mercoledì 22 ottobre 2025

DAMPYR (7)


Dampyr #301: Il figlio del Dampyr (Giusfredi/Cropera)

Aprile 2000: ci fratturiamo il malleolo. Venticinque anni dopo: ci devastiamo la gamba e, durante un controllo, riceviamo un allarme frattura. Panico! Com'è possibile? Stavamo guarendo! L'equivoco ben poco divertente è presto chiarito: la frattura di venticinque anni prima non si è mai risanata del tutto e ne porteremo i segni finché camperemo (quindi ancora per molto, purtroppo). Aprile 2000: esordisce Dampyr. Venticinque anni dopo, la serie ricomincia da (300 +) 1. Nuova grafica, nuove copertine, nuovo curatore, nuovo formato, nuove trame. I motivi li conosciamo, e li espone anche Bonelli jr. nell' editoriale: "i jovani nn volliamo + pesanti-iii, cioè scusa bro volevamo dire leggiere-eee"; i tempi di fruizione sono cambiati-iii, ci dobbiamo aggiornare-eee. Ah no, Bonelli jr. dice che hanno solo tagliato le pagine per risparmiare. Come non detto. Sotto il nuovo logo trasparente - come Dylan Dog di Recchioni, oggi abiurato -, sotto una copertina/pin-up di routine (Cropera sostituisce Riboldi, che ovviamente muore, essendo ovviamente malato), presente anche come poster da appendere davanti al calendario di Frate Indovino (le donne non si spogliano più), il fumetto si ripresenta ai lettori ancora al passo coi tempi: non è forse il leit motiv di questi anni il ritorno di vecchie glorie dopo decenni di oblio? Ed ecco il ritorno dei nostri eroi della gioventù, in una nuova serie che vuole differenziarsi da quella vecchia, ormai conclusasi da ben trenta giorni. Va da sé che un episodio introduttivo non può che presentarsi come una enorme Tigre di Martini (Tigre di Harlani?). Con Boselli autoesiliatosi per poter litigare più agevolmente sui forum, a scrivere il nuovo proemio della collana non può che essere il suo erede. Solo che pure lui è ai saluti, prossimo al confino nei western, e quindi tutto il polverone che viene alzato in queste pagine è da prendere con le molle. Siamo dinanzi a quanto di più telefilmico si possa immaginare (Capone ne sarebbe fiero), con sequenze che si susseguono per contratto, da "Harlan solo contro i non-morti nella nebbia di Praga", passando per il continuo e fulmineo ripescaggio di personaggi morti e sepolti, a voler strizzare l'occhio, il naso, il capezzolo. C'è spazio persino per un "caso verticale" riempitivo (un ennesimo non-morto per bene di Draka che spunta dal nulla per trarci d'impaccio, e di cui nessuno si cale), ma soprattutto fa sorridere scoprire che il "nuovo inizio" è il seguito di un albo a caso di Falco (#154, Blimunde si rivede di sfuggita). A caso? Mica tanto: quello era un "clip show" coi multiversi, e questo non ci si discosta più di tanto. Ma nemmeno questo è il succo della storia, che vorrebbe essere invece la tiritera del figlio di Harlan, uno Pseudo-Maestro con opportunistici poteri da fan fiction, che alla fine scopriamo esistere solamente nel mondo dei sogni. Senonché nessuno sembra rammentare che, nella serie classica, non vi era tutta questa distinzione tra dimensioni alternative e fantasia (cfr. Zardek). Il compito di questo Dark (Alan? Angie? Dark Draka non può essere) è quello di avvertire suo "padre" che uno dei suoi atavici nemici non è davvero morto (e quindi è non-morto, ah ah). Ed ecco il vero lascito dell'episodio: questo vecchio e nuovo supernemico ricorrente (?), ora incappucciato tranne gli occhi per non essere riconosciuto subito alla prima puntata, appare immediatamente in azione, così da poter collezionare subito la prima sconfitta, e tornarsene in naftalina per un po' di albi. Già: il nuovo curatore Contro - lo stesso che ha in affidamento la dismissione di Martin Mystère e che ora gestisce pure il TFR di Dampyr - ha già annunciato che l'impostazione generale sarà quella ad episodi autoconclusivi, salvo sporadici ritorni di Boselli o guest stars assortite. Non è forse l'impostazione dei telefilm (e dello stesso Dampyr) del 2000? Quando si dice "economia circolare". L'esordio del curatore ha più Contro che Pro. Per cominciare, ad un certo punto, Eva (scopriamo che Harlan si sbatte la vicina di negozio) viene chiamata Elle. Fa più ridere, invece, lo spoiler della dipartita di Marsden nelle anteprime, poi cancellato... al punto da essere rimosso anche nell'albo. Quando compare la sarabanda fanzinara dei Maestri defunti, grande enfasi viene data a Gorka e Shrek, ma nell'azione sono presenti anche i più importanti Marsden, Vathek e Nergal, che però non vengono mai nominati. Tornando a Dark, il personaggio sembra assolvere ad una funzione usa-e-getta (omaggiare il titolo del #1), come pure la commessa Eva. Ma Eva non può essere un nome casuale, in una serie horror, specialmente per chi ha seguito Supernatural. Durante la lettura, eravamo convinti che la conclusione avrebbe visto Eva scoprire di essere incinta del nostro eroe, e che i sogni fossero presagi inviati dal feto (poi non è detto che Dark avrebbe dovuto seguire pedissequamente il Jack di SN). Banale? Tranquilli: di certo non avremo più la possibilità di inviare i nostri soggetti e fare danni. Peccato, però: Harlan che scopre dopo venticinque anni di avere un figlio è come noi che scopriamo che abbiamo il malleolo rotto da venticinque anni. C'era sintonia. Il nuovo artista di punta (?) non è invece al suo meglio: diverse vignette sono confusionarie e spesso è assente la profondità di campo, che porta i personaggi a non essere distinguibili dagli sfondi. Vabbè, chi è il villain? Qualcosa (la presenza di Blimunde, ma non sappiamo bene il perché, poi Caleb e Nikolaus tutti ignudi che interferiscono, un vago profilo che si intravede in una vignetta, e la genialità del piano che prevede di ferire dampyr con le borchie del giubbetto) ci suggerisce Nergal, anche se speriamo vivamente di sbagliarci. Fortunatamente, il tutto è volutamente generico, di modo da poter essere modificato in qualunque momento senza troppi scossoni in base alle risposte del pubblico, come nei moderni serial, quelli che ormai non guardiamo più.


Dampyr #302: Detroit Street Blues (Contro/Orlandi)

Dopo il preambolo del #301, il nuovo corso prende il via sviluppando le proprie premesse: albi autoconclusivi, rapidi e senza sbattimenti. Perché "Dampyr" oggi è un film che per qualche giorno è stato il più visto su Netflix nella Costa Est il giovedì sera, roba ganza che fa turbinare le polle, lo obliteri con la vista e c'hai la sorca garantita, ciumbia. E allora noi ci ricordiamo che Contro aveva sì fatto il suo sfolgorante esordio nella narrativa con un horror gotico, che già s'imponeva come voce nuova nel grigiore bonelliano, ma nei lavori successivi era rapidamente passato al pulp d'ispirazione cinematografico-statunitense (i soliti Coen e Tarantino). E quindi non sorprende affatto questa sbobba indove la tamarraggine è un vanto ("potete immaginarlo come un lungo piano sequenza", c'invita la disonesta rubrica, ovviamente non è un piano sequenza manco per sbaglio) e con il solito parterre di attori senza i quali Orlandi andrebbe a Roncisvalli (Forrest Whitaker, Wesley Snipes, DJ Qualls, ovvero Garth di Supernatural, che qui fa lo sbirro trasandato corrispondente di Caleb, eccetera). Ma anche tornando con la memoria ai riempitivi più avvilenti, di cui la serie non è mai stata avara, è difficile ricordare un Harlan Draka così fuori posto di questo che ammazza non-non morti come niente fosse. Diamine, con Boselli allearsi coi delinquenti era un obbligo morale, ed ora vedere tutti questi tossici e spacciatori assassinati brutalmente ci stranisce. Neanche Landini è così malvagio. Ma soprattutto, se possiamo sorvolare sulla sciatteria di aver introdotto la mutazione cannibale dei non morti (i "ghoul"), come se non avessimo mai incontrato non morti sepolti per secoli ogni due albi, davvero abbiamo faticato a comprendere la necessità di seguire la selva di personaggi che nemmeno interagisce con il titolare della serie (che qui non è il protagonista, ma la guest star). Tant'è che ci siamo persi l'identità del cadavere dell'ultima tavola, e, pur consci che sarebbe stata sufficiente una rapida scorsa alle pagine precedenti per individuarlo, ci siamo rifiutati di procedere all'operazione, così da potercene poi lamentare online. Calfort! Se il tamarro non schiaffazza il tarocco, la RAM gli grippa il gargarozzo, e il Gino randa amburghese.

(2025)


domenica 1 giugno 2025

NATHAN NEVER (9)

 

NN #401: Paradossi Universali (Barone/Bertolini)

