). Quando tutto sembra comunque ricondursi, senza sorprese, al filone di Von Henzig, l'autore spiazza con una rivelazione arzigogolata, che aumenta il divertimento: veniamo infatti a sapere che Beranek (l'ex prof. di Cinema di Ljuba, ma quindi lei si è laureata?) è diventato amico di penna sia di Caleb che di Henzig stesso (!), ed è proprio Henzig (senza mai apparire) a dare l'imbeccata che porta i nostri sulla pista giusta. Da questo punto, il fumetto, pur restando divertente nelle idee, si complica la vita. Innanzitutto, Fortunato sbraca di botto: Kurjak diventa all'improvviso un down, tavole appena abbozzate si alternano ad altre complete (ma meno belle di quelle iniziali), si arriva all'apice quando un comprimario viene disegnato uguale ad Harlan, e per un paio di tavole non si capisce cosa stia accadendo. Cosa sia accaduto, appunto, è un mistero: sta di fatto, che Fortunato interrompe la sua collaborazione con la serie in questo modo triste, con contorno di polemiche e contropolemiche. Vabbè. Forse è rimasto perplesso dalla sequenza in "stile Burattini" in cui Tesla fa la telecronaca mentale di ciò che sta facendo, fa battute woke (mentalmente) mentre si aggira illegalmente in un luogo tenebroso, per poi insultare l'handicappato che vuole aggredirla. Poi vabbè si scopre che proprio costui (il freak della famiglia di cinici pazzoidi) è l'unico decente, nonché l'unico che si salva, e proprio Tesla ne diviene la protettrice. Non manca l'intervento di un fantasma, nonostante la storia parlasse d'altro... non venite a dirci che non c'è una saga "segreta" in corso! (A tal proposito, c'è pure Maud, che al telefono deride l'amico che le risolve sempre i casi). A corroborare le sensazioni stranianti date da questo pastiche di eventi/personaggi al contempo divertenti e molesti (si pensi alla sequenza in cui i nostri eroi commentano il filmino porno), il finale è atipico per lo sceneggiatore, con la tronca rivelazione della gravidanza mostruosa dell'unica superstite degli sterminii (e quindi è un altro nome da appuntare sull'elenco dei personaggi che torneranno). Un albo freak, insomma. Un "dabol ficiur" estivo per noi polli smaniosi di stramberie, da aggiungere alla collezione di chincaglierie. Venimmo, siori, venimmo!

Dampyr #293/294: Vacanza nell'ignoto/Prigionieri su Yuggoth (Boselli/Genzianella,Majo,L.Rossi)

Ritorna il Dampyr che preferiamo, quello basato sui pasticci metaletterari. Che, a dire il vero, nelle sue varie incartazioni non ha evitato delle cadute di stile, soprattutto nella conclusione del ciclo di Nyarlathotep. Quei pastichati #234 e #235 avevano rovinato un po' il giuoco, tanto da portare alla sospensione del filone (ovviamente poco amato dai lettori vampeciali; e fighiùres). In seguito, solamente il Color #1 e la doppia su Robert Howard avevano osato riproporre il tema della narrativa novecentesca di genere, ma si capiva che qualcosa fosse "rimasto nella penna" di Boselli. Eccolo qua, ora libero di sfogarsi, fin dalle sublimi copertine. Ripartendo proprio dalla morte di Howard, veniamo a conoscenza di un magistrale intrico meta e narrativo, con personaggi e fatti sia storici che di fantasia che si intrecciano con una naturalezza commovente. Nel primo albo, un capolavoro, Harlan e Kurjak si recano da Timothy O' Brien per chiedergli qualcosa sulla saga del calderone, ma costui invece li distrae raccontandogli tutt'altro. E per tutte le pagine seguiamo quest'altro: la corrispondenza tra C.L. Moore e HPL (e quindi il "passaggio di consegne" tra la narrativa della generazione d'oro e quella d'argento), l'incontro storico tra la Moore e Henry Kuttner, l'unione tra Edmond Hamilton e Leigh Brackett (il decano delle Weird Tales di metà anni 1930 e la sceneggiatrice di film epocali, di nuovo una crasi tra narrative differenti), attraverso i sfuggenti esordi di Bradbury e del fumetto popolare americano (e quindi arriviamo al passaggio romanzo-->fumetto e cinema). Boselli, che quando vuole sembra davvero uno sceneggiatore cinematografico della golden age americana, è a suo agio nel mettere in scena i quattro scrittori, le loro rispettive differenze e i tratti in comune, e nel raccontarci la "versione romanzata" di un trivia storico reale, la vacanza dei quattro nel deserto del Nevada nel 1949 (con l'inevitabile contorno fantasyentifico "pulp" degli autori che incontrano i propri personaggi, ma non ci si annoia, anzi). Nel mondo dampyriano, i quattro scovarono la solita astronave Mi-Go, quella dei #57/58 e che scoprimmo essere falsa (#246/247). Se la rivelazione è abbastanza irrilevante (e scontata), il respiro della narrazione con la quale si giunge ad essa è quello degli albi migliori. Tutta la sequenza del deserto, con la vecchia indiana guardinga (che poi scompare, probabilmente era N.), i riferimenti agli Shoshoni, le miniere, ecc. che involontariamente conducono all'altra produzione dell'autore e al suo universo personale, creano quel fenomeno di "vertigine della lista" che tiriamo in ballo solo nelle occasioni speciali. Questo sarebbe stato già sufficiente, ma al Boselli attuale - lo abbiamo visto in altri albi - piace mischiare le carte, "chiaverottare" gli stilemi e le situazioni, e così ecco il cliffhanger a sorpresa, nel quale scopriamo che Timothy, novello Diano Lombard, era posseduto da Gnarla, e dunque è stato proprio il GA a raccontare la storia. Dopo un primo albo in cui i protagonisti sono stati