La facciamo iniziare qui la "nona stagione"? Massì, dai. Prologo, realizzato a posteriori e su commissione, del cross-over con MM slittato di un mese. E quindi è un "fill in"? Beh, nì. La prima metà, e qualcosina in più, dell'albo è occupata dal cross-over tra la serie madre e il defunto spin-off Generazione Futuro, di cui questo è il quinto episodio. Bertolini è stato chiamato apposta per disegnare svariate pagine di azione sfrenata a layout americano, nelle quali Nathan si ritrova ad aiutare il suo clone Liam, proveniente appunto dal futurissimo di quello spin-off viettiano da tempo accantonato. Barone, forse perché formato proprio da Vietti, sembra davvero tenere ai personaggi di GF, e si sforza di renderli interessanti ed empatici per il lettore; ma, onestamente, a chi è mai importato qualcosa di quella ennesima "serie nella serie" risalente ai tempi in cui la Casa Editrice e gli autori gozzovigliavano e scialavano mandando in edicola albi a raffica dalla qualità sovente discutibile? Solo il primo volume di GF raccolse qualche consenso, per le anticipazioni che elargì sull'allora futuro della serie mensile; il secondo e il terzo già furono meno recepiti, e comunque non certo per i protagonisti; del quarto volume non fregò proprio nulla a nessuno. L'autore, comunque, ci prova, ribadendo più volte la connessione tra Nathan e Liam, e sobillando la pancia dei nerd facendo indossare a Nathan la Mute Suit di Liam, dotata di prodigiosi poteri supereroistici. Non solo: per aumentare il senso di "evento speciale", l'Alfa si avvale della consulenza di Angelita, la nipote di Mendoza introdotta nei #329/330 da autori estemporanei, ora nelle vesti di brillante scienziata (prima era una capace meccanica). E quando vediamo interagire tre personaggi provenienti da episodi molto diversi per temi e autori (Liam, Angelita e David Maas) il crossover interno alla serie è assicurato. Il pretesto alla base dell' albo è a sua volta la più crassa delle fanzinate da nerd: a causa delle manomissioni introdotte da Vigna nella sua scombinata storyline, il futuro di GF non collima più con gli eventi del "presente", e pertanto si sta cancellando. Liam, inseguito per sbaglio da tre Tecnomorfi, si catapulta allora indietro nel tempo per rintracciare l'unico oggetto che può impedirlo: la sedia/consolle ideata dall'Uomo Quantico nel remoto Gigante #9 (fu usata da Link per dirigere gli Agenti Alfa nel multiverso) e rivista in un altro paio di occasioni. Ora, scopriamo, è nelle mani di David Maas, l'assistente/amante dell'UQ, deciso a riportare in vita il suo caro estinto. Qui si gioca la partita di tutta l'operazione ideata da Barone, apparente difetto e pregio al contempo. Come abbiamo potuto scrivere nei numerosi commenti agli albi precedenti, a partire dal #304 gli episodi di NN sono stati ripartibili in almeno tre differenti configurazioni: gli albi di Vigna, gli albi di Medda, le giacenze o i filler di rari autori estemporanei. Per giustificare ciò, com'è noto, Vigna ha ideato una complessa retcon, anzi due, che andavano di volta in volta a completarsi o a giustificarsi a vicenda. Da una parte il Tempo Zero, nella quale giacciono tre diversi Nathan e tutte le persone dall'alba dei tempi (?), una installazione creata dagli Elohym per fini non del tutto chiariti; Nathan ha più volte visitato questo non-luogo in albi semi-celebrativi, e Vigna ha ogni volta spiegato la sua interpretazione chiamando in causa la teoria dell'universo olonomico e della non-esistenza della realtà, che sarebbe solo percezione sensoriale (questo bastava a gestire le interazioni tra gli universi Bonelliani, da considerare separati tra loro, quindi abbiamo visto Nathan andare a trovare Mister No o Tex). Dall'altro lato, volendo inizialmente far sì che il reboot della miniserie AnnoZero divenisse canonico, ha ritenuto opportuno introdurre una ulteriore chiave di lettura metanarrativa, nella quale gli albi effettivamente pubblicati (e letti dal lettore) sono soltanto le versioni romanzate degli eventi realmente accaduti; a ciò si è poi legata una nuova sottotrama a tema complottistico che, in seguito, è andata ad integrarsi con le altre innovazioni sopra dette. In termini narrativi, secondo Vigna tutto ciò avrebbe aiutato a giustificare tutte le incongruenze passate e future. Ma, di fatto, la reale conseguenza immediata di questa impostazione è stata un'altra: ovvero che la maggior parte degli albi che il lettore ha letto o si è ritrovato a leggere, sia dal #304 in poi, che retroattivamente in base ai vari ammiccamenti, si poteva tranquillamente cestinare, o se non altro considerare "alternativa", magari fatte salve le poche pagine realmente necessarie. Una impostazione con diversi pregi (obiettivamente molti albi di NN sono dimenticabili e spesso davvero meritori di rifacimento nei testi o nei disegni, inoltre "alleggerire" la continuity era diventato necessario), ma prevedibilmente "troppo avanti" per un pubblico - italiano e bonelliano - ottuso e restio ai cambiamenti. Stroncato sul nascere - dai lettori e, a volte il sospetto è sorto, dalla redazione - il "Vignaverso" è andato in crisi dopo pochi anni, giacché lo stesso Vigna, dopo un periodo di ritrovata freschezza, è andato poi ad incartarsi in rifacimenti altrettanto ottusi, andando a reboottare quasi ogni cosa, contraddicendo anche sé stesso tra un refuso e una svista, e infilandosi infine nello scontato ripescaggio dei "mitici personaggi dei primi numeri" allo scopo di solleticare la nostalgia. Ne sono uscite cose non necessarie, quali le tresche amorose del giovane Skotos (e il ritorno di un suo clone, o forse di lui stesso), e altre improbabilmente goffe, come i reboot degli Atlantidei e di Reiser, talmente grossolani da essere sembrate sparate da troll. A questo, come detto, si è dovuto aggiungere lo stacco molto netto percepibile tra gli albi di Vigna, quelli di Medda e i pochi restanti riempitivi, nei quali si è manifestata con forza la tendenza di ogni autore di "farsi i cavoli propri", al punto da avvertire le rarissime occasioni di reciproco contatto (la saga Intrigo internazionale, la promozione di Nathan a Direttore, entrambi "punti fermi" della narrazione) come dei glitch di sistema. E torniamo a Barone: costui ritiene, invece, che tutti gli albi siano da considerare validi e in diretta continuità concatenante, come accadeva nei tempi passati e come accade normalmente nelle altre testate (salvo poi leggere vecchie fanzines e scoprire che le continuità dei lettori e quelle degli autori non sempre coincidevano). Ciò, ovviamente, non può avere senso, a partire soprattutto dagli eventi dei #301/303, guardacaso riproposti da Boselli ne Le Grandi Storie Bonelli in concomitanza di queste uscite: in quegli albi, Serra si "portava via il pallone", ponendo fine all'universo storico della serie e sostituendolo con un altro quasi uguale. Il deus ex machinae dell'operazione fu l'Uomo Quantico, il quale, raggiunto un accordo con il Tribunale Cosmico, operò materialmente lo scambio tra il Sole morente del secondo universo e quello sano del primo a noi noto. In cambio, l'UQ ottenne la morte tanto sospirata, rivelando al contempo il suo legame omosessuale con Maas. Lo shock generato dalla sostituzione, unito alla subitanea retcon di Vigna, ha finito per confondere i lettori a livelli quasi sociologici. Eppure sarebbe bastata la soluzione salomonica presa da noi: considerare i #301/303 come la conclusione della serie e seguire semplicemente Vigna, senza confondere i due piani interpretativi. Purtroppo, la nostra visione è rimasta minotaria ed oggi viene ulteriormente riscritta da Barone, il quale invece fonde definitivamente (?) le retcon di Serra e di Vigna, integrandole in una sovraretcon: al termine degli eventi legati a Generazione Futuro sopradetti, infatti, David Maas, resosi consapevole di non poter resuscitare l'UQ, prende da parte il Nathan e gli spiega, con parole semplici, che alla base dell'universo olonomico di Vigna v'è stato proprio un intervento dell'UQ, che un attimo prima di perdere i poteri dopo gli eventi del #301/303, ha inserito una tecnobubbola antiparadossi nell'universo. Questo, ad una lettura immediata, comporta due cambiamenti pesanti: il primo è la svalutazione della retcon di Vigna, che da "sovrauniversale" sembra regredita a "universale" (Tempo Zero, a questo punto, non ha più senso d'esistere); il secondo è la riscrittura del fumetto di Serra, dato che ora l'impostazione non sembra più essere "Terra 2 ha sostituito Terra 1" ma "Terra 2 e Terra 1 si sono fusi", oppure che, banalmente, Barone ritiene che su Terra 2, dal #1 al #303, siano accaduti esattamente gli stessi eventi accaduti su Terra 1 (Terra 1 e 2 sono nomi impropri che utilizziamo a scopo illustrativo). Maas, infatti, nel descrivere a Nathan le incongruenze e i paradossi (generati da un individuo ovviamente misterioso e ignoto, sennò il cross-over a che servirà?), si rifà soltanto a quelli successivi al #303 e riconducibili al "Vignaverso". Non possiamo dirci del tutto soddisfatti dalla pretesa di voler aggiustare le retcon di un altro autore, mentre parallelamente sui social si nega l'intenzione, e d'altronde abbiamo detto più volte come alcune delle innovazioni di Vigna siano state simpatiche e vagamente originali. D'altro canto, come detto più sopra, è innegabile come lo stesso Vigna abbia poi sbracato, introducendo altre innovazioni molto opinabili e non necessarie. Barone, per ora, cita dei casi specifici: il reboot atlantideo del #393 (siamo d'accordo nell'aggiustarlo); l'improbabile utilizzo del murchadna da parte di Reiser nel recente #398 (anche questo è meglio toglierlo, non essendo affatto chiara l'intenzione di Vigna; non è il Reiser che conoscevamo, è un pazzo che si atteggia a troll, e non vorremmo che fosse voluto); la storyline di Elania, che per Barone non avrebbe potuto accadere senza caduta di Urania (ma perché? Non poteva avere conosciuto l'Alfa in un'altra occasione?); la discrasia tra il tempo "presente" e quello di GF (non ci dormivamo la notte, e comunque ora è risolta); la simultaneità di Darver e Reiser introdotta nel #398 (Vigna aveva fatto in modo che Nathan non ne venisse a conoscenza, ma ora Barone gliela spiattella brutalmente; siamo rimasti un po' infastiditi, per quanto sia una delle innovazioni di Vigna di cui avremmo fatto volentieri a meno). Restano, però, delle perplessità. Viene specificato che nel #398 Reiser non avrebbe potuto usare il murchadna in quanto non dotato del terzo occhio; ma, per quanto questo fosse effettivamente un requisito stabilito inizialmente, nella serie di MM tale criterio è stato disatteso più volte, non ultimo nel terzo DD&MM che sappiamo già essere uno degli ispiratori del nuovo cross-over. Forse l'intento è di dare una spiegazione nei prossimi numeri? Attendiamo al varco l'autore. E viene spontaneo domandarsi come un albo così recente come il #398 abbia potuto essere analizzato così presto (dopo soli quattro mesi!), considerata la vulgata per cui gli autori di NN non si parlano, ma qui si entrerebbe in campi redazionali a noi ignoti. Un'altra perplessità riguarda la conclusione di questo prologo, dato che la consolle di Maas viene modificata in modo da diventare l'"ancora" capace di mantenere l'esistenza del futuro di GF, tuttavia le anomalie permangono e il colpevole è da rintracciare; sembra una soluzione di comodo per salvare l'indispensabile GF e togliere agli eroi un mezzo che avrebbe facilitato le cose ai protagonisti del cross-over. Ancora: stanti così le cose, non è chiaro allora se abbia senso parlare di universi e al contempo di universo olonomico (forse sì, ma va spiegato bene); in ogni caso, Barone stabilisce (non a torto) come la prima vera apparizione di questa concezione olonomica risalga al MM&NN 2 (viene riproposta la scena di quell'albo in cui Legs non percepisce l'atlante in continua mutazione), togliendo ulteriore rilevanza all'operato di Vigna. Anche su questo, attendiamo al varco Barone. E veniamo proprio a lui.  Sostanzialmente questo è il suo "reale" esordio, dato che la miniserie Generazioni (da non confondere con l'albo omonimo di MM) fu concepita da Serra e che la storiella con la moglie di Sigmund pubblicata su Agenzia Alfa anni fa è irrilevante. Lo stile è supereroistico, molto rapido, certamente diverso sia da Vigna che da Medda. Nei momenti statici, il lessico, anche per via dei concetti parascientifici da esporre a lettori ottusi, fa ampio uso di virgolettati e paragoni, e in questo ricorda - molto vagamente - il Castelli visto in alcune circostanze (e infatti all'improvviso l'olonomismo è compreso e apprezzato da tutti); nei momenti dinamici, invece, le battute sono quelle tipiche dei fumetti americani. In generale, Barone si presenta come un vero fanboy, nel bene e nel male, a metà tra la genuina passione e il marcato egocentrismo, una infantilità emotiva che lo ha condotto, sul forum neveriano, ad entusiasmi (immotivatamente?) contagiosi come ad uscite abbastanza infelici. Guardando al singolo albo, e consideratane la genesi (la richiesta di tappare un buco nella programmazione con un'appendice ruffiana che generasse hype), gli va comunque dato atto di aver saputo gestire le 94 tavole, facendo uso di trucchi del mestiere (il parallelismo tra i paradossi narrativi e quelli insiti nella natura umana), nonché di aver dato una rinfrescata a personaggi secondari dimenticati. In particolare, viste le affinità sentimentali con lo sceneggiatore, molta rilevanza ha acquisito Maas, benché il suo egoistico suicidio conclusivo sembra voler quasi porre fine alla sottotrama sua e dell'UQ (o forse è ciò che ci auguriamo, ma le preview non sembrano contentarci). Arte capace, nonostante le evidenti frettolosità (incredibile, finalmente viene mostrato l'ottavo livello della Città; dovevamo aspettare un albo del genere, pensa te).



Nathan Never/ASI & Martin Mystère: L'energia del cosmo (Vigna/Giardo/col. ?????)

In parallelo al pompatissimo cross-over di Barone, oltre alla ristampa del cross-over con la DC, viene rilasciato un altro team-up NN&MM. Come a dire: tiè, lettore! Ingozzati! Strozzati con la saliva! ...Geniale. Non l'abbiamo. Attendiamo la ristampa economica.


Nathan Never Special #35: Oltre lo Spazio-Tempo (Vigna/Bonazzi)

Pubblicato in parallelo al cross-over NN & MM, ma da leggere dopo (o prima, è il cross-over ad essere "fuori serie"). Albo di totale continuità, ma quella di Vigna, che all'improvviso piace anche ai suoi detrattori. Fumetto "trekker" all'ennesima potenza, con le classiche macchinazioni bellico-politichesi tra rivali interplanetari, unite ad un qualche mcguffin fantascientifico. Di fatto, è un remake degli esordi di Asteroide Argo, ma reinterpretato con una chiave completamente diversa. Tanto per cominciare, coerentemente con quanto Vigna anticipò tempo fa, sono del tutto esclusi alieni "starwarsiani" pupazzosi; gli unici extraterrestri ora sono i Pretoriani marziani (quindi "extra Terrestre" è da interpretare alla lettera). In secundis, non avendo più comprimari da rigirarsi, fa tutto Nathan, ubiquo ed onnipresente, tant'è che viene esplicitamente presentato come una "leggenda" ai nuovi cadetti, che può permettersi persino di sciorinare una poesia (uno dei Canti di Gadalas di qualche tempo fa) ad un simposio scientifico-militare. Infine, il casus belli è proprio il ritorno della "stringa di energia": Argo non viene mai nominata, ma si ribadisce più volte che è quella con cui Nathan ha avuto a che fare (di più: Nathan viene scelto perché ha già vissuto esperienze spazio-temporali, che quindi sono di dominio semi-pubblico tra le alte sfere). I Pretoriani, sacrificando una delle loro astronavi, stabilizzano la stringa, trasformandola in un vero e proprio wormhole: dunque una risorsa da sfruttare. E parte il contenzioso con la Terra, che subito pretende un utilizzo condiviso. Con tutto ciò che inevitabilmente ne consegue: la battaglia a colpi di propaganda (Nathan accompagna la spia marziana del #378 nello scambio con la ciurma terrestre presa in ostaggio), le guerre interne dei terrestri tra bellicisti e governativi (la Presidente Kyomi vuole la trattativa, il Dipartimento Militare vuole la guerra, Janine si ritrova in mezzo, ricattata per la sua relazione con Nathan), le sfumature vittimiste dei marziani (i Pretoriani sovietico-bellicosi, i mutati scientisti, gli umani desiderosi di rivalsa). La ruffiana ma eccellente copertina kyrbiana acquista un senso quando i Pretoriani estorcono una missione congiunta di Nathan e Damon (la ex spia) all'interno della stringa. Come detto, la sci-fi pupazzeggiante di Asteroide Argo è bandita, dunque ora, per tenersi sul vago, la stringa conduce ad un Quadrante Misterioso di cui non si sa nulla, e a quelle cose che si vedono nella copertina. Nella storia ricompare temporaneamente Darver, richiamato all'uopo da "oltre i confini della galassia" (dove?) per fare non si sa bene cosa, forse per dare un appiglio familiare ai lettori e a Nathan. Il Darver di Vigna è più umano di quello della vecchia continuità, tuttavia quando Nathan ritarda il rientro dalla missione, non ci mette molto a crederlo morto. Il fumetto, per quanto sia di fatto una continua chiacchiera (proprio come la fonte a cui si ispira), e per quanto tratti concetti già visti più volte anche in questa stessa testata, si legge agevolmente. Sorprende questo improvviso ritorno di Vigna ai suoi livelli pre-declino: davvero imprevedibile. Nell'ultima tavola, un colpo di scena di pura continuità: Damon ci svela che Matthew, il figlio di Elania, è prigioniero dei Pretoriani (e questo lo sapevamo) e sottoposto a lavaggi del cervello per renderlo una spia. Arte del più veterano dei veterani, eppure strabiliantemente sempre uguale a sé stessa, forse persino più curata nei (pochi) dettagli, con plurimo sfoggio di primi e primissimi piani elegantemente raffinati. Nell'editoriale, apprendiamo - finalmente - che Leyla Duchateaux, la psicologa che aveva in cura Ann Never negli albi degli anni 1990, era modellata sulla figura di Ornella Castellini, la fu redattrice SBE compianta in tutti gli albi di dicembre 2024.


Martin Mystère #417: Crossover! (Barone/Giordano+Cuffari)

NN #402: Dipartimento 51 (Barone/Giardo,De Biase)

NN #403: Multiversi (Barone/Giardo)

NN #404: Il Guerriero e l'Esploratore (Barone/Giardo,Foderà)

Tra novembre 2024 e gennaio 2025 ci viene propin..proposto il team up Martin Mystère & Nathan Never & spin-off assortiti & cose a caso della SBE. Per i commenti approfonditi, vedasi I Clisteri di Clystère (3).


NN #405: La Guerra del Nulla (Vigna/Toffanetti)

Dopo tre mesi di panico, l'atteso ritorno nella quotidianità neveriana si presenta sotto la forma di un episodio che sembra prelevato di peso dagli anni 1990 della testata. Ecco il vero omaggio alla serie: una storia, non molto originale, ma solida e coerente con le premesse del (non più nuovo) corso nostalgico di Vigna. Il triste e meschino caso che lega promiscuità e capitalismo, e che condizionerà - rovinandola fin da subito, in termini affettivi - la vita del piccolo Joy Wright, si alterna alle fantasie del ragazzino, manifestate nelle scarabocchiate fan fiction della serie "Nathan Nemo" (il fumetto che, nella continuità vignana, rielabora le vere avventure del personaggio, e che, nella nostra realtà, corrisponde agli albi pubblicati dalla SBE). E così, Nathan e Olivia Olling non possono che farsi coinvolgere personalmente dal caso, al punto che, al termine della vicenda, Olivia diventa la tutrice legale di Joy fino alla sua maggiore età. Le atmosfere sono quelle dei tempi migliori della serie, tra piogge torrenziali, lo squallore cittadino, le nostalgie per il passato; e c'è spazio persino per un breve ritorno al Sinclair Asylum di Leyla Duchateaux (ricordiamo che costei era la fumettizzazione della redattrice Castellini deceduta recentemente). Solo un vacuo riciclo delle dinamiche tra Nathan e la figlia Ann? Mah. Non ci è sembrato. Questa vicenda avrà certamente un seguito, prima o poi, ma non sarà così determinante. Più discutibile la scelta di salvare Joy costringendo Nathan e l'Alfa a barare; come lo stesso Nathan ci fa notare, è un segreto che dovrà portarsi dietro e che contraddice i suoi buoni propositi di onestà e trasparenza; inoltre - ma questo naturalmente non lo dice - questo va ad aggiungersi all'altro segreto, quello che lo lega a Janine e alla defunta Elania. Mmm. Vabbè. Uno dei leit motiv della golden age erano le conclusioni dolciamare. Escluso Giardo, Toffanetti è ormai l'altro autore di punta della testata: e guarda caso gli episodi di Vigna che gli vengono affidati sono i migliori. Pur essendo un veterano dalla carriera quarantennale, non cessa di sperimentare senza snaturarsi: le pagine illustrate con piglio infantile si integrano sapientemente con quelle standard. Pare che, fra le prime, ci sia davvero lo zampino di una mocciosa: forse abbiamo capito in quale, ininfluente, pagina. La redazione, una volta tanto, dà manforte a Vigna, confezionandogli l'albo con una copertina nuovamente sperimentale e col ritorno della rubrica Il Mondo di Nathan Never, dedicato alla nuova casa di Nathan. Già: nel corso dell'operazione nostalgia, veniamo a sapere che Nathan ha acquistato l'appartamento delle sue vicine (quelle col Klonz) e lo ha annesso al suo, creandosi un'abitazione su due piani a misura di scapolo benestante, con palestra al piano soprastante e, sotto una spaziosa biblio-cineteca vintage. Grande Nathan, è anche il nostro eroe. (Sì, ok, è pur sempre l'attico di un condominio. Ma il concetto è che, in futuro, sarà l'unica tipologia di abitazione possibile.) 


NN #406: Il viaggio oscuro (Ostini/Pianta)

Riempitivo che si presume ambizioso: Moby Dick in chiave sci-fi, con riferimenti spiattellati fin da subito, ma il titolo del romanzo non viene mai fatto (nemmeno quando Nathan lo prende in mano!). Il titolo dell'albo ci suggerisce una chiave di lettura introspettiva, che tuttavia nel fumetto è solo abbozzata nell'isteria del capitano e in una fugace/posticcia menzione di Nathan alle sue defunte fiamme. Alla fine è la solita roba dell'IA e dell'astronave alla deriva. E I Pirati dei Caraibi classico del cinema? Non è assurdo, ma fa ridere lo stesso. Gradin è accreditato come autore del mecha, cioè la mega-astronave cargo, non poi così originale. Oltre all'aiutino, l'artista ufficiale è meno brillante di un tempo.


NN #407: Il suono del ricordo (Eccher/Bastianoni D.)

Disegni simpatici per un riempitivo dedicato ad uno degli argomenti che detestiamo di più. Scritto e disegnato come un fumetto degli anni 1990, ma di quelli nati già vecchi, nonostante l'autore cerchi di stare sul pezzo ammonendoci sull'utilizzo dell'IA in campo artistico (e
spiegandoci che quella di cui ci riempiamo la bocca oggi non è esattamente una Intelligenza; su questo possiamo dargli ragione). Scopriamo che il negozio di Mac non c'è più (ovviamente), mentre Sigmund ricorda Omega.


NN #408: L'entità di luce (Vigna/Bertolini)

Rieccoci al filone spaziale, quello in cui Nathan interagisce con non più di uno o due comprimari, mentre affronta questa o quella creatura "aliena" (nel senso più stretto del termine, cioè con ragionamenti basati su parametri completamente diversi da quelli umani) filosofeggiando e riflettendo. Il titolo ci dice di quale creatura si tratta questa volta, e, per contrasto, è intuibile anche quale sarà il "casus belli". C'è l'approccio razionale-filosofico di Star Trek, visualizzato però secondo la cinematografia "cosmica" spettacolare più recente, ma il tono è quello del film indipendente autoriale, e non manca l'inevitabile spruzzo di quegli Anni 1990 che caratterizzano la serie (qui è la katana). Con un inedito tocco di continuità (vignana, ovviamente), quando, tra le visioni dell'universo che la creatura "passa" a Nathan, compaiono quei tizi del #200 e di Missione Giove (sì, quella roba di "Tempo Zero" che piace solo a noi). Lo scriviamo probabilmente per la sesta volta: tra tutti gli episodi di questo filone (per ora) quasi a sé stante (ma abbiamo appena visto che non è così), questo è decisamente il migliore, quello che più si avvicina all'idea che ci eravamo fatti di questa testarda iniziativa di Vigna di "estrarre" Nathan dal suo contesto abituale e di metterlo a fare il viandante etnografo delle galassie, a metà tra lo Swamp Thing di quei quattro albi di Moore e il fumetto argentino. Il ché vuol dire che lo sceneggiatore, forse, non è ancora così bollito. Certo, il tema non è nuovo (i film segnalati nella rubrica c'entrano poco, il riferimento è un altro, ma ci sfugge), la stessa testata se ne è occupata più volte (#94?), ma è più
rilevante il tono che Vigna dà alla narrazione. Arte a suo agio. Prima e ultima tavola che restano impresse, per un fumetto "caloroso" alla 
vecchia maniera, di quelli che lasciano una sensazione di gradevole accoglienza. A fare da contorno, tra pubblicità e redazionale, c'è il 
MM migliore (quello dell'ASI), e nel secondo c'è persino AMyS (che si "compra" la citazione premiando il redattore). Un albo in cui 
davvero possiamo sentirci a casa.  


NN #409/410: Arrestate Nathan Never!/Il mistero di Aquileia (Vigna/Toffanetti)

Il 2025 è l'anno di Gorizia e Nova Gorica Capitali della Cultura: ecco allora un altro tassello del Vignaverso, sulla scia degli albi triestini, e unica storia in continuità dell'intera annata (sic! sigh). La prima puntata è al livello del Vigna più ispirato: scopriamo che nel futuro la zona geografica in questione costituirà uno Stato cuscinetto indipendente, amministrato da un Priorato di stampo religioso, e facente funzione di mediatore tra le parti in conflitto. Il modello è chiaramente il Vaticano, che pure appare nel fumetto in questione (il ché sorprende un pochettino). L'occasione è ghiotta, e, seguendo il percorso già iniziato con gli albi ASI, Vigna ne approfitta per aggiungere altri tasselli alla retcon della Grande Catastrofe, approfondendo il famoso Gregorio XVIII, Papa nativo di Bali che scoprimmo nel remoto #50 essere stato il fautore del cambio di datazione. Nella breve retrospettiva, apprendiamo il nome laico del Papa, ma soprattutto viene insistentemente suggerita l'idea che il Priorato - di comune accordo col Vaticano - custodisca da allora un mistico tesoro protettore dell'emisfero occidentale. Naturalmente, parlare di occidente e oriente, in un mondo in cui il governo è unico e planetario, non dovrebbe avere molto senso, ma noi sappiamo bene come gli occidentali amino darsi importanza. Ciò che a noi preme davvero è che tale tesoro, si spiega, parrebbe essere nientemeno che il Graal. Il fatto che poi Nathan si ritrovi sfuggentemente a sfogliare un ennesimo libro scritto dal defunto Martin Mystère (alla faccia dei compilatori degli Speciali Mystère) dovrebbe corroborare tutta una serie di riflessioni di continuità intrecciate, del tipo "di quale Graal si tratta?"... se non fosse che il curatore di MM, di recente, e in un albo ASI (guardacASI), ha stravolto la "questione Sette Graal" prendendo di peso elementi da Get a Life! e ficcandoli tranchant nella serie madre senza curarsi troppo di dare spiegazioni. Nella prima parte, pertanto, prendiamo con le pinze tutte le ipotesi esoteriche, pur sapendo che nel Vignaverso il mystero è determinante, e nonostante il tangibile calicione che Nathan si ritrova pure tra le mani, e ci accontentiamo di seguire una indagine narrata col piglio deciso e saldo delle migliori storie recenti dell'autore. Tipo Tergeste, appunto, nella quale ovviamente Nathan non manca di tornare: attraverso tutta una serie di equivoci depistaggi e trappole, infatti, il Direttore dell'Agenzia Alfa viene incriminato del furto del tesoro, e la base operativa
di Tergeste viene smascherata e smantellata. In effetti, per essere un fumetto dedicato a Gorizia e Nova Gorica, si ciondola molto anche in altre località (Trieste, Aquileia, a momenti pure Lubiana). Chissà che ne penseranno i lettori sloveni quando ne uscirà la prevista edizione universitaria loro dedicata. Tutto ciò è comunque stimolante, ma l'entrata in scena (prevedibile) di Kal Skotos lascia presagire la fine dei giuochi. Il secondo albo, infatti, non mantiene del tutto le premesse del primo. La storyline spionistica funziona ancora abbastanza, sebbene perda man mano di mordente con l'ingresso in scena (pure) del nuovo Reiser cattivissimo (#398), alleato di Sada e Kal (con lei molto dimessa, a differenza delle ultime erotiche apparizioni), tutti stolidamente decisi a vendicarsi dell'Alfa mandando a monte tutto il resto. A salvare un poco la lettura è la questione della setta "naturista" degli autoctoni slavo-friulani, con una conclusione del "caso verticale" tutto sommato soddisfacente, nella quale questi ultimi e il Priorato si riappacificano, l'Agenzia Alfa viene riabilitata pubblicamente, e il messaggino di unituccia e fratellanzella tra i popoli, simboleggiato dall'unità delle città pubblicizzate, porta a compimento le premesse iniziali dell'operazione mediatica. E ovviamente a darci speranza in tv abbiamo la Presidente dell'Unione Mondiale, il prete cattolico e il pope (chi vuol capire capisca), e fa effetto vedere il cardinale rivelare all'opinione pubblica l'esistenza degli alieni. Vigna è un nefando eresiarca? Forse per questo, una sorta di par condicio, viene meno tutto il comparto esoterico: alla fine si scopre che i "manufatti extraterrestri" celati col tesoro (di cui tutti sono a conoscenza da decenni) sono scomparsi da tempo, spartiti tra le multinazionali, e sono alla base di parte delle tecnologie già in uso. L'unico sussulto è quando veniamo a sapere che alcuni li prese l'Agenzia Alfa ai tempi dei maneggi di Reiser e Sigmund, e Sigmund lo sapeva da sempre, e Nathan e Legs lo rimproverano ma ci passano subito sopra, e queste tecnologie sono nascoste proprio nella seconda base di Aquileia dove i nostri sono riparati (Nathan in quel momento è ricercato), e riguardano nientemeno che un abbozzo di teletrasporto ("che sapeva usare solo Mister Alfa"). Naturalmente i nostri eroi riescono, con l'aiuto di Link e Mendoza (cui sono dati stranamente ampi spazi), a far funzionare, faticosamente e brevemente (siamo dalle parti del #397, in cui tecnologie già viste nella serie vengono riproposte come fossero nuovi prodigi), gli aggeggi per teletrasportare il tesoro all'ultimo istante utile, così da poterlo restituire alle autorità competenti. E il Graal? Nulla è dato sapere: il calicione viene addirittura rivelato al pubblico ed esposto, ma non sembra possedere qualità particolari oltre al simbolismo. La conclusione "orizzontale" vede i conDirettori ignorare ancora la presenza di Reiser, e una strana quadrupla conclusiva - tipo Cimino al contrario - vede il Graal stagliarsi su chip matrici e il faccione di Reiser. Per cui forse, chissà, alla prossima celebrazione si tornerà sull'argomento. Sempre che i governanti leggano questi fumetti, e non i western.


(2024-2025)

venerdì 30 maggio 2025

I CLISTERI DI CLYSTÈRE (4)

 Commenti umorali e scorretti, allo scopo non di criticare una serie a fumetti, ma di rappresentare il decadimento psico-fisico di un lettore, condotto all'esaurimento dalle avversità della vita



MM #419/420: La Stanza 217/Il ballo dei morti (Contro/Orlandi)

Aviso: ora ci si intristissie! Abbiamo già fatto svariate volte questa battuta, ma dobbiamo riproporla. Sapete cosa piace a noi sincretini? Esatto, il sincretismo. Quando è stato realizzata questa doppia storia? Di certo non è una giacenza bimestrale (lo si capisce da come è sceneggiata), ma non è importante saperlo. Quel che conta è che, pubblicata precisamente in questo inverno d'inizio 2025, cade a maccherone come fagiuolo sui caci. Per citare un nostro collega, "è tutto un ricco mosaico". Dunque. Il redattore delle Fantasmagorie esordisce come sceneggiatore mysteriano, negli stessi mesi in cui diventa curatore di Dampyr. E la storia che sceneggia sfoggia, per buona parte del tempo, delle atmosfere dampyriane, con questo mix tra "libresco" e "cinefilo" tipico di quella serie (ma c'è anche Ghost Watch). Naturalmente (e figurarsi se non era così), ai lettori speciali è sembrata invece "una storia di Dylan Dog": poco male, perché l'albo dylandoghiano in edicola nello stesso mese è profondamente invernale, proprio come quest'altra storia. Basta? No: il doppio episodio è basato su (e omaggio a) Shining, nella doppia accezione di romanzo e film, e viene pubblicato proprio quando muore David Lynch. Come sappiamo, Lynch e Kubrick erano strettamente correlati, e infatti il fumetto presenta varie sequenze "alla Lynch". Infine, la conclusione presenta un omaggio (banale, ma azzeccato) al BVZA, di cui ricorre l'anniversario funebre. Non fate quelle facce: considerato il materiale ridicolo pubblicato da questa testata negli ultimi tre anni, questo coacervo di coincidenze è già di per sé un pregio. Ma non è l'unico: pensate un po', Contro sa sceneggiare. Tecnicamente, intendiamo. Lo aveva dimostrato nei suoi albi de Le Storie (soprattutto nel primo, un horror gotico), mentre su Dampyr questa qualità era emersa meno (perché lì c'era ancora un editor), quindi lo aspettavamo al varco senza aspettative precise. Ebbene, sono due albi che si leggono senza incazzarsi o deprimersi. Incredibile. E chi vi era più abituato? La costruzione "giallo-horror" (NO, non tipo Dylan Dog, è più tipo Recagno quando fa il sofisticato) naturalmente è d'aiuto, non sapendo dove si voglia andare a parare. E quindi abbiamo: una bella e iconica ambientazione (il vero albergo di Shining, nel Colorado boscoso, in inverno); una combriccola di comprimari a metà tra Dampyr e Supernatural (cacciatori di fantasmi eccentrici); Martin Mystère scettico e un po' scazzato, ma non il consueto pagliaccio autistico; il tema metaletterario-mysterico, con lo scrittore di saggi specifici divulgativi che però ha necessità di arrotondare coi romanzi. Purtroppo, tutto l'impianto di questa storia si basa su di un difetto nient'affatto trascurabile: la doppia risoluzione (sia "mysterica" che "gialla") è davvero la più scontata. Il colpevole del "whodunit" è proprio il più sospettabile; la causa delle apparizioni è la più facilmente intuibile da chi ha letto quel celebre romanzo o da chi ha visto il film che ne è stato tratto (non stiamo parlando di King e di Kubrick). Sempre purtroppo, il canovaccio di questa vicenda era già stato sfruttato, in modo simile, da una storia di Topolino Libretto (ormai è una tradizione: l'ultima volta accadde poco fa, nei #414/415, che già avevano un elemento in comune con questo soggetto, un'altra coincidenza), e fin dall'inizio abbiamo sospettato che il fumetto sarebbe andato a parare proprio dove Contro è andato a parare. La seconda puntata ha, così, smorzato l'interesse nella lettura. Peccato. Anche la menzione degli Anasazi è caduta nel vuoto. Resta, comunque, il fatto che l'autore ha saputo intrattenerci sfruttando abilmente tutte le più abusate tecniche registiche e didascaliche, creando anche un breve momento di "Fantasmagoria" fumettistica (non ci riferiamo ai fantasmi, ma allo sciorinare misconosciuti testi reali e bizzarre chincaglierie ottocentesche; tutto quel che l'albo intitolato Fantasmagoria non fece). E recagnesche sono le citazioni pedisseque delle fisime castelliane ("'strano' significa tutto e niente", "grazie per aver detto 'prendere contatto' anziché 'contattare'"). Le copertine nello stile tradizionale e l'arte di Orlandi, pure, fanno respirare "aria di casa". E sì, ormai Orlandi è il veterano della testata, e questa è una storia adatta al suo stile eccentrico, con varie "Drusille" e attrici da citare che gli calzano a pennello. Resta impresso il bizzarro Dalmazio Ombrellieri (su chi è ricalcato?). Recagno, intanto, non ha ancora superato il lutto e i suoi editoriali cominciano ad annoiare. "Ma che bravo" - cit. - "a riscrivere una vignetta per citare il crossover!". (Se non altro, non è citato a vanvera. Già, anche qui si lambiscono multiverso e viaggi nel tempo, ma non nei termini nauseanti e prevaricanti a cui siamo stati abituati.)