seduti per novantaquattro pagine, nel secondo ovviamente bisogna fargli fare qualcosa. E ormai vedere Harlan e Kurjak frammentati tra gli universi e/o i ricordi non è più una novità (anzi)... però, ecco, che differenza dai recenti #289/290. Furbescamente, qui Boz spariglia il mazzo richiamando persino Majo e Rossi ad assistere l'ottimo Genzianella (una garanzia, a parte un Simon Fane un po' strano), facendogli disegnare le sequenze più oniriche (e semicitazioniste; vengono remixati, tra gli altri, brevi momenti dei #22 e #235). La presenza della fantascienza vintage è ormai una tradizione di queste storie, e infatti viene richiamato alla memoria pure il figlio di Kurjak, mentre agli scrittori è deputato l'escamotage con la quale imbrogliare (di nuovo) il Grande Antico, ovvero immaginarlo sconfitto. Qui, per quanto basato su presupposti già introdotti da tempo (tra l'altro, c'è pure Ryakar che usa la versione mobile della macchina di Zardek), la serie sembra compiere un nuovo "salto dello squalo" dal quale non si potrà prescindere, sia introducendo la metaeditorialità esplicita (si accenna agli universi in cui Dampyr è fiction), sia la simultaneità tra sogno e multiverso... occhio, che da qui a Marsden che usa il murchadna magico contro Gregory Hunter il passo è breve. Poi tocca davvero considerare canonico MM&NN 3. Ma ci rendiamo conto come da questi commenti possa sembrare che il secondo albo non sia al livello del primo, e invece no, ci è piaciuto. Certo, ormai Draka è un deus ex machinae nudo e crudo, qui manco sembra usare le swastike, e infatti la conclusione (un altro finale anomalo per lo sceneggiatore, dopo quello del #292) suggerisce l'ipotesi che paparino possa avere gli albi contati. Quanto all'Antartide (il rifugio del Gnarla stordito dai ricordi di Draka), non sembra una location scelta a caso. Per concludere: avevamo una lista di cinque storie preferite; ora sono sei.    

Dampyr #295: Dionysos (Boselli/Delladio)

Numerone tuttocontinuità, quella attualmente in corso, con una spruzzata di contorno vintage, che ci riporta (o, almeno, prova a riportarci) ai primi albi della serie. Il flashback storico-romantico, avente per protagonista Phoros, quel sarmate sul quale speculammo nei #283/284, e la regina delle Amazzoni; non mancano le allusioni al tormentone moderno del patriarcato, e quindi vedi che Topolino di Concina/De Vita non era campato in aria? A differenza dei relativi classici della serie, questa vicenda sarmate non occupa l'intero albo, ed è soltanto uno degli elementi che arrischiscono lo stesso. L'altro topos della testata, il toccare con mano teatri di guerra contemporanei/in corso, invece ritorna veramente dopo una vita (se si esclude quel pasticcio del Krokodil): se ci sono i sarmati, e bazzichiamo la Scizia, è chiaro che ci troviamo in pieno conflitto russo-ucraino; ai tempi dei Balcani, attraversare le linee nemiche (ma anche amiche) era una esperienza totalizzante, gli autori cercavano di mostrarci le fatiche dei nostri eroi; qui lo sforzo è ridotto a poche pagine, poi arriva Draka e ciaone soldatini. Ma perché sono lì come dei Salis qualunque? Semplice: la cricca - si presume di comune accordo - ha escogitato un piano cervellotico e macchinoso per recuperare un pezzo del Calderone di Dagda e impedire ad Azara di ciulargli pure questo. Si tratta dello zoster di Valora, la cintura dell'amazzone; ma non fidarsi è meglio che bene, quindi Draka, Harlan e Tesla dicono a tutti di recuperare il bracciale di Phoros. Il Dr.No può tranquillamente ritirarsi a vita privata: il geniale piano dei nostri, infatti, non si riduce a questo, ma prevede anche di lasciare Harlan a zonzo per la Romania per depistare la rivale nella Cerca. Rivediamo, così, luoghi a noi cari quali Castel Vlatna, Brasov, i treni rumeni. Nel frattempo, Tesla potrebbe porre fine alla guerra che costringe i nostri poveri governanti ad aumentarci le accise, ma preferisce accompagnare l'archeologo amico di Shady verso la tomba di Phoros. Forse per via dei numerosi stacchi, e per l'aria di "cross-over" interno alla serie, con varie sottotrame che si intrecciano, l'albo si legge gradevolmente. Tuttavia, nonostante le numerose precauzioni, Azara arriva a tanto così dal ciulare pure questo frammento... e invece no, tiè. Stavolta vincono i nostri (ma è un pareggio: dovremmo essere sull'1 a 1). Fin qui tutto bene, ma, come il titolo dell'episodio lasciava suggerire, entra in giuoco un ulteriore elemento: Dionysos, il tizio del #151 di cui veramente nessun lettore aveva uno straccio di ricordo. Costui pretende come proprie seguaci le quattro Amazzoni redimorte e Ann Jurging lei medesima, che deve decidere se diventare o no Strega Regina (in effetti, sarebbe anche l'ora). Ma ci rende edotti anche di altre novità. All'episodio duecentonovantacinque, infatti, assistiamo all'introduzione di una nuova genìa, gli Invisibili, i cui esponenti noti, al momento, sono Dionysos e le zie di Harlan. Tali simil-divinità non sembrano appartenere ai due schieramenti già noti: è caduto il bipolarismo? Sbav, magari. L'impressione è che i Grandi Antichi non siano estranei a questo calderone di roba. Arte di scuola Majo, si direbbe, molto curata e capace, esclusa qualche sorvolabile defaillance qua e là. Nella rubrica, è la volta del tradizionale ripassone delle trame aperte, che ogni cinquantina circa di albi ci fa capire che sta per arrivare qualche timida svolta. 