MM #421/422: Nemico del popolo/Vero o falso? (Matteuzzi/Vercelli)

In caduta libera nelle vendite e negli algoritmi di ricerca, alla testata non resta che cercare visibilità sensazionalistica. Viene dunque, finalmente, proposto IL soggetto per antonomasia di questi ultimi quindici anni: cosa accadrebbe se "I Misteri di Mystère" venisse cancellato? Qual è il ruolo del mystero, al giorno d'oggi? Come può Martin Mystère convivere tranquillamente con tutte le sue contraddizioni, anagrafiche e filosofiche, a noi purtroppo palesate per mezzo di albi sempre più decadenti e demenziali (qui la questione dell'età è liquidata da Travis che sfotte i brillantini del #386)? Come si rapporta colui che nel 1982 aveva "una teoria personalissima sulle origini del mondo", per nulla suffragata da prove, con il cosiddetto "complottismo" odierno? A quest'ultima domanda - purtroppo - abbiamo già avuto risposta in diversi albi, ma mai in una versione chiara e definitiva. La prima puntata si sforza di occuparsi di tutto ciò. Martin Mystère, così, ci racconta per filo e per segno la sua opinione in merito, cercando di esporcela alla maniera di Alfredo Castelli, cioè con i suoi spiegoni narrativo-divagativi, in cui salta da un argomento all'altro provando anche a fare del nozionismo spicciolo. Purtroppo, ad occuparsi del soggetto non è Castelli né l'estensore di queste righe (che, pure, ha ragionato su questi temi per anni), bensì il nuovo autore di Dago, lo stesso del golpe in Etiopia, e il pensiero che viene messo in bocca a Mystère lascia trasparire la pigrizia che attanaglia la redazione mysteriana ormai da parecchio tempo. Nei tre momenti-spiegone che caratterizzano l'albo, - tra cui uno al Jimmy Kimmel Show, programma tv della ABC realmente esistente condotto da un personaggio realmente esistente, una delle poche trovate azzeccate della storia - Mystère non trova di meglio che riassumere la banalità del suo nuovo pensiero: siccome oggi la gente è più stupida e credulona, non conviene più esporre teorie mysteriose eccessivamente fantasiose, perché qualche fanatico potrebbe credervi. Due lauree e quarant'anni di incontri con alieni, mostri e poteri forti per giungere a queste originali conclusioni. Questo sarebbe comunque accettabile, considerata la situazione (e comunque il Nostro NON arriva a capire nemmeno stavolta che nel 1982 Atlantide era considerata una barzelletta e lui stesso un ciarlatano), se non che, dicevamo, l'albo aspira soltanto al suo quarto d'ora di celebrità, e pertanto si lancia in ulteriori considerazioni, talmente grossolane da essere prese sul serio: tra tutti gli esempi che a Mystère e ai suoi conversatori (prima Diana, poi Sarah Birmingham, l'attrice che prima di lui ha subìto la gogna mediatica), possono venire in mente durante i vari sofismi sociologici (durante i quali, peraltro, l'attrice costringe Mystère a spalarle le foglie dallo stagno, boh), i due scelgono esattamente il tentato golpe di Trump del gennaio 2021 e la campagna elettorale del 2016, che Hillary Clinton - dice Mystère - perse forse a causa della campagna mediatica complottistica avversaria (il "pizzagate"). Sono considerazioni innocenti, di per sé, sulla falsa riga di quando Castelli/Mystère accennò alla sua antipatia per Reagan e alla coglioneria di Bush Sr. (e basta, non si sono verificati altri casi analoghi); ma, inserite di proposito in un soggetto del genere, scoprono il bluff dell'autore - che ha scritto la storia alla fine del primo mandato di Trump - e della redazione - che l'ha pubblicata all'inizio del secondo - e il loro reale intento, ovvero generare "clickbaiting", come puntualmente è accaduto. Ai geniali e-lettori speciali, infatti, è bastato leggere "presidente uscente del 2021" (perché "Trump" è stato biaccato dal coraggioso editor) e "Clinton forse avrebbe vinto" - e aggiungiamoci il fulmineo accenno ai no vax e alla Brexit - per scatenarsi contro il degrado della testata, irriconoscibile traditrice dei veri valori della serie, tipo criticare i potenti e il sistema per mezzo di paragoni con la Storia. Quando il vero problema della storia è proprio questo, l'assenza della Storia (oltre che del talento degli autori): sia quella reale, sia quella "alternativa" proposta dalla serie a fumetti nella sua lunga esistenza. A quanti complotti ha assistito, o vi è stato vittima, o vi ha addirittura partecipato Mystère? Facciamo notare che in tutta la prima puntata è assente qualsiasi riferimento ad Altrove e Uomini In Nero, che dovrebbero essere le prime parole a venire in mente quantomeno al protagonista (il quale, invece, non in pubblico, ma nell'intimità casalinga con Diana e Java usa testualmente espressioni quali "presunti poteri forti"; passi, invece, che all'attrice scelga di non dire che i miti di Zeus e Thor non abbiano avuto origine esattamente da "fake news ancestrali", anche se dalle espressioni sembra non ricordarlo nemmeno lui). L'unico, goffo, aggancio alla continuità è la furia di Martin contro Blackman (#373/374), che però è assente, e che peraltro negli albi appena citati aveva rivelato di non essere più uno UiN da vent'anni (e quindi che pretende da lui?). Ma la Storia, specialmente quella Moderna, è costellata di "fake news" tragiche, persino Contro ne cita (superficialmente) qualcuna nelle due rubriche a tema (dopo averci avvisato due volte che stiamo leggendo semplici opere d'intrattenimento, ovviamente). Purtroppo, il fumetto è troppo grossolano per poterle esporre: il livello della sceneggiatura è tale per cui il video fasullo (in cui il Piero Angela americano non fa semplicemente "cose sconce o imbarazzanti", no, beve letteralmente sangue dalla gola di una donna nuda, tanto per capirci, e sì, è una citazione di un elemento del "pizzagate", ma lì erano solo dicerie, non sono mai stati prodotti video deepfake con sacrifici satanici!) viene diffuso nel tardo pomeriggio, e al mattino dopo - non, più "realisticamente", alcuni giorni dopo - c'è già la folla davanti a Washington Mews che prende Piero Angela a sassate (!) nel disinteresse generale (e Piero Angela col sangue colantegli dalla fronte invita Giavalberto a "lasciar perdere", a che serve sporgere denunzie, Travis è infallibile). Grossolano è anche l'intreccio concepito per venderci come credibile la materia trattata: tutto ruota attorno ad un generico politico del Congresso, che aveva dei progetti - sottinteso "buoni" -, ma le lobbies lo hanno minacciato generando video fasulli ed esagerati della moglie, una celebre attrice poi finita sotto protezione; da Kimmel, Mystère ci ha fatto sapere di trovare ridicole le accuse contro l'attrice, e per questo - capiamo - è stato punito. Non c'è altro. In questa "sensazionale" prima parte, vediamo subito anche i cattivi, grazie al montaggio alternato: dai loro discorsi yuppies, immaginiamo che si tratti dei soliti yuppies pubblicitari. Un po' poco per il clamore suscitato, no? Eppure tutto ciò, senza nemmeno attendere la seconda parte, è stato sufficiente per generare polemiche di lettori "che hanno sempre voluto bene al BVZM nonostante le sue idee" (agenti dormienti di destra risvegliatisi con un segnale acustico?), contro polemichette rancorose degli autori (ovviamente noncuranti delle rare critiche ragionate), e un paio di recensioni in più del solito (naturalmente elogiative). A questo punto, la nostra sola speranza ricadeva, paradossalmente, nella grossolanità dello sceneggiatore: visto il goffo tentativo di "imitare, aggiornandolo senza capirlo" Castelli, e vista la circolarità della puntata (si apre con Mystère che da' i nomi ai pesci dell'acquario, il decano diventa Paul come lo zio, e si mette il profumo, e si chiude con la folla che gli irrompe in casa e gli sfascia tutto, pesci inclusi), nello stile dei Classici sociologici della serie ove la risoluzione della trama era in qualche modo annunciata già nelle prime pagine, pregavamo iddio che l'intera vicenda si sarebbe rivelata metanarrativamente un fake comic, magari come un'appendice alla recente, scarsa imitazione di Zona X dello stesso Matteuzzi (#416). E invece. La seconda puntata, che nessuno ovviamente ha letto o commentato, stronca sul nascere anche questa speranza, e, come da prassi per tutti gli sceneggiatori mysteriani, si rifugia nella comoda "azione", nella versione "da prendere sul serio" della scuola postmoralesiana: e quindi i nostri scappano da Washington Mews, poi hanno paura di rivedere la casa distrutta, poi Martin è rabbioso e urla "bastardi" battendo i pugni sul muro, e quindi seguiamo, lentamente e minuziosamente, il viaggio "on the road" di Mystère e Travis (che non ha giurisdizione altrove, per lo scherno dei suoi amici, allora prende le ferie e parte, "perché un funzionario di polizia può essere utile con la polizia locale, e poi ho la pistola"... quindi essere in ferie è come essere in servizio, ma con la giurisdizione illimitata) verso la California, e allora i due si alternano alla guida, e fanno le soste, e si abbioccano a turno, e Travis si abbiocca e Martin si arrabbia (ma fanno subito pace), e alla fine li riconoscono lo stesso, anche in mezzo al deserto, e gli squarciano le gomme. Per quanto possa sembrare incredibile, da questo punto la narrazione scivola davvero nel demenziale. Innanzitutto, vicino al capanno ove è stato girato il video, i nostri trovano un'auto carbonizzata con i corpi carbonizzati degli attori e della troupe del video. Quale posto migliore per nascondere tutte le prove di un complotto che lasciare dei cadaveri in un'auto riarsa nel deserto mappato dai satelliti, non lontano da una costruzione? Davvero impossibile sospettare che lì ci possa essere qualcosa. Al ché lo scrittore, non pago di aver saccheggiato fin qui il Maestro Lotti (La Grande Illusione) e rifatto pari pari Congiura nei cieli, ritiene originale riutilizzare (all'inverso) quel famoso escamotage di Chiaverotti (pardon, Frank Capra), e pensa bene di depistarci, facendoci credere che i nostri abbiano trovato un superstite del rogo, e per farlo spezza il racconto, per riprenderlo molte pagine dopo, dove scopriamo che no, M&T avevano solo visto male, però gli era venuta un'idea. Lo scopo della contro-fake new (i media devono riportare la falsa notizia dell'esistenza di un superstite, quindi in certi casi manipolarli è giusto) è di indurre i cattivi a scoprirsi... e funziona, perché IMMEDIATAMENTE Adam Thue (con la "h" al posto della "r", sennò era hidicolo), lo scrittore yuppie cinico e malvagio visto nella prima parte, si presenta alla pula e confessa. Perché? Boh. L'ultima tavola ci fa capire che la sua assistente lo ha tradito per prenderne il posto, ma questo passaggio è completamente assente nel montaggio pubblicato e ciò che ne resta è una sequenza incomprensibile (Thue dice che "il telegiornale ha detto che vogliono uccidermi". Ma dove? Quando?). Vabbé, intanto Thue ci confessa che lui è uno sceneggiatore di fake news, un inventore di miti, e precisamente - e quanto segue è l'unica connotazione d'attualità della puntata (provocare una volta è bene, due volte è sadiko) - è quello che ha falsificato i dati economici che hanno spinto gli inglesi a votare per la Brexit (mentre quello che ha collegato vaccini e 5G lo ha solo incontrato una volta). Non ci ricorda qualcosa, tutto questo? A Mystère ricorda Congiura nei cieli, ma non subito, e comunque è stra-sicuro che i mandanti di Thue non possano essere gli UiN: a suo dire, falsificare la verità fino a provocare morti e sciagure non è il loro modus operandi, infatti in Congiura nei cieli agivano proprio così, e si scopriva che i mandanti erano proprio loro. Ma, ovviamente, Mystère ha ragione: il mandante è un vecchio anonimo che resta nell'ombra del suo yacht, e i raccordi col #322 sono pecette inserite dall'editor, costretto controvoglia a ricordarsi di un episodio da lui scritto in qualità di autore. Per l'occasione, Martin/Recagnuzzi ci svela pure che il cattivo di quell'albo poi ha smesso con quella roba, infastidendo Travis, che, ingenuamente, pensava che gli UiN fossero dietro a tutto e che, magari, quel tizio potesse essere utile. Che idiota, Travis. Usare la logica. Tsé. Facciamo bene a sfotterlo sempre. Prima di rifiatare, ampio spazio è dedicato al disperato tentativo degli eroici e sudati M&T di salvare i server dai furgoni in fiamme. Mentre i pistolotti dell'eroe della controcultura su quanto sia disgustoso ed immorale e squallido e triste che gli stupidi e biechi creduloni credano alle ignobili panzane dei maledetti ciarlatani sono rintracciabili, per chi volesse, alle pagine 21,29,78-79. E i mysteri? Quali? Il video è un semplice deep fake (ma è un caso che soli due mesi prima sia uscito uno Julia dedicato allo stesso tema??1!!?), mentre il politico marito dell'attrice non era rilevante, il piano dei malvagi ha il solo scopo di seminare zizzania (che altro, sennò?). E i personaggi? Giusto, senza mysteri e senza trama restano quelli: beh, l'ispirazione castelliana è evidente nella loro caratterizzazione, con Martin incazzato o che vorrebbe fumare ma che ogni volta si sforza di non lasciarsi sopraffare, Diana che si strugge perché è una assistente sociale e vorrebbe fare di più ma non sa che fare, Travis sarcastico e saggio al contempo, un lessico che si sforza di non essere piatto ma che nemmeno brilla. E l'arte? Che è, un interrogatorio? L'arte è in disfacimento, come di consueto, con qualche sporadico momento che ricorda i vecchi tempi (i primi piani), una discreta leggibilità complessiva, nonostante le numerose vignette da matita rossa. Per la prima volta da quando c'è Contro, i redazionali sono abbastanza centrati (che caso), mentre Davide Bonelli sottrae un editoriale a Recagno, e meno male, perché nell'altro quello lì ci aveva spacciato per vere notizie quali l'alto gradimento ricevuto per MM&NN e per il Docteur a strisce. Ceerto, amico, come no. Simpatici i risguardi della prima parte (nella seconda sono uguali, ma "strappati", mah), come pure gli scandalosi Zio Boris monovignetta sul degrado della gente e la tavola a tema pornografico. Ah, guardacaso, nella serializzazione orizzontale del Docteur arriviamo al punto in cui Radetsky ordina di manipolare i media ottocenteschi. A Recagno possiamo dire tutto, ma non che non sappia confezionare.


MM #423: La Donna Elettrica (Barzi/Quaglia)

Concluso il quarto d'ora di celebrità polemico, urge tornare al Business As Usual Business As Usual Misteri Inventati Con Immaginazione Ordinaria Misteri Inventati Con Immaginazione Ordinaria. Il bravo UiN democristiano è quello che non ama stare troppo al centro dell'attenzione (ma nemmeno quello additato come sfigato del gruppo). In tal senso, l'editoriale ci informa subito che quella roba antitrampita degli scorsi mesi era copiata da DD (DareDevil, ma comunque lo sappiamo che Sclavi è comunista). Ora possiamo andare avanti. Come nel vecchio sketch di Crozza, "facciamo così, facciamo passare questo mese, ma poi promettiamo che". Ed allora ecco un totale e triste riempitivo, scritto e disegnato tanto per riempire delle pagine, basato oziosamente sui trivia scartati da Castelli nelle conversazioni ai ritrovi di Amys, e affidate ai primi che si trovavano a portata di mano alla tavolata. E dire che - per citare un albo dalla genesi simile - L'assassino implacabile (MM #276), a suo tempo, e prima di scadere nello svogliato seguito, aveva avuto la capacità di generare un minimo di interesse per gli argomenti affrontati: la guerra delle correnti di fine Ottocento, i proto-mostri orrorifici, l'urbanistica statunitense, eccetera. Vent'anni dopo, l'imitazione 2.0 che ne propone questo episodio suscita la reazione opposta, il totale disinteresse per l'ennesima selva di sciempiaggini in cui Mystère è andato a ficcarsi. Il Boogeyman, quanto meno, è una figura folkloristica; ma quanto può essere credibile il logo di un'azienda che diventa reale e malvagio? Non è mica un videogioco degli anni 1980. Lo abbiamo capito che stai solo citando il telefilm di Loki, che comunque ha mezzi più adeguati per fare queste cose della piatta arte in stile NAAC che sembra doverci perseguitare ancora per molto tempo. Quanto può essere credibile una tizia che diventa pura elettricità a seguito di un rito sciamanico, e allora a volte è solida a volte esce dal televisore, e genera illusioni olografiche e controlla gli uragani (la vicenda "spiega" quelli del 1969,1992 e 2024)? Che faccio, lascio? La consueta indagine (il BVZM è un "detective", quindi a richiesta, indaga) ci propone poi l'arresto per flagranza impropria, e sorvoliamo, ma la tizia ha ammazzato il figlio del suo amato, e quest'ultimo ha continuato a ricambiare? Alla fine siamo dalle parti della solita protoIA esaurita, tant'è che pure Zio Boris ne approfitta, e non mancano altri dejà-vu delle solite menate viste di recente (per dire, c'è pure un momento alla "Invenzione di Morel"). Finisce che MM cita Bob Dylan; che devil. L'arte non quaglia: Mystère oscilla tra il bambino e il progerico. Paratesto da Contr(att)o: copertina ok, redazionali aneddotici random, e la solita roba riempipagine.