Dampyr Special #20: La creatura del labirinto (Ostini+Boselli/Del Campo)

Episodio realizzato a quattro mani. L'ospite (che realizzò solo un albo, vent'anni fa) è stato in gita dalle nostre parti... ok, non proprio le nostre, ma a Tarquinia ci siamo stati più volte; i boschi, invece, ci sono negati; poi fa ridere che Boselli insista a definirli "selve intricate", quando sono macchiette tra campi coltivati e aree urbanizzate. Ma torniamo a noi, cioè a loro: lo spunto del soggettista originario è di ambientare la storia in quel di Cellere e raccontare del brigante Tiburzi, che ovviamente diventa non-morto di un qualche Maestro... e poi? Boselli decide, invece, di accaparrarselo e di intervenire pesantemente, ma nel prodotto conclusivo è difficile distinguere chi ha fatto cosa. Questo si direbbe un bel complimento per Ostini ("però! Sei come Boselli!") e una tiratina d'orecchie per Boselli ("perché ti ostini?"). Ma preferiamo astenerci. Sta di fatto che il soggetto si direbbe alquanto importante in prospettiva futura, giacché introduce nientepoppedimeno che l'"antica razza" del Re del Mondo, che, molto prima dell'arrivo dei Maestri, ebbe a che fare con altre creature multiversali (e quindi le "zone d'ombra" non sono altro che varchi), o almeno con una di esse, e riuscì ad imprigionarla con un sigillo magitecnico. In un periodo di revival viettiani, il Carcere degli Esseri Impossibili, o qualcosa che vi assomiglia, non poteva mancare (qui è evidente la sagacia pubblicitaria del Boz). In tempi successivi, la creatura rischiò di evadere, ma un'alleanza combinata tra Vanth ed Erlik Khan riuscì ad impedirlo; in seguito, fu il solo Khan a menarlo per l'aia (Vanth finì decapitata da Taliesin nel #224). Insomma, come si dice nel Lazio, "mica cotiche". Eppure non è detto che questa roba della creatura e del carcere sia farina di Boselli. Da qui la difficoltà nel dare a Bruto ciò che è di Cassio. Ma non è finita. La creatura ha, ovviamente, il potere di soggiogare le persone, "infettandole" e rendendole erotomani. E da qui, come nel più classico dei serial americani, parte la baraonda di orge, a metà tra il demenziale e il dramma, e si spiega, così, l'altrimenti inspiegabile editoriale, nel quale Boselli si scherniva e inginocchiava sui ceci per aver utilizzato una località reale e i suoi abitanti, come se il resto della serie fosse ambientato nel Calisota. La parte conclusiva dell'albo è con tutta evidenza di Boselli: lo si capisce dal consueto lieto fine garantito ai delinquenti, sia ai briganti (fedeli alleati, diventano non-morti di Draka, mentre quello storico non viene toccato, metti che al fiddino locale gira male) sia alla cittadinanza invasata, compresa l'amica stuprata omicida (dimenticano tutto e proseguono le loro vite felici nel regime meloniano; fa eccezione lo stupratore, ma se l'era cercata, mica era possedut...). Ma, soprattutto, capiamo che questo albo non poteva che essere pubblicato in questo momento della serie, per via dell'ennesima presenza risolutiva di Draka, anche stavolta convocato all'uopo per eliminare il mostro quantico di turno (a questo lo sbatte via con le swastike a liquefarsi nei ponti di einstein-rosen). Un altro indizio di imminenti cambiamenti? Diceva un laziale famoso: a pensar male si commette peccato, ma molto spesso ci si azzecca. Arte classicamente dampyriana, dove a volte si dice "che bravo questo artista" e altre volte "che gli costava rifare 'sta vignetta?". Ahò nun ce se capisce più gnente. Alla fine, il labirinto a che serviva?

Dampyr #296/297: Le Tre Spade/Re del Passato, Re del Futuro (Boselli/Viotti,Rubini)

Nel TopoKolossal di Silvia Ziche c'è quella scenetta con Manetta che scopre che aveva sempre avuto ragione mentre tutti lo ignoravano, quindi gli si sgretolano le meningi e comincia a gridare "l'avevo detto, io! L'avevo detto!". Ci sentiamo più o meno così, dopo aver letto questa entusiasmante storia doppia, solo che lo diciamo sottovoce, metti che i vicini ci sentono e incominciano a spostare cose. Che Dampyr - o meglio, Boselli - avrebbe saccheggiato il suo mentore concettuale, Martin Mystère, lo avevamo previsto nelle Altreprime (le trovate sempre qui sul blo(ar)g(h)). Che la saga cavalleresca avrebbe raggiunto il culmine con la mitologia dei cavalieri dormienti lo avevamo supposto - o forse soltanto sperato - sin dall'inizio, ma era divenuto lampante da quell'accenno nei #283/284. Insomma, tutto è andato come doveva andare, e d'altronde avrebbe infastidito non poco se gli eventi avessero preso una piega differente (avremmo fatto delle battute sui "paradossi universali"; grazie a déi, le abbiamo scampate). Diciamoci la verità: cosa c'è di bello in Dampyr? Le sparatorie coi non-morti ispanici o europeo-periferici? Le citazioni dei film famosi? Sono elementi simpatici, se presi con moderazione, ma nulla che non si possa trovare in altri brand. No, ciò che ci spinse ad appassionarci a 'sta roba fu l'approccio mysterian-castelliano alla materia storico-letteraria, e non scriviamo "materia" a caso. La "vertigine della lista" echiana che ci divertiamo a citare spesso. La saga multi-genere di Agarthi, i vari albi sugli scrittori otto e novecenteschi, l'epica di Taliesin e congiunti, sono senza dubbio epopee che, a modo loro, proseguono concettualmente il grande affresco operato da Castelli e Recagno nella serie di MM, nella quale proprio il filone "arturiano" è uno dei punti di maggior pregio. Proprio Alfredo Castelli ce lo aveva spiegato in uno dei suoi capolavori, l'11° Dizionario dei Mysteri tutto dedicato ad Artù e affini. Ma quando lo leggemmo, assieme al sublime Speciale MM che lo accompagnava, noi avevamo già visto Gargoyles, che proprio nel ciclo della Cerca di Avalon e di Artù dormiente raggiunse a sua volta l'apice dell'epos (ed era un ciclo di non più di cinque puntate, ma all'epoca ci appariva lunghissimo, e non volevamo che finisse). Non può essere un caso: con la materia di (gran) bretagna, si va a colpo sicuro. Come scriveva quel tizio cui vi abbiamo accennato prima, quel Castelli: "cosa sono dieci" (venti per Dampyr) "anni al confronto con i più di mille anni di ininterrotto successo del più famoso 'serial' d'avventure di tutti i tempi? [...] Una volta alle prese con il mysterioso fascino di Artù, 'Re per una volta e Re per sempre', è difficile smettere di divertirsi a sognare". Boselli, che sulla sfida ai suoi Maestri ha basato l'intera carriera, non poteva lasciarsi sconfiggere proprio sul campo della narrativa (fantastica e romantica, ma potevamo non scriverlo) più ancestrale e archetipica; dopotutto, lo ricordiamo sfoggiare su Instagram la baldanzosa recensione ai Lais di Maria di Francia, edizione accademica. Ecco, allora, che nella serie di Dampyr l'innestamento della saga di Artù supera tutte le precedenti versioni moderne della stessa, e trascende in una fluviale genealogia, in una imperiosa e possente telenovela, che di fatto è una "serie nella serie" (sìì, il "prequel", uff). E non si tratta di un capriccio dovuto alla senilità dell'autore, se è vero che già nel lontanissimo #5 si accenna alla Spada di Orlando e alla di lei capacità di uccidere i non-morti; certo, magari a quel tempo Nikolaus scherzava, ma chissà. Comunque. Prequel fluviale, dicevamo, ma non interminabile: le vicende raccontate in queste due nuove puntate sembrano voler mettere un punto ai flashback. La prima metà del #296 (sesto albo senza Harlan in copertina) prosegue la saga come l'abbiamo conosciuta fino ad ora: vediamo Myrddin rigirarsi, in tutti i sensi, sì, anche quelli, Severa, per potersi ciulare (anche) un pezzo di Calderone; e poi assistiamo all'incontro tra Taliesin e Mordha, con quest'ultimo che rivela al figlio di essere quel vecchio cieco che incontrò da infante... ma è un errore, glielo aveva già detto nel #196 (cento numeri esatti fa); un errore che abbiamo prontamente segnalato, sperando di ricavarne gloria e onori, e finendo prontamente ignorati (niente cavalierato per noi, solo baronìe). La svolta arriva quando Myrddin usa il frammento per forgiare tre spade, subito imbevute del sangue di Taliesin. Da questo momento, si salta nel ciclo carolingio, dove troviamo Holger Danese, cui viene