(2025)


venerdì 4 aprile 2025

Cringe a Metopolis

Commenti molto personali e soggettivi riguardo a opere cinematografiche particolarmente erudite e di nicchia, scritti negli anni ma mai pubblicati prima. 


AAVV: Guerre Stellari

Ho rivisto I-II-III dopo un decennio e sono stupefatto, soprattutto da I e II (III che era bello si sapeva): in cosa sarebbero brutti, esattamente (e io me li ricordavo parecchio noiosi)? II, poi, è geniale per come riesce ad essere anche autoconclusivo. 

E l'intrigo politico è di una comprensibilità disarmante. Ed è molto realistico, ma realizzato (cinematograficamente) prima che divenisse una moda. Sono dinamiche che da noi si compiono quotidianamente.

Quanto alle bambinate (da JJ ai droidi alla love story di Moccia). Sarà che ho avuto la fortuna di guardare Episodio I a 11 anni (bambino), Episodio II a 14 (ragazzetto) e Episodio III a 18 (post adolescente), ho avuto modo di identificarmi nel percorso seguito dalla trilogia. 

Certo, alcune cose nella mia testa sono ormai in versione Ortolani, a partire da Palpatine (interpretazione mostruosa, peraltro) e dai Mercanti. E Padme, come sempre, mi fa soffrire troppo.


Ho rivisto IV-V-VI dopo sostanzialmente un ventennio e più e sono abbastanza stupefatto della freschezza di Episodio VI, decisamente il più vicino alla trilogia prequel (con tanto di Imperatore in comune). Episodio IV è ovviamente il più grezzo e Episodio V campa molto sulla Marcia Imperiale, che introduce e propone in loop quasi perpetuo dall'inizio alla fine. Mi rendo conto di come molte scene di culto siano contenute in Episodio V, ma devo dire che il mio affetto va più all'inizio di Episodio IV e a quasi tutto il VI. 


Cosa differenzia le due trilogie? Nella trilogia storica la trama è decisamente semplice, è una fiaba bella e buona. Nella trilogia prequel imho manca l'elemento sessuale: Leyla senza mutande o in abitini strizzati e Han che ci prova in continuazione, riuscendo poi a spupazzarsela; nella love story fra Anakin e Padme questo aspetto è molto abbozzato, un po' perché in fondo quando li vediamo sono ragazzini e un po' perché il perbenismo si sa com'è fatto (anche se per me è evidente che Anakin è più infoiato che innamorato). 

La trilogia "nuova" è anche più ricca sul piano musicale, anche se i pezzi storici appartengono a quella "vecchia".

Quale amo di più fra le due, non mi chiedete? Non ve lo dico subito: IV-V-VI appartiene alla sfera della mia infanzia più ancestrale, sinceramente è la prima cosa di cui ho ricordo, assieme a un paio di Topolini e a Quantum Leap (ma questo sicuramente l'ho visto dopo; di poco, ma dopo); I-II-III, come già detto, appartiene al mio periodo della crescita e della formazione, dalle medie alla maturità; questo significa che questa ultima è ancora abbastanza viva e scorre più forte dentro di me, mentre l'altra è di fatto il nucleo dei miei midichlorian. 

(2015)


Gareth Edwards: Rogue One. Una storia di Guerre Stellari

Episodio in live action della serie animata della quale non riesco a fottermi.
Filmucolo salvato dal finale fanservice in senso buono; dal voodoo cibernetico che resuscita gli attori morti o dona loro l'eterna giovinezza; dal faccino guanciottoso della tipa che fa l'eroa, deliziosamente stupidina in altri film.

(visione: 2017; commento: 2019)



Rian Johnson: Star Wars Episodio VIII. Gli ultimi Jedi

Una schifezza che ammazza la poesia, l'epica e il mito di SW.
Si salvano solo l'isola, perché è bellissima di suo, e le relative scene di Liuc che strizza le mammelle al mostro o pesca il pescione con la fiociona.

(visione: 2018; commento: 2019)


Ron Howard: Solo. Una storia di Guerre Stellari

Carino.
C'è un regista, ci sono degli attori, c'è uno sceneggiatore, e tutto ciò risalta.
Tutto sommato non è niente di che, però è ciò che ci aspetta: una fanfiction fatta bene.
E diciamolo, hanno azzeccato il recast di Han. Chi l'avrebbe mai detto.

(visione: 2018; commento: 2019)


J.J. Abrams: Star Wars Episodio IX. L'ascesa di Skywalker

Sono d'accordo con la recensione di Recchioni, e ho detto tutto. 
Tante splendide immagini. Su tutte, l'arrivo delle astronavi qualunque (copiata da Doctor Who) e il Falcon arenato sulla collina. Ma anche i marosi. 
Finalmente un po' di Avventura!
E tutto il film è in fondo una caccia al tesoro, alla ricerca del pianeta perduto coi fossili mistici.
Ce n'è voluto, eh, per capire quali sono le storie che funzionano. Adesso, mi raccomando, rifacciamo la parodia decostruzionista solo per sentirci dire che siamo "coraggiosi".
La trilogia in due parti soffre comunque degli ovvi problemi derivati dall'assenza del capitolo centrale, sostituito dalla parodia dello youtuber irriverente, un po' come guardare Episodi IV e VI senza il V, saltando dal party per la Morte Nera distrutta a Han dentro al monolite e a Leia in mutande con Jabba. 
Sia chiaro che sia Episodio VII che questo IX hanno dei dialoghi da strapparsi le orecchie ed è evidente che Palpatine sia stato buttato dentro all'ultimo momento (è sempre il migliore, però), e alla fine Finn non ha detto a Rey quello che non le voleva dire  in presenza di Poe (a meno che non volesse dirle che Poe era un contrabbandiere, ma non mi sembra che sarebbe stata una grande sorpresa), e quella roba del Sith definitivo, con dentro tutti i Sith, contro la Jedi definitiva, con dentro tutti gli Jedi, è roba da anime. Ma gli anime ci piacciono, quindi va bene.
E plauso, plauso, PLAUSO, al ritorno delle marionette. C'era stato Yoda nell'VIII, ma per un breve momento, perché il regista voleva farci vedere di detestare Star Wars solo al 95% e non al 100%. Ma qui è stato tutto più studiato, più armonico, più giocherellone.
VIVA LE MARIONETTE E GLI ANIMATRONI.
Non c'è poi molto da aggiungere, per una volta (e che non si ripeta mai più) Recchioni e Calcare hanno ragione: nonostante tutto, è un buon film di SW e tanto ci basti.

P.S.:
Divertente vedere Charlie mettersi in posa e Greg Grunberg ingrassare ad ogni inquadratura (ma è malato?). Abramsianamente soddisfacente scoprire il senso del titolo e rivedere le sue inquadrature-tormentoni, tipo Rey che guarda l'aereo lasciare l'isola o le rovine del Progetto Dharma (e c'è pure Ben che si redime). Molto kitsch il cadavere di Leia che diventa personaggio, in linea con la carriera della Fisher. 
Naturalmente tutti ci chiediamo il perché della seconda Morte Nera, ma per quarant'anni ci siamo chiesti pure come fosse stata distrutta la prima, e non mi pare che la cosa ci abbia danneggiati più di tanto. Mi perplime un pochino di più il florilegio di apparizioni fantasmatiche. 
Nota del curato: Cosa volesse dire Finn lo abbiamo scoperto dopo, ma se non lo scoprivamo era meglio.

(2019)


AAVV: Star Wars. The Mandalorian S1/S2

Tutto vero: hanno azzeccato il mood, il quid, lo sberequack. Non c'era bisogno delle sboronate (MegaJedi contro MegaSith, i cadaveri volanti, la derisione del Mito), bastava una cosa semplice semplice, tipo due che camminano. Come all'inizio della Nuova Speranza.
Eppure devo dire che questa "estrema semplicità", alla lunga, mi è parsa... fin troppo semplice.
Ho molto amato i primi 3 episodi della Stagione 1, e questa impostazione anime del "duo buffo che vive avventure di ogni tipo in luoghi differenti". Solo che le avventure si sono rivelate dello stesso tipo ogni volta, e i luoghi sono sempre stati quei 2-3. 
Tant'è che di questo proceduralume ho amato l'episodio soltanto del peschereccio, che almeno era nuovo. E che peraltro mi ha aperto tutto un mondo su Dallas Howard Buyers Club che non immaginavo. 
Ma se alla fine ho amato gli ultimi 3 episodi della Stagione 2, per una simmetria tutt'altro che casuale, è stato perché... bastavano quelli.
Sì, Ahsoka. Fighissima, uao. Rinascita della Dawson. Trucco della madonna. 
Puccettino e Valker coppia dell'anno. Chi lo nega. 
Orde di ultratrentenni che stravedono per un pupazzetto cucciolino. La vittoria della major.
Il tema indovinato in pieno (ma Williams? Non ti vergogni?).
Ma la ciccia? Non per fare l'antipatico social, ma tutto questo rinviare a cartoni animati e romanzetti non si discosta molto dallo strizzare l'occhio di abramsiana memoria. 
E' vero, questa FOOOORSE è la volta buona che mi convinco a sciropparmi i milioni di puntate del Filoniverse. Ma l'ho già detto altre volte e non ho mantenuto la promessa. 
E Padron Liuk? Perché, alla fine, SI RITORNA SEMPRE LI' (e sempre alla magia dell'eterna giovinezza)? In cuor mio ho una risposta che non mi piacerà: e se non ci fosse altro da aggiungere?
Ma vediamo se con Boba Fett compiono un'altra magia. In parte lo hanno fatto, con quel temino adorabile. 
p.s.: meno male che tolgono la Carano. Peraltro la ricordavo più fregna. 
p.p.s.: Ming-Na Wen c'ha quasi 60 anni. 

Nota del curandero: sì, è una serie tv. 

(2021)


AAVV: Star Wars. The Book of Boba Fett

Spin-off di Mandalorian. Il format è tra più idioti o tra i più geniali di sempre, diciamo che è tra i più assurdi. Quattro puntate secondo copione, una quinta presa di netto da Mandalorian, e due di cross-over. Quella che resta più impressa è la quinta, il ché è indicativo. Come è indicativo che, anche in questa occasione, finiamo di nuovo a PADRON LIUC. Alla fine, di Boba Fett e del suo cast da sit-com camorrista non ce ne fotte nulla, ed è un peccato, perché comunque i flashback indie in cui il glorioso cattivo dei gloriosi film diventa un bonario pacioccone sono simpatici, soprattutto per - di nuovo, ancora - il tema musicale (ormai sanno fare solo questo). Ma come può questo competere con Baby Yoda e Andrea Mete?  

(2022)


AAVV: Star Wars: The Mandalorian S3

Stagione da considerare a parte rispetto alle prime due. E già questa compartimentazione è fastidiosa. 
Ma paradossalmente il limite di questa terza miniserie è quella di essere fin troppo poco compartimentata, cioè l'essere tutta un rimando a cartoni animati e romanzi riservati a pochi iniziati. 
Di per sé, non è altro che una sequela di chiacchiere e di andirivieni negli stessi due-tre posti, tutte finalizzate al consueto scontro finale col villain tornato per morire (fino a che non si cambierà idea, i cloni servono a questo), con in mezzo una puntata-riempitivo folkloristica. Tutto sommato, il format delle stagioni precedenti. 
Ma decisamente qui è mancata la ciccia. Ci siamo sempre lamentati di come tutti i prodotti starwarsiani recenti siano finiti immancabilmente nella comfort zone di Padron Liuc e della sua misticanza, ed era una lamentela in prospettiva: cioè, temevamo che usciti da quel perimetro di sicurezza, non ci sarebbe stato qualcosa all'altezza a rimpiazzarlo. Tra Andor e questa reunion dei Mandaloriani, non ci sembra di avere avuto tanto torto.
Seppure non abbiamo avuto ancora l'ardire di seguirle, ci risulta che le serie animate non siano un mero collage di sparatorie e di chiacchiere militaresche: la mitologia filosofico-esoterica dovrebbe esservi sviscerata. E allora perché nel live action ancora si tituba, su questo aspetto? Si teme la deriva fantasy? Perché dovevano immaginarlo che, a noi pubblico generalista, di Bo-Katan e dei suoi compari ce ne sarebbe calato sino a un certo punto.
Comunque il meraviglioso temino della serie c'è (non quanto vorremmo, ma c'è), il rimpiazzo di Pascal (cioè Mete) e la marionetta sono ormai classici della serialità televisiva a cui vogliamo un mando di bene, i comprimari regular sono amichevoli, Jack Black e Christopher Lloyd li abbiamo avuti (Lizzo non sapevamo chi fosse, ma ha un bel faccino), scenari e regie sono state sempre di buon livello. Per cui il compitino merita l'ampia sufficienza.
Ma secondo noi è meglio chiuderla qui, con questo format.

(2023)



AAVV: Star Wars. Obi-Wan Kenobi

Serial che fa da trait d'union tra lo SW "originario" e quello adottato da Disney Senza Walt: è una specie di Rogue One, laddove però quello si connetteva esplicitamente al classicume solo alla fine, mentre qui è tutto apprecchiato fin dall'inizio. È un ulteriore step evolutivo, nonché, da un certo punto di vista, la prima vera manifestazione dell'universo espanso su celluloide digitale, con tanto di primo cast filmico che si presta a spinoffare di persona personalmente (e quindi Tarkin resuscitato non lo contiamo, ma nemmeno Boba Fett, che nei film era poco più di una comparsa). E, dunque, se Rogue One era una palla per due ore, ma si esaltava nei minuti conclusivi, qui le ore pesantucce sono quasi quattro, ma in compenso sono quasi due quelle buone. Solo che, come già accaduto per il Mandaloriano (dal quale è pure copiato lo schema della baby spalla), a salvarsi sono l'inizio e la fine, mentre di quel che dovrebbe costituire la polpa resta giusto un po' di succo con coloranti (le iscrizioni, le tombe dei Jedi), spremuto su azione insipida, andirivieni riempitivi e personaggi petulanti (non la bambina). [No, a nostro avviso in questo brand non ha senso criticare i buchi di sceneggiatura e le facilonate, altrimenti dopo Episodio IV avremmo dovuto buttare tutto nel cesso.] 
Nelle due ore buone c'è invece esattamente quel fanservice ruffiano che solo Disney sa curare così amorevolmente, con le interazioni del cast storico che volevamo e una seconda bambolina (dopo Yoda) da tenere sempre in braccio e a cui schiacciare il nasino tutto il giorno o sgridare quando fa la birbante. Ma, soprattutto, c'è un'ultima mezz'ora bellissima e coinvolgente, con lo scontro non finale e l'addio mondi: guarda caso, quella più prettamente starwarsiana e meno adottiva. Certo, tirando le somme, siamo ancora, inesorabilmente, inestricabilmente, impietosamente ed inevitabilmente fermi a Padron Liuc, a Tatooine e ai soliti punti fermi, e ora pure con Ward come nemesi di Prando (il doppiaggio definitivo, sebbene Ward con Vader c'azzecchi poco). Ma, insomma, se altre cose proprio non le si sanno fare, tanto vale rifare sempre le solite, se fatte bene. Ma solo se fatte bene. E viva la Holt.