affidata la Curtain; Rolando, con la Durandal; la Flaberge va invece a Renaut di Montauban, personaggio letterario scelto da Boselli per via della sua natura di "cattivo buono". Con i tre eroi della nuova generazione assistiamo alla disfatta di Roncisvalle, e anche qui ogni tassello va al suo posto, dato che dietro agli arabi spagnoli non poteva esserci che Vathek, e i nostri ricordi, fermi a quelle paginette di MM #94, si arricchiscono di nuovi particolari (con echi di Dago, ma possiamo farne a meno). Tutto questo ben di dio viene raccontato alternativamente da Azara al rapito Daniel Marchal (#259), pronipote di Merlino che sclera e va in coma, e quindi Azara è "buona" e vuole il Calderone anche per salvarlo; e da Araxe ad Harlan, invitato finalmente ad Avalon, cioè il castello sotto al lago di Brocéliande. Nelle ultime, meravigliose trenta-quaranta pagine, assistiamo alla carrellata dei cavalieri dormienti ad Avalon e vediamo ricongiungere le trame del passato e del futuro. Ad Avalon sono sepolti Lancillotto e Ginevra, mentre i non-morti sono Kei, Bedwir e, soprattutto, Holger, con tanto di Curtain (e quindi una spada la abbiamo). Oltre, ovviamente, ad Artos: Boselli si diverte a tenere il segreto fino all'ultimo istante (letteralmente!), ma intanto ci svela che costui si è già risvegliato in più occasioni, come nel 1066 (ma non ad Hastings) e nel 1940 (l'ultima volta); non solo, è Artos a sfoggiare Ala di Corvo, la spada di Taliesin, che Taliesin stesso gli ha donato in punto di morte! Esatto, l'ultimo flashback cui assistiamo è la morte del cinquecentenario primo dampyr e al suo passaggio di consegne col "re del passato e del futuro". Se non è commovente questo, cos'altro? La copertina, già. I quattro cavalieri, a questo punto, non possono che essere ridestati per affiancare il dampyr attuale nella lotta contro l'usurpatore della GB, e quindi siamo ad un livello di epos superiore a quello della saga del #200. Ma prima c'è da ritrovare le altre due spade (non tre, come dice la sinossi del #298): Durandal, donata a Carahue, fu presa da Vathek; Flaberge, si suppone sia anch'essa da quelle parti. E quindi si torna in Sudan, e quindi la lista di babele si fa sempre più vertiginosa, dovendo aggiungerci i #88/89/90, con tutti gli affini. Margot, "traditrice" suo malgrado, riferisce ad Azara... Arte in grande spolvero per entrambi gli artisti. Rubini, poi, ha confessato il suo entusiasmo genuino e mysteriano per questo ciclo, e ha acquisito ulteriori simpatie. 

Dampyr #298/299: Sudan in fiamme/Il nemico di Azara (Boselli/Andreucci,Rubini)

L'entusiasmante saga conclusiva della serie, dopo aver deviato sugli scrittori americani, aver tirato in ballo la guerra ucraina e la mitologia greca, e aver commosso con la sbornia di epica cavalleresca, ci riporta ora nel deserto sudanese, in territori che francamente pensavamo non avremmo più rivisto. E in effetti Zerzura - che, com'è noto dai #88/89/90, è una illusione - non è rilevante. D'altronde, come può competere con le vere rovine storiche dei tre Stati cristiani della Nubia (Makuria, Aloria, Nobazia)? Sì, gli eredi di Kush. Sì, i Kush boselliani di Zagor (la prima apparizione di Vathek uscì in quasi contemporanea con la trasferta di Zagor in questi luoghi)! Tutto torna, tutto è coerente. Ecco cosa vuole un lettore normale. L'occasione è ghiotta anche per ricondurre la testata ad uno dei suoi stilemi originari, poi accantonato, ovvero l'agire direttamente in reali teatri di guerra. E quindi riecco il Medical Team: ovviamente stanno tutti bene e nessuno è invecchiato tranne Amin, il figlio adottivo di Shady e King che è diventato un ragazzone. Molte pagine, sopratutto nel secondo albo, sono dedicate a questo tema apparentemente secondario (considerato il resto della posta in gioco), con i cattivissimi ex Janjaweed che si vantano di stupri stragi e spregi razziali, e con i pards del dampyr alla ricerca di Amin. Rispetto agli albi di venticinque anni fa, forse i "brat brat braaat" sono leggermente calati rispetto alle nuvolette di testo, ma non nel modo tragico dipinto da certi lettori almanacchi, a loro dire contusi da fiumi di parole jalissiani. Si "brat bratta" a sufficienza anche qui, dai. Boselli si sforza - riuscendoci, per quanto ci riguarda - di gestire i passaggi da questa sottotrama "realistica" a quella più mitologica con modalità quanto più verosimili possibile: e quindi i personaggi parlano spesso al telefono, aspettano nei tempi morti, ignorano cosa fanno i cattivi. L'esempio migliore e più lampante è la visita di Azara al Lago Nasser (vi si cela Flambergé), che seguiamo con dovizia di particolari anatomici... salvo poi ritrovarci il dampyr che dice "naah, che ci vado a fare lì". E ancora, l'accesso ad Ain Farah, dove il janja venduto a Marsden risveglia Carahue e anticipa sia dampyr che Azara (e lui poi resta lì ad aspettare lei). Meno rilevante appare la sottotrama di Matthew Shady rapito da Azara e apparentemente invaghitosene senza malìe, giacché alla sempre simpatica Samantha non sembra importargliene granché (anzi, lo dice proprio). Ma certo è qualcosa su cui si tornerà, in futuro. Comunque Shady si salva anche stavolta (e scopriamo che è pure un filo razzista). La doppia vicenda si conclude con il ritorno fisico di Marsden, che si ciula Azara e Durandal (l'aveva Carahue, come sapevamo) e fugge subito nel varco quantico (l'ha imparato da Sho-Huan). Ma per Harlan non è un problema, tanto Azara gli aveva dato Flambergè, e le altre due mancanti sono ad Avalon, per cui è in vantaggio tre a uno. Arte che, diciamocelo, è mancata per troppo tempo. Rubini illustra un inserto medioevale nel primo albo (lo scontro in Africa tra Renaut e l'esercito di Vathek), mentre la copertina del secondo è la settima senza Harlan in tutta la serie. Tutto chiaro? No: in che senso "saga conclusiva della serie"? Ah, siete ancora lì. Niente, è che, poco dopo l'uscita della seconda puntata è stato rivelato il grosso cambiamento che avverrà dopo il #300, e quindi tanto vale godersi questo giro del mondo come una sorta di passerella di commiato, o qualcosa che vi assomiglia.     

Dampyr #300: Trecento! (Boselli/Genzianella/col. Pastorello)  

Ricordate? Quando il nostro rapporto con Topolino di Muci andò in crisi, trovammo in Martin Mystère un insperato santo a cui votarci. Per anni ce la cavammo così, e ne uscimmo migliorati. Ad un certo punto, però, tutto franò nuovamente e fummo costretti a cercare nuove fonti di ispirazione. Ne trovammo una, altrettanto insperata, in Dampyr. Lo avevamo già provato anni prima, leggendo episodi a caso in edizioni non originali (Repubblica, le Raccolte), ma, se un paio di essi ci avevano entusiasmato (quelli firmati dal creatore della serie), gli altri ci avevano convinto meno. La nuova lettura, integrale e cronologica, invece ci fulminò e ci portò a divorare un albo dopo l'altro, compresi quelli firmati dal co-creatore e dai gregari, sull'onda prima del fascino mysteriano di Agarthi e, poi, della complicità nel frattempo sviluppatasi con il cast e le ambientazioni della testata. Naturalmente, la nostra triste esistenza ci costrinse a numerose pause e a letture talvolta influenzate da avvenimenti esterni, e, se avete avuto la sventura di sciropparvi tutti i nostri commenti, avrete constatato di persona sia i nostri numerosi sbalzi umorali, che il progressivo avvitamento nel quale la testata e il presente scrivente si sono ritrovati man mano che la vecchiaia e il degrado mondiale prendevano il sopravvento. Purtroppo, è con questo spirito che approdiamo allo storico traguardo del trecentenario. Un avvenimento considerato fantasiosa speculazione negli anni 2000, quando Dampyr, al pari delle altre testate della "terza generazione" bonelliana (Brendon,Julia,Magico Vento, ecc.), veniva bullizzato dai lettori delle serie più storiche e considerato a rischio chiusura ad ogni mese. Confessiamo di averlo pensato anche noi, in un paio di circostanze, quando, agli esordi della nostra carriera di adulti, appena scoperto che il fumetto senza animali antropomorfi colorati non era automaticamente pornografico, scrutavamo le corpose sezioni "per ragazzi" delle numerose edicole e, prelevato rapidamente il Mystère o lo Sclavi, ci chiedevamo poi a chi mai potessero interessare tutte quelle altre scopiazzature dei nostri miti (così le etichettava il nostro neurone). Beatà ingenuità. In fondo, non soffrivamo di gastrite o emicranie croniche, allora. Si stava meglio quando si stava peggio? Più avanti, come detto, scoprimmo che non era così: Mystère, dopo averci educati e pasciuti nell'abbondanza, d'improvviso prese ad umiliarsi, lasciandoci sconcertati; eppure, questo tal Dampyr dimostrava che ancora si poteva parlare di Agarthi e armi di civiltà perdute e storie oscure del mondo e letteratura di genere senza fare la parodia di sé stesso e senza spiegarci che non dovevamo assolutamente credere a ciò che stavamo leggendo. Memorabile fu la risposta della redazione di "Dal Buio..." alla letterina di un collega lettore, risposta che - parola più, parola meno - recitava: "anche noi pensiamo che mordere le ragazze sul collo sia uno stimolo normale". Non era forse lo stile che aveva decretato il successo de "La Posta Mysteriosa" o della "Dylan Dog Horror Post"? Sì, lo era. Un erede delle testate che ci avevano salvato la vita