(2022)



Shane Black: The Predator

Incipit in stile spielberghian-disneyano: un remake diverso dall'originale (comunque migliore).
Poi arrivano i matti, e Olivia Munn, che fa la troietta, e c'è una scena volgare totalmente fuori contesto; anche se, bisogna ammetterlo, "leccati la fica" è proprio una cosa che si potrebbe dire a Olivia Munn.
Il target a questo punto è cambiato, anche i ragazzini diventano stronzi (non cattivi alla Stephen King, che è diverso) e il film passa ad essere un action spaccone contemporaneo, che peraltro pian piano si annacqua in scene dalla regia confusa e già vista.
O almeno credo. Ad un certo punto ho perso interesse e mi sono ritrovato a pensare a ciò a cui la mia mente pensa quando si riposa, cioè alle cronologie Bonelli. 
Nell'ultima scena mi sono ridestato e mi sono chiesto: "ma Olivia Munn? Si è leccata la fica? Neanche ce l'ha fatta vedere, 'sta troietta". 

(2020)


Kristoffer Nyholm: The Vanishing - Il mistero del faro

Mah, speravo fosse come The lighthouse (che non ho visto), invece mi sono annoiato. 
Alla fine potevano andarsene quando volevano!

(2020)


Christian Rivers: Macchine mortali

Primi minuti notevolissimi, potenti. Tutta la prima metà del film è davvero figa, come Hera Hilmar. Non conoscevo minimamente questa ennesima saga iang edalt e questa idea delle città semoventi cannibali nel futuro prossimo mi ha travolto come un harakiri arabo (harabiri?).
La seconda metà del film è la solita saga iang edalt e ho cominciato a pensare ad altro.
Facendo la media, direi buono.

(2019)



Rob Letterman: Pokémon. Detective Pikachu

A parte i versi stranianti e il Gengar/Slimer (ma perché?), un ennesimo piccolo capolavoro di questo brand. Nella scena di Cubone e nell'arrivo in città c'è tutta la magia di questo mondo meraviglioso, la utopia più bella di tutte. Certo, la storia in sé non è nulla di nuovo, ed è piena di strizzate d'occhi, ma si gioca comunque delle carte intelligenti (il dare un senso al pokemon parlante), e, ad esempio, nella sequenza dei Torterroni, ti sbatte in faccia tutto il sense of wonder tipico degli oav. Chi scrive rimase sbalordito dal primo film d'animazione - visto al cinema per avere la carta omaggio - e tuttora rammenta quell'atmosfera allucinante della piattaforma sul mare in tempesta come una delle cose più lovecraftiane e avventurose di sempre. Qui siamo in città, tutto si svolge in ambienti più americani e vicini a casa, ma devo dire che un pizzico della magia provata vent'anni fa si è riverberata sui miei occhioni lucidi (e, comunque, il Ditto pazzo è orrorifico a dir poco). Mi duole sapere che sia stato un flop e che non sia diventata una nuova serie.

(2021)



Malcolm D. Lee: Space Jam. A new legend

Chiariamo una cosa. Peraltro lo lascia sottintendere La Tana del Sollazzo quando ci ricorda cos'erano i Looney Toones nei '90. Il primo film non era affatto brutto né stupido, anzi era uno zeitgeist bello pieno. Questo secondo film non lo è: è già roba vecchia, sorpassata... i videogiuochi demonizzati, sul serio? Nel 2021? Certo, io sono un vecchione, e francamente ho trovato questa partita davvero bruttina, così come il "serververso" abbastanza triste. Molto buona invece l'animazione a scritture miste e, essendo un vecchione, confesso che la scena di Michael Jordan - che bramavo da sempre, o almeno da quando è spuntato questo tizio - mi è sufficiente per farmi piacere il film. Ma certo i LT mi sembrano davvero andati, ormai.

(2021)


Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle (trailer)

Quando esce l'acscion figar di lei? 

Per il resto, passino Black e Rock; il resto sembra tutto sbagliato. 
Ma io posso vedere i rinoceronti al computer nel 2017?

(2017)

Jake Kasdan: Jumanji. Welcome to the jungle

E invece non era tanto sbagliato, eccetto le terrificanti gag gender per neonati.
Quando la scatola decide di diventare videogiuoco è molto figo.

(2018)


J.A. Bayona: Jurassic World. Il regno distrutto

Qualche anno dopo, del primo film mi sono rimaste solo le palle che rotolano. In compenso, amo ancora di più la vecchia trilogia.

Ma questo secondo l'ho trovato simpaticamente caruccio, e i motivi sono scontatissimi:
- è letteralmente copiato dai primi due vecchi;
- finalmente porta il brand nell'unica direzione possibile, dove avrebbe dovuto andare già nel precedente.

Vediamo come sarà il terzo/sesto, ma spero sia l'ultimo.

Non ho capito perché il personaggio di Pratt è scazzatissimo.
Ah, e la bambina-clone. Di chi? Del dinosauro? Rettilian Park?
Della Chaplin non mi fotte nulla, poraccia.

(2019)


Colin Trevorrow: Jurassic World. Il Dominio

E finalmente ci siamo arrivati. Che fatica. Eppure era così ovvio, no?, che un nuovo film di questo brand, realizzato dopo il 2010, avrebbe dovuto mostrare i dinosauri liberi pel mondo, e il vecchio cast confrontarsi con questo scenario mutato. E invece no, prima bisognava fare il remake, poi il remake del seguito... e arrivare sfiancati alla svolta decisiva. 
Ma per fortuna adesso abbiamo questo capolavoro... giusto? Sbagliato. Abbiamo invece un film che per un'ora e passa ci mostra i soliti quattro dinosauri divenuti famosi nel '93, senza approfondire quasi nulla del nuovo ecosistema (c'è solo l'immancabile riassunto al telegiornale), e che, ad un certo punto, vira pure sull'action spionistico, costringendo Neill e Dern a girare per il laboratorio dello scienziato pazzo con gli scafandri (sigh). Il tutto condito con dialoghi che definirli tali è già fare loro un complimento (con un tripudio di "What?/Cosa?" smorfiosi che si presume dovrebbero farci ridere). Si potrebbe considerare positivo il non aver abbandonato la demenziale idea della piccola clone e averla, anzi, resa la vera protagonista del film... senonché l'idea continua ad apparirci abbastanza triste. 
Superata la metà, il film abbandona le velleità modernistiche e si rituffa nella fuga del gruppone dai dinosauri malvagi, e qui, finalmente, riesce a creare un minimo di coinvolgimento, dato che si prende anche il lusso di mostrare due dinosauri nuovi, il Quezzarcuato (sicuramente un omaggio allo scomparso Piero Angela) e quello piumato. C'è anche spazio per l'abbondante (dapprima gradito, poi ridondante) ritorno del dinosaurino che sbranò il ciccione del Capolavoro di Spielberg. Quel poco di empatia che si era creata viene però buttata nello sbrigativo finale, che di definitivo non ha nulla: ormai i dinosauri lì sono e lì restano. Certo, la vera minaccia del film non sono loro, ma le locuste ogm: però, francamente, dai... davvero ve ne fregava qualcosa delle locuste?
Gli attori, al netto dei risibili copioni che sono costretti a leggere, sono abbastanza in parte, anche se il personaggio di Pratt persiste ad avere le palle girate (forse per via delle altre volte); e, ovviamente, alle vecchie glorie hanno dovuto rovinare le vite per avere la scusa di ricongiungerli nuovamente. Scopriamo, anche, che la presenza dell'asiatico fin dal primo JW non era casuale, dato che qui colui che, di fatto, è il vero creatore del franchise, viene totalmente riabilitato e reso coprotagonista. 
Il film delude pure sul piano visivo, con una regia complessivamente piatta e televisiva, e con effetti speciali che a volte sono meno che normali: ad esempio, quando i Raptor "schizzano via" con l'avanti veloce. Boh. 
Quasi dieci anni fa (gulp!) ci eravamo approcciati tutt'altro che ostili al rilancio di un universo che avrebbe potuto avere qualcosa da dire, se sviscerato a dovere. Oggi, tuttavia, anche basta, grazie.    

(2023)



Gareth Edwards: Godzilla 

Piaciuto ma annoiato. Alcune belle inquadrature, vago rispetto per l'originale; ma gli attori famosi durano poco e tutto è terribilmente ovvio. Se chi lo ha scritto fosse stato un genio lo avrebbe ambientato tutto nel 1999 e lo avrebbe fuso con quello del 1998. Binoche e Reno in fondo si conoscono (Jet Leg è del 2002, ma ero convinto fosse del 1995 perché l'avevo confuso con French Kiss: ma il problema sarebbe stato facilmente risolvibile mettendo Kline al posto di Cranston). 

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 

Piaciuto e divertito. Varie belle inquadrature, vago rispetto per l'originale, gli attori famosi durano molto (adorabile l'inutilità di Hiddleston), tutto è terribilmente ovvio ma allo stesso tempo diverso. Il regista, vivaddio, ha lo stesso approccio di McFarlane nel Milione di modi per morire nel West (ma senza la merda): è un bambino che gioca con i suoi pupazzetti mettendoci tutto quello che gli piace. Tanta isola, tanta natura selvaggia, tanto giorno: c'ho visto molto Jurassic Park. E la furbata del vintage funziona.

Jordan Vogt-Roberts: Kong. Skull Island 2° versione

Con una certa sorpresa (tre cose odio nei film: gli escrementi, i mafiosi simpatici e i mostri in digitale che ruggiscono), confesso che mi è piaciuto. Gradevole intrattenimento estivo (perché è uscito in inverno? boh). 
Hiddleston non fa una mazza :D , Larson mostra le bocce (ma Karen Gillan di Jumanji 2 non si batte), Jackson è stereotipatissimo, Goodman inutile, gli altri boh, solo Reilly gigiona. Però (come nel nuovo Jumanji) sono tutti delle action figures già pronte. Venticinque anni fa avrei già trovato i pupazzi Mattel nei negozi. E' una cosa che valuto positivamente (mica faccio il critico).

Location selvagge dall'inizio alla fine, la collocazione vintage azzeccata, un po' di mystero, un sacco di avventura pura e un regista che gioca con i pupazzetti mischiando riferimenti pop per associazione d'idee (esattamente come facevo io) e spesso mette in piedi belle inquadrature che invogliano a giocare con lui.

Un film di King Kong che non solo non mi ha abbioccato, ma mi ha pure divertito. Me lo segno.

(2017)


Michael Dougherty: Godzilla II. King of the monsters 

Annoiato più del primo. Sì, è un film di mostri; sì, i mostri sono fatti al computer ma sembrano proprio animali preistorici; sì, i mostri se le danno di santa ragione, come doveva essere; sì, l'ultima scena è proprio quella che aspettavamo fin dal titolo. Sì, pure la mitologia ha un suo fascino, perché no.
Ma purtroppo gli umani sono terribili, i soliti standard characters americani, Vera Farmiga è nel ruolo peggiore della sua carriera (più della tossica metallara), la ragazzina è una cosa strana, insopportabile, il padre è un essere inutile, il giapponese muore pur di non prestarsi più a tutto questo, ed è sempre buio, così non si capisce niente.
King Kong è più volte menzionato, ma mai per nome, metti che il team-up non si fa più.

(2021)


Adam Wingard: Godzilla vs Kong

Lo volevamo? Eccolo. Ma forse lo volevamo di più dieci anni fa. Si è fatto attendere troppo. Lo si vede già dal cast: dove sono i grandi nomi di Skull Island? Vabbè, quello era un flashback, ma si è capito cosa intendiamo. E allora diciamo che le due, di numero, scazzottatone tra i due sono state anche abbastanza gradevoli; senza sorprese, ovviamente Gogira batte Chincon che batte, con l'aiuto del rivale, MeciaGozzilla. E diciamo che abbiamo apprezzato l'aver spostato l'asse più verso Kong che verso il rettile (questi il sicuel l'aveva già avuto), e quindi aver visto la Terra Cava con tutti i mostriciattoli annessi, e il gorillone buonone che parla a gesti come in Congo. Ma insomma, a parte questo poco altro. Una regia che prova pure ad avere qualche guizzo  anninovantesco, ma poi deve comunque sottostare alla legge della compiuter graffica e delle scene in notturna per coprire i bug (ma anche qui s'è visto di peggio, diamogliene atto). Fortunatamente, per compensare l'eccessiva lunghezza dei minutaggi, oggi i copioni prevedono per contratto vari momenti piatti in cui potersi appisolare. Qui l'ampio uso di personaggi umani stereotipati contribuisce al raggiungimento del risultato.

(2023)



Denis Villeneuve: Dune

Verstappen campione del mondo: in questo strambo 2021 (che per me è il 2022) doveva succedere anche questo. Finalmente Gilles imbrocca un film. Stappèm le campagne! Dopo l'anonimo Prisoners, il soporifero Sicario (capace di farmi dormire anche col suo prequel italiano), il mediocerrimo Arrival e l'inutile Coso 2049, nemmeno la Salernitana avrebbe potuto sbagliare anche questo, e infatti non l'ha sbagliato. O, almeno, così ci piace pensare, dato che il romanzo di Herbert non ci ha mai entusiasmato (per noi Herbert è quello che confondiamo sempre con Hubbard)... ma non solo: è proprio questo tipo di "fantasyenza" a non attrarci, con la sola eccezione di Guerre Stellari, che ne era quasi la parodia (e probabilmente per questo motivo). Eppure, nonostante questo film sia un inno a tagliuzzarsi col rasoio, e nonostante anche qui il sonno abbia avuto la meglio sul discernimento degli ultimi accadimenti, in certe sequenze (perlopiù panoramiche, ma non solo) abbiamo rintracciato la grandeur che avremmo voluto trovare, per un curioso paradosso nerdistico, nella terza trilogia guerrestellaresca, dove faceva capolino solo un paio di volte, di sfuggita. Ma perché da una parodia dovremmo pretendere l'epica di un polpettone prussiano? Ma che ne so, se si chiama "space opera" e non "space vaudeville" ci sarà un motivo. Dicevamo del romanzo (ignoriamo volutamente seguiti e Lynch): non lo abbiamo mai letto perché così è andata la vita, però ne conosciamo a grandi linee l'intreccio e i retroscena; andando a documentarci, abbiamo scoperto che anche questo film ha apportato modifiche a suo uso e consumo; parafrasando Socrate, se abbiamo detto che del romanzo non ci importava molto, non ci importerà molto nemmeno di questo. Il problema è che, ripensandoci a mente fredda, effettivamente, in queste interminabili due ore e mezza, per noi ridottesi a due ore causa abbiocco, stringi stringi, non sono accadute poi così tante cose, e alcune di queste sono accadute alquanto frettolosamente e disempaticamente (tutte le morti dei comprimari famosi, per capirci). Alla fine, cosa ci è restato di questi anni '80 ridisegnati? Belle fotografie; computer grafica fluida e amalgamata col live action (grande vittoria, questa, lo confessiamo); mezzi meccanici che sembrano veri; un vermone credibile (perché astutamente mostra solo la faccia); la fidanzata di Spiderman che si volta, come negli spot delle creme solari. Niente di imprescindibile, e, soprattutto, niente che Herbert avrebbe posto in primo piano. Comunque è un film in cui Javier Bardem fa un cameo di due minuti, quindi molto coraggioso. Ma manca qualcosa, e non è solo la seconda parte. Eppure, come direbbe Hamilton, "qualcosa è sempre meglio di niente".

(2022)


Martin Scorsese: Silence 

Sotto certi aspetti è un film d'altri tempi, da maestro: immagini bellissime e una cura per i dettagli che, da sola, sfiora il sense of wonder. Si vede il tocco del regista. Però è anche un film eccessivamente lento, con punte da palla colossale. Va bene sfidare l'ordine costituito (la moda dei film d'azione industriali), ma, se proprio devi votarti al martirio, almeno non farlo così lungo.