era dunque ancora in circolazione, e potevamo considerarci salvi ancora per qualche tempo. Ora, questo qualche tempo è passato. Al trecentesimo numero, la lunga telenovela del Dampyr giunge quasi al termine. Anche i #100 e #200 erano stati protagonisti di svolte narrative, ma stavolta si va oltre. Al termine di questo episodio, sbaraccano tutti: Boselli e Giusfredi lasciano la curatela, portandosi via Genzianella, Riboldi viene pensionato e, dal prossimo mese, 20 pagine non si faranno più vedere. E "Ah già, mio padre e quasi tutti i Maestri se ne sono andati". "Ora moriremo di noia" "Ahah" "Cincin". Si conclude così un serial venticinquennale, con l'episodio che avevamo sempre voluto leggere: la presa diretta, in flashback, dell'esodo dei Maestri dal loro mondo di origine. Lo abbiamo ottenuto, ed è effettivamente ciò che volevamo. Il buon, mite Engar (allevatore di Fekren) ci racconta la sua amicizia col birbante Arach Dranx (il figlio del consigliere Manx) - ma noi capiamo immediatamente chi siano in realtà questi tizi -, e, tramite i suoi ricordi, l'autore ci illustra le divisioni tra le varie caste sociali (i Consiglieri, gli Scienziati, gli Schiavi Senza Ali, le bestie da sangue), ci resoconta la puntigliosa preparazione al viaggio quantico (molto più lunga del viaggio stesso), con gran sfoggio di precisi elenchi, ci porta ad assistere dal vivo al mito dei Thatua De Danaan approdati in Irlanda - "Bravo, Mystère! Bravo!" (cit.) -, e, infine, ci esalta con lo sterminio dei profughi... e con la trasformazione dei superstiti nei Maestri a noi noti, certo, stavamo per scriverlo. Con una insperata retcon del Maestro preistorico del #95 (Mhorag), che qui trova una giustificazione d'essere, nonostante la datazione contraddittoria. C'è anche una retcon meno giustificata, quella dei Dampyr abortiti, qui al plurale, mentre in altre occasioni s'era usato il singolare (ma le vignette relative effettivamente ne mostrano solo uno). Pazienza, meglio così. Tutte queste sono pagine davvero meritevoli, degne di una conclusione lodevole e un premio per il lettore più affezionato. Tutte queste pagine, però, sono meno di quaranta. Nelle restanti, torniamo al tempo presente, e scopriamo che Marsden ha radunato tutti i Marsden di tutti gli universi, che poi sono solo quattro (al quinto s'è stufato ed è tornato indietro): c'è Marsden versione Engar, ancora non corrotto (e quindi si corrompe da solo); Marsden versione Angus Og, con i muscoli; Marsden britannico dandy; Marsden vestito da Sho-Huan (del quale ha le visioni). Il primo viene inviato a rapire Amber Tremayne; riuscitoci con facilità, la segrega nella bolla antiMaestro progettata dalla Temsek, una trovata che non è necessario giustificare dal punto di vista magitecnico, in quanto Amber vi è racchiusa tutta ignuda. Angus Og, invece, è deputato alla tortura di Azara (le cui pudenda sono ben coperte, in quanto troppo giovane, e poi s'era spogliata il mese scorso, un po' di decoro diamine). Tale compito si rivela però più arduo del previsto, in quanto Carahue è capriccioso e alla fine si allea coi buoni, mentre ogni volta che Angus dimena gli artigli sopraggiunge qualcuno ad interromperlo. Tuttavia, almeno il desiderio di strappare il reggiseno ad Araxe viene soddisfatto. Non essendoci spazio da dedicare agli altri due Marsden (e abbiamo cento pagine, pensa se erano ottanta), questi li troviamo fusi nel Marsden classico a noi noto, che però ora manovra le ombre quantiche come Sho-Huan. Il piano di costui è geniale: ha rubato una bomba atomica all'Iran e l'ha spostata nella base Temsek nel Galles; per impedire la distruzione della GB e, per traslato, del mondo intero, Harlan deve consegnarsi. (Sì, l'identificazione tra la GB e l'intera Terra è un residuo della mitologia dei Danaan. Non occorre ribadirlo. Tanto la serie è finita.) Draka è al corrente di tutto ciò, in quanto ha preso contatto con tutti gli altri Maestri ancora in vita, esclusi alcuni opportunamente selezionati ma compresi quelli che non abbiamo mai conosciuto, tra i quali un CEO yuppie, un generale africano e un altro afroamericano. Un altro regalo ai fans, che avevano sempre voluto vedere Maestri nuovi; peccato che alla fine andranno via tutti alla chetichella (tranne quelli che gli autori vorranno utilizzare). A metà albo può iniziare lo scontro finale, multiplo come nel #200, con la partecipazione dei cavalieri arturiani sopravvissuti all'epica saga degli albi precedenti. Bedwyr e Kei, dunque, picchiano dei non-morti inglesi. Ok. Un po' meglio va a Holger Danese, che assiste Tesla e Araxe nella liberazione di Azara; se non altro, è lui, assieme al pentito Carahue, ad eliminare Marsden versione Angus Og. Non sono invece necessari aiuti nel fronteggiare Engar, perché anch'egli si pente e libera Amber. Ciononostante, l'ex cattivello ora buono Draka lo elimina freddamente (dai nemici mi guardi Iddio, che dagli amici...o qualcosa del genere). Il ruolo di Kurjak, intanto, è solamente quello di essere ferito al braccio. Tutti costoro riescono a radunarsi nuovamente giusto in tempo per assistere ad Harlan e Artos che a braccetto e all'unisono (come Castelli e Silver quando li vedemmo dal vivo, un altro cerchio che si chiude) feriscono mortalmente l'ultimo Marsden, grazie all'unione di Ala di Corvo (la spada di Taliesin) e Flamberge, come previsto dalla mitologia originale (o, se non altro, dalla versione del mito proposta da Augusto Macchetto e Sergio Asteriti con Topolino, e chiudiamo pure quest'altro cerchio). Marsden viene quindi traslato con l'atomica sul clone identico del mondo morente dei Maestri da cui proveniva Engar ed esplode laggiù. Ai nostri eroi non resta che espletare la continuity fuori scena ("sì sì, poi salviamo Daniel Marchal" "-Artos, è stato un piacere -Anche per me, grazie" "Draka se ne è ito" "Ora ricostruiremo il Calderone e lo doneremo al mondo" "-Niente più Maestri da combattere? -Dipende se il nuovo curatore è Pro o Contro") e brindare con noi senza eccessiva enfasi, per una conclusione simile a quella di un serial televisivo. La classica conclusione di Schroedinger, per cui un telefilm è al contempo chiuso e aperto fino alla notizia del rinnovo (o del suo mancato). Noi sappiamo già che Dampyr proseguirà, ma sappiamo anche in quali condizioni lo farà, quindi è da considerarsi finito e non finito contemporaneamente. Una situazione simile - nella sostanza - a quella di Nathan Never. Proiettandoci al domani, se questo albo si fosse concluso alla pagina in cui si concluderanno i prossimi, sarebbe terminato con Harlan sospeso sull'acqua radioattiva; e, per farvi capire lo stato psicofisico in cui versiamo, per qualche picosecondo abbiamo sperato che vi cadesse, e che la radioattività del protagonista divenisse la sua maledizione negli albi a venire. Ma la realtà è che venti pagine in meno non possono fare la differenza, se, quando se ne hanno a disposizione novantaquattro, se ne utilizzano i due terzi per perdere tempo e tralasciare questioni più importanti fuori scena. Tra le più lampanti: è vero che il Multiverso dampyriano è sempre stato utilizzato in modo ondivago, ma qui si fatica a comprendere se Marsden sia semplicemente alleato coi suoi doppi (come parrebbe dagli eventi) o se sia magiquanticamente fuso con essi e ne abbia poi emanato delle proiezioni, a cui pare intimamente connesso (ricordiamo che, nei precedenti viaggi multiversali, le dinamiche erano altrettanto ambigue); in entrambi i casi, non si capisce perché questi doppi siano solo quattro (poi tre). E ancora: per impedire ai Maestri di uccidersi a vicenda, Dagda ha modificato il loro dna iniettando un vaccino costituito da non si sa cosa; passi l'assenza di tecnobubbole, ma i doppioni di Marsden non dovrebbero avere ricevuto tale dono, dunque possono aggirare il divieto e subirne l'aggiramento; ma questo non cozza con la "fusione" che Marsden si suppone abbia con i suoi doppi? Cioè: se la connessione non è soltanto mentale, perché il dna vaccinato non contamina anche i Marsdens no vax? Forse qui abbiamo capito male noi. Allora passiamo ad altro: nessuno è mai riuscito a rintracciare Tane - la sorella defunta di Engar - nel multiverso, ma è stato rintracciato almeno un mondo identico, quello da cui proviene il doppio di Engar e su cui viene fatto esplodere Marsden di Terra-1. Possibile che non vi fosse una Tane lì? E se c'è un mondo identico, non ce ne può essere un altro? Il Draka swastikato e il Marsden shohuanizzato ci vengono ripetutamente mostrati come universonauti provetti. Come è possibile che esistano vari Marsden e nessuna Tane? Purtroppo, la concomitanza di fattori che ha portato Boselli ad accettare il pensionamento anticipato ha impedito una migliore esposizione di fatti e antefatti e ha parzialmente compromesso la fluidità dell'episodio. Anche l'arte di Genzianella, in alcuni momenti affollati e concitati, non sembra lesinare un pizzico di frettolosità, pur senza compromettere chiarezza e coinvolgimento complessivo. Sapere che anche lui non ci sarà più è un'altra pugnalata alle spalle. Peraltro è uno dei pochi a funzionare allo stesso modo sia in b/n che a colori. Ma forse il merito è di una colorazione davvero adeguata, soprattutto nella resa degli effetti psichedelici del multiverso. Da notare, infine, l'assenza del titolo all'interno delle tavole. 

(2021-2025)