(2022)


David F. Sandberg: Shazam!

Ciacc Bartoschi nella sua grande occasione ci inebria di soddisfazione, senza un reale motivo, a dire il vero: non è solo lui, a rendere riuscito il suo telefilm. Una prova in palla, la sua, comunque: però sentirlo con un'altra voce ci ha un po' infastiditi. Ma il film ci è parso alquanto modesto e infantile, tant'è che, ad un certo punto, ci siamo distratti e non abbiamo più ripreso il filo, salvo ritrovarci ai titoli di coda copiati da Homecoming e ad un finto cameo postcredits che lasciava perplessi anche prima dei recenti avvenimenti. E, a parte l'anziano Honsou, abbiamo rimosso quasi tutto.

(visione: 2022; commento: 2023)


Jason Reitman: Ghostbusters: Legacy

Titolo poco convincente per un filmetto che intrattiene ruffianamente fino alla fine, con un piccolo calo nella parte-clou riproposta quasi para para dal primo film (ma anche le novità della trama erano scontate fin da subito: a me è andata bene perché ho saltato il prologo per cause di forza maggiore, ma chi lo ha visto poteva indovinare il finale dopo due minuti). Cast nuovo abbastanza in palla, mentre il confronto tra quello vecchio nella forma attuale e lo stesso nella forma dei tempi d'oro è relativamente impietoso: non perché i tre superstiti siano da buttare, ma perché i loro personaggi, da irriverenti e sbruffoni, sono divenuti anziani lamentosi. A questo punto, comunque, direi che è il caso di far morire il brand in pace, anziché tormentarne il fantasma.

(2022)


Justin Benson & Aaron Moorhead: Synchronic

Fantascienza "indie" una decina d'anni fa originale e capace di appassionarci enfaticamente. Arriva un po' in ritardo, quando il filone è stato svuotato dalle major e ci ha perso appeal, ma fa il suo, intrattenendo convintamente dall'inizio alla fine. A dire il vero, l'inizio è a forte rischio noia: ma forse levarsi subito di torno le psichedelie e la parte "urban drama" è stata la mossa giusta. La seconda metà è quella dei viaggi nel tempo: come si fa a trattare ancora questo tema facendolo sembrare nuovo? Beh, quella proposta è una soluzione. Tanti paletti, in modo da rendere i cronoviaggi delle vere esplorazioni, laddove per "vere" si intende "realistiche", cioè come le vivrebbe uno sfigato qualunque, per il quale anche svoltare l'angolo, in un'altra epoca, è avventurarsi nell'ignoto. Dieci anni fa Mackie non ci entusiasmava, ora ci piace, e quindi va bene: il finale poteva concedergli qualche minuto in più. 

(2022)


Robert Eggers: The lighthouse

Prima ora e dieci magistrale. Capolavoro, classico istantaneo. Due interpretazioni immediatamente iconiche, costumi set luci sfondi, utilizzo del b/n che dà lezioni anche a cineasti blasonati, tutto perfetto. Tecnicamente è un crescendo, ma per noi è un tempo sospeso che vorremmo non finisse. Ma appunto è un crescendo, e quindi esplode in una grottesca sequenza "porno", e da lì si discende veramente nel delirio. Una quarantina di minuti abbastanza cruda, o almeno ferale, e quindi di difficile revisione. Ma quell'ora e dieci... In fondo, molti Classici non lo sono letteralmente per intero. Sembra un film che può davvero entrare nell'elite dei sempre riguardabili.  

(2022)



Akiva Schaffer: Cip e Ciop Agenti Speciali

Il primo miracolo è che sia riuscito a vederlo. Il secondo è che è un film di produzione recente che ho già voglia di rivedere. Non c'è due senza tre: chissà. Eh sì, è Roger Rabbit 2.0, ed è complessivamente inferiore al capolavoro, eppure è un film bello e divertente. Divertimento millennial, certo, per bamboccioni, chi lo nega. Ma è divertente: il rap della balena l'ho già cultizzato. Tutto - lo sfondo "geopolitico", i camei, l'animazione - non ha la magia di Chi ha incastrato..., e quel che resta più impresso è Monty tossico. Ma è giusto così: decisamente gli anni '90 sono finiti negli anni '90. Bova&Morelli non irreprensibili, ma simpatici. Non mangio la balena, quindi per cena non darmi la balena.

(2022)


James Gunn: The Suicide Squad - Missione suicida

Sequel migliore dell'originale, ma stavolta ci voleva davvero poco. Tolto il paio di volgarità previste dai contratti, è un film abbastanza divertente pure per chi ha sempre trovato esagerata la grancassa sui Guardiani della Galassia: far ridere, oggi, è facile; è essere seri che è difficile. L'incipit prologico è studiato per catturare l'occhio, e ci riesce: sia con lo sterminio dei freaks del primo film, che, e soprattutto, col look stravagante di Rooker. I personaggi sono decisamente più azzeccati che nel film di Ayer, considerato pure che i due protagonisti di quello sono qui quasi stravolti: nel senso che questa Harley Robbie rinuncia del tutto al look che l'aveva resa iconica e segue l'andamento del canovaccio, adattandosi di volta in volta; mentre il personaggio di Elba non è quello di Smith, ma praticamente lo è, ed è più credibile qua. Ben costruiti anche i due comprimari ponzati per generare empatia, la topara narcolettica e l'uomo squalo ritardato, e guarda caso sono i due che sopravvivono. Peraltro, la delusione per la totale assenza di riferimenti a Stallone nell'edizione italiana è controbilanciata dall'irriconoscibilità della voce di Ward; ma va detto che non abbiamo riconosciuto nemmeno la Rossi, e sì che è almeno la terza volta che incontriamo il personaggio della Davis (sempre cazzutissima). Simpatico anche l'uomo a pois. Peacemaker, invece, ci è sembrato solo uno stronzo, ma lo spin-off lo hanno dato a lui. Vabbè. Nonostante la vena con pretese d'irriverenza, è comunque un film di supereroi, e dunque destinato al parziale oblio geriatrico (dai e dai, si assomigliano tutti). Ma, sul momento, le sequenze simpatiche e ben girate sono diverse: lo sterminio del campo dei rivoluzionari e l'evasione di Harley spiccano per durata e coreografia, ma ci è piaciuto anche il crearsi dell'alchimia nel gruppo, con le scenette dei topi e dello squalo. Alquanto manifesta la critica governativa, cosa che, volendo, potremmo considerare una piccola sorpresa (non che anche l'MCU non avesse dato, in questo senso, ma qui è più sbandierata). La parte finale, come l'iniziale, cerca nuovamente di catturare l'occhio, ma stavolta letteralmente, con l'introduzione di Starro. Scusateci, non potevamo non scrivere questa battuta. Scontro dall'esito scontato, anche coreograficamente, ma certo non insensato (grottesco sì). Forse facevamo il tifo per Starro. Insomma, film astutamente congegnato e che ha consegnato a Gunn le chiavi del potere: speriamo che almeno 'sta rivoluzione non diventi dittatura. 

(2023)


Lana Wachowski: Matrix Resurrections

Le recensioni dell'Anonima Cinefili e dei 400calci sono sufficientemente esaustive. Per noi il primo film è un cult per via del contesto, più che per l'opera in sé. Il secondo e il terzo ancora meno: li vedemmo addirittura al cinema, ma ce li ricordiamo più per Rat-Max. Questo quarto film ci ha procurato lo stesso identico status psicofisico degli altri tre: una cornice di gasamento, con all'interno un irresistibile abbiocco. E già questa è stata una sorpresa, ci eravamo rassegnati al solito requel piatto e triste. Invece ha sciorinato molti altri difetti, ma non quei due. Ci ha pure, qua e là, di soppiatto, infilato qualche pregio: ad esempio l'inserimento dei vecchi spezzoni lo abbiamo gradito, e pure tutta la lettura meta ci è parsa paciosamente bonelliana. Naturalmente non è mancato il repertorio delle Uacioschi donne, da Sense 8, tipo il cast di quel telefilm, i vestiti alla Malgioglio e Trinity più forte di Neo; roba che inevitabilmente non abbiamo gradito, ma che non ci ha colti impreparati. Cosa che invece ha fatto Pinketts Smith, improvvisamente decrepita. Insomma, questo film, che, nel complesso, ci è sembrato più "vero seguito del primo" rispetto ai secondo e terzo, è riuscito persino a spiegarci, dopo quasi venti anni, l'inintellegibile bambina indiana, rompicapo tormentone finalmente archiviabile.

(2022)


Matt Reeves: The Batman

Inizia maluccio, con un monologo soporifero e un'impressione generale di poverata. Pian piano, si riscatta e si arriva a comprendere l'intento degli autori, ovvero riprendere Detective Comics: una buona trovata, che differenzia questo dagli altri diecimila film sul personaggio. Non diventa mai un film particolarmente eccellente, con sequenze o battute memorabili, ma un intreccio giallo-noir-thriller (cioè mistery) è sempre la chiave giusta per tenere desta l'attenzione (lo diceva anche Sclavi: "dev'esserci sempre un mistero da risolvere"). Questo - possiamo dire: quasi a sorpresa - riesce finché... il mistero non viene svelato. A quel punto il film è finito, ma gli autori debbono per forza attribuire all'Enigmista un piano "alla Bane di Nolan". Risultato: un ulteriore mezz'oretta, o più, ridondante ed inutile, che conduce ad un finale capace di dare un senso etico a questo ennesimo Batman, ma comunque abbastanza piatto da vedere o ascoltare. Il cast è - sorprendentemente, lo ribadiamo - abbastanza azzeccato, compreso Gordonero, e pure Selina ha effettivamente un volto da micetta. Il protagonista, un'altra sorpresa, passa più tempo in costume che senza, al contrario dei suoi predecessori: forse perché, in borghese, non è ancora molto credibile; mascherato, però, risulta autorevole ed inquietante, come un Batman dovrebbe sempre essere. Sorprendente anche Crescentini, ormai prezzemolino, e con un timbro che teoricamente con Batman c'entra come i cavoli a merenda; e invece, vedi che la verdura fa bene? Pure la colonna sonora (o, se non altro, il tema di Giacchino), che all'inizio mette tristezza, arriva progressivamente ad avere un minimo di pathos. La chiave con cui è reinterpretato l'Enigmista non è la più originale possibile, ma anche qui, il "Fantomas" terrorista dalle mille identità è un Classico senza tempo, che mai stanca; ma assolutamente il suo "vero piano" non avrebbe dovuto essere rivelato; ora è il solito pirla. E Giocher? Diosanto, pure qua? Meno male che l'hanno tagliato. A Pinguino, invece, non avremmo abbinato Boccanera, tanto che sia Farrell non si capisce mica. Il maggiordomo, infine, è anonimo: possiamo dire "finalmente"?

(2022)


Keith Thomas: The Firestarter

Non amiamo molto la pirocinesi: quindi il romanzo di King è quello che ci interessa meno, e il film vecchio non l'abbiamo visto (ma ne amiamo moltissimo il titolo italiano). Qui il titolo è quello originale, metti che ci confondiamo, e possiamo dire di non aver visto nemmeno questo, avendone saltato dei pezzi. E allora perché ne scriviamo qui? Intanto perché c'è Zac Efron che si ostina ad avere un'età indefinita, che lo rende giovane e vecchio al contempo: è più vecchio di quando era giovane, appositamente per far sembrare vecchi anche noi; ma non è proprio vecchio, perché tutto sommato ha ancora quegli occhi glamour, però noi invece siamo indiscutibilmente vecchi, come è possibile? E questo è già un motivo. L'altro è che, nell'ultima parte, quando la pimpa si scatena, visivamente parlando il film si sforza tantissimo di non sembrare un film odierno, giocando di scuri e rossarancio, e soprattutto tenendo ininterrottamente un ipnotico temino in stile anni '80, che non sappiamo se sia lo stesso del film vecchio (non avendolo visto, vedi sopra). 

(2023)


Paolo Virzì: Siccità

Film italiano contemporaneo con un tocco di fantascienza sociale, che già da solo vale una visione. Il Tevere prosciugato fa il suo effetto (speciale), ed è bella la sequenza in cui si scopre che dall'alveo è emerso il Colosso romanico. Invece gli effetti del razionamento dell'acqua fanno più da sfondo sotteso, anche se le file alle cisterne e i bacarozzi li vediamo più volte, e non manca il tormentone dell'acqua della Valtellina, mentre la scena al supermercato è soltanto una e breve. Infatti, il film preferisce concentrarsi più sulle storie dei personaggi, ricordandoci che si tratta comunque di un film italiano contemporaneo. Ma, pur essendo contemporaneo, sembra rifarsi alla gloriosa "commedia all'italiana" degli anni 1970 (che non faceva ridere di gusto, ma empatizzare nel disgusto), pure nella sua coralità di caratteristi: i personaggi di Tortora, Orlando e Mastandrea, in particolare, sembrano provenire proprio da quel tipo di cinematografia. Poco sfruttato quello della Pandolfi, invece; fin troppo quelli della Fanelli e del bodyguard; poco incisivi lo scienziato vip e la diva.

(2023)


SKY Atlantic: 1992/1993/1994

Serial italiano all'americana, dai risultati migliori di quanto lascerebbe pensare un'occhiata superficiale. Certo, l'approccio è americano: quindi spettacolarizzazione degli eventi storici, nudità (ma è Miriam Leone, mica chiudiamo gli occhi), alcuni personaggi riadattati (Di Pietro fighissimo, non sembra tanto quello vero), altri erano già macchiette dal vivo (S.B. su tutti).  
La prima stagione è su Tangentopoli e la crisi delle ideologie, la seconda sulla nascita di FI, la terza si concentra sul primo governo B. La prima, tirando in ballo i partiti storici, è un pelo più assortita. I protagonisti - di fantasia - sono tre: Accorsi, Leone e Caprino; il primo ha una rilevanza lievemente maggiore; il nostro favorito è il terzo: abbiamo impiegato più di una stagione a renderci conto che si trattava del Commissario Manara, ma dopo averlo riconosciuto è stato una sorpresa continua. Il personaggio di Accorsi rappresenta quel tipo umano che detestiamo da quando portavamo i calzoni corti, il "rancoroso con la sinistra che va a destra per dispetto". Nel suo tratteggio, comunque, ci è parso verosimile. Leone fa la zoccola che diviene vip che si dà alla politica arrivista: un personaggio quasi assurdo, eppure ispirato ad alcuni realmente esistenti. Il leghista di Caprino si presenta fin da subito con qualche connotato un po' eccessivo, tipo che era un militare del Golfo, ha il padre ludopatico, poi si rigira tutti i Big del partito a suo piacimento (ed in questa semi-finzione è lui quello del cappio in Parlamento), e in generale, sia lui che Accorsi vanno in galera e commettono omicidio. Ma diciamo che le spettacolarizzazioni servono ad esemplificare alcuni concetti altrimenti difficili da rappresentare, su tutti le origini "oneste" ("disciamo", cit.) dei personaggi e della rabbia contro la partitocrazia. Col passare delle puntate, naturalmente, sul trio protagonista si intreccia tutta una telenovela nazional-popolare che giunge ad un suo compimento irreversibilmente novellistico. Ma ciò che a noialtri attrae l'occhio è l'inconsueto - per la produzione italiana - sciorinare di nomi ed eventi storici, con un parterre vastissimo di camei e partecipazioni (anche di attori celebri), ed è evidente come, oltre ai personaggi di fantasia, siano da considerare semi-protagonisti Di Pietro e S.B., il primo più nelle prime due stagioni, il secondo nelle ultime due (nella prima è solo una minaccia incombente). In particolare, un S.B. così, in una fiction italiana, non lo avevamo mai visto (e grazie tante, a parte Il caimano e Loro è stato sempre tutelato). E questo nonostante il cambio di attore tra seconda e terza stagione, che non ha tolto nulla ad una mimesi che ci è parsa sempre riuscita. Un certo ruolo è dato anche a Bossi e Maroni (bravi gli attori, soprattutto il secondo), mentre al D'Alema di Marchioni bastano le due sequenze in cui appare per rubare la scena (notevole il "caruccio"). Buffi i camei di Melandri Finocchiaro Prestigiacomo e Mussolini che fanno una legge social warrior insieme. La seconda cosa che colpisce, visto il Paese in cui viviamo, è che si parla proprio del centrodestra, sviscerato senza troppe censure (qualche ellissi c'è, tipo i Graviano e soprattutto la P2, ma non si poteva rischiare la cancellazione), tant'è che sostanzialmente l'impressione che se ne ricava è che siano tutti delle merde, il ché avvalora le tesi che teorizziamo da trent'anni, e quindi siamo in pieno romanzo popolare consolatorio ("Il superuomo di massa"). Il centrosinistra non manca, ma è considerato quasi irrilevante. Se ne parla più per i trascorsi di Accorsi/Notte, e quindi sul tema prevale il suo punto di vista astioso, ma quando è il PdS a comparire in scena questo non appare poi così terribile. L'ultimo episodio della serie è ambientato nel 2011, nei giorni della caduta del B. IV. Uno stacco un po' tranciante, ma soprattutto un po' iettatorio, dato che simbolicamente vorrebbe rappresentare la fine di questa interminabile parentesi berlusconiana, e invece nel 2023 guarda come stiamo. 

(2023)


Andy Muschietti: The Flash

La combo "offerta a metà prezzo"/"cinema a 200 mt da casa" non solo ci ha riportati al cine, ma addirittura a vedere un film il giorno della sua uscita ufficiale nelle sale. Ora. Sapevamo bene che questo Flash hipster del cocainomane Miller fosse la macchietta della Giastis Lìg, se non altro perché così era stato presentato nelle sue precedenti apparizioni nello Snyderverse. Ma scoprire che almeno metà del kolossal ad egli dedicato sarebbe stato ai livelli di Strafumati ha interdetto perfino gente abituata a sciropparsi obtorto collo l'intera filmografia di Boldi e affini. Fortunatamente, avendo raggiunto da tempo l'apache dei sensi (siamo costantemente sul sentiero di guerra, nonostante la lotta impari), e soverchiati da una quantità multiversale di soprusi ed umiliazioni, vedere un supereroe fare il clown e dire battutacce adolescenziali dinanzi alle star di hollywood a fine carriera, non solo non ci disgusta più, ma sembra quasi sollecitare i nostri intinti più grassi (=solleticare, istinti, bassi). In fondo, è ciò che l'EmmeCiU fa da diverso tempo. Peraltro, abituati alle farse della serie tv, che però si prendeva sul serio (l'Arrowverse, fascinoso nel suo complesso, ma alla lunga insostenibile in termini procedurali), non possiamo certo definirci inorriditi dall'aver visto scenette demenziali come i balletti dei neonati e dei cani precipitanti o dal Barry-2 strafatto (in tutto il resto del film). Addirittura, in poche, certosine occasioni, ne abbiamo sorriso sotto i baffi. In fondo, se ai tempi di American Pie potevamo ancora credere che il livello intellettuale degli statunitensi non fosse effettivamente quello, oggi la fede incerta si è incarnata in dato di fatto. Gli americani sono questi: stiamoci. Almeno per loro il caimano è ancora un puttaniere. 
Miller, facendo leva sulle sue esperienze, giostra alla grande le due versioni (entrambe asperger) di sé stesso, soprattutto quella più sboccata, che con evidenza gli è più naturale. Ma quando c'è da recitare la parte del serio e compito giovanotto, non si tira indietro (forse presagendo che non avrà altre occasioni). Il resto del cast del personaggio-mondo è ridotto ai minimi termini: il padre che è un altro attore, ma non per colpa del multiverso; la madre, ispanica senza un motivo, Maribel Verdu senza un motivo, una Verdu anoressica e rugosa senza un motivo; Iris West, che per differenziarsi dal telefilm è di un colore meno carico. Tutto il resto è metacinema. Si comincia, ovviamente, con lo Snyderverse (Jeremy Irons con Ben Affleck che, in pochi minuti, riesce a fare sia il mentore che il Batman, dato che addirittura lo vediamo in azione; e poi Gadot e Momoa, quest'ultimo dopo i crediti perché inseguito da Vin Diesel). Si passa, dunque, ad un altro universo, quello di Eric Stoltz e di Temuera Morrison sposato con la moglie di Andy Capp. Che però è l'universo del Batman di Tim Burton: e quindi vai di set Lego (villa, caverna, soundtrack). Decisamente la parte migliore, quella in cui personaggi di un film si muovono negli ambienti di un altro film. Le ripetute e ossessive citazioni di Ritorno al Futuro non appaiono casuali: sembra proprio di rivederci, infanti, giuocare alle contaminazioni metanarrative, come ai gloriosi tempi in cui ci sparafleshavamo quella trilogia in loop e ne ideavamo improbabili e disinibiti remake con i pupazzetti e i fumetti. Keaton, nonostante la cialtronesca (ri)entrée, si riappropria rapidamente del ruolo, e lo tiene saldamente fino alla fine. Anche quando è costretto ad uscire dalla comfort zone e ad addentrarsi in questioni che poca attinenza hanno coi suoi trascorsi (Supergirl e il polo, Zod e la battagliona in cgi). La stessa Supergirl, pur meno graziosetta pucci pucci della Benoist, ha delle curve che attirano l'occhio (è il suo scopo, infatti fa poco altro). La battagliona, coerentemente con i precedenti storici, non è affatto interessante, e infatti il fulcro del film è un altro. No, non "Flashpoint": è una bella storia, ma l'abbiamo già vista tante volte. No, ovviamente ci riferiamo ai multiversi che si incontrano, e forse fondono (Muschietti ha detto che i mischietti sono voluti): ecco Superman di Donner e Reeve, e la Supergirl di Slater; ecco Superman di Nicolas Cage, leggenda urbana che prende finalmente vita; ecco Superman degli anni 1950, Batman di West, e un Flash in stile anni 1940 che ci dicono essere quello che faceva il pazzone nel telefilm di cui sopra (mah). Purtroppo, il tutto è in una computer grafica scadentuccia, da videogiuoco datato. Il parterro di re è pure incompleto: dove sono Val Kilmer, le varie gattine, Lynda Carter, i tizi dell'Arrowverse, i cartoni animati, il Flash degli anni 1990, Superman Dylan Dog e Ryan Reynolds? E Nolan? "Immagina, puoi", diceva il protagonista dell'ultimo, gustoso cameo, nel simpatico e posticcio finale. Che è come dire "Se puoi sognarlo, puoi farlo" (il motto della concorrenza). Ma forse la storia di "Flashpoint" ci insegna proprio il contrario. 

(2023)


Riccardo Chemello: Dampyr

Chiediamo scusa. Per il ritardo: quei tre giorni lì, quand'era al cine, avevamo l'agendina piena; poi, ne abbiamo subìte di tutti i colori; alla fine non ce la siamo sentita di farci vivi con tutto quel ritardo accumulato. Per gli errori: noi davvero eravamo convinti che il film fosse l'adattamento della miniserie Le Origini (#266/269); invece no, adatta proprio i #1/2, anzi, il #1 e il finale del #2 (tutta la gita a Sarajevo è saltata di netto). Peccato, ci tenevamo tanto a vedere la donna vestita da uomo. (Ok, a Tesla è stato tolto il seno, ma non è la stessa cosa). Per la prima volta, dunque, abbiamo seguito un "cinecomic" conoscendo veramente tutta la trama, seguita pedissequamente, quasi a ricalco delle vignette. Un'esperienza sostanzialmente unica, per quanto ci riguarda, dunque difficile da inquadrare razionalmente: il fascino perverso di aver visto un film tratto da un fumetto Bonelli supera largamente i numerosi difetti. Del resto, è tutto un inestricabile pastiche di ottimo e pessimo. Il cast è bellissimo, nonostante siano tutti tizi qualunque truccati da pupazzi; gli effetti speciali sono bruttini, ma lo sono anche quelli dei kolossal americani, e comunque solo all'inizio e alla fine lasciano perplessi; le scene d'azione sono incredibilmente fumettose e gradevoli, e la furbata di sfruttare per ogni sequenza la musichetta ad hoc denota sagacia. (Non è bello ciò che piace, ma chemello, chemello, chemello.) Non mancano gli inevitabili tradimenti, su tutti Gorka che diventa Voldemort/Darth Sidious/Alberto Sordi col cappuccio e impone le mano, ma dai, alla fine è simpatico pure lui (con l'aggiunta metanarrativa: siccome è Pino Insegno, è SBE vs TeleMeloni). Ciò che ci ha più colpiti e straniti è la durata delle sequenze: tutte molto brevi, praticamente il film è un collage di stacchi. Una scelta opinabile o la più giusta visto il budget limitato? Francamente, ogni tanto ci è parso che mancasse qualche battuta tra uno scazzo e l'altro dei protagonisti (tagliuzzi nel montaggio?). Ah, peraltro per un'ora abbondante il film poggia su Kurjak, con la sua capigliatura disegnata e questo attore indovinatissimo che si è studiato le pose di Majo a memorja: complimentj. E' lui il vero eroe: quando sposta la sedia alzandola e non trascinandola, abbiamo emesso un gridolino. E la voce di Pucci? Ce la siamo sempre sognata diversa (sbagliando, evidentemente). Azzeccato anche il look di Tesla (sebbene nel fumetto appaia inizialmente nuda, qui ha il top), mentre il poveraccio costretto a fare Harlan deve farsi tutto il film coi ciuffi negli occhi; ma cosa gli possiamo dire? Noi lo abbiamo sempre infantilmente associato a Ralph Fiennes e a Pedicini, invece qui è un emo con la voce di Dean Winchester, un po' sfigato, ci mette un pochino ma diventa simpatico. E Yuri, Laszlo e il tricheco? Sono uguali al fumetto (forse il legionario è diverso). E Draka e le zie? C'è anche la loro partecipazione, sì. Esilarante la scena post credit. E ancora: il simbolo di Atlantide a Sarajevo (ma perché? Boh, perché no?), il libro coi disegni che sembrano di Dotti o Andreucci (ma è Nergal l'ultimo? E' diverso). Insomma, se vivessimo in un posto normale avremmo la voglia di rivederci subito daccapo questa roba kitsch e naif e radical e chic, pur sapendo... anzi, proprio sapendo che non avrà mai un seguito, e resterà un improbabile ed irripetibile unicum. "Mauro Boselli e Regione Lazio presentano". Ma quando ci ricapita. 

(2024)



James Mangold: Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Film non necessario, ma quale lo è? Almeno, se Il Regno del Teschio di Cristallo uscì in un momento in cui a nessuno poteva calare di un brand così vetusto e vintage - non quando si veniva da originali trilogie nuove fiammanti e si ammirava l'alba della saga del secolo - , quest'altro esce in piena era di bulimia da sequel e remake, in cui non avere uno straccio di idea è motivo di vanto e spremere i primi nerd è l'unica soluzione escogitata dal capitalismo cinefilo. E allora, cosa c'è di meglio, nel '23, di un film in cui Indy è vecchio e stanco e vuole morire in santa pace con i suoi interessi di nicchia? Diamine, siamo noi. Sì, un tempo avremmo detto che a rappresentare lo spettatore è il personaggio della Phoebe-eccetera, Vombato aka zia Sfrizza, ma guardiamoci in faccia: noi oggi siamo l'anziano malaticcio e svogliato, non la tipa sbarazzina che vuole ancora divertirsi. Si dice che questo sarà l'ultimo film con Indiana Jones: lo speriamo ardentemente, sebbene siamo consci che non sarà così. 
Eppure, dopo aver ammirato estasiati quella mezz'ora di flashback degli anni '30, ci chiediamo per quale motivo non insistere ancora di più con questa tecnologia del ringiovanimento, e fare un film intero in questo modo? Assomiglierebbe a un videogiuoco? Beh, ma i videogiuochi di IJ sono costruiti come dei veri film, e non sfigurano più di tanto dinanzi ai loro compari cinematografici. Ricordiamoci di Cushing. In fondo, il passaggio di consegne dai creatori della serie lo avevamo avuto con i suddetti videogiuochi, adesso è proprio ufficiale: la regia di Mangold sembra quasi realizzata sotto dettatura del buon Steve, non c'è proprio nulla di differente dagli episodi più gloriosi del brand. Si è pure ridotta, di molto, l'unica grave pecca del Teschio: il minutaggio del più becero green screen, abnorme in quel film (a quei tempi si pensava che lo stile di Capitan Cielo e il Mondo di Domani fosse una genialata), qui impiegato solo in un paio di panoramiche scadenti, ma riempitive. Il treno elegante, il magazzino, la parata, persino la Sicilia macchiettistica (con tanto di Margiotta senza Olcese) e le assurdità sotto la grotta sono momenti di genuino IJ (come ai tempi lo furono il frigo, il balletto sulle jeep e gli alieni non alieni). Lo stesso dicasi dei personaggi: di come sono costruiti e vestiti, di come parlano e di come interagiscono. E quindi pure gli sceneggiatori, volendo, si possono trovare. Ma avrebbe senso proseguire oltre? In fondo, l'unico grande mistero rimasto irrisolto è: cosa vuole la gente? Ora lo sappiamo: quello che vuole Indy. L'amore? No, la morte. Non siamo del tutto convinti che il lieto fine fosse necessario, ma d'altro canto non avrebbe avuto senso scegliere proprio quel momento storico e quel luogo geografico per far crepare un personaggio così potente. A nostro parere sarebbe stato più divertente che la breccia conducesse ai giorni nostri, e che Indy vedesse il suo futuro, cioè il nostro schifo di presente. Magari con Evans a salutarlo. Che brividi. ... Paura, eh? Stavamo scherzando, giù i randelli. Alziamo gli occhi, sbuffiamo e prepariamoci allo spin-off con Aunt Wombat/Zanardi, sperando che non finisca come lo spin-off di National Treasure. E speriamo che a Harry diano il fottuto Oscar alla Carriera prima che muoia.

(2024)


Denis Villeneuve: Dune. Parte Due

La parte dune di Due! Non potevamo non scriverlo. Abbiamo già detto che il romanzo, pur rispettandone il successo, non è tra i nostri favoriti. E abbiamo già detto che Cittànuova non è il nostro regista preferito, e che pensiamo sia pure sopravvalutato. Ma abbiamo già detto anche che, tutto sommato, Duno Parte Une non era obiettivamente brutto, nonostante i suoi limiti. Ecco, abbiamo già detto tutto, e per questa seconda puntata non c'è altro da aggiungere. I 400 Calci hanno abbondantemente spiegato la situazione. Cosa ci ha spinto a tornare a guardare un film dopo quasi un anno? Ci si era rotto il cellulare. E cosa ci ha spinto a scegliere proprio questo? Non abbiamo scelto noi. Ciò nonostante, abbiamo apprezzato l'ampliamento di quei cameini di Bardem e Zendaya, qui praticamente co-protagonisti, nonché l'utilizzo non proprio sbagliato di questo kast da colossal, tutto tempeshtato di vip. Peraltro, la fida di Spidey ha finalmente trovato un ruolo impegnativo. E che lavorone, Pedicini! Quasi irriconoscibile. Più sfigati gli altri, a parte il protagonista, azzeccato. Quanto alla questione mediorientale, che definire "allegorica" è un eufemismo, in piccola parte ne abbiamo subito il fascino, anche se i tempi in cui ci entusiasmava sono ben lontani, tant'è che dopo un po' di ripetizioni ci siamo lasciati cullare dall'abbiocco, sognando Topolino e il vento dell'Azalai. Ma se negli anni 2000 uscì Le crociate di Scott, in questi 2020 possiamo farci bastare quest'altro. Con buona guerra per i decontrattori e cattiva pace per noi pacitonti.

